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Messaggi - paul11

#1666
Citazione di: donquixote il 26 Gennaio 2017, 18:47:56 PM
Citazione di: paul11 il 26 Gennaio 2017, 13:19:40 PMPenso che sia proprio questo uno dei motivi dell'immigrazione, dopo il fallimento di costruire democrazie e modelli occidentali nel terzo e quarto mondo. Vista la storia degli USA e degli immigrati europei, ci sono tre buoni motivi: 1) contenimento del costo di manodopera anche dei residenti europei; 2) il denaro guadagnato dagli immigrati viene comunque gestito dal potere finanziario; 3) cambiargli la mentalità. Stiamo parlando di persone non legate ai tempi finanziari e cicli industriali, è l ostesso passaggi odala contadino all'operaio infabbrica. Cambia tutto il metabolismo biologico, adattato ai tempi economici. Nutro delle perplessità da anni se ricchezza voglia dire felicità.Certo il minimo di sopravvivenza e poi? Rincoglionimento nel mondo di "plastica"? La stiamo già subendo noi, figuriamoci loro. La sicurezza (che poi non è mai sicura) economica in cambio della perdità di identità personale, culturale? Il fallimento di esportare il modello democratico in paesi dove il legame familiare, parentale, comunitario è concepito diversamente dal nostro attuale che tende a frantumare tutti i legami a cominciare dalle famiglie (almeno a Natale ci vediamo tutti insieme?.... sappiamo parlare senza avere un televisore acceso?) potrebbe essere anche uno dei motivi, di piallare, standardizzare le personalità. Che poi vuol dire avere un popolo di servi e il massimo e renderli felici della propria sottomissione , facendoli diventare popolo di consumo e di nuovo altri mercati... ed ecco preparata la strada per implementare il modello di pseudo democrazia sui loro territori. Ma capisco anche che per l'italiano, ma non solo, è sentirsi aggredito da una quantità enorme di immigrati par ad una città ogni anno.. Ma come, ci chiediamo, siamo in crisi economica e vengono altri, e sono trattati meglio dei nostri "clochard" che muoiono all'adiaccio come mosche. E' vero, ci sono incongruenze. Noi stiamo meglio di loro e per loro già questo è tanto, e noi stiamo peggio di prima e il futuro non ci rallegra.abbiamo già i nostri problemi e altri ne creano ulteriori. I politicanti. lo sanno, ma giocano di retorica da due soldi , perchè le tensioni socio-economiche sono foriere di disastri anche politici, di chi cavalca il populismo, salvo a suo tempo averlo legiferato. Stiamo subendo una situazione che come popoli non andrebbe bene nè a noi e nemmeno a loro,costretti a lasciare Paesi di origine. Il rischio è la "guerra fra poveri".


Se la mia famiglia vive in un villaggio e ha un pezzetto di terra su cui crescono frutta e ortaggi, razzolano polli e magari grufola qualche maiale, non muore certo di fame, e quel che eventualmente mi manca lo posso comprare o scambiare al mercato locale. Se invece ho una bottega artigiana scambierò ciò che produco con derrate alimentari, se ne ho necessità. Queste attività, però, non generano fatturato ai fini statistici, muovendo un quantitativo di denaro praticamente trascurabile. Se invece io lascio la mia terra per andare in città a lavorare per una grande multinazionale i miei guadagni e le mie spese, di necessità molto maggiori, andranno ad aumentare la "ricchezza" complessiva, il PIL, e quindi anche la ricchezza media procapite. Ma nel contempo la mia famiglia, privata delle braccia più giovani e capaci, si ritroverà a non poter badare alla terra e a tutto il resto finendo per dipendere dal mio reddito per quanto concerne le loro esigenze e la loro mera sopravvivenza. Finirà quindi che io sarò statisticamente molto più "ricco", ma nei fatti molto più povero poichè oltre ad avere maggiori spese dovrò mantenere anche la famiglia lasciata sola. Mentre poi la primavera arriva sempre, i frutti maturano e i polli crescono, se si verifica una crisi nel settore in cui lavoro io rischio di perdere il posto senza avere alternative e rischiando di non poter sopravvivere, perchè nel frattempo la mia terra è stata magari acquisita dalle grosse aziende agricole che la devono "valorizzare", ovvero sfruttare in grande stile a fini mercantili.  Non avendo soluzioni finirò quindi, insieme con la mia famiglia, nel vortice del "mercato del lavoro" in cui la domanda e l'offerta non tengono conto delle esigenze di sopravvivenza ma solo di quelle della convenienza. L'equilibrio del villaggio, in cui vi è naturalmente il senso della comunità e della solidarietà fra persone e famiglie che si conoscono da sempre, viene completamente perduto nelle grandi metropoli ove ognuno è lasciato in balia di se stesso, e se è pur vero che vi sono grandi opportunità, vi sono ancor più grandi tentazioni, per cui ognuno sarà risucchiato dalla spirale della produzione e del consumo non riuscendo mai a produrre sufficiente reddito per soddisfare desideri sempre maggiori, diventando in tal modo un miserabile, preda di qualunque schiavista che al posto della frusta ha il libretto degli assegni (gli "schiavi salariati" di niciana memoria). I milioni di persone che hanno formato le megalopoli moderne sono per la gran parte questi miserabili, tenendo conto del fatto che la miseria non è una condizione assoluta ma relativa: sei un miserabile non se guadagni poco, ma se i tuoi guadagni non sono sufficienti a garantire un tenore di vita tale da non essere costretto a sacrificare ad esso il valore della libertà, della famiglia, dell'amicizia, della cultura, del tempo, insomma di tutto ciò che caratterizza un essere umano libero, diversamente da una macchina per produrre e consumare che altri accendono o spengono secondo il loro comodo. Dunque i dati macroeconomici diranno che il PIL della tal nazione in questi ultimi vent'anni è salito del tot percento, affermando implicitamente che i loro abitanti si sono arricchiti e dunque la globalizzazione è positiva, ma gli stessi dati affermano al contrario che, anzichè arricchirsi, milioni e milioni di persone hanno solo monetizzato la loro libertà, i loro valori, il loro tempo, le loro famiglie; nel complesso hanno venduto le loro vite rendendosi schiavi di un sistema che li trasformati in  subumani, esseri miserabili.
Il modello democratico che citi è, più esattamente, quello liberalcapitalistico, poiché differenti sono le forme di democrazia. La democrazia liberale e l'individualismo che da questa è nato sono il brodo di coltura del sistema mercantile attuale, ove si tende ad annullare progressivamente qualunque limite culturale per esaltare il desiderio individuale, funzionale al commercio e alla diffusione di "prodotti" che soddisfino qualunque "bisogno", solitamente innaturale e indotto dal sistema che deve alimentare il mercato. Ai tempi del colonialismo la maggior parte dei paesi coloniali si limitava a saccheggiare le risorse dei colonizzati (oro, diamanti, petrolio, risorse minerarie di ogni genere) ma i due popoli rimanevano essenzialmente separati e continuavano nella sostanza a vivere come avevano sempre fatto. Quando gli inglesi, nelle loro innumerevoli colonie, hanno cominciato a chiedere tributi ai colonizzati questi, che non avevano nulla e nulla potevano pagare, sono stati costretti ad entrare nel "sistema" mettendosi alle dipendenze degli inglesi che fornivano loro un salario, ma questo serviva, oltre a pagare  i tributi, a comprare le loro merci che producevano in patria. Spesso forzavano la situazione come in India ove avevano vietato la tessitura per poter vendere agli indiani i tessuti che fabbricavano in Inghilterra, e proprio la disobbedienza a questa disposizione diede l'inizio alla rivolta di Gandhi che si concluse con la cacciata dell'impero britannico. In America sempre gli inglesi si inventarono il concetto di "vantaggio competitivo" cercando di convincere gli americani ad acquistare le locomotive inglesi poichè costavano meno di quelle fabbricate in America, tentando di renderli quindi perennemente dipendenti dalla ex madre patria. In Cina fecero la famigerata "guerra dell'oppio" per poter vendere la droga ai cinesi che non la volevano poichè vietata dalla loro cultura, e le conseguenze furono fra l'altro che i cinesi dovettero concedere agli inglesi il controllo del porto di Hong Kong come porta d'ingresso nel mercato cinese. La medesima cosa accadde con il porto di Singapore per quanto riguarda il sud-est asiatico, e poi con quello di Macao a favore dei portoghesi.
La decolonizzazione avvenuta a seguito della seconda guerra mondiale, lungi dall'aver liberato le ex colonie, si è potuta realizzare proprio a seguito di accordi con i governi di tali paesi a mantenere rapporti commerciali privilegiati con gli ex colonizzatori, che molto spesso ponevano alla guida di questi governi proprie "teste di legno" a scapito della volontà dei popoli. Il sistema è quindi cambiato consentendo alle ex colonie di vendere i propri prodotti, in cambio però impoverivano i propri popoli arricchendo solo pochi satrapi e soprattutto scardinavano un equilibrio culturale basato sull'economia di sussistenza e sulla sobrietà, che è chiaramente incompatibile con un sistema che ambisce ad un commercio sempre più ampio di merci. Impoveriti economicamente e sradicati culturalmente molti hanno iniziato ad emigrare dalla periferia miserabile dell'impero economico e finanziario verso il suo centro, creando una serie di cortocircuiti che in un futuro non lontano non potranno che provocare una serie incontrollabile di esplosioni.
La divisione del mondo in blocchi d'influenza durante la guerra fredda ha "protetto" gran parte del mondo da questo sistema, ma il crollo dell'89 con la successiva globalizzazione ha inserito nel sistema di mercato anche questa fetta, imponendo un'accelerazione inaudita al medesimo sull'onda dell'aumento esponenziale dell'avidità umana certificato dal corrispondente aumento delle disuguaglianze economiche fra i popoli e al loro interno.
In un mondo ormai dominato dal mercato globale la cultura, con le sue regole, i suoi simboli e i suoi limiti, è un impaccio, un inutile e arcaico orpello che impedisce la diffusione della merce con motivazioni che al mercante, da sempre e per definizione privo di cultura, appaiono incomprensibili. Dunque è il mercante, il cosiddetto "borghese",  che si inventa e alimenta tutte le sciocchezze moderne fra cui il multiculturalismo, evidente ossimoro, riducendo le culture ad una mera serie di vuote consuetudini che possono essere mantenute a patto che non ostacolino la diffusione dei prodotti, delle merci, del business. La storia racconta che dai tempi di Colombo gli eserciti dei paesi europei hanno solcato i mari per invadere e saccheggiare le terre altrui e schiavizzare i popoli ai fini di aumentare il benessere materiale delle proprie nazioni, impedendo nel contempo con i medesimi eserciti qualunque ingresso non desiderato nei territori europei, ma se questa cosa può apparire estremamente ingiusta ancora più ingiusta, se possibile, appare la situazione attuale che, per soddisfare l'avidità e la concupiscenza di pochi mercanti privati,  impone all'occidente di schiavizzare non solo quelli altrui ma anche i propri popoli mettendo i cittadini in concorrenza con disperati che provengono da ogni parte del mondo, poiché il sistema globalizzato e funzionale unicamente al profitto necessita da un lato un numero sempre maggiore di consumatori, e dall'altro di produttori sempre meno costosi.

Hai scritto un concetto economico (ma non solo e poi lo spiego...) che è esatto, tant'è che lo scissi nel vecchio forum.
E' vero quello che scrivi, e quando leggo che un Paese dell'Africa ha un PIL procapite di pochi dollari, sorrido, perchè non è un indice tout court di ricchezza/povertà, ma semplicemente la loro economia non è basata sullo scambio del valore aggiunto, a volte è addirittura baratto e altre è valore d'uso.
Ti dirò, forse quel tipo di economia è da ripensare quanto meno, se sia possible anche da noi , perchè:
1) la nostra economia è basata sulla divisione del lavoro
2) dividere il lavoro significa dividere la conoscenza
3) "dividi et impera" si sa che è un motto tipico di chi gestisce un certo modo di potere personale e non certo emancipativo di un popolo

Ma se l'organizzazione economica sociale è divisa, anche l'organizzazione sociale della città, di uno Stato si modella sulla base produttiva.Ecco l'urbanizzazione divisa in quartieri sociali e i servizi. (Avete notato che gli immigrati tendono a vivere vicino le stazioni ferroviarie?) Ogni cultura fa gruppo a sè per solidarizzare ,per comunicare, per appartenenza,ecc. tanto più si sente differente rispetto alla cultura ospitante..

Dividere socialmente il lavoro e la conoscenza, signifca ,come la conoscenza scientifica, dividere l'unità produttiva, in sottoinsiemi dove nessuno di chi produce conosce l'unità, ma solo chi lo progetta(ho estremizzato il concetto...)

Entrare nel meccanismo del mercato occidentale, significa ha ben poco di creatività umana e quindi di artistico, ma si entra a far parte di gerarchie funzionali. Quindi siamo braccia o mente al servizio di qualcuno,  di quel tipo di mercato .

Non siamo quindi umani nella loro intererzza, ma parti da vendere sul mercato che decide di espellere se non è utile.

Accade che non è assolutamente vero che questo sistema economico sia mai stato"sicuro", certo nelle crisi emerge la contraddizione.
a soprattutto accade che l'uomo è fortemente ricattabile, non ha alternative allla vendita di sè.
Non ha una casa con  un orto, non ha un pollaio o stalla , non ha quel minimo di sostentamento che la città degli alveari condominiali ha ridotto come vincolo senza via di uscita.
Se in un sistema dove lavoro= reddito, se non c'è una minima alternativa,si passa da un vita economicamente "normale" a chiedere la carità.

Mia nonna viveva come dici tu, era povera, ma non moriva di fame, perchè anche  in alta  montagna ci sono le castagne, ci sono le patate, e c'era il pollaio, la stalla ,così le popolazioni marittime e delle campagne.
E' da ripensare seriamente.
#1667
Citazione di: donquixote il 26 Gennaio 2017, 11:08:05 AM
Citazione di: Eretiko il 26 Gennaio 2017, 09:17:02 AMquello che mi auspico è che, perlomeno, sia in grado di togliere dall'indigenza miliardi di persone e sia in grado di evitare quanto più possibile i conflitti.
I suoi seguaci affermano che la globalizzazione ha strappato dall'indigenza oltre un miliardo di persone negli ultimi 20 anni ma invece, a saper guardare meglio, ha trasformato un miliardo di poveri in un miliardo in più di miserabili dipendenti dalla globalizzazione stessa e da chi la controlla; e il trend non potrà che proseguire trasformando sempre più persone che sono semplicemente (e spesso orgogliosamente) povere in miserabili schiavi dei poteri che controllano i mercati.

Penso che sia proprio questo uno dei motivi dell'immigrazione, dopo il fallimento di costruire democrazie e modelli occidentali nel terzo e quarto mondo. Vista la storia degli USA e degli immigrati europei, ci sono tre buoni motivi: 1) contenimento del costo di manodopera anche dei residenti europei; 2) il denaro guadagnato dagli immigrati viene comunque gestito dal potere finanziario; 3) cambiargli la mentalità.

Stiamo parlando di persone non legate ai tempi finanziari e cicli industriali, è l ostesso passaggi odala contadino all'operaio infabbrica.
Cambia tutto il metabolismo biologico, adattato ai tempi economici.
Nutro delle perplessità da anni se ricchezza voglia dire felicità.Certo il minimo di sopravvivenza e poi? Rincoglionimento nel mondo di "plastica"? La stiamo già subendo noi, figuriamoci loro.
La sicurezza (che poi non è mai sicura) economica in cambio della perdità di identità personale, culturale?

Il fallimento di esportare il modello democratico in paesi dove il legame familiare, parentale, comunitario è concepito diversamente dal nostro attuale che tende a frantumare tutti i legami a cominciare dalle famiglie (almeno a Natale ci vediamo tutti insieme?.... sappiamo parlare senza avere un televisore acceso?) potrebbe essere anche uno dei motivi, di piallare, standardizzare le personalità.
Che poi vuol dire avere un popolo di servi e il massimo e renderli felici della propria sottomissione , facendoli diventare popolo di consumo e di nuovo altri mercati... ed ecco preparata la strada per implementare il modello di pseudo democrazia sui loro territori.

Ma capisco anche che per l'italiano, ma non solo, è sentirsi aggredito da una quantità enorme di immigrati par ad una città ogni anno..
Ma come, ci chiediamo, siamo in crisi economica e vengono altri, e sono trattati meglio dei nostri "clochard" che muoiono all'adiaccio come mosche. E' vero, ci sono incongruenze. Noi stiamo meglio di loro e per loro già questo è tanto, e noi stiamo peggio di prima e il futuro non ci rallegra.abbiamo già i nostri problemi e altri ne creano ulteriori.
I politicanti. lo sanno, ma giocano di retorica da due soldi , perchè le tensioni socio-economiche sono foriere di disastri anche politici, di chi cavalca il populismo, salvo a suo tempo averlo legiferato.

Stiamo subendo una situazione che come popoli non andrebbe bene nè a noi e nemmeno a loro,costretti a lasciare Paesi di origine.
Il rischio è la "guerra fra poveri".
#1668
E' in crisi da decenni il sistema culturale, il sistema economico-sociale, quello politico.
Non ci sono teorie nuove.
Da parecchio il modello conformismo- progressismo non regge più, come "sinistra" e "destra" politica.

Detto in maniera sintetica, il livello della tecnica e tecnologia ha permesso nei rami primari e secondari economici
che sono i reali settori di aumento della produzione lorda vendibile, una tele efficienza ed efficacia economica, per cui
l'aumento demografico della popolazione è troppo superiore alla quantità di lavoro per unità di vendita.
Significa che nel mondo, se lo estendiamo alla globalizzaizone, c'è una popolazione " in esubero".
La dimostrazione è la crescita del potere negli ultimi decennio del ramo terziario( finanziario, commercio) che è cresciuto in maniera enorme prendendo il valore aggiunto creato da agricoltura e industria.

Si è avuto il seguente paradosso, la crescita economica, in ambiente efficente ed efficace, crea una tale massa monetaria dove è impossiblie investire con gli stessi tassi di sviluppo e altrettanti tassi di profitto,perchè il mercato è saturo, perchè non regge più il rapporto : lavoro= reddito.

Ergo, sta finendo un ciclo storico-economico anche se viene allargato il mercato in termini espansivi,creando pressioni sociali con emigrazioni e immigrazioni, alla stessa velocità di come si muovono i capitali, gli investimenti, le speculazioni all'interno delle filiere economiche dove è strategico il detenere le materie prime che sono soprattutto ormai nelle aree del terzo-quarto mondo.

Questa troppo breve premessa è per arrivare a dire che il sistema economico mette sotto pressione quello politico e culturale ,perchè la velocità del cambiamento è superiore a quello politico e culturale.

Se la globalizzazione è basata su trattati per aree geografiche e ormai ve ne sono molti effettuati e altrettanti con tavoli di negoziazione aperti,che tendono a standardizzare i processi di scambio economico e persino i diritti sociali(del lavoro fra l'altro), il concetto di Stato e appartenenza diventano impedimento.
Sta accadendo un'altro paradosso.Gli USA ,promotori della globalizzazione, sanno che la curva della loro civiltà, come potere mondiale, declina con la stessa velocità della globalizzazione che fa scendere la  propria curva ad esempio e salire  in Cina(il vero suo antagonista).
Basta vedere il rapporto del pil USA in rapporto a quello di tutto il mondo nell'ultimo secolo, per sapere che c'è una ridistribuzione globale e oggi la tecnologia atomica per costruire anche bombe lo hanno troppi stati internazionali.
Nella storia il primo principio è basato sui rapporti di forza.

Non posso quì dilungarmi oltre. Dico quindi che questo sistema globale ha reso obsoleto il modello di equilibri dell' economia, i modelli politici e culturali,
Gli antichi rimedi di fingere che tutto quanto ci gira attorno non ci coinvolge,per cui difendiamo arroccandoci
difensivamente, è umano, ma non è strategico, è perdente già nel breve periodo, perchè è impossible ad esempio per l'Italia ricostruire un' autarchia, perchè economicamente trasformiamo, non abbiamo materie prime,viviamo sull'intesrcambio e interdipendenza.

Il modello occidentale economico è talmente avulso dal tempo che oggi dovrebbero essere proprio l'Africa, Brasile, aree con miniere e piantagioni di prodotti strategici a detenere il potere,
Invece la nostra economia ha insegnato che l'occidentale ha il potere se ricatta politicamente militarmente quelle aree imponendo accordi commerciali in cambio di protezionismo militare corrompendo i poteri "sovrani" di stati del terzo, quarto mondo; esportando le tensioni internazionali facendo esplodere le proprie contraddizioni lontano dai propri confini di chi li ha generati violentando culture, standardizzando processi e modelli di pensiero con i propri modelli consumistici e di sviluppo.

La diversità è un pregio se esiste l'apertura dell'incontro.Se la diversità viene vissuta come violenza alla propria identità allora non ci si riconosce nell'altrui, finisce la pace e inizia la guerra.
#1669
Citazione di: Sariputra il 20 Gennaio 2017, 11:21:49 AM
@Paul11
Figlio della cascata non è niente male, vero?.. ;D
La questione del significato che ogni essere umano si pone osservando il dramma della vita e che porta a chiedersi: "Che razza di gioco è questo? Qual'è il suo significato e scopo, e che cos'è tutto questo?" è alla base delle risposte che le religioni umane tentano di dare. Religioni diverse danno risposte diverse. Mi sembra ci siano due approcci prinicipali: la visione giudaico-cristiana che tanto ha influenzato e permeato l'intero "senso della vita" occidentale e quella buddhista ( che differisce da quella hindu in diversi punti). Il dramma viene dipinto, più o meno, in questo modo: Visione storica ( giudaico-cristiana) e non-storica ( come viene definita da molti teologi quella buddhista).
La visione storica:
1. La storia ha un inizio e una fine.
2.E' teleologica. L'universo è progettato e la storia dell'umanità va diretta verso una fine, per uno scopo ben definito.
3.La storia è pregna di significato ( anche se questo significato può risultare incomprensibile all'uomo). La storia, ossia il dramma umano, non è accidentale; ha un significato nell'adempimento di una volontà o di un piano Divino. Questo significato è noto solo a Dio, il Creatore.
4.La storia umana, proprio come un dramma, è a intensità crescente. Ha un inizio, un momento culminante e una fine.
5. Questo unico dramma viene recitato sul palcoscenico chiamato Terra, inteso quindi come centro dell'universo per quanto riguarda questa rappresentazione.
La visione non-storica ( ma i buddhisti la definiscono trans-storica):
1.La storia ha un inizio e una fine , ma solo in senso relativo, non assoluto.
2.La storia è piena di significato poichè è un processo necessario per la realizzazione della Perfezione per tutti gli esseri viventi.
3.La storia umana non è l'unica con un significato:;ci sono numerose storie di altri esseri senzienti in altri luoghi o universi.
4.La Terra non è affatto il solo palcoscenico su cui un unico dramma , voluto da Dio, viene recitato.
5.la storia umana non è progettata e organizzata da Dio; viene in essere dall'azione collettiva ( Karma collettivo) di esseri senzienti.
6.Non c'è un modello o una struttura ben definita dentro
cui tutte le storie devono "rientrare". La struttura della storia viene dettata dalla natura del'azione collettiva ( karma collettivo) degli esseri viventi "in quella particolare" storia.
La visione ciclica, come giustamente scrivi, orientale ( e in particolare quella buddhista) secondo molti pensatori occidentali toglie qualsivoglia significato alla storia. A noi occidentali il samsara, il divenire inteso secondo la concezione indiana, sembra soltanto una monotona seccatura che si ripete senza significato (quanto siamo presi da questo termine occidentale, da questo "significato"?).
E' vero  che ammettiamo che questa concezione orientale, questa visione astronomica della storia, porta a una radicale modifica del pregiudizio innato in ogni creatura verso l'egocentrismo, ma ci sembra al prezzo di togliere significato alla storia e infine all'intero universo.
Invece per l'orientale , questa ciclicità, questo samsara ciclico e permanente può essere del tutto piena di significato. Infatti , i critici occidentali, sembrano dimenticare che il significato non dipende interamente da circostanze esterne. Dipende dall'atteggiamento di ognuno di noi verso quelle circostanze. La vita ricorrente allora non è necessariamente uno stato ripetitivo di noia, ma può garantire un'ampia opportunità di progresso spirituale. Il significato e la scopo della vita allora vengono visti come una sfida e un'opportunità perché ogni uomo possa attingere un bene più "alto" ( nel caso del buddhismo, lo stato di Buddhità...).

"O figlio della cascata" (Sariputra), ma in generale a tutti.

I libri Veda sono migliaia e migliaia di pagine, ho letto poco rispetto alla grande mole, alcuni studiosi hanno capito qualcosa nell'ultimo secolo, molti non hanno capito nulla perchè lo interpretano simbolicamente come mito.

E' un testo ritenuto sacro e rivelato, uguale alla Torah ebrea, verità inalienabile e inviolabile.
Il fondamento non è l'interpretazione spirituale e religiosa ( non vuol dire che non sia importante, ma ne deriva) che è la modalità
del genere umano di uscire dal tempo.Il tempo essendo il metronomo che scandisce il divenire ,ma solo in un senso quello di incrementazione, ma non di sottrazione (nasciamo bebè e moriamo vecchi e non viceversa) a cui è condizionata tutta la vita e i fenomeni, appare altrettanto ina alienabile non sottraibile alla materialità e al corpo fisico.

I libri veda indicano una creazione e il "meccanismo" temporale.
Pochi studiosi hanno capito che il meccanismo è il sistema planetario solare ( e forse oltre...) e del pianeta Terra.
Sono i tempi di rivoluzione e rotazione.
Gli umani che raccolsero la scienza antica la tramandarono oralmente "alla loro maniera", vale adire nel linguaggio che la mente umana poteva comprendere in quel tempo antico.
L'orologio scandisce le ore 24, ma poi torna all'1, tuto passa e va, ma anche tutto torna.
La linearità è dentro il ciclo, questa è la verità.
Il meccanismo vedico essendo sacralità rivelata ed è qualcosa di più potente della spiritualità come la intende il genere umano, in quanto si confà.Tutta la cultura dal Tao al bramanesimo e buddismo, compreso le arti mediche e il concetto quindi di energia che sono impliciti per la medicina orientale, derivano dalle prime rivelazioni.

Queste rivelazioni non sono alla portata della comprensione umana e arriveranno ,cone altre civiltà, tradizioni e culture,ai greci come linguaggio ormai del mito. La teosofia della Blavatsky, tanto per capirci, è l'ennesima speculazione, dell'immensa portata conosciitva che era stata trasmessa al genere umano .

Perchè gli dei dell'Olimpo e poi tradotti nella civiltà latina-romana, sono collocati nei pianeti?
Ma il primo dio è Crono, il tempo ,padre di Zeus(Giove)
Perchè tutte le piramidi, sumeriche, egiziane, precolombiane sono orientate in precise costellazioni?
Attendo che studiosi e scienziati contemporanei che spediscono sonde per ogni dove dicano spiegazioni,.Intanto hanno capito che c'è acqua un pò ovunque sui pianeti.
C'è un inno nel rigveda, se non ricordo male, dove ogni dio è collocato in precisi punti orientati.

Il mito greco ,rappresentato da esiodo nella "Teogonia" è la banalizzazione del mito di una scienza antica.
L'aperion di Anassimandro è il banale errore che non c'era già millenni prima nei Veda.
Agni è il potente dio del fuoco vedico.

Succede che la cultura greca, da una parte perde la scienza antica, estinguendola nel mito e dall'altra riformula la conoscenza dal punto di vista del genere umano. Mentre il mito, come retaggio di una scienza antica, muore e con lui la forma conoscitiva premoderna, dall'altra i filosofi greci riformulano il sistema conoscitivo umano.

Quello che ci appaiono  agli occhi dell'occidentale contemporaneo sono diversità, in cui l'uomo sentendosi più progredito ed evoluto rivede la scienza antica, come banalità, elementarietà, di una umanità primitiva.
La teoria,evolutiva, il concetto intrinseco di progresso ed evoluzione dell'uomo moderno, ma anche la battaglia ideologica secolare ormai per sconfiggere religioni e spiritualità come retaggio di quella cultura "elementare", banale, portano alla risultante della relativizzazione di tutto nella post-modernità..

Ma ritorniamo al punto, il samsara è l''adattamento umano al "meccanismo" del tempo che dviene ,ma ritorna, ma all'interno di un sovrameccanismo che è eterno.Tant'è che Buddha non va oltre il meccanismo, quella cultura non si pone un al di là.
Detto così è semplice, ma mentalmente è molto diverso vivere in quella cultura, piuttosto che che nella tradizione occidentale.
perchè è inutle per l'orientale ,aggredire il tempo, perchè l'ordine del meccanismo ha insita la giustizia. E' l'uomo che deve adeguarsi e lo può fare solo dentro di sè, (ecco lo spirito, atman), non contro l'ordine naturale che deriva dal meccanismo temporale.
Tutto il sistema di relazione cambia, il concetto di libero arbitrio, di volontà, di rapporto uomo-realtà-tempo.
i concetti positivi e negativi convivono, perchè non è come l'occidentale, che supera i concetti rendendoli obsoleti, e quindi avanzando ridà all'oscurità dell'oblio la propria memoria, Noi occidentali avanziamo con una torcia elettrica , vediamo davanti a noi  oltre i nostri passi, ma perdiamo tutto ciò che  è stato , aggrediamo il futuro ferocemente, perchè pensiamo che la vita è tutta quì e il tempo brucia le opportunità.Quindi è ovvi che filosoficamente la contraddizione è di enti che arrivano e spariscono, di linguaggi che riformulano di parole di "lingue morte"(il cretinismo occidentale...) e di nuovi vocaboli social-tecnologici.

Il sutra del cuore è un esempio di un linguaggio in cui l'uomo è immerso nel meccanismo contraddittorio di un tutto passa e va, ma ritorna.

Il filosofo se da una parte non può vivere isolandosi nella torre d'avorio e deve relazionarsi al suo tempo, non significa assoggettarsi alle forme conoscitive della scienza, in tutt'altro modo orientata finalisticamente e quindi come metodo.

Ribadisco quindi: noi viviamo esistenzialmente in una realtà materiale che è contraddittoria alla razionalità.
ma questo lo avevano già capito prima dei greci,prima della filosofia moderna.
#1670
Sariputra= figlio(o cugino) della cascata.
Me lo hanno detto gli e.t che mi hanno accompagnato a  villa Sariputra, grande discepolo del Buddha.

In quei libri antichi , nei mandala cantati come inni del rigveda, c'è la creazione di un Uno e poi gli dei.
Si racconta di cicli temporali che ritornano.
L'interpretazione umana di questi cicli è molto simile a tutte le culture, vale a dire la condanna umana nell' esistenza mondana
Il Dharma è la legge naturale, vale adire i cicli temporali.
Ha ragione Donquixote ,fra quella prima scrittura vedica che è un "corpus" non da poco, e poi le interpretazioni spirituali e religiose,
c'è "la saggezza". Quei darshana ( che è la "prima, originaria conoscenza) stanno fra le regole fondamentali e le interpretazioni spirituali
Il Buddha cerca un sistema per rompere il ccilo temporale della legge naturale applicata all'esistenza umana.
Quindi il dharma è la legge naturale, in cui l'uomo come esistenza è inserito come samsara e ciò produce dukkha, sofferenza.
Adatto che la regola del samsara è la trasmigrazione come reincarnazione, in quanto non è contemplato un oltre, un al di là fuori dai cicli temporali, e segue un ciclo evolutivo di reincarnarsi dal vegetale al saggio seguendo una regola comportamentale (etica), il nirvana è quindi la soluzione.

Le vere e proprie regole, così come in tutte le culture e tradizioni, sono nelle cosmogonie,cosmogenesi.
Le spiritualità e religioni sono il sistema di relazione che permette di fuoriuscire dalla legge di natura che produce sofferenza.
Per inciso , nell'Occidente contemporaneo questa "posizione" è tentata di essere presa dalle scienze(il potere salvifico di vincere le leggi di natura)

Ora se il dharma è la legge di natura, l'interpretazione della natura  generatrice di sofferenza viene vista come negazione.
La via che vince la sofferenza è comunque un trascendere maya, l'immagine illusa della natura.
Il trascendere per l'orientale è legato alla terra comunque, alla schiavitù condizionante di un divenire che incrementa il tempo, ma che si curva per chiudere il ciclo.

La linearità (quindi un tempo che non è ciclico) del cristianesimo presuppone il salto trascendentale, come elevazione verso un oltre, un al di là. Quì  è netto il contrasto fra natura e sacro, fra bene  e male perchè è netta la separazione fra cielo e terra.
Nella cultura orientale è invece meno trascendentale, per cui anche i termini ,ad esempio come "deva" è sì una divinità(non sempre) spesso è benevola, a volte incarna il male.

Per l' Occidentale e cristiano, la morte nel tempo lineare del divenire è fine fisica e trascendere spirituale.
Per l'Orientale è comunque ritornare nel dharma, perchè se si può spezzare il samsara ,non si può spezzare il dharma: l'eterno ritorno.

Sempre per inciso, fra i libri vedici e la cultura persiana degli Avesta, che porterà al zoroastrismo , c'è una continuità anche quì.
#1671
Citazione di: maral il 18 Gennaio 2017, 23:15:20 PM
......L'uomo si sta sempre più scoprendo come una macchina difettosa.
A mio modesto parere hai centrato almeno una chiave di lettura, la manifestazione del  proprio inganno.
Più l'uomo conosce e costruisce tecnologie e più è inadeguato con i suoi ritmi e tempi biologici all'idea di una perfezione che cerca ,ma non gli è chiara, spostando continuamente in là, oltre, i limiti della tecnica che via via ,paradossalamente gli segnalano l'incolmabile e continuo e maggiore divario fra ciò che è il suo prodotto culturale rispetto a quello che l'uomo è.
Ha costruito, l'ambiente artificiale, una cultura in cui lui stesso si sente inadeguato.
L'uomo ha autoprodotto una coscienza infelice cercando una insondabile felicità nella tecnica.
Il problema diventa che cosa l'uomo è,perchè non sa accettarsi,come si pensa oggi,cosa riflette di sè....mi fermerei quì almeno per ora.
#1672
Sariputra,
non è mia intenzione mettere in ambascie te o chicchessia, la mia volontà è porre elementi di riflessione filosofica.
Semplicemente perchè le religioni, le spiritualità, la filosofia nella sua essenza  e razionalità,  vanno oltre il percepito della fisicità naturale della mondanità.
Se il corpo chiede di bere e mangiare la mente, o spirito o atman, ci pone da sempre delle domande le cui soluzioni vanno oltre le apparenze del divenire.
 Poi è altrettanto ovvio che ognuno sceglie e pensa e crede ciò che ritene opportuno.

Personalmente ritengo  l'uomo occidentale nella modernità si è illuso di pensare che il sapere sia dato dalla quantità di  enti che si conosce invece di capire il meccanismo che muove gli enti.Spostando l'asse epistemologico, l'uomo è diventato materiale, attaccato alle cose (o enti), più avere che essere, più quantità che qualità, sostenendo (contraddizione della contraddizione) che in fondo lo stesso mecccanismo sia funzionale all'ente finale.
Il risultato è mutare continuamente le leggi e le teorie pur di mantenere il focus epistemologico sul finalismo dell'ente.
Vuol dire farsi un Dio personale per giustificare i propri modi di essere; vuol dire relativizzare tutto pur di rincorrere a scoperte e invenzioni del finalismo della tecnica; vuol dire alienarsi umanamente per diventare essi stessi meccanismo funzionale di unte finale pur sapendo che la verità sarà sempre dopo, oltre...e intanto  Buddha morì guardando  il tramonto a Occidente..
#1673
Citazione di: Sariputra il 17 Gennaio 2017, 10:21:42 AM
@ Paul
ma se non c'è identità fissa non ci può essere nemmeno qualcosa che perda identità. La difficoltà di accettare logicamente la perdita di un'identità di un ente è data dal fatto che si è prima accettato aproristicamente , come scontato, che ci sia un'identità.  E' come un uomo che vada in giro dicendo:"ho perduto il mio essere asino " ma non-sono mai stato un asino! Dal mio punto di vista dunque è sbagliato assumere come dato di fatto che esistano enti immutabili ( in questo caso soprattutto enti-idee ) e quindi sforzarsi di dire che non possono essere/diventare nulla. Fino al punto di cistallizzare il fluire di un universo intero in attimi eterni, fissi, immutabili per non perdere la logica di qualcosa che si accettato senza poterne dimostrare la logica. E' solo perché si accetta senza poterlo dimostrare che A=A  che si arriva al Severino. Ma se anche A=A è vero parzialmente può essere vero anche "A è anche non-A, pertanto è A"( che non esclude A=A), ossia la formula logica che tenta di dare una misera definizione linguistica del mutare, del fluire incessante.
L'identità fissa c'è ed equivale alla sua essenza, questo è quello che penso anche nel paradosso della nave di Teseo.
Per i credenti può essere lo spirto/anima/atman o la propria autocoscienza, o il proprio Io, ecc.
Ma lo stesso procedimento è in qualunque ente,soprattutto e necessariamente se si ritene che tutto è eterno e non nel divenire.

Il samsara della reincarnazione che cosa lo identificherebbe se non un atman
Il processo di identificazione non è il possesso, si è a prescindere da ciò che si  ha.
Gesù è Gesù, Buddha è Buddha, ecc. Noi indichiamo un'identità .

C' è un automobile con una targa e la identifica. Il proprietario che la registra come suo bene, può anche alienarlo, compiere una transazione, venderla. ma quell'automobile è rimasta quello che è a prescindere dai suoi proprietari.

Sfugge un concetto fondamentale: la logica non ha il potere fisico di mutare la natura del divenire, ma ha la funzione strumentale di razionalizzare il meccanismo che governa il divenire.
La forza della nostra mente è quella di andare oltre le apparenze che si manifestano, di capire o almeno tentare di capire il meccanismo, che è intellegibile analogicamente al nostro cervello
La natura si mostra, la mente carpisce e capisce gli ordini che la governano mettendo in discussione dialetticamente(confrontandoli) sia gli enti naturali che quelli "mentali".


Noi vediamo esteriormente le lancette di un orologio analogico oppure i numeri che si susseguono in quello digitale, ma il meccanismo è interno e nascosto alla percezione ed è quello che permette il funzionamento
#1674
Citazione di: Sariputra il 17 Gennaio 2017, 01:02:34 AM
Non possiamo pensare alla concezione del termine "enti" che svolge la filosofia buddhista semplicemente come un momento di speculazione logica. Non possiamo dimenticare che ci troviamo dinanzi ad un Insegnamento che non ha la finalità di dare un'interpretazione, una teoria sulla realtà. Buddha non era un filosofo.  La sua vita , la sua pratica e il suo insegnare erano un tutt'uno. Così i discorsi servivano poi per la meditazione e per il retto agire ( moralità) e dalla pratica e dalla purezza di condotta di vita nascevano i discorsi. Saranno poi nei secoli i vari monaci studiosi a dare una struttura filosofica all'Insegnamento. Abbiamo però dei punti fermi in questo passaggio di villaggio  in villaggio durato cinquant'anni e sono punti che tutte le scuole budddhiste posteriori autentiche condividono. Uno di questi punti è sicuramente l'insegnamento a vedere le cose come vuote. C'è per es. la frase:"vedete il mondo come vuoto. se sarete consapevoli della natura vuota del mondo, la morte non vi troverà". La frase viene anche tradotta come:"Chi vede il mondo come vuoto si situa oltre il potere del dolore (dukkha), che ha il suo rappresentante principale nella morte". (Mogharaja-sutta,1119)
Per Siddharta questo significa vedere le cose nella loro realtà, cioè prive di io e di mio. Il Nibbana/Nirvana, l'estinzione totale del dukkha , del dolore , è identico al supremo vuoto. Dire che il supremo vuoto è il nibbana, o identico al nibbana, sta a significare che il vuoto è l'estinzione definitiva di tutto ciò che brucia, che si agita , che muta in maniera vorticosa in noi. Supremo vuoto e suprema estinzione sono la stessa cosa. Però questo stato non si può intendere come "la suprema felicità", come viene comunemente inteso ( particolarmente da noi in Occidente). Quando si parla di nibbana come di 'felicità'è una sorta di propaganda allettante che ricorre al linguaggio convenzionale perché gli uomini sono affascinati dalla felicità e non desiderano altro. In realtà non bisognerebbe definirlo né felicità né sofferenza, perchè si situa al di là della concezione ordinaria di queste. Però se si parla così...la gente non capisce...Se la vita è continuo agitarsi e mutare, l'elemento nibbana è invece la quiete, la calma  e , mentre l'agitarsi è insoddisfacente ( o temporaneamente soddisfacente), il nibbana è realmente soddisfacente.
Il Cuore di questo insegnamento dato dal buddha è racchiuso nella frase famosissima:
Sabbe dhamma nalam abhinivesaya
Nessun dhamma ( cosa) a cui attaccarsi.
Quando si dice "ogni cosa" s'intende ogni cosa , compreso il senso interiore di continuità di cui parlano Paul11 e Jean.
Il termine dhamma (minuscolo) , tradotto in 'cosa', include tutto, senza eccezioni. Ossia 'enti' mondani o spirituali, materiali o mentali. Se ci fosse qualcosa che esula da queste quattro categorie sarebbe sempre compreso nel termine 'dhamma'. La mente che conosce il mondo è dhamma. Il contatto tra la mente e il mondo è dhamma.Questo termine abbraccia tutto, dal periferico al centrale, dagli oggetti materiali , alla pratica del Dhamma ( maiuscolo inteso come Insegnamento), compreso il nirvana. Non dovremmo provare attaccamento per nessuna di queste cose, compreso il nirvana. Il Buddha addirittura insegna a non attaccarsi nemmeno alla 'consapevolezza-saggezza' ( sati-panna ), perché è anch'essa un processo naturale. Attaccarcisi con l'idea: "Io sono un saggio, uno consapevole" è un'illusione in più. Il nirvana è anch'esso un dhamma, un evento naturale, così come la pratica meditativa e i suoi frutti, sono "così come sono". Persino il vuoto stesso è un evento naturale. E' l'attaccamento all'idea  che lo riduce ad un falso nibbana, ad un falso vuoto , perché il vero nirvana è senza appigli.
Tutti questi dhamma, secondo il buddhismo, sono divisi in due categorie: mutevoli e immutabili. Quelli mutevoli, in perenne trasformazione, a causa di forze e condizioni che li producono si mantengono in esistenza all'interno di questo flusso del divenire, della trasformazione dinamica. Quello immutabile è il nirvana, unico dhamma nella sua categoria. Si mantiene esente dal cambiamento, la sua natura è il non mutamento. ora, tutti i dhamma, sia mutevoli che il nirvana immutabile, sono semplici dhamma: cose che conservano se stesse in un determinato modo. Ecco come non c'è altro che natura, solo eventi naturali, solo dhamma , per l'appunto...Dhamma quindi significa natura, processi naturali. Nel buddhismo prendono anche il nome di 'tathata'  ( 'così come sono'), in quanto non potrebbero essere in modo diverso. In termini di logica viene espresso così:
tutte le cose sono dhamma
tutte le cose sono vuoto
i dhamma sono il vuoto
Naturalmente si può esprimere in molti altri modi ma il punto centrale resta, a mio parere, che non c'è niente al di fuori della natura e che la natura è vuoto. Niente a cui attaccarsi come Io e mio. Il vuoto, o vacuità di esistenza intrinseca è, per il buddhismo, la natura di tutte le cose possibili.
L'attaccamento all'idea dell'Io è un'eredità che ci viene da un tempo immemorabile...tutto ciò che viene insegnato, fin dalla più tenera età, è in termini di "io". Alla nascita la mente del bimbo non ha alcun senso dell'Io...ma poi, diventati adulti, la vita stessa diventa l'Io, e l'Io la vita...e Io sono esausto e vado a sognare un altro illusorio Io che vive in un'altra realtà illusoria...  :-X :-X

P.S.Ovviamente, quando si dice che ci sono solo eventi naturali o 'solo natura', non dobbiamo intenderla secondo il criterio della filosofia materialista occidentale...
Direi metaforicamente che il nirvana è trovarsi dentro l'occhio vorticoso di un ciclone, uno stato di quiete ,di pace di serenità, nonostante tutto si muova vorticosamente attorno a noi.
Capisco, Sariputra il tuo ragionamento.
So benissimo che l'uomo ha più linguaggi e quello dei sentimenti, degli atteggiamenti, motivazioni è molto difficile da capire e da comunicare. Ma non pensare che la logica sia calcolo, è ponderazione che per me significa altro.
La forza della filosofia è la capacità di interrogarsi i n maniera distaccata dalla mondanità, cercando di capire i meccanismi, naturali che governano i domini, gli ordini, le dimensioni ,di cui fanno parte tutti gli enti.
La ponderazione è la capacità di utilizzare coerentemente le facoltà umane linguistiche ,dall'intuito, all'intelliggibilità per razionalizzarle in regole.Una persona osserva il mondo nello scandire del tempo e vede le mutazioni e intuisce un ordine interno che le governa in totto., il meccanismo, che regola quello stesso mutare.Il problema allora è il meccanismo dei domini e gli enti che vi sono immersi.
Ed è altrettanto chiaro che essendo l'uomo un essere , un essente, in quanto senziente e vivente e all'interno di un ordine in cui il fattore ( o ente) tempo ha la forza di "spostare" tutti gli enti nel divenire del mutare che si riflette nel governo del sorgere della vita e dei cicli della vita stessa che osserviamo nel percorso delle stagioni. Se l'uomo è nel divenire "nel mezzo", in quanto dimentico della propria origine ,così come della fine, questi due aspetti, inizio e fine noi li interpretiamo osservando i meccanismi che governano l'ordine.
Il potere umano della mente è andare oltre l'esistente dell'attimo,uscire dallo scandire del tempo ovviamente non fisicamente, ma appunto mentalmente e questo gli permette la leggibilità dei meccanismi degli ordini, non ne prende solo atto, ma lo interpreta.

Il come noi leggiamo e interpretiamo il meccanismo che muove gli enti che si mostrano che ci appaiono che le percezioni pongono in divenire, contrastano spesso con l'ordine logico.
Ed è questo ordine logico interpretato che caratterizza una cultura, qualunque cultura e dominio.

Io vedo purtroppo  la morte, la fine nel divenire, ma Severino, ovviamente non solo lui, dice che invece essendo ogni ente eterno in quanto ciò che è non può svanire nel nulla, in quanto tutto non può a sua volta essere uscito dal nulla.
C'è da notare un aspetto fondamentale.
 Noi diciamo che è vero, compresa la morte in quel sistema di mezzo che non conosce però origine  nè fine.
Alcune filosofie, e questo lo è anche Severino nella logica dialettica, pone invece l'origine fondamentale così come la fine (gloria), per cui è proprio il sistema di mezzo del divenire che appare logicamente contraddittorio.(E continuo a vedervi similitudini con le spiritualità nel meccanismo, ovviamente ha caratteristiche diverse)

Ma daccapo, se Severino avesse torto, dobbiamo abbattere tutta la logica che utilizzano le scienze, non solo le filosofie,tutte le applicazioni strumentali digitali che utilizzano operatori booleani, non solo la logica predicativa .
Questo è il grosso problema contraddittorio al suo interno come cultura. Com'è che funziona nelle applicazioni?
Perchè le semplici regole logiche che formano il paradigma originario in Severino (identità e non contraddizione) non funzionano nel divenire. o meglio, il divenire e gli enti che mutano sono contraddittoriamente illogici.
Personalmente ritengo che abbia fondamentalmente una ragione, un ente non può perdere la sua identità che per me è individuata nella sua essenza, semmai modifica mereologicamente le sue parti, ma non può perdere la sua originarietà.
Così come la nostra esistenza appare contraddittoria, perchè la dimensione della sopravvivenza della percezione sensoriale gli indica il divenire come riferimento e la morte come uno svanire nel nulla, ma la mente razionalizza i meccanismi oltrepassando la dimensione spazio/tempo contraddicendo ciò che gli occhi vedono e credono per vero.
#1675
Aperion,
penso di sì, che la nostra esistenza sia il dipanare contraddizioni,dove la parte più difficile è scegliere fra due enti che ci appaiono entrambi con lo stesso peso di verità.
Personalmente ritengo che il buon Jean abbia dato una risposta, riaggomitolare il filo d'Arianna, in quanto c'è qualcosa che noi chiamiamo memoria che è dentro le forme e le sintassi nell'ordine( che ci permette in quanto tale che la memoria abbia un senso) sia naturale che razionale.
penso, ma questo dovete dirlo voi che avete approfondito il buddhismo, che i contrari finiscono con la stessa regola identitaria. Intendo dire che il paradigma della regola identitaria serve per dipanare le contraddizioni attraverso la dialettica, ma tutto finisce quando i negativi e i positivi si riconducono alla totalità.
Ecco, penso che il Nirvana implichi la perdita d'identità finale, perchè non è più necessario che esista se la comprensione è arrivata alla totalità.Ognuno di noi ha un nome che lo identifica che lo differenzia e in qualche modo lo separa, non c'è più bisogno alla fine di identità quando la fine ricircola ( chiude il cerchio) nell'origine cioè ritorniamo alla totalità che ci comprende e abbiamo compreso.
Ma anche quì in qualche modo la scienza ci aiuta, Moriamo e le nostre molecole ritornano a disposizione della natura che le riutilizzerà, magari per ricomporre altre vite:questo è il fisico, il corporeo, il materiale.
Similmente penso che la ragione, la razionalità tende a ricomporre le contraddittorietà come se vi fosse una "pista". una via che la stessa natura oltre che la ragione ci lasciano intuire come memoria, come dice Jean, con cui mi trovo d'accordo.
#1676
Aperion,
allora il buddhismo è una contraddizione in termini, e forse piace proprio per questo.
E' una contraddizione diversa dalla contraddizione dell'occidentale.
Tutto è duale, è tipico della condizione umana.Non saremmo costretti alla conoscenza se non lo fossimo..
Credo davvero che l'esistenza, come ho scritto qualche post fa, sia contraddittoria e ponga problemi esistenziali.Alla base del ragionamento umano è il sillogismo, l'inferenza, il sistema del confronto, delle opzioni  se (if) ....allora(then)..
Prima ci attacchiamo alle differenze pensando che siano verità e poi le confrontiamo fra di loro, fra le miriadi di opzioni.L'occidentale affidandosi e fidandosi delle apparenze si attacca a tutto, piuttosto di non scivolare nell'oblio.
E' umano, molto umano.
Oggi tu sei quello di ieri, e ieri quello dell'altro ieri, E' questa continuità nonostante la schiavitù del tempo che ti convince che l'identità sia tua e lo sai da quando sei cosciente di una tua identità.Dovremmo chiederci l'ente memoria cosa sia razionalmente, mentalmente, non solo come memorie di un cervello che per natura anch'esso si sostituisce mattone per mattone fino a non più essere degli stessi costituenti fisici originari.
fisicamente non siamo più il bambino di quel tempo,metabolicamente costituenti organici rimpiazzano i nostri vecchi mattoni, eppure mentalmente la coscienza mantiene un'identità e la ragione, la razionalità rafforza l'identità
#1677
Aperion (ma comunque come al solito è rivolto a tutto il forum, per chi ha voglia di intervenire)
E' strano che avendo studiato, forse  praticato tu, Sariputra il buddhismo non riuscite a riflettere su alcuni passaggi fondamentali.

Nel momento in cui io definisco un ente, lo tolgo dal "Tutto", diventa una differenza, una sottrazione.
Ogni definizione ha appellattivi e/o attributi, caratteristiche per cui quell'ente è possible sia parte di una categoria, vale a dire di un insieme di ordine superiore che raccoglie enti con caratteristiche identificative.
Noi umani siamo simili, non uguali, ognuno ha un'identità, ma siamo parte dell'insieme umanità.

Un ente, e dò ragione a Davintro, non esiste solo perchè vive fisicamente, esiste materialmente.
Nel momento in cui penso e definisco anche un'astrazione che può essere la libertà ad esempio è un ente in quanto pensato e predicabile argomentativamente. Semmai entra a far parte di una categoria di enti che ovviamente non è ad esempio le rocce.

Ma sia la scienza che la razionalità ci dicono che tutto deriva da un'energia originaria(cosmologia), o da Dio, o da chi si ritiene; insomma le differenziazioni originariamente erano  un principio unitario, similmente Severino istituisce che la regola logica dell'Identità sia il paradigma fondamentale per capire la verità
Il Tutto era in quella capocchia di spillo in cui l'energia cosmologica della teoria  scientifica  tratteneva la materia e non esisteva ancora tempo e spazio, perchè le quattro forze, elettromagnetica, gravitazionale, nucleare forte e debole erano "trattenute",Il ragionamento non è molto diverso, direi piuttosto simile, anche per le cosmogonie praticamente di tutte le culture.
Allora gli enti via via appaiono temporalmente come energia che si condensa in massa, materia e intanto il tempo inizia metronomicamente a scandire.
La regola logica dell'identità, Dio, oserei dire anche il Nirvana per il buddhista , sono le verità fondamentali originarie sono lor la pietra di paragone, il paradigma che decide il movimento della conoscenza fra le contraddizioni.Per il credente in Dio potrebbe essere il "male" la contraddizione, per la regola identitaria ,tutto ciò che è contraddittorio nella forma logica, per il Nirvana, l'attaccamento alle apparenze.
Non so se riesco a spiegarmi, ogni forma conoscitiva è come se costruisse un suo dominio ,come la matematica, con delle sue regole, sappiamo che 0/1 è impossibile e 1/0 è indeterminato ad esempio, ma così per ogni forma che attraverso delel sue regole enunciative, postulate attraverso logiche sillogistiche, inferenziali, confronta  i termini argomentativi, quindi c'è originariamente la regola di definire gli enunciati che costruiranno la sintassi entro cui ogni forma conoscitiva ,anche semantica, viene regolata nel processo del conoscere dalle prime regole enunciate. Per quanto possa sembrare sfuggente a questa regola, anche il buddhismo le ha, diversamente non si caratterizzerebbe infatti come buddhismo,non esisterebbe nè come ente del pensiero nè come fisicità.
#1678
Citazione di: Sariputra il 16 Gennaio 2017, 10:12:27 AM
@Paul11
La critica dialettica portata dal pensiero buddhista al concetto di ente è radicale. Ci si spinge persino a negare il Nirvana stesso come ente ( come se un sistema teistico affermasse che Dio è anche non-essere).
"Tutti gli asceti e i bramini che concepiscono le molteplici ( cose o idee) come un sé, concepiscono i cinque aggregati, o uno qualsiasi di essi,(come un sé).  Samyutta nikaya, 22:47
Se il Nirvana, invece che essere realizzato , viene solo pensato è irreale.
Questa affermazione del Buddha dice chiaramente che tutte le molteplici concezioni di un sé sono sempre relative ai cinque aggregati, nel loro insieme oppure considerati separatamente. Come potrebbe formarsi una qualsiasi idea di un sé o di una personalità, se non in base al materiale costituito dai cinque aggragati (contatto, sensazione, percezione, formazioni mentali e coscienza) e ad un fraintendimento al loro riguardo? Su che altro potrebbero essere fondate le nozioni riguardo al sé? Inoltre viene detto:
"Se ci sono il corpo, le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza, a causa di essi e dipendentemente da essi si manifesta la credenza nell'individualità e lo speculare relativo ad un sé!" (s.N. 22)
Se il Nirvana buddhista non è un concetto ( e non lo è) cosa e chi lo realizza? La pratica meditativa e la retta condotta di vita lo realizza e viene realizzato dalla mente priva dell'idea di un sé , o individualità eterna, immutabile, permanente, duratura, ecc. Anche Buddha stesso iniziava i suoi discorsi con "Io dico...ecc." ma è chiara la distinzione e la consapevolezza che questo Io è solo necessario per...e non è dotato di esistenza indipendente (cioè come ente in sé stesso fondato, ma solo come ente esistente in modo dipendente).
A mio parere, da quel poco che ho capito, Severino tenta di conciliare con la logica ciò che non è conciliabile. Lo fa "spezzettando" il fluire in infiniti enti eterni, forse pensando di salvare capra e cavoli in questo modo, cioè di dimostrare la possibilità dell'apparire del divenire salvando la concezione di ente in se stesso indipendente. La concezione filosofica  buddhista dell'interdipendenza di ogni cosa ( sia reale che mentale) e l'enfasi posta sull'esperienza meditativa dell'impermanenza mi sembrano negare questa visione di Severino. In ultima analisi a me pare che la visione di Severino manchi di necessità, soprattutto perché viene a mancare la definizione di che cosa sono questi enti eterni.
Alcuni affermano che il Buddha voleva negare solamente l'esistenza di un sè separato e che non ha negato in nessun discorso l'esistenza di un sé ( ente) trascendente.
A questi risponde "La parabola del serpente":
"Se, o monaci, esiste un sé, ci sarà anche ciò che appartiene al sé?". "Sì, o Signore"." Se c'è ciò che appartiene al sé, ci sarà anche un me stesso?". "Sì, o Signore". ""Ma poiché non si possono veramente trovare né un sé né ciò che appartiene a un sé, non è forse una dottrina perfettamente assurda quella che dice:'Questo è il mondo, questo è il sé. Dopo la morte io resterò, durevolmente, eternamente, immutabilmente, e permarrò in un'eterna identità'?." E' davvero, o Signore, una dottrina perfettamente assurda".
Per restare lontano da ogni estremo, sia della concezione di essere che di quella di non-essere, vediamo che l'elemento Nirvana viene descritto a volte con termini positivi e altre con termini negativi. Positivi: il profondo, il vero, il puro, il meraviglioso, ecc.
Negativi: la distruzione del desiderio, dell'odio e dell'ignoranza, la cessazione dell'esistenza.
Se si vuol comprendere in maniera più possibile corretta la concezione buddhista del Nirvana, diventa necessario prendere in considerazione entrambi i tipi di definizioni. Il citarne uno solo risulta una interpretazione non equilibrata.
Però , e questo è il cardine della via mediana insegnata, non viene negato solo il concetto di esistente ma anche il concetto di non-esistente ( e per questo non può essere definito un nichilismo). Il reale è oltre il pensare in termini di esistente/non-esistente. Cito, sempre per dare più "importanza" e apparire dotto... ;D:
Per colui che considera secondo la realtà e con vera saggezza l'originarsi del (e nel) mondo, non cé quella che nel mondo è chiamata 'non-esistenza'. Per colui che considera secondo la realtà e con vera saggezza il cessare del ( e nel) mondo non c'é quella che nel mondo è chiamata 'esistenza' ( notare il termine chiamata...).S.N. 12:15
Sariputra,
non sto affermando che la logica dialettica di Severino è uguale al pensiero buddhista.
Semmai affermo che alcuni procedimenti, ma semplicemente perchè tutti siamo umani, sono simili.

Se il Nirvana è come può anche non essere?
Se un ente è come fa anche a non essere?
Come può "ciò che è" sparire e diventare "ciò che non è" ?

Basta utilizzare i tempi delle predicazioni, in: è, è stato, era, fu, ecc, per risolvere il problema?

L'errore occidentale è ave dato verità alle differenze, alle separazioni riconducendole alle percezioni del cervello.
Allora anche S.Tommaso crede solo se tocca e vede.Ma non è la verità, non è l'episteme.

Persino le stesse scienze hanno modificato  i valori epistemici, mutando gli enunciati, i postulati ,assiomatizzando la conoscenza.
La fiisica della relatività, la fisica della meccanica quantistica, superano il valore tautologico di verità corrispondente all'evidenza sensoriale  la razionalità non è da tempo uguale all'evidenza della percezione sensoriale, e qual è lo strumento per antonomasia della razionalità se non la logica? e la logica dice altro rispetto alle percezioni.

La logica dialettica comprende le logiche predicative e proposizionali, ma non è la stessa cosa.
Basta leggersi la diattriba apparsa anche sui quotidiani, qualche anno fa,fra lo stesso Severino e docenti di logica formale.

Il Tao dello ying e yang, l'essere e il non essere, sono nella teologia negativa e nella gnosi della Pistii Sophia, sono chiaramente similitudini, non uguaglianze.
Semplicemente perchè qualunque umano di qualunque cultura appartenente, confronta per conoscere, ne vede similitudini, differenze, ecc. ma è sul cosa costruisce la gerarchi degli enti che lo distingue.

Gli aggregati a cui fai riferimento la differenza fra realtà ed astrazione sono contemplati nelle categorie e nel rapporto dialettico fra il concreto e l'astratto, quando si discute di forma e di sostanza, fino all'essenza
#1679
Come quasi sempre mi trovo d'accordo con Davintro. Così come la definizione data da Donquixote  è sinteticamente esatta
L'unica cosa su cui forse trovo una differenza è quel nulla, niente,
Esiste il nulla e il niente in quanto sono predicabili  anche se lo fossero solo come contraddizioni.
Sono comunque problematizzate nella filosofia,come l'oblio, come la morte,
L'ente niente è un insieme vuoto, ma esiste come ragionamento, come zero.

Non voglio quì, visto che forse l'ho introdotto, una polemica fra buddismo e fiosofia e nello specifico severinana.
si parla di enti come anima/atman come se non fossero predicati delal razionalità prima di tutto umana.
Come se Buddha non fosse esistito come ente con una autocoscienza in grado di razionalizzare il mondo fenomenico  e di spingersi fino al Nirvana,
Ma quello a cui miravao è che se il soggetto Buddha razionalizza la sua esperienza raggiungendo un fine,come appunto il nirvana, a suo modo categorizza tutti gl ienti esistenti nel mondo e non solo, quindi decide quale e come conoscere come Sè(o atman/anima, o autocoscienza, o ....).
Questo procedimento in Severino non è un soggetto che lo compie è la logica dialettica stessa che relaziona il principio di identità cone la manifestazione delle apparenze infinite ne l mondo.
Il movimento epistemologcio, quindi della conoscenza, è il confronto fra il Sè (la logica severiniana) e i fenomeni.gli essenti, e per essenti si intendono non solo il dominio naturale, ma anche quello culturale dei pensieri dei costrutti umani.
Il Nirvana appartiene al dominio naturale fenomenico? E' un divenire o assoluto ed eterno?
Non è vero, come per le religioni, che le origini filosofiche siano così lontane fra oriente e occidente, semmai sono svolte in maniera diversa.
Erodoto racconta che Democrito, il filosofo dell'atomos  nel suo peregrinare, venne a conoscenza del sillogismo utilizzato in oriente, prima che fosse filosoficizzato e predicato nella logica aristotelica. o proposizionale. degli stoici.
Solo che i Greci alla fine soprattutto con i la scuola peripatetica o aristotelica, influirà sul modo di fare filosofia per un millennio,, dove personalmente trovo che sua caratteristica è che l'episteme viene cercato nelle differenze,nella separazione.
#1680
Sariputra,
eppure c'è qualcosa di buddhistico nella filosofia con la logica dialettica di Severino.
Il mondo delle apparenze, dei fenomeni nel divenire che ci portano piacere e dolore è "maya" tanto più pensiamo che siano verità a cui attaccarci.
L'"occhio" severiniano è logico dialettico e vede il mondo del divenire che ci portano le apparenze degli enti come il momento contraddittorio fra logica e divenire.
La contraddizione è più delle scienze che della filosofia dialettica severiniana.
Perchè le leggi delle scienze sono comunque un trascendere il fenomeno, un astrarlo dal mondo fisico per ricondurlo al linguaggio logico-matematico di una legge costruita con regole matematiche di un'equazione.
Ora se la verità del mondo fenomenico è ricondotta al procedimento logico matematico affinchè venga giustificato un criterio di verità dentro un dominio, non vedo quale sia il problema esistenziale, se non che ogni apparenza, come ogni fenomeno, noi lo riconduciamo al "nostro" personale filtro logico -razionale che ci siamo costruiti o che le convenzioni educative ci hanno imposto..
Noi stessi, per qualunque cosa noi pensiamo o crediamo, abbiamo dei paradigmi più o meno logici, che costruiscono il metodo di giustificazione e di verificazione di qualunque argomento ,dal metafisico al mondano.
Allora vuol dire che abbiamo degli "immutabili" che pensiamo logico-razionali ,come punti di riferimento .

Il sistema logico-razionale dialettico è basato sul confronto, dove l'"occhio" logico non è più personale e soggettivo, essendo dato da regole logiche razionali, le stesse utilizzate dalle scienze contemporanee.
La legge è che essendo il paradigma identità eterno e immutabile, tutto ciò che non lo è entra nella negazione contraddittoria di quel paradigma.
Invertire il procedimento logico, sarebbe accettare la contraddizione come verità.

Il mio modesto e personale punto di vista è proprio l'accettare logicamente che la nostra esistenza sia contraddittoria. e dare un significato linguistico, esistenziale,al paradigma logico di identità su cui poggia il sistema logico dialettico severiniano