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Messaggi - Phil

#1711
Citazione di: Apeiron il 07 Luglio 2018, 16:33:50 PM
Quanto stai dicendo secondo me è giusto, ma se lo si intende in un certo modo. "F", "m", "a" sono concetti che sono stati creati dall'uomo per descrivere l'esperienza (le "manifestazioni"/apparenze/fenomeni...). Quindi, in un certo senso sono relativi: sono stati creati da noi e sono stati creati da noi in un certo contesto. Tuttavia, ciascuno può verificare che questi concetti descrivono molto bene i fenomeni. Quindi ci è possibile arrivare ad approssimazioni di verità intersoggettive (la teoria di Einstein è "più vera" di quella di Newton ecc). Sull'errore di confondere il concetto di "convenzione" con quello di "totale arbirarietà" si fonda il grosso errore in cui sono cadute scuole di pensiero come il "relativismo estremo", "la filosofia di Protagora", "post-modernismo", "post-strutturalismo", "decostruzione" (Derrida), "iper-scetticismo" ecc. Siccome la scienza ci ha permesso di descrivere in modo estrememante accurato i nostri fenomeni e siccome ciò vale per tutti i soggetti, o è una sorta di "mega colpo di fortuna" oppure un motivo c'è. Ma se accettiamo che la teoria di Einstein è migliore di quella di Newton, dobbiamo ammettere che ci sono verità inter-soggettive. Quindi il soggetto conta fino ad un certo punto!
Certo, nel processo della conoscenza il soggetto non è da solo, c'è anche il supporto fondamentale di un "oggetto", un'alterità, che ispira la conoscenza e che innesca i fenomeni percepiti dal soggetto. Per quanto il soggetto si (auto)condizioni nel suo cercare di comprendere l'oggetto, ciò non può comportare l'assoluta indipendenza dall'esser-altro dell'oggetto.

Secondo me, la convenzione è "totale arbitrarietà" non nel senso di puro caso o imprevedibilità o assenza di regole possibili, ma di arbitrarietà degli assiomi (o delle definizioni) da cui deriva la non-arbitrarierà della loro applicazione e della loro coerenza; per questo la scienza funziona, si corregge e si "perfeziona".
Come dire, l'alfabeto e la grammatica di una lingua sono arbitrarie, puramente convenzionali, ma una volta accettate, ogni lingua funziona a meraviglia sul piano intersoggettivo e in modo niente affatto casuale (oppure si potrebbe far l'esempio dei differenti sistemi di misurazione, "centimetri" vs "pollici", ma credo che ci siamo intesi  ;) ).
#1712
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
...Ma è sicuramente più bilanciata dell'idea kantiana che pone, non più l'oggetto, ma il soggetto al centro del processo conoscitivo. Kant, cioè, sostituisce un estremismo squilibrato con un altro estremismo altrettanto squilibrato.
Chiedo: il "gioco filosofico" è trovare la prospettiva più bella, quella in cui più si bilanciano alla perfezione soggetto e oggetto, oppure cercare di capire come funziona davvero la conoscenza umana, accettando eventuali asimmetrie?

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
Per questo ho portato come esempio REALE di conoscenza (tra i tanti possibili) la seconda legge di Newton, nella quale non è centrale né il soggetto né l'oggetto, ma la CORRISPONDENZA equilibrata (dialettica) tra un paradigma matematico SOGGETTIVO-METAFISICO (F=ma) e  un insieme di fenomeni OGGETTIVI-FISICI che in esso si unificano.
In quella legge, come già accennavo, è centrale il soggetto: il soggetto definisce e identifica "F", "m" e "a", stabilisce la relazione fra loro e ne verifica la ripetibilità con esperimenti.
Non a caso, "F", "m" e "a" sono concetti, non cose... funzionano come chiave di lettura, ma non sono il libro (così come la percezione del fenomeno, non è il fenomeno, e il fenomeno della cosa, non è la cosa).

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
La semantica è l'arte di associare dei segni a dei contenuti provenienti dall'esperienza (contenuti empirici). Quindi non esiste un "in sé" semantico separato da un "in sé" empirico.  Il "significante" trova il proprio "significato" esclusivamente nell'esperienza, altrimenti non è altro che un flatus vocis, un rumore fine a se stesso.
Articoli, aggettivi e avverbi sono dunque tutti "flatus vocis"? Comunque piuttosto utili direi... ;)

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
Cosicché, la verità non è <<ciò che si dice>>, come avventatamente sostieni tu, ma la corrispondenza tra ciò che si dice e ciò che è empiricamente, tra l'ordine dei fatti empirici e l'ordine dei segni che rispecchiano quei fatti nel linguaggio.
L'isomorfismo è una delle concezioni possibili della verità, ma non l'unica... provare a ponderare anche le altre può essere di giovamento.

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
Se la "cosa in sé" non è conoscibile, TANTOMENO saranno conoscibili le chiacchiere in sé, separate da contenuti empirici di cui esse sono espressione.
Se non erro, le chiacchiere si capiscono, la cosa si conosce.
Semantico ed empirico mi sembrano proprio due livelli distinti: la relazione fra gli oggetti non è gli oggetti (e il discorso sulla relazione degli oggetti lo è ancora meno...).

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PM
affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza,
Il fenomeno non è oggetto empirico (ma percettivo), l'oggetto in sé invece si suppone lo sia (empirico). Entrambi sono elementi della conoscenza, ma con modalità nettamente differenti: il secondo è, come dicevo, solo postulabile, il primo è studiabile.

Sulla differenza fra "fenomeno" e "oggetto in sé", se non ti fidi di me (e fai bene ;D ) puoi interrogare tanto la dottrina buddhista della percezione (duemila anni fa) quanto la citata fenomenologia husserliana (secolo scorso) e più in generale la storia della scienza mondiale, oppure (per far prima) qualche pagina di wikipedia.
Il che non significa che tu debba concordare con loro, ma certamente aiuta a chiarire come si intende tale differenza e, soprattutto, come mai ancora oggi non sia archiviata come mero sofisma (né dai filosofi, né dagli scienziati).
#1713
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Davvero?  ...E io che credevo  che le unità di misura fossero dei prodotti naturali!!!
Chiaramente no, ma dato che avevi salomonicamente affermato
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM
Il soggetto, cioè, NON "determina" l'oggetto PIÙ DI QUANTO l'oggetto non "determini" il paradigma soggettivo-metafisico, ma entrambi contribuiranno in egual misura alla costruzione del sapere, in una CORRISPONDENZA equilibrata
ho provato a suggerirti alcuni motivi per cui forse non è una relazione così bilanciata (e concordo che sarebbe bello lo fosse).
Ovviamente, siamo pur sempre in un forum, non sei certo costretto a contro-argomentare  :)

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Non posso conoscere "in sé" il significato di quello che hai appena scritto
Colgo il sarcasmo, eppure mi concederai che l'"in sé" empirico non è proprio equivalente all'"in sè" semantico...

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Tu ti illudi di aver detto la verità
Di certo ho le mie illusioni, ma riguardo a questa (ti auguro di aver di meglio da fare) puoi divertirti a leggere quello che ho scritto sul topic "la verità è ciò che si dice" o su altri con tematiche affini. Credo proprio cambierai idea  ;)

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
Il concetto stesso di "impossibilità di conoscere" è una astrazione, una tua interpretazione della conoscenza
Si parlava di Kant (più che di me) e credo concorderebbe (anche se, purtroppo, non lo dico a scopo di lucro ;D ).

Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
ma le tue sono, invece, solo parole il cui significato "in sé" è inconoscibile. ....Parole al vento...!
Sicuramente per alcuni... tuttavia resto ottimista e, spero, non per tutti! :)
#1714
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM
Per esempio, la seconda legge di Newton è la corrispondenza tra il [/font][/size]paradigma matematico SOGGETTIVO-METAFISICO "F=ma" e la relazione OGGETTIVA che intercorre tra le grandezze FISICHE "massa", "forza" e "accelerazione".
La relazione cosìddetta "oggettiva" è comunque posta dal soggetto: le grandezze fisiche in questione sono state definite e identificate convenzionalmente dal soggetto, quindi sono soggettive (non nel senso di "opinabili", ma letteralmente: prodotte dal soggetto).
Anche la misurazione di tali grandezze (v. matematica applicata) è in tal senso soggettiva: è un'attività del soggetto secondo idee, strumenti logici e regole da lui formulate. Tali idee sono del soggetto, non dell'oggetto su cui vengono proiettate.
Il che non significa che la scienza più "manifesta" non funzioni in modo regolare e attendibile (è innegabile), ma soltanto che, esempio banale, quando misuro qualcosa in centimetri, tale unità di misura non è oggettiva (dell'oggetto), non appartiene alla "natura" o all'"essere" dell'oggetto, ma è soggettiva, ovvero è del soggetto che "sovrappone" le sua idea di "centimetro" (la sua "griglia") all'oggetto che misura.

Detto altrimenti, l'oggetto misurato, in quanto tale, non è fatto in/di centimetri, bensì è il soggetto che lo inquadra secondo l'idea astratta di centrimetro, che dà un senso al centrimetro come misura fisica, "leggendo" quindi l'oggetto secondo quella (convenzionale, dunque soggettiva) unità di misura.
Per cui, secondo me,
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 18:33:50 PM
l'equilibrio del motto spinoziano: <<Ordo et connexio rerum idem est ac ordo et connexio idearum>>.
descrive una idilliaca (e utopica) simmetria che ignora l'impossibilità di conoscere l'"ordo et connexio rerum" senza l'inevitabile mediazione delle idee: non è possibile conoscere "in sé" qualcosa di empirico se non tramite le nostre idee, le nostre categorie (e la nostra intenzionalità, per dirla con Husserl).

Lo stesso concetto di "ordine" è un'astrazione: non possiamo dire sia "reale", poiché è piuttosto una categoria con cui interpretare la realtà; parlare di "ordo rerum" significa dunque utilizzare già l'"ordo idearum" (idea di ordine), che risulta quindi dominante e logicamente primario rispetto all'altro (supposto) "ordo", inglobandolo.

Inoltre, possono ovviamente esserci idee che non corrispondono a qualcosa di empirico (ma, in teoria, non può essere il contrario), ed ecco che non c'è quindi quella gaia simmetria fra apporto del soggetto e supporto dell'oggetto  ;)

Questo misterioso "qualcosa di empirico" che sfuggirebbe inevitabilmente al nostro "sguardo" conformante (non possiamo "guardarlo" senza usare i nostri occhi come strumento, e ogni strumento è sempre condizionante) è il (postulato) noumeno kantiano, la cosa-in-sé.
#1715
Citazione di: baylham il 05 Luglio 2018, 19:28:42 PM
per uno stato la differenza tra un lavoratore autoctono e uno alloctono è sostanziale, nel senso che ha importanti riflessi sociali ed economici
Concordo, infatti ho precisato in corsivo
Citazione di: Phil il 05 Luglio 2018, 17:31:25 PM
non credo produca una differenza matematica nei conti; se non, forse, per la maggior tendenza degli stranieri a inviare soldi fuori dall'Italia.
Le ripercussioni sociali (e quelle indirettamente economiche) travalicano di certo i rapporti strettamente matematici fra entrate e uscite.

Citazione di: baylham il 05 Luglio 2018, 19:28:42 PM
se la demografia e l'economia italiana non riescono a conseguire l'equilibrio tra le entrate e le uscite previdenziali, le conseguenze sono abbastanza prevedibili ed economicamente insostenibili.
Per raggiungere quell'equilibrio si devono programmare le misure necessarie. Poiché è ovviamente impossibile modificare nel breve, medio termine la struttura demografica, in particolare dei giovani autoctoni, bisogna ricorrere ai giovani alloctoni.
Eppure, domando, se (timore, ma non certezza) buona parte dei giovani alloctoni va ad ingrossare le già copiose fila dei disoccupati (per incapacità linguistica, per mancanza di competenze o altro) non finiscono invece per aggravare il bilancio complessivo (richiedendo inoltre ulteriori sgravi fiscali e sostegni al reddito)?
#1716
Nella mia ignoranza in materia, direi che anche la differenza fra lavoratore autoctono e lavoratore immigrato è "formale ma non sostanziale", nel senso che (se ho ben capito) più lavoratori ci sono, più lo stato incassa tasse e contributi, più c'è gente che può spendere, più l'economia  "gira". Se questi lavoratori sono italiani o meno, non credo produca una differenza matematica nei conti; se non, forse, per la maggior tendenza degli stranieri a inviare soldi fuori dall'Italia.
Se la forza lavoro in Italia fosse tutta quasi già occupata, allora avrebbe senso auspicare l'arrivo di ulteriori lavoratori, tuttavia considerato il numero di disoccupati italiani disponibili e (suppongo, non ho dati) il basso tasso di occupazione dei nuovi migranti (i richiedenti asilo), non so quanto l'immigrazione sia una boccata d'ossigeno per il nostro mercato del lavoro (salvo riferirsi solo agli immigrati qualificati e/o che imparano adeguatamente la lingua, i quali, tacciatemi pure di pessimismo, dubito siano la maggioranza). 

C'è poi la questione dei richiedenti asilo che non ottengono nessuna forma di asilo o protezione (quasi la metà, forse il 40%, se non erro) e restano, non tutti per fortuna, clandestinamente in Italia, senza contribuire quindi all'economia "buona".
A farla breve, nel mio piccolo, non sono affatto sicuro che l'arrivo di immigrati si possa collegare come causa diretta ad un miglioramento, almeno non significativo, della situazione economica o del panorama lavorativo.
#1717
Citazione di: Socrate78 il 03 Luglio 2018, 21:11:43 PM
se si osserva il comportamento della maggior parte delle persone (mi ci metto anch'io) si nota come esso non sia guidato dalla razionalità, ma dall'istinto, dal gregarismo, in una sola parola dal BISOGNO; bisogno di essere lodati, di non essere rifiutati, e ovviamente di sopravvivere. Ma tutto ciò con la ragione non ha molto a che fare.
Eppure, la ragione non è forse lo strumento principale che l'uomo usa per soddisfare tali bisogni?

Citazione di: Socrate78 il 03 Luglio 2018, 21:11:43 PM
Tuttavia il fatto che l'emotività sia così forte nell'uomo lo porta anche ad essere facilmente manipolabile, lo vediamo ovunque: la pubblicità, la politica, la religione, si basano tutte sull'emotività per dominare le menti, per renderle succubi alla società dei consumi (pubblicitari) o alle ideologie e alle fedi (politica, religione)
Qualcuno usa la ragione per manipolare chi non se ne avvede (o non può evitarlo e/o ha una ragione con differenti potenzialità), ma è pur sempre la ragione che l'uomo usa per far leva sull'emotività (con strumenti e strategie ragionati).
Certo, la ragione non è uguale per tutti... e infatti, se "disinstallassimo" l'emotività, siamo davvero sicuri che
Citazione di: Socrate78 il 03 Luglio 2018, 21:11:43 PM
se invece fossimo tutti più razionali e logici sarebbe un buon passo verso la libertà [...] per il nostro utile e non soggiacere ai condizionamenti che lavorano sul subconscio.
?
Una ragione più forte non potrebbe comunque scardinare o sottomettere una ragione più debole, anche senza far leva sull'emotività? Difficile immaginare una realtà in cui miliardi di uomini hanno la stessa ragione (e, soprattutto, la usano per le stesse ragioni  ;) ).

Citazione di: Socrate78 il 03 Luglio 2018, 21:11:43 PM
Anche voi condividete il mio ideale della razionalità pura come vera libertà?
Per non essere schiavi degli istinti e dell'emotività, si diverrebbe schiavi della ragione...
Per me, "libertà" è spesso solo una parolaccia poco... ragionevole  ;D
#1718
Citazione di: 0xdeadbeef il 03 Luglio 2018, 10:49:59 AM
Allora Phil, mi sembra che il tuo ragionamento suoni così: "credo sia tutto interpretazione ma non escludo
la possibilità che così non sia".
Ora, qual'è la base, il fondamento di questa ipotesi? In altre parole: su cosa credi sia tutto
interpretazione e su cosa ritieni esista la possibilità (reale o logica che sia) che non lo sia?
Il propendere per un'interpretazione non definitiva, secondo me, potrebbe essere dovuto all'incapacità (per adesso e fino a prova contraria) di trovarne una che non si riveli solo interpretazione, bensì verità (e quindi falsifichi tutte le altre interpretazioni fallaci). Se poi tale verità ci sia e sia individuabile, è un postulato sicuramente discutibile (ma non qui ed ora, direi...).
Se chiedessimo a Nietzsche di attribuire un valore di verità logico (V, F o altro) alla frase "ci sono solo interpretazioni", lui (suppongo) direbbe "vero", ma si tratterebbe della verità di un'affermazione, non di un assioma. La differenza logica e fondazionale è proprio questa; è la stessa differenza (esempi sciocchi, ma spero chiari) fra "il male esiste" (assioma etico-religioso), "per un punto passano infinite rette" (assioma matematico) e "per me domani piove" (affermazione vera, poiché è vero che per me domani piove, ma è comunque falsificabile). Tre frasi vere (la prima la condoniamo ;D ), ma la verità dell'ultima è meno "forte" delle altre, perchè è la verità di un'interpretazione di uno stato di cose (del cielo, dell'igrometro o altro).
Parimenti, sostenere che "non ci sono fatti, ma solo interpretazioni" sia essa stessa un'interpretazione, significa confinare la verità di tale assunto nella verità debole del "secondo me domani piove", senza farne un'assioma (che produrrebbe il famigerato meta-livello veritativo, per scongiurare l'autoconfutazione).

Non è quindi "per partito preso", per una meta-verità sempre già assunta a priori, che si può (non "deve") sostenere che "la frase x è un'interpretazione del fatto y"; non può infatti essere escluso, in teoria, che ci si imbatta in affermazioni che non siano solo un'interpretazione (ad esempio, ripescando il testo di Eco già citato, nella sua interpretazione ci sono numerosi casi che fanno eccezione, quelli in cui parlava di "zoccolo duro" della realtà).


Citazione di: 0xdeadbeef il 03 Luglio 2018, 10:49:59 AM
Sottolinei giustamente che il "credere" è soggettivo e l'"essere vero" oggettivo (si vorrebbe). Ma
come posso conoscere le cose, quindi il mondo oggettivo, se non attraverso il soggettivo (cioè
attraverso il "credere")?
Ecco allora che il "credere", nel linguaggio, non può che assumere connotazioni oggettive (tanto
che non è una assurdità il dire: "credo sia assolutamente vero che...").
In fondo l'autentico "oggettivo", per me, va pensato solo come noumenico, non perfettamente conoscibile, ma asintoticamente approssimabile. Non conosco mai la fantomatica "cosa in sè", ma sempre solo il suo manifestarsi (prospettico) a me e per me (Husserl docet). Banalmente: la percezione non è il percepito, e il percepito non è assoluto(sciolto) rispetto alla struttura pecettiva, quindi il percepito non è mai assolutamente oggettivo, dunque non può essere l'oggetto in sè.

Citazione di: 0xdeadbeef il 03 Luglio 2018, 10:49:59 AM
Tutto il mio discorso è in sostanza rivolto ad una "ricerca" (che ammetto faticosa) del carattere
necessariamente assoluto DEL LINGUAGGIO (non delle cose). Per cui non si supporrebbe a-priori una
verità assoluta (cioè con atto volontario), ma tale verità sarebbe già per così dire "inscritta"
nel linguaggio.
Concordo, il linguaggio si vuole assoluto (quel "si" è riflessivo), si presenta come tale; e per questo si condanna ad uno strutturale scollamento minimo dalla presunta oggettività (che si vorrebbe indipendente dal soggetto che usa il linguaggio, in una impossibile "prospettiva senza osservatore").

Citazione di: 0xdeadbeef il 03 Luglio 2018, 10:49:59 AM
E comunque voglio ringraziarti della pazienza (oltre che dell'acume) che hai nel rispondere a
questi miei "contorcimenti mentali"
Il ringraziamento è onestamente reciproco  :)
#1719
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Sul "sovranismo"
02 Luglio 2018, 18:53:34 PM
Citazione di: paul11 il 01 Luglio 2018, 23:40:18 PM
Non ritengo Phil, che l'uomo sia riconducibile ad un dominio come quello dei numeri, delle parole, o di operatori logici.L'analisi di Godel vale per domini dove numeri, ecc. non sono autoconsapevoli e non creano nulla di per sè in sè, non sono loro agenti conoscitivi.
Siamo noi che traiamo giudizi, di esatto , errato, bello, brutto, non siamo limitabili come dominio e infatti il
delirio di onnipotenza è andare oltre un limite di "rispetto".

I verbi modali come dovere, potere, volere, mutano in funzione dei dispositivi culturali.
Quando ho parlato di "simbolico" non mi sono riferito miratamente alla matematica o alla logica formale, infatti intendevo "simbolico" in tutte le sue coniugazioni umane: dal numerico all'archetipico passando per la comunicazione iconografica nel marketing.
Si tratta della dimensione del senso, che impiega il simbolo come mediazione fra l'interpretante e l'interpretato, mediazione che accomuna l'uomo dalle pitture rupestri sino alle emoticons.
Questa mediazione presuppone un linguaggio (che spesso eccede le singole lingue) tenuto vivo dai dispositivi culturali e dal loro orizzonte di senso.

L'uomo non è riducibile al dominio del linguaggio? Forse no, ma quasi: se un alieno volesse studiare l'uomo e, non avendone nessuno come cavia da osservare o interrogare, si dedicasse all'analisi di tutti i suoi linguaggi (dal matematico al mistico, dall'artistico al politico, etc.) otterrebbe un ritratto dell'uomo che, secondo me, lascerebbe fuori davvero poco...
#1720
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 14:11:46 PM
In altre parole, quando dico: "tutto è interpretazione" affermo un qualcosa di cui "credo" la verità. E su
quale base potrei crederla se non su una base che così recita: "è assolutamente vero che tutto
è interpretazione" (è assolutamente vero che tutto è relativo)?
(sottolineatura mia) Terrei ben distinti il "credere" (soggettivo) e l'"esser vero" (che si vorrebbe oggettivo): "credo che tutto sia interpretazione" o "la mia interpretazione è che tutto sia interpretazione" non equivale a "è assolutamente vero che tutto è interpretazione".
Le prime due frasi (auto)confermano l'ipotesi (non la certezza) che tutto sia interpretazione, senza creare meta-livelli veritativi; la terza frase invece si pone su un (meta)piano veritativo, piano che è tutto da fondare logicamente e da dimostrare epistemologicamente.

L'ingenua critica al relativismo (non solo di Severino) funziona dall'esterno: si presuppone a priori una verità assoluta, si rivolge poi lo sguardo al relativismo, e la si individua in quel motto (non trovando di meglio...). Il punto è che il relativismo, dal suo interno, non presuppone affatto una verità assoluta, per cui se essa viene imposta surrettiziamente dall'esterno, inevitabilmente, non funziona
Come accennavo:
Citazione di: Phil il 24 Giugno 2018, 11:25:51 AM
la coerenza sta invece proprio nel dire "tutto è interpretazione (o relativo o altro) compreso ciò che dico e compreso chi lo dice".
Ciò "suona male" solo se si ricercano valori assoluti (ma allora si è fuori contesto qui); d'altronde, cercare l'assolutezza in posizioni relativiste non può che essere fallimentare

Sarebbe come se un credente desse per necessaria a priori l'esistenza di un dio, si rivolgesse poi all'ateismo, e pensasse che la divinità di quella prospettiva (visto che per lui deve essercene sempre una) sia il Nulla, e infine concludesse che l'ateismo è contraddittorio perché sostiene che non esistono divinità tranne la sua, il Nulla.
Con il relativismo accade spesso la stessa (impropria) dinamica esegetica, solo che al posto della divinità c'è la verità assoluta  ;)


#1721
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Sul "sovranismo"
01 Luglio 2018, 11:35:52 AM
Citazione di: anthonyi il 01 Luglio 2018, 07:11:01 AM
Ciao paul11, permettimi un'osservazione, ma come fai a riconoscere l'uomo al netto di qualsiasi sovrastruttura culturale? E soprattutto, ti rendi conto che anche se fosse possibile farlo sarebbe grazie all'azione di una sovrastruttura culturale?
Domande di metodo inaggirabili: quando l'uomo studia l'uomo, l'"uomo in sé" diventa un noumeno, inconoscibile oggettivamente, ma sempre mediato e (con)formato dai paradigmi (culturali, prima che epistemologici) che si usano per studiarlo.

Citazione di: paul11 il 01 Luglio 2018, 10:20:04 AM
L'uomo per natura è colloquiale e conviviale
Direi di più: è per sua natura sociale e simbolico, e il paventato egocentrismo attuale non fa eccezione. L'istinto di socialità si declina in forme differenti rispetto al passato, magari meno fisiche, più mediatamente semiotiche (basti pensare alla virtualità, ai social, etc.), ma è sempre presente; così come la lettura simbolica del mondo, pur con l'indebolirsi di simboli e ideologie "canonici", è ancora pienamente in atto. Il problema è decifrarne in tempo reale la simbologia mutante e frammentaria (l'antropologo/sociologo attuale è forse più un semiologo-criptografo che un etologo).
#1722
Concordo con paul11 e sgiombo.
Aggiungo che, secondo me, una mossa controproducente nei confronti della felicità, è tematizzarla come qualcosa da raggiungere o da saper (rac)cogliere, pur senza stritolarla (come mi sembra suggerisca paul11), poiché significa (im)porsi il problema del rapporto-relazione con essa, significa creare (e talvolta "nevrotizzare") un "vuoto di partenza", stabilire "un'assenza di base" da cui iniziare la ricerca, più o meno affannosa, del "pieno".
E se la felicità fosse piuttosto qualcosa che capita, che arriva, che è (quasi)1 indipendente da noi, come la pioggia?
Se nello scorrere della vita, degli eventi, nel rintoccare dei "qui ed ora", la felicità fosse un'emozione che può nascere "per caso", ovvero anche senza progettazione o aspettativa (ad esempio, la felicità inattesa di una sorpresa ) oppure essere l'epilogo di una bella situazione, ovvero essere non lo scopo, ma una possibile ripercussione del suo raggiungimento (come superare un esame per cui si è studiato molto: lo scopo è passarlo, la felicità è un eventuale2 effetto collaterale)?
Essere sorpresi dalla felicità che si aggiunge a un evento forse è più coinvolgente che raggiungerla dopo averla desiderata, aspettata e vista avvicinarsi.


Scrivo "quasi" perché la scelta di immergerci nella pioggia sta comunque a noi... certo è che se non piove, il problema non si pone ;)
Sarà capitato anche a voi di ottenere un risultato desiderato e, alla fine, sentirvi  sollevati, sgravati del peso dell'incertezza (dell'esito), fieri e soddisfatti, piuttosto che propriamente "felici"... e magari già "decentrati" sul dopo (i festeggiamenti annessi, o un altro esame, o altri impegni). Ci sono poi i casi in cui l'esito positivo è così "prevedibile", che anche un ottimo risultato viene accolto senza autentica felicità, piuttosto con soddisfazione e orgoglio.
#1723
Se ne fa riferimento anche nell'articolo che ho linkato, dove tuttavia si aggiunge che:
"Per quanto riguarda il porto di sbarco, sia Gatti (direttore delle operazioni di bordo di Proactiva, Ong) che Del Freo (esperto di diritto marittimo e penale transnazionale) sono d'accordo nel sostenere che molto più della vicinanza geografica conta la sicurezza che il luogo può garantire alle persone tratte in salvo, con una particolare attenzione alla condizione giuridica di queste ultime e in particolare alla possibilità che manifestino l'intenzione di richiedere asilo. Ecco perché sarebbe illegittimo riportare dei richiedenti asilo che scappano dalla Libia in Libia."
Il che non giustifica certo l'andare a prendere i migranti "a domicilio" nelle acque libiche per scortarli in Italia; ma una volta che gommoni o affini entrano nelle nostre acque, la legislazione depone a loro favore.

Su ciò che l'Onu ha già trovato e valutato in Libia:
http://www.onuitalia.com/2018/04/12/libia-rapporto-onu-migliaia-di-persone-detenute-abusate-torturate/

http://www.repubblica.it/solidarieta/emergenza/2017/11/15/news/libia-181170738/?refresh_ce

Direi che, al di là di come stiano le cose in cielo, in terra e in mare sono piuttosto chiare  ;)
#1724
Citazione di: myfriend il 26 Giugno 2018, 12:20:42 PM
L'idea in base alla quale uno che si mette su un barcone può entrare "di diritto" è una sciocchezza.
Che non sta nè in cielo...nè in terra
... ma pare stia "in mare", ovvero nel diritto internazionale marittimo (il che spiega come mai non prendano l'aereo).

Sulla questione dei diritti, dei porti, etc. mi è sembrato chiaro, competente e piacevolmente sintetico, questo articolo:
https://www.possibile.com/le-ong-salvano-migranti-mare-spiegato-bene/

Per amor di sintesi, mi limito a citare questa dichiarazione dell'IMO (International Maritime Organization, agenzia specializzata delle Nazioni Unite):
"Le persone in pericolo in mare dovrebbero ricevere tutta l'assistenza possibile da altre navi nelle immediate vicinanze, inclusi comandanti, equipaggi, governi costieri e autorità di terra e da parte di tutti gli attori coinvolti nel settore dei trasporti marittimi, per essere salvate e fatte sbarcare prontamente in un luogo sicuro e per ricevere un equo trattamento una volta a terra. Finché l'esodo dei migranti continuerà in diverse parti del mondo e la necessità di prestare soccorso a persone diventerà più evidente, come nel caso di disperati rifugiati che viaggiano in condizioni di insicurezza, la IMO è impegnata nel cooperare in tutti i modi possibili per creare una cornice internazionale che incoraggi gli Stati e l'intero settore dei trasporti marittimi a fornire assistenza a persone in pericolo in mare e a portarle in un luogo sicuro, riducendo il rischio di perdere vite in incidenti marittimi".
Il resto lo fanno la Convenzione di Ginevra ("e seguenti", come si dice in gergo) e l'art. 10 della Costituzione italiana.


P.s.
A scanso di equivoci: ho citato una fonte sperando che aiuti lo sviluppo del discorso, non mi sono schierato a favore delle Ong o di Salvini o di altro... mi interessa inquadrare il fenomeno; il giusto e lo sbagliato sono un altro discorso  ;)
#1725
In generale distinguerei le influenze e i margini d'azione di cultura, economia e politica (per quanto siano innegabilmente interconnesse).
Per quanto riguarda la cultura
Citazione di: donquixote il 25 Giugno 2018, 13:30:47 PM
Se dunque valori e principi diventano mere enunciazioni e non fondamenti veritativi condivisi intorno ai quali edificare l'esistenza e la vita di una comunità l'unico imprescindibile valore di riferimento diventerà il proprio piccolo ego, e la soddisfazione delle sue istanze dovrà essere perseguita come prioritaria ai fini della "buona vita" di ognuno.
mi sembra una profezia legittima, che, secondo me, però non considera l'istinto gregario e l'atavica fame di simbolico (e di valori), che tutt'oggi accompagna l'uomo (sin dalla notte dei tempi). Certo, la voracità della società attuale non consente il nascere di culture che siano secolari in entrambi i sensi, tuttavia non concluderei che un domani l'uomo non avrà una sua forma di cultura, per quanto improvvisata, instabile, caleidoscopica. La difficoltà è (e sarà sempre più) semmai quella di riuscire a riconoscerla, connotarla e seguirne i rapidi mutamenti e contaminazioni; difficoltà a cui il nostro passato non ci ha allenato abbastanza (se non "affatto").

Sul legame multiculturalismo ed economia, come accennavo, non vedo (ma sono piuttosto miope per scarsità di conoscenze in merito) molta differenza rispetto al pre-multiculturalismo: anche prima del flusso di immigrati, l'America aveva già conquistato economicamente da tempo l'Europa (e non solo); anzi, l'arrivo dei cinesi (che a differenza degli americani non mandano solo merci, ma anche persone, di cui si alimenta la "multicultura") crea persino concorrenza (seppur con target differenti), il che non è necessariamente un male.
Che a rimetterci sia sempre il piccolo mercato locale, non credo giustifichi la sopravvalutazione del ruolo del multiculturalismo nei confronti del capitalismo e dello sfruttamento-assoggettamento economico.

In campo politico (e anche qui faccio il passo più lungo della gamba in termini di competenza), ho controllato i dati e sembra che Trump non sia stato eletto con un plebiscito all'unisono, per cui, resta giusto non ragionare con i "se" e con i "ma", tuttavia, la direzione (molto differente?) che l'America è stata ad un soffio dall'intraprendere, credo debba far riflettere su ciò che a volte sembra un necessario automatismo storico (individualismo, paura dello straniero, necessità di tutelare il mercato, etc. -> inevitabile elezione del "messia populista Trump"). Anche da noi, abbiamo visto come, politicamente, le idee fossero piuttosto confuse e multivaloriali, per cui, se è ormai chiaro che la politica sottostà all'economia, non userei comunque il multiculturalismo come capro espiatorio dell'isteria dei paradigmi culturali e della crisi depressiva della politica... forse non solo non ne è una causa, me ne è persino solo una conseguenza.

Per dirlo in breve: non mi pare che la monocultura fosse al contempo un antidoto ai mali dell'economia globale e una "pozione magica" per infondere saggezza in politica... o no? ;)

Citazione di: donquixote il 25 Giugno 2018, 13:30:47 PM
a dominare facilmente una società del genere non potranno che essere quelli che detengono il possesso del denaro e della facoltà di distribuirlo, e nell'esercitare tale potere che tutti, di qualunque cultura, riconoscono, saranno guidati dalle loro convenienze e non certo spinti da chissà quali istanze culturali.
Ciò non vale forse sia per le società monoculturali che multiculturali o, in generale, proprio a prescindere dalla cultura?


Citazione di: InVerno il 25 Giugno 2018, 10:54:45 AM
E' esattamente questo il punto, l'aspetto cristiano o anche meramente politico della vicenda lasciano il tempo che trovano,
Concordo, per questo suggerivo di tener distinti (per quanto "imparentate") economia globale e multiculturalismo (che non ridurrei solo a "concetto-grimaldello", poiché, in qualche caso, mi sembra anche una realtà piuttosto tangibile).


P.s.
Non fraintendetemi, non voglio fare l'apologia del multiculturalismo (nulla di personale contro il monoculturalismo  :) ), quanto piuttosto cercare di capire se davvero ha effetti sociali deleteri oppure è solo strumentalizzato e demonizzato per altri scopi, ad esempio se
Citazione di: InVerno il 25 Giugno 2018, 10:54:45 AM
Il cosidetto "migrante" [...] viene trasformato in un coagulato di tutti i possibili rischi sulla sicurezza (dal furto al terrorismo) per creare il "nemico perfetto" per uno stato di polizia.