La domanda che avevo posto all'inizio del topic non verteva sulla fede e le caratteristiche della fede ma bensì sulla percezione che il nostro animo aveva di "quel" particolare Dio biblico, nell'idea del quale quasi tutti noi siamo stati educati e condizionati. Per rispondere alla prorompente certezza del giovane Sari, cioè che uno degli attributi del Dio biblico è anche la Cattiveria, cercavo di analizzare la logica degli Attributi che la teologia cristiana assegna a questo essere infinito e trascendente il mondo. Mi sono sforzato di mettere in evidenza alcuni paradossi che nascevano assumendo per vere queste caratteristiche. Un paradosso rivela una difficoltà logica, razionale in un particolare concetto. Per es. riporto un classico paradosso sull'Onniscienza di Dio:
ENUNCIATO: in quanto onnisciente Dio conosce ogni cosa.
PARADOSSO: può Dio conoscere qualcosa di cui stabilisce che non si debba sapere nulla?
Oppure un altro sul Bene e sul male:
ENUNCIATO: Essendo Dio infinitamente buono, non potrà mai causare il male; essendo Onnipresente è in ogni cosa, in ogni tempo e in ogni luogo; essendo Onnipotente può vincere contro qualsiasi forza che gli si oppone.
PARADOSSO:Accettando l'idea del "male" in senso cristiano, o Dio non è Onnipresente ( altrimenti il diavolo sarebbe una sua parte); o non è Onnipotente ( in quanto il diavolo esiste e si oppone alla sua opera); o Dio non è infinitamente buono in quanto il Diavolo sarebbe una sua creatura.
Ovviamente esistono anche le confutazioni ai vari paradossi logici. Spesso le varie confutazioni creano ulteriori paradossi...
Quando il giovane ribelle Sari afferma il carattere "cattivo" del Dio biblico lo fa perchè, proprio per un sentire esperienziale di cui parlano Duc e Giona, rileva un profondo paradosso tra l'immagine inculcata di un Dio infinitamente "buono" ( o benigno come osserva Anthony...) che si prende cura personalmente di tutte le sue creature e l'esperienza di dolore, solitudine, malattia fisica che lo pone , che lo fa sentire, "fuori" dal numero di tutte quelle creature, un essere quasi rifiutato dalla benevolenza del Dio, un paria della vita che altri godono per i cosiddetti "doni" di Dio.
Questo marchia per sempre il giovane Sari che, più tardi, cercherà la via per trasformare questo dolore e, non riuscendo a trovarla nei paradossi teologici che sempre più numerosi andavano affollando la sua giovane e ingenua mente molto curiosa...la cercherà altrove!
E' evidente che una persona che non viene eccessivamente provata dal dolore è più spontaneamente ben disposta ad accettare la fede in una divinità definita "infinitamente buona" ed elargitrice di "doni" e "grazie". Viceversa la persona che realizza l'onnipervadenza del carattere doloroso e insoddisfacente dell'esistenza troverà estrema difficoltà ad accettare un simile ideale trascendente.
Fatto salvo che l'esperienza e la percezione del dolore è, anche qui, questione soggettiva e personale. Il dolore inaccettabile per alcuni può benissimo essere percepito come marginale per altri...
Il nostro "credere" è sempre influenzato dal nostro vissuto e dalla nostra percezione del reale. Per questo affermo che la fede è inficiata dalla volontà che , a- priori, decide di voler credere in qualcosa che risponda al bisogno di sanare le proprie mancanze, vissute o immaginate.
ENUNCIATO: in quanto onnisciente Dio conosce ogni cosa.
PARADOSSO: può Dio conoscere qualcosa di cui stabilisce che non si debba sapere nulla?
Oppure un altro sul Bene e sul male:
ENUNCIATO: Essendo Dio infinitamente buono, non potrà mai causare il male; essendo Onnipresente è in ogni cosa, in ogni tempo e in ogni luogo; essendo Onnipotente può vincere contro qualsiasi forza che gli si oppone.
PARADOSSO:Accettando l'idea del "male" in senso cristiano, o Dio non è Onnipresente ( altrimenti il diavolo sarebbe una sua parte); o non è Onnipotente ( in quanto il diavolo esiste e si oppone alla sua opera); o Dio non è infinitamente buono in quanto il Diavolo sarebbe una sua creatura.
Ovviamente esistono anche le confutazioni ai vari paradossi logici. Spesso le varie confutazioni creano ulteriori paradossi...
Quando il giovane ribelle Sari afferma il carattere "cattivo" del Dio biblico lo fa perchè, proprio per un sentire esperienziale di cui parlano Duc e Giona, rileva un profondo paradosso tra l'immagine inculcata di un Dio infinitamente "buono" ( o benigno come osserva Anthony...) che si prende cura personalmente di tutte le sue creature e l'esperienza di dolore, solitudine, malattia fisica che lo pone , che lo fa sentire, "fuori" dal numero di tutte quelle creature, un essere quasi rifiutato dalla benevolenza del Dio, un paria della vita che altri godono per i cosiddetti "doni" di Dio.
Questo marchia per sempre il giovane Sari che, più tardi, cercherà la via per trasformare questo dolore e, non riuscendo a trovarla nei paradossi teologici che sempre più numerosi andavano affollando la sua giovane e ingenua mente molto curiosa...la cercherà altrove!
E' evidente che una persona che non viene eccessivamente provata dal dolore è più spontaneamente ben disposta ad accettare la fede in una divinità definita "infinitamente buona" ed elargitrice di "doni" e "grazie". Viceversa la persona che realizza l'onnipervadenza del carattere doloroso e insoddisfacente dell'esistenza troverà estrema difficoltà ad accettare un simile ideale trascendente.
Fatto salvo che l'esperienza e la percezione del dolore è, anche qui, questione soggettiva e personale. Il dolore inaccettabile per alcuni può benissimo essere percepito come marginale per altri...
Il nostro "credere" è sempre influenzato dal nostro vissuto e dalla nostra percezione del reale. Per questo affermo che la fede è inficiata dalla volontà che , a- priori, decide di voler credere in qualcosa che risponda al bisogno di sanare le proprie mancanze, vissute o immaginate.