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Messaggi - Sariputra

#1711
Tematiche Spirituali / Re:Ma Dio...è buono o cattivo?
07 Settembre 2016, 17:20:59 PM
La domanda che avevo posto all'inizio del topic non verteva sulla fede e le caratteristiche della fede ma bensì sulla percezione che il nostro animo aveva di "quel" particolare Dio biblico, nell'idea del quale quasi tutti noi siamo stati educati e condizionati. Per rispondere alla prorompente certezza del giovane Sari, cioè che uno degli attributi del Dio biblico è anche la Cattiveria, cercavo di analizzare la logica degli Attributi che la teologia cristiana assegna a questo essere infinito e trascendente il mondo. Mi sono sforzato di mettere in evidenza alcuni paradossi che  nascevano assumendo per vere queste caratteristiche. Un paradosso rivela una difficoltà logica, razionale in un particolare concetto. Per es. riporto un classico paradosso sull'Onniscienza di Dio:
ENUNCIATO: in quanto onnisciente Dio conosce ogni cosa.
PARADOSSO: può Dio conoscere qualcosa di cui stabilisce che non si debba sapere nulla?
Oppure un altro sul Bene e sul male:
ENUNCIATO: Essendo Dio infinitamente buono, non potrà mai causare il male; essendo Onnipresente è in ogni cosa, in ogni tempo e in ogni luogo; essendo Onnipotente può vincere contro qualsiasi forza che gli si oppone.
PARADOSSO:Accettando l'idea del "male" in senso cristiano, o Dio non è Onnipresente ( altrimenti il diavolo sarebbe una sua parte); o non è Onnipotente ( in quanto il diavolo esiste e si oppone alla sua opera); o Dio non è infinitamente buono in quanto il Diavolo sarebbe una sua creatura.
Ovviamente esistono anche le confutazioni ai vari paradossi logici. Spesso le varie confutazioni creano ulteriori paradossi...
Quando il giovane ribelle Sari afferma il carattere "cattivo" del Dio biblico lo fa perchè, proprio per un sentire esperienziale di cui parlano Duc e Giona, rileva un profondo paradosso tra l'immagine inculcata di un Dio infinitamente "buono" ( o benigno come osserva Anthony...) che si prende cura personalmente di tutte le sue creature e l'esperienza di dolore, solitudine, malattia fisica che lo pone , che lo fa sentire, "fuori" dal numero di tutte quelle creature, un essere quasi rifiutato dalla benevolenza del Dio, un paria della vita che altri godono per i cosiddetti "doni" di Dio.
Questo marchia per sempre il giovane Sari che, più tardi, cercherà la via per trasformare questo dolore e, non riuscendo a trovarla nei paradossi teologici che sempre più numerosi andavano affollando la sua giovane e ingenua mente molto curiosa...la cercherà altrove!
E' evidente che una persona che non viene eccessivamente provata dal dolore è più spontaneamente ben disposta ad accettare la fede in una divinità definita "infinitamente buona" ed elargitrice di "doni" e "grazie". Viceversa la persona che realizza l'onnipervadenza del carattere doloroso e insoddisfacente dell'esistenza troverà estrema difficoltà ad accettare un simile ideale trascendente.
 Fatto salvo che l'esperienza e la percezione del dolore è, anche qui, questione soggettiva e personale. Il dolore inaccettabile per alcuni può benissimo essere percepito come marginale per altri...
Il nostro "credere" è sempre influenzato dal nostro vissuto e dalla nostra percezione del reale. Per questo affermo che la fede è inficiata dalla volontà che , a- priori, decide di voler credere in qualcosa che risponda al bisogno di sanare le proprie mancanze, vissute o immaginate.
#1712
Tematiche Spirituali / Re:Considerazioni sulla Fede
07 Settembre 2016, 12:03:29 PM
Per me il termine "fede" è una di quelle parole del linguaggio umano sostanzialmente priva di significato. Acquista senso solo se definiamo l'oggetto di questa fede. Per es. , se dico " Giovanni è un uomo di fede" cosa intendo? Se mi trovo in ambito cristiano potrebbe indicare che Giovanni crede in Yeoshwa. Se invece mi trovo  alla Mecca potrebbe essere inteso come Giovanni che crede in Allah. Allo stadio, come dice Duc, qualche invasato potrebbe ritenere che Giovanni ha fede che la sua squadra vinca la partita, e così via. Affermare che tutto comporta un atto di fede iniziale è allo stesso modo generico, perchè , senza una definizione sulla particolare fede, se tutto è un atto di fede ne consegue che nulla è un atto di fede. Un termine ha significato se designa una relazione con gli altri termini del linguaggio.
Infatti all'affermazione "Io ho fede" subito scatta la domanda: "In che cosa?". "Io ho fede", da solo, non significa nulla.
In ambito religioso il termine Fede indica una certezza in qualcosa di cui non ho un'esperienza sensibile. Può indicare anche la fiducia nella giustezza di una propria intuizione o esperienza spirituale.
Spesso il luogo dove abita una fede è popolato dal senso di colpa, nato dall'impossibilità di soddisfare interiormente il modello che la Fede impone.
E' un termine così vasto che si dovrebbe sempre, a parer mio, concentrarsi su una particolare definizione di fede.
#1713
Tematiche Spirituali / Re:Ma Dio...è buono o cattivo?
06 Settembre 2016, 15:37:41 PM
Sono molto dubbioso che la fede possa reggersi sul sentimento, sulla sensazione del sentirsi "connessi" a Dio. Questa sensazione, come tutte le sensazioni e sentimenti, è mutevole e si rischia , al suo svanire, di trovarsi in preda all'angoscia , del sentirsi vuoti e privi di quella fede che ci dava tanta gioia e speranza. Una fede senza il supporto della ragione è più simile ad un uomo infatuato di una bellissima donna e che scambia questa passione per vero amore .  In più l'inganno della mente è sempre in agguato. Noi finiamo sempre per credere in quello in cui vogliamo credere. La fede si alimenta della volontà di aver fede, nonostante tutto e nonostante il dubbio della ragione. In più questo sentimento è generico e senza la ragione non potrebbe nemmeno dare spiegazione di se stesso. Cosa differenzia il sentirsi "connessi" con l'ideale di Yeoshwa a quello di sentire questo sentimento verso Krshna o Rama o Muhammad ? Si deve necessariamente riferirsi ad una "rivelazione" particolare, ben caratterizzata.
Il giudizio che la ragione da non è quindi un giudizio sull'idea di Dio in sé, ma sempre e solo sull'idea che ne viene data da una ben definita rivelazione.
La mia domanda "Ma Dio...è buono o cattivo?" si intende quindi rivolta a quella particolare rivelazione biblica che mi è stata insegnata e a cui sono stato educato da giovinetto. E come posso valutare questa rivelazione che è circoscritta a dei testi scritti migliaia di anni fa? Per accettarla o rifiutarla non devo necessariamente vagliare con la logica se questi scritti dispongono di un'intima coerenza o se ne sono privi? Altrimenti , se così non facessi, aprirei la strada a qualunque credenza arbitraria .
Se, per es., mi si presenta una persona che afferma che la vita umana è stata innestata sulla Terra da omini verdi intelligenti e che lui si sente intimamente "connesso" a questi esseri, li sente nel suo cuore, sente che lo amano e che ci amano tutti e che questa fede riempie la sua vita e ne da senso, come dovrei, per coerenza a quel credere senza capire, giudicarlo? Accettare la sua convinzione non potrei, trovandola logicamente ridicola , rifiutarla non potrei lo stesso perchè lui potrebbe ben rispondermi : " Tu dimostrami la tua fede e io ti dimostrerò la mia..."
Questo porterebbe, a mio parere, ad un relativizzare all'esperienza personale il concetto di "fede". Assai, assai pericoloso...
Conscio di questo pericolo Benedetto decimo sesto, nell'udienza generale del 21 novembre 2012, riafferma la "ragionevolezza della fede in Cristo"

Oggi in questa catechesi vorrei soffermarmi sulla ragionevolezza della fede in Dio. La tradizione cattolica sin dall'inizio ha rigettato il cosiddetto fideismo, che è la volontà di credere contro la ragione. Credo quia absurdum (credo perché è assurdo) non è formula che interpreti la fede cattolica...
La fede cattolica è dunque ragionevole e nutre fiducia anche nella ragione umana. Il Concilio Vaticano I, nella Costituzione dogmaticaDei Filius, ha affermato che la ragione è in grado di conoscere con certezza l'esistenza di Dio attraverso la via della creazione...
Nell'irresistibile desiderio di verità, solo un armonico rapporto tra fede e ragione è la strada giusta che conduce a Dio e al pieno compimento di sé...
Sant'Agostino, insieme a tanti altri autori cristiani, è testimone di una fede che si esercita con la ragione, che pensa e invita a pensare. Su questa scia, Sant'Anselmo dirà nel suo Proslogion che la fede cattolica è fides quaerens intellectum, dove il cercare l'intelligenza è atto interiore al credere. Sarà soprattutto San Tommaso d'Aquino – forte di questa tradizione – a confrontarsi con la ragione dei filosofi, mostrando quanta nuova feconda vitalità razionale deriva al pensiero umano dall'innesto dei principi e delle verità della fede cristiana.

Riflettere con la ragione sulla rivelazione biblica è quindi intimamente collegato con l'atto di credere alla stessa. E' parte insostituibile del processo di maturazione alla fede. E non potrebbe essere altrimenti, aggiungo io, pena lo scadere nel soggettivismo.
La mia critica parte quindi dallo stesso punto in cui parte la riflessione razionale della fede cristiana. E' un banale tentativo di mettere in evidenza i problemi propriamente razionali che pone questo credo rivelato in una particolare scrittura. E questa riflessione diventa necessaria proprio per non scadere sentimentalmente in quel Credo quia absurdum che ricorda il papa emerito.
#1714
Tematiche Spirituali / Re:Ma Dio...è buono o cattivo?
06 Settembre 2016, 09:41:08 AM
Se accettiamo l'idea che le Sue vie non sono le nostre vie, oltre a non trovare più alcun senso in nessun tipo di riflessione teologica, circoscritta al'esclusiva esegesi dei testi sacri e privata del "perché", approderemo all'idea di sottomissione tipica dell'Ebraismo e dell'Islam. Nessun giudizio deve tentarsi su Dio, solo accettare supinamente e con devozione il suo inspiegabile agire, anche quando questo sembra cozzare con la ragione e la logica. Ossia viene ad anteporsi il credere al capire. Se credi puoi capire, ma non puoi capire per poter poi credere. Però il credere senza poter capire ha un reale significato? Si può veramente sopprimere il perché che nasce spontaneamente nel cuore? O , anche se sepolto sotto l'"abbandono" dato dal credere, lavora ancora come un tarlo , pronto a far crollare l'edificio che pensavamo di aver eretto sulla fede senza perché? Il perché di solito irrompe nelle nostre vite al mutare delle stesse. Un'improvvisa grave malattia, una perdita irreparabile, un dolore profondo, riportano immediatamente in superficie il perché , spesso sotterrando il credere. Credere che ritenevamo fosse solido e capace di resistere al vento doloroso dell'esistenza, scoprendo invece la nostra fragilità e la fragilità del nostro credere stesso. 
Scrivi: Il Signore Dio sapeva con certezza quello che sarebbe successo, ma non l'ha voluto Lui. Questa è la giustificazione "classica" che viene usata per poter non ricondurre a Lui il carattere doloroso, mortale dell'esistenza del creato. Questo ragionamento mi sembra inficiato dalle premesse stesse che sono interne agli Attributi della divinità. Tutto quello che è successo, e che Lui non avrebbe voluto che succedesse, poggia su cause e condizioni che solo Lui e non altri che Lui, essendo il Principio stesso, ha posto in essere. Lui ha creato la possibilità della rivolta nel dolore, la possibilità di conoscere il "male", la possibilità della tentazione del male. Tra l'altro viene pure da chiedersi: come può un essere che è solo Bene creare un simbolico "albero" del Bene e del Male e porlo al centro della sua creazione? Forse perchè conosce anche il male, ma  la Sua volontà non vuole aderire ad esso? Quindi l'elemento dissoluzione, morte, viene in essere da Lui nonostante Lui ? Ma questo non diventa un limite alla sua onnipotenza? Come può creare senza volontà di creare?
Il problema del male non si esaurisce solamente all'interno del  problema del libero arbitrio, e dell'eterna discussione su di esso. C'è una sofferenza, un male naturale che non trova giustificazione nel semplice considerare l'esistenza umana una "prova di volontà", un'esercizio poggiato su di esso.
Riporto un'interessante passo del naturalista David Attenborough su problema del male naturale :

« La mia risposta è che quando i creazionisti parlano di Dio che ha creato ogni singola specie come atto separato, citano sempre come esempi i colibrì, o le orchidee, i girasoli e le cose belle. Ma io tendo a pensare, invece, ad un verme parassita che sta perforando l'occhio di un bambino seduto sulla riva di un fiume in Africa Occidentale, un verme che sta per renderlo cieco. E chiedo loro, "Mi stai forse dicendo che il Dio in cui credi, che tu dici anche essere un Dio infinitamente misericordioso, che si prende cura di ciascuno di noi individualmente, stai proprio dicendo che Dio ha creato questo verme che non può vivere in nessun altro modo se non nella pupilla di un bambino innocente? Perché ciò non mi sembra coincidere affatto con un Dio pieno di misericordia".
#1715
Tematiche Spirituali / Re:Ma Dio...è buono o cattivo?
05 Settembre 2016, 21:40:30 PM
@ Giona
Il problema che si presenta riflettendo su tutto lo svolgimento dottrinale, al quale non si da risposta, è la contraddizione inerente alla causa dell'agire di Dio in apparente frustrazione del suo stesso creare.
Dio crea l'uomo a sua immagine e somiglianza, attraverso l'effusione del suo Spirito. Questo essere, corpo e anima, vive una dimensione trasfigurata, priva di peccato e priva della consapevolezza del bene e del male. Non avendo questa consapevolezza il suo agire è naturalmente e spontaneamente "buono". Il suo corpo trasfigurato è uguale al corpo risorto del Cristo e ai corpi che gli eletti troveranno alla fine dei tempi con l'avvento del regno e la resurrezione dai morti.  A questo punto, in questo quadro coerente, Dio crea e inserisce un elemento di tentazione ( la simbolica pianta del paradiso terrestre) e un essere demoniaco che ha il potere di entrare in questo Paradiso, ha il potere di tentare l'ingenuo e innocente essere umano, conosce il potere dell'albero e non teme la collera di Dio stesso.
Affermare che questo essere agisce "nonostante" Dio non ha senso logico in quanto un attributo di Dio è la Conoscenza del passato, del presente e del futuro. Sommato all'altro attributo, l'Onnipotenza, cioè l'assoluta padronanza di tutte le cause e di tutti gli effetti , permette all'Onnipotente di conoscere l'origine, lo svolgimento e il finale dell'avvenimento.  Dio però non interviene per salvare la sua nuova creatura, a sua immagine e somiglianza, dalla tentazione alla quale sa già che non saprà resistere. Addirittura crea i presupposti per la caduta. In effetti avrebbe potuto tranquillamente crescere un magnifico giardino privo dell'albero del bene e del male. Avrebbe potuto tranquillamente non creare un angelo che poi si sarebbe ribellato ( e che lui già sapeva che si sarebbe ribellato nell'istante stesso che lo ha creato). Avrebbe potuto determinare l'impossibilità di compiere il male alle sue creature, angeliche o umane.  Se anche , per un misterioso motivo, per svago personale, avesse concesso questa possibilità di continuare la sua opera malvagia al Satan, non sarebbe in egual modo responsabile  della tentazione dello stesso all'uomo? Se un buon padre di famiglia sa che il figlio malvagio intende uccidere il figlio minore (irruzione della morte nell'eden) e , invece che fermarlo, lo lascia fare conoscendo perfettamente l'esito finale, in più fornendolo egli stesso dell'arma per compiere il misfatto ( l'albero della conoscenza) con buon senso, o senso comune, lo definiresti ancora un "buon padre di famiglia"?  
Viene spesso obiettato che Dio tiene come massimo bene la "libertà" degli esseri da lui creati. Che tollera il male da questi compiuto nel tempo e nella storia per non alienare il dono supremo della libertà.
Che ama così tanto le sue creature che vuole , fino in fondo, che si "salvino" ( Satana stesso probabilmente si dovrebbe allora far rientrare in questa categoria che non può "sfuggire" all'amore supremo).
E qual'è la salvezza? Che le sue creature ritrovino la completezza del loro essere. il poter di nuovo assumere il corpo adamitico trasfigurato, il poter far ritorno nell'Eden ( Cieli nuovi e Terra nuova) alla Parusia e la fine dei tempi della storia. Questa però è esattamente la condizione iniziale . Rivestito di questo corpo immortale l'uomo non potrà più peccare ( il peccato è infatti morte e un corpo incorruttibile non può conoscere la morte). Quindi una condizione di libertà dalla possibilità di peccare era all'inizio ed è alla fine. Questo va a smentire il concetto che Dio non può creare esseri impossibilitati a peccare per non privarli della loro possibile libertà. Anzi , si afferma con forza che la condizione perfetta dell'uomo e di tutto il creato è proprio l'impossibilità del peccato e del peccare.
Se Dio è questo che vuole per vivere in comunione con le sue creature, perchè crea le cause e le condizioni per farle cadere? Perchè un tentatore, una tentazione e un corpo già costruito per peccare?
Per questo parlo di frustrazione nel creare la Sua stessa opera . A meno che...

P.S.  Il Dio cristiano è un Dio d'Amore. Il Suo volto ci viene rivelato da Yeoshwa . E' il volto di Yeoshwa stesso.
La tua frase il Signore Dio Onnipotente non è né buono né cattivo perché è GIUSTO. mi sembra più una concezione veterotestamentaria.
#1716
Tematiche Spirituali / Ma Dio...è buono o cattivo?
05 Settembre 2016, 16:59:31 PM
Tra pochi giorni ricomincia la scuola per milioni di ragazzi. Mia figlia si sta preparando, consulta le amiche, ritira i nuovi libri di testo, osserva il guardaroba...
Proprio in questo clima settembrino i ricordi si affollano nella mente . Alcuni, ben sepolti, altri sempre presenti e dolorosi. Dalle nebbie della memoria , seguendo in parte la cerimonia di santificazione di madre Teresa, in parte preparando il pasto domenicale , uno in particolare, a somiglianza di un folletto fastidioso, è riapparso da tempi lontani...
Mi trovavo a scuola , forse in terza media, con di fronte a me la figura autoritaria del vecchio insegnante di religione. Un uomo severo ma che sapeva allentare la tensione con innocue barzellette sui ragazzi e la loro voglia di studiare. Quel giorno la lezione verteva sugli attributi di Dio. Attributi numerosi e di facile dimenticanza per noi. Provo a riassumerli, sperando di non dimenticarne troppi :
Infinità, indipendenza, Immutabilità, immortalità, Sapienza, Bontà, Giustizia, Santità, Grazia, Conoscenza, Sovranità...
Dio rivela attraverso le Scritture questi attributi. Non tutto possiamo conoscere di Lui, ma solo quello che ci rivela...
Nella mia beata ingenuità, che confesso ancor oggi mi tormenta,  a precisa domanda dell'autorevole insegnante, che esigeva da noi il citarli, ne proposi uno che, al ricordar me ne vergogno, mi venne d'istinto. Non nego che un fuoco divorante divampava in me in quei giorni al mutar di fanciullezza e la mia affermazione quasi mi procurava un perfido piacere...
Alzai la mano di scatto e proruppi. -la Cattiveria!-
Immaginatevi gli Ohhhh!!! dei compagni  e gli Ahhhhh!!! delle compagne, frammisti a risatine di contorno,  a mo' di patate sul pollo. E' chiaro che vivevo, in quei tempi lontani, uno stato di malcelata insofferenza alla litania sulla bontà del Creatore, che vedevo manifestarsi in maniera così prodiga nei miei compagni e al contrario così tirchia nei miei confronti.  Ad un ragazzino non fa specie che gli si prospettino i doni che si suppone aver ricevuto...quando questi doni sono l'esatto contrario di quelli desiderati. E cosa può desiderare un tenero adolescente se non un aspetto adeguato ad attirar sguardi di giovani fanciulle e una salute che gli permetta almeno di partecipar alla vita degli altri? Cose normalissime che mi venivan negate dalle circostanze della mia ancor breve vita...
L'apparente sant'uomo che ci istruiva , dopo un'occhiata che dal torvo mutò rapidamente in benevolo nell'osservarmi , mi chiese il perchè di questa oltraggiosa uscita.
-Penso - risposi con la mia consueta timidezza che mi affligge e che imparai più avanti negli anni ad usare a mio vantaggio- che Dio sia anche cattivo perchè nel Libro della Genesi si dice che creò Adamo ed Eva nudi e che questi non sapevano di esserlo. Camminavano beatamente inconsapevoli per il Paradiso terrestre. Quello che non torna è perchè, se Dio non voleva che sapessero di essere nudi e che sapendolo si accoppiassero poi tra loro, mettendo al mondo noi tutti infelici, li aveva gia plasmati con perfetti e funzionanti organi riproduttivi atti ad adempiere alla missione? 
In verità , all'epoca il mio sarcasmo era fuori controllo per la mia morbosa condizione che mi spingeva al cinismo, usai termini diversi che potete immaginare...
Tra l'ilarità generale venni accompagnato alla porta, con stile, dal professore. Quasi mi parve di scorgere un sorriso trattenuto a stento sulle sue labbra.
Il problema però fu che...nessuno mi diede una risposta.
Allora lo chiedo alle entità che popolano il forum...Dio...Quel Dio...è anche Cattivo?
#1717
Citazione di: maral il 04 Settembre 2016, 11:10:27 AM
Citazione di: sgiombo il 01 Settembre 2016, 21:22:06 PM[size=3
Certo, lo avevo già detto, è impossibile un'idea di bellezza senza che vi siano cose belle, ma è ugualmente impossibile che vi sia alcuno che sappia vedere cose belle senza che non senta prima in sé la bellezza. La bellezza non è, come vorrebbe un certo realismo ingenuo, un "a posteriori" rispetto all'esperienza delle cose.
Citazione...

Scusa il "realismo ingenuo" ma come si fa a sentire prima in sè la bellezza? Se non c'è contatto con l'oggetto ritenuto bello non può in alcun modo nascere il senso della bellezza. Tra l'altro la famosa bellezza è un sentimento assai soggettivo ( io potrei trovare un'autentico pezzo di... la famosa Lucia Annunziata). Il fatto che la bellezza sia un sentimento soggettivo dimostra che è riconducibile alle esperienze piacevoli registrate nella nostra mente ( magari la Lucia Annunziata somiglia moltissimo alla mamma del soggetto che la trova bella  :o ). Tutti abbiamo per esempio la sensazione piacevole che ci da il tornare al nostro paese natale ( dove abbiamo vissuto le esperienze piacevoli della nostra infanzia ), mentre per un altro soggetto il medesimo paese non fa nascere alcun senso della bellezza.
Per esempio trovo orribile il David di Michelangelo, universalmente ritenuto un capolavoro e un simbolo di bellezza, perchè le sue mani esagerate rispetto al corpo mi ricordano una spiacevole situazione vissuta nell'infanzia...
Prima c'è il contatto, dal contatto nasce la sensazione, la mente la valuta come piacevole o spiacevole rapportandola all'esperienza vissuta in precedenza , quindi viene valutata soggettivamente e limitatamente come bella oppure brutta.  Il ritenere che ci sia un "qualcosa" che a-priori stabilisce in sè cosa è bello e cosa è brutto mi pare un assunto metafisico indimostrabile.
#1718
Riflessioni sull'Arte / Re:Poesie modificate...
02 Settembre 2016, 20:56:21 PM
Omaggio a E.L.Masters

Rosa sulla veranda, e il blu elettrico del mare
che si getta impaziente sulla sabbia.
Con la febbre vengono strane visioni
e i pianti dei bimbi riposano nella sera.
E tu stavi seduto alla finestra:
Il vento ti scompigliava i bianchi capelli;
con la tua vecchia pipa consumata
guardavi il Vivente e le sue opere.
Ero venuto a trovarmi, o forse
a trovarlo, come non so.
Si sentiva cupo il tonfo del mare,
l'erba di trifoglio ondeggiava,
a tre o quattro petali assieme.
Il piccolo venne alla finestra e sorrideva
nel suo pigiama giallo ornato di rondini.
Poi ti chiesi: - Che cos'è la "divina disperazione"?-
Mi guardasti assonnato con un'aureola di fumo
                             tra i capelli.
- Hai mai pianto inutili lacrime? - mi chiese.
- Sì, ma non vorrai dirmi che questo esprime la
                            divina disperazione? -
-Ingenuo amico mio - rispose -proprio per questo la
                            disperazione è divina. -
#1719
Caro Jean
La parola "vuoto", per noi occidentale così indigesta, istintivamente ripugnante quasi, in sanscrito era usata come aggettivo e si riferiva di solito ai luoghi tranquilli in cui i monaci potevano meditare con profitto. I luoghi quieti, pacifici, non disturbanti. Per questo non s'intende il vuoto come un assoluto, una cosa in Sè, ma semplicemente e sempre  in riferimento alle cose (dhamma) e agli oggetti mentali che continuamente affollano la mente ( pensieri, sensazioni, sogni,ecc.). Quando la mente sperimenta lo stato di non-attaccamento a tutto questo si definisce "mente vuota dall'attaccamento". Il Nirvana è proprio questa possibilità , questa qualità di esistere della mente. La natura dei dhamma che continuamente sperimentiamo è definita vuota non nel senso che non esistono , ma invece , anche qui, come "vuoti di esistenza intrinseca", ossia interdipendenti, soggetti all'insorgere e allo svanire ( a volte questo insorgere e svanire è rapidissimo, tanto che la mente non riesce normalmente a definirli, appaiono come un lampo all'osservazione della coscienza). La mente quindi viene intesa come "creatrice del mondo" perchè opera una designazione di questi dhamma passeggeri, fluidi, in continuo cambiamento. Assegna loro forma e identità e comincia a maturare un'opinione su quello che lei stessa ha definito, normalmente aggrappandocisi. Al di fuori di questo lavoro incessante, continuo della nostra testa, la Realtà esiste, fluisce, nasce e muore...
Non so dirti se, quell'intervallo di tempo di cui parli, quello che passa tra la sensazione dovuta dal contatto dei sensi con i dhamma esterni e dell'elemento coscienza con quelli interni, sia semplicemente il tempo che serve alla ragione per ricondurre l'evento al riconoscimento, tramite la memoria, dello stesso e la sua catalogazione e interpretazione. Un tempo "tecnico", biologico di reazione.
Spesso in questo tempo abita l'angoscia esistenziale, in questo "luogo" si annida la consapevolezza dell'impermanenza di tutte le cose, la sensazione di non avere risposte, appunto il "vuoto" di esserci della nostra condizione. E' un luogo che la coscienza sembra non registrare, ma è vivo e pieno di dolore ( dukkha). Nell'arte del primo novecento abbiamo avuto dei grandi artisti che hanno scavato in questo luogo/non-luogo della mente (Kafka, E.Munch, G.Morandi,ecc.) mettendo a nudo il dramma esistenziale dell'uomo. Non possiamo fondarci in niente e allora irrompe la sensazione del nulla.
Il Buddha partiva dalla consapevolezza della sconfitta della ragione e di ogni metafisica e nella loro incapacità di trovare risposta all'irrisolvibile questione del Perchè, del "Perchè una Causa ( un essente) e non il nulla?" Siddharta invita alla realizzazione del Shunyata come soluzione, superamento di questo dolore . La disciplina della mente diventa fondamentale per calarci nell'esperienza del mistero dell'esistenza e trovare nella stessa "sostanza" della disperazione esistenziale la via dell'Illuminazione (Nirvana). 
L'approdo, a parer mio ovviamente.è la consapevolezza che la Realtà è una corrente in continuo movimento e che c'è un luogo di pace dentro di noi che si realizza solo  con il distacco dall'attaccamento ad essa, causa della nostra disperazione esistenziale. Di questo luogo di pace nulla si può dire con il linguaggio. E' un'esperienza.
Un saluto dal pittore...di infissi!! :D :D 
#1720
Tematiche Filosofiche / Re:IO
30 Agosto 2016, 01:23:31 AM
Citazione di: Sogni e Pensieri il 30 Agosto 2016, 00:41:16 AMCiao sono un ragazzo di 17 anni. Ho un problema, un grosso problema: IO, i miei pensieri e i miei sogni. Queste cose sono un enigma per me. L "io", che confondo continuamente, non sapendo se ciò che faccio lo voglio fare veramente o anche solo perché lo faccio, facendomi trascinare da chiunque DICO chiunque! Una macchina che passa, un passante che mi guarda, la persona con cui sto parlando, mio padre, mia madre.. Ogni persona mi guarda e mi osserva e io agisco in un modo strano: se sono solo sto male perché cerco le altre persone, ma appena VEDO qualsiasi persona il suo pensiero confonde il mio. L'essere osservati guardati... Cerco di capire cosa gli altri pensano! Penso ciò che pensano gli altri! Ed è inevitabile, è un meccanismo che scatta come una molla, quando me ne accorgo agisco ancora peggio.. Ad esempio sto camminando tranquillo, X alza la testa e casualmente mi guarda. Basta, paranoia, cammino storto perché penso che come cammino non va bene, penso che come sono vestito non va bene, come agisco non va bene, chi sono non va bene. Ok, dico ma chissenefrega. Un secondo dopo Y mi mette in crisi. Figuriamoci con le persone con cui penso di avere un rapporto! Poi, altro problema. SOGNO. CONTINUAMENTE. COSTANTEMENTE. NON VIVO, SOGNO. COSE CHE NON SI AVVERANO. SITUAZIONI IDDILIACHE, PERFETTE. Non vivendo nulla, appena la mia mente si stanca di pensare a cosa pensano gli altri TAC inzio a sognare. Ad occhi aperti. E inzio ad agire come non vorrei. Faccio cose mentre in quell'istante in cui le faccio dico "è sbagliato" non va bene. Ogni cosa. Anche scrivere questo. Lo pensato poco fa. Sono pieno di pentimenti, rimorsi, rinnego il mio io. E se sono solo e non sto sognando, penso. Penso a cose inutili. Spazzatura mentale. Ciò che non mi serve che si accumula accumula fino a che dico "vabbè ciò che pensa quello che mi sta di fianco è sicuramente più importante di ciò che penso io" quindi entro nel pensiero dell'altro e faccio ciò che gli altri vorrebbero, non faccio ciò che voglio. Ho provato ad alterare il mio stato di coscienza con sostanze psicotrope pesanti e leggere... Ketamina, MD, acidi, cannabis... Ma se sto male sano fatto è peggio. Non so relazionarmi. Tutto sembra finzione. Finto, maschere su maschere. Non sono sincero onesto spontaneo naturale. Chi sono io. Semplicemente me stesso. Farè ciò che voglio e mi piace, muovermi per come sono IO E SOLTANTO IO. Non lo so fare, non lo so più fare. Odio me stesso costantemente e il mio modo di essere qui e ora. Anche perché il qui e ora non lo so vivere, rimbalzando tra passato, futuro e immaginazione.

Dei consigli veloci perchè sto andando a nanna ( se vuoi possiamo approfondire l'argomento):
1- Non prendere troppo sul serio tutto quello che passa per la mente (NON E' REALE). La tua mente adesso è come un cavallo imbizzarrito. La devi domare. Non puoi farlo in un giorno o un mese. Intanto devi cominciare con le cose semplici. Per es. mettergli una corda.
2-Butta tutte le sostanze  e droghe varie. E' come volersi liberare dall'odore di letame andando a pulire una stalla di maiali.
3-Non odiare te stesso. NON SEI tutti i pensieri e le sensazioni e i sogni che passano per la testa. Comincia pian piano ad osservare questo cavallo imbizzarrito. Così, semplicemente, osservalo solo e non cercare di reprimere questo logorante lavorio della mente. Intanto osservalo solo. Comincia con queste cose semplici.
4-Fatti delle belle camminate in salita. Sudare, sudare, sudare...quando il corpo è stanco la mente rallenta e si placa. Anche qui, osserva quello che ti sta intorno.
Se vuoi puoi cominciare con questo. :)
#1721
Citazione di: Jean il 29 Agosto 2016, 17:23:39 PMCit. Sariputra: Il nulla con cui abbiamo a che fare, procedendo il concetto da un pensiero, è relativo a quello ed esiste solo in quello. Dir "per nulla differente" è lo stesso che dir "uguale"? [/color] "Il samsara è in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal sasara. I confini del nirvāna sono i confini del sasara. " (Nāgārjuna, Mūla-madhyamaka-kārikā)   Cordialmente Jean

Una domanda più facile no..eh? ;D  Se pensi che Chandrakirti ci ha scritto dei commentari sopra...
Però, visto che sono un impavido, non voglio sottrarmi all'impegno, tenendo come punto focale che non sono un filosofo buddhista  e neanche un semplice bhikkhu (monaco)...
Parto dalla concezione assolutistica del Divenire in cui Tutto trova la sua Natura.  Il termine samsara , in questo contesto, non è tanto riferito all'aspetto del mutamento  ma all'attaccamento alle false concezioni su di esso. La mente che non comprende la Natura del reale è immersa nel samsara, nell'attaccamento alle forme  e alle sensazioni mutevoli che danno piacere o dolore. Qualunque forma di attaccamento è samsara, anche l'attaccamento all'idea di un dio o a quella dell'annientamento totale (il Nulla). Il termine Nirvana si riferisce letteralmente all'estinzione di questo attaccamento, non all'estinzione del Divenire della Natura ( il che sarebbe assurdo). Se paragoniamo l'attaccamento (samsara) alle forme del divenire  alla fiammella di una candela e il Nirvana all'estinzione, spegnimento di questa fiammella e l'insegnamento del Buddha ( Dharma) al metodo per togliere via via cera alla candela , togliendo perciò alimento alla fiammella, possiamo immaginare una similitudine.
Ora è possibile avere Estinzione ( Nirvana) della fiammella senza che ci sia una fiammella? Evidentemente no. Pertanto ipotizzare il Nirvana come altro dalla fiammella è illogico. E'semplicemente uno stato di assenza della fiammella.Ma la fiammella ha natura sostanziale o esiste unicamente in virtù di ciò che la alimenta (cera, ossigeno,ecc.) ? La fiammella (samsara) non dispone di natura sostanziale e perciò è composta da molteplici elementi di non-fiammella ( in questa caso l'attaccamento è composto da molteplici elementi: percezioni, desideri, ecc.). Ora come si può definire assente una cosa che non è presente come realtà in sé, come sostanziale? Ed essendo priva di realtà autonoma, sostanziale, ma sostenuta solo come realtà ordinaria, apparente, come designazione mentale di uno stato composto non è della stessa natura della sua assenza (Nirvana)? Il problema è che noi intendiamo il Nirvana come uno stato sensibile, di beatitudine, di gioia, ecc. mentre il Nirvana, nella sua originaria formulazione, è semplicemente lo stato di assenza dell'attaccamento ( o sete di esistere) della mente verso le sue stesse designazioni.
Le cose di questo mondo sono semplici convenzioni di nostra creazione. Dopo averle stabilite, ci perdiamo in esse e non vogliamo mollare la presa, dando il via all'attaccamento alle nostre idee e opinioni personali. Questo tipo di attaccamento non ha mai fine, è il samsara, interminabile.
Questo attaccamento che natura ha? Non è semplicemente vuoto di esistenza autonoma, intrinseca? E il Nirvana non è semplicemente Vuoto ( shunyata) dall'attaccamento stesso ?
Affermando che samsara e Nirvana non sono in nulla differenti, ritengo si intenda mettere la vacuità come caratteristica fondamentale di ogni aspetto dell'esistenza. Vacuità non intesa come Nulla , ma bensì semplicemente come insostanzialità di ogni fenomeno, come interdipendenza sia esteriore che interiore.
Se la natura del samsara è vacuità e noi cerchiamo il vuoto (vacuità) dal samsara (Nirvana) , non cerchiamo illusoriamente qualcosa che già abbiamo?
Per questo  Nagarjuna, secondo me, spinge a vedere la sostanziale vacuità di esistenza intrinseca di tutti i fenomeni designati dalla mente per vedere la loro natura di Nirvana.
Bisogna sempre considerare poi che , in particolare nel buddhismo, le enunciazioni filosofiche hanno sempre uno sfondo pratico. Questa frase celebre aiuta i praticanti a liberarsi dal falso concetto che il Nirvana sia trascendente il reale e sia sostanziale ( una sorta di paradiso in Terra per intenderci...).
La libertà dal samsara ( che è il Nibbana) non va cercata al di fuori del samsara ma è nel samsara stesso ( Sari 2016 :)) )

Una storiella per conciliare il sonno:
Un monaco, che si trovava in Cina  e si recava a Long Dam per visitare un maestro si fermò in una locanda condotta da un'anziana signora. Il monaco si presentò tenendo in mano una copia del Sutra del Diamante e l'anziana signora, che conosceva bene il testo, se ne accorse.
Dopo una notte di riposo, il monaco disse:" Buon giorno, signora. Posso avere qualcosa per aguzzare la mia mente?" (""aguzzare la mente" è un'espressione cinese che sottintende la prima colazione).
La donna per contro domandò: "Quale tipo di mente vuoi aguzzare: quella del passato, quella del presente o quella del futuro?"
Il monaco non fu in grado di rispondere. Vergognandosi , abbandonò l'idea di visitare il maestro e ritornò a casa.
Se la donna mi avesse posto la stessa domanda , avrei risposto: "Non ho bisogno della mente del passato, né di quella del presente o di quella del futuro. Ho fame e non desidero altro che qualcosa da mangiare". L'idea che la mente del passato, quella del presente e quella del futuro non possano essere afferrate è eccellente, comunque è soltanto un'idea. Abbiamo bisogno di mangiare. Questa è una realtà viva. Quando si ha fame, si fa colazione. Perchè ci si dovrebbe lasciare impressionare da una locandiera chiacchierona?
(THich Nhat Hanh)
#1722
Citazione di: paul11 il 29 Agosto 2016, 15:03:57 PMSariputra, con tutto il rispetto che ho anche per il buddismo, il nirvana a mio modesto, parere equivale al nulla, per questo il buddismo non è una religione e solo una tecnica per vivere e indirettamente una filosofia, una visione del mondo,, non ha neppure risvolti sociali e infatti è una forma egoica di gestione del sè, costruita in maniera mirabile: ma autocontraddittoria. Il termine coscienza che si utilizza nel linguaggio comune equivale alla volontà, " quella persona è cosciente, o incosciente...." o termine morrale, ecc. E' purtroppo un altro termine ambiguo. Personalmente, utilizzo l'autocoscienza come pensiero che riflette se stesso in relazioni con la ragione, e sta in rapporto fra anima e appunto ragione. In effetti ho scritto una fesseria. E' l'anima che torna allo spirito dopo la morte e non l'autocoscienza. Riflettendo sull'eternità, non tanto dal punto di vista filosofico o teologico, ma egoistico, trovo che siano proprio coloro che temono la morte che cercheranno l'eternità. Quando le scienze gli daranno cellule staminali, organi ricostruiti , vedranno vivere degli zombie . Personalmente e con tutta sincerità, l'eternità è un concetto, se poi qualcuno ci vede fiumi di latte e miele o pensa di portarci i desideri reconditi di questa esistenza di nuovo ricade in contraddizione. Io non so pensarmi dentro l'eternità perchè non so pensare nemmeno il "volto" di Dio, metaforicamente scrivendo.

Ovviamente non condivido la tua rispettabilissima opinione sul buddhismo, ma questo va accettato. Ognuno ha il suo sentire...
Ricordo solo che, quando a 16 anni lessi per la prima volta qualcosa sull'insegnamento, ogni cosa mi sembrava assumere una sua logica e coerenza. Quindi per me fu esattamente il contrario dell'autocontraddizione che invece ravvisavo nell'insegnamento cristiano-cattolico che mi era stato impartito. Questo sì che lo sentivo molto lontano dall'esperienza del mio vivere...
Ti ringrazio dei tantissimi spunti di riflessione.

P.s: A proposito... tu ci sai fare con la vernice e gli infissi? Non ne posso più... :o :o :o   
      Scherzo naturalmente...sono pur sempre un buffone inadeguato, no? ;D
#1723
Citazione di: paul11 il 29 Agosto 2016, 12:54:11 PM
Citazione di: Sariputra il 29 Agosto 2016, 09:03:10 AM(
Sariputra se la coscienza sparisce come le apparenze del divenire, a cosa serve la coscienza? Di nuovo , se esiste una coerenza logica e se fossimo davvero nella verità del finito, allora coerentemente era meglio nascere animali, ucciderci e competere da animali e ragionare in finalità di violenza.quella coscienza e morale che ne deriverebbe davvero sarebbe solo un orpello ai fini di utilità e finalità egoistiche individuali.Non lamentiiamoci, di nuovo coerentemente, se la regola della natura è apparire e sparire ,perchè la felicità passerebbe sulla infelicità del prossimo. Stai ponendo molte problematiche di tipo egoistiche, come dire che chi crede alla metafisica e/o Dio implicitamente compie un atto di superbia? Non ha ancora capito che la nosra cultura contemporanea è fondata sulle apparenze dove se la morte è verità allora la vita è relativa e conta poco sull'altare della competizione e della finalità dell'utile e funzionale? Non esistono morali. il primo passo è capire i paradigmi logici di questa nostra cultura che tengono in piedi contraddizioni fondative. se non si fa questo è inutile discutere di filosofia e logica dialettica. L'eternità non è di nuovo una scelta egoistica, diventa una necessità logica razionale a prescindere dall'agente conosocitivo che lo compie.

A cosa serve la coscienza domandi ? Ad essere coscienti ed è parte della nostra natura. Sembra una facile battuta , ma mi sforzo di calarmi nell'esser-ci dell'esistenza. Il pensare che abbia una finalità altra dal semplice processo di essere presenti a se stessi è , di nuovo, scusa se mi ripeto, un cadere nella metafisica. Non riesco a vedere la coscienza come indipendente dalle forme del divenire. Anche solo per definirne le qualità dobbiamo servirci delle forme stesse.
Sono anch'io assolutamente convinto che la società attuale vive sulle apparenze. L'obiezione che poni, cioè che se esiste solo il divenire, tanto vale, anzi molto meglio, esser nati animali e goderci la vita come meglio possiamo. A questo obietto che siamo coscienti che il divenire è anche doloroso e che cause buone producono Bene e cause malvagie producono Male, in ragione del fatto che il Divenire sottostà ad una logica e coerenza interna, ossia poggia su cause e condizioni e le cui sembianze sono le forme che appaiono alla nostra coscienza.
In più l'elemento coscienza presente nel movimento stesso del divenire permette la percezione della Bellezza del divenire stesso, il godimento interiore di questa eterna Bellezza, l'Amore privo di attaccamento che ne scaturisce spontaneamente. Quindi la ricompensa del seguire le cause positive dell'agire  sorpassa ampiamente  i frutti  del seguire le cause negative dell'agire stesso.
In poche parole la condotta morale è ricompensa a se stessa.
Non sono un filosofo...mi ispiro all'Insegnamento di Siddharta Gotama, cerco di comprenderlo e renderlo vivo nella mia vita, e naturalmente lo sviluppo filosofico che ha portato alla scuola Madhyamika di Nagarjuna
« Il saṃsara è in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal saṃsara. I confini del nirvāna sono i confini del saṃsara. »
(Nāgārjuna)

P.s. Volevo aggiungere che il credere in una sostanza eterna non è negativo, se questo comporta un agire secondo le cause positive. I frutti che si possono assaporare sono esattamente gli stessi. Purchè il credere non comporti divisione e conflitto ( e queste sono cause negative dell'agire). In sostanza non è credere o no nell'esistenza di un'anima, ma seguire il Bene che ci nobilita, che fa la differenza tra vivere come un essere umano  e vivere per appagare semplicemente il nostro Ego...
#1724
Rispondo brevemente alle varie osservazioni, ben consapevole dei limiti del linguaggio e dell'estrema difficoltà di mettere in parole un'esperienza.
Paul sostiene che la memoria non è identità. Su questo non sono d'accordo. La memoria del proprio vissuto è l'identità di una persona. Certo, se la perdita è momentanea, poi si ritrova, magari rielaborato, il proprio precedente vissuto, ma quando la perdita è definitiva e totale , l'identità precedente dove possiamo trovarla? Viene custodita "da qualche parte", in attesa che, dopo la morte fisica, questi ricordi magicamente ritornino perchè custoditi da un ipotetico "spirito"? Questa è pura metafisica...Ciò non impedisce a questo essere smemorato di continuare a vivere e compiere scelte , avere pensieri, ancorchè completamente distorti, ecc. ma potremmo identificare questo vissuto con il precedente?
Il  termine  Identità ha comunque tanti significati. Nello specifico lo intendo come identità psicologica.
Acquario sostiene che sono io che interpreto come una dualità l'esistente. Non posso che riportare l' esempio della moneta con le due facce. Sostengo un'unità indissolubile di coscienza e forme del divenire. Ossia questo non può essere senza quello...
Quando affermo che si tratta di una catena ininterrotta, è implicito che non c'è un primo anello ( un UNO che ha generato il due, il tre, ecc.). E' una catena senza inizio e senza fine. Una catena di produzione condizionata. Il principio del Tao è inconoscibile dalla ragione e giustamente si pone l'accento sul Silenzio. Il Tao è un'esperienza del reale, non una riflessione sul reale. Quando invece i pensatori taosti introducono categorie del pensiero ( Yin Yang, maschile e femminile, ecc.) ricadono nel groviglio del teorizzare. Questo non è più il vero Tao...
Bellissima questa frase di Aniel:
la domanda c'era ma 'esigenza della risposta no,forse e' per questo che mi sento cosi' bene a questo inizio di giornata,.
Questo io lo chiamo " stare con con le cose".

P.S. Ma tutte le obiezioni che portate , per ritornare in tema, siete sicuri che non nascondano il vostro potentissimo desiderio di vivere in eterno?  :) :) :)   
      Non è detto che sia poi un affare.... :'( :'(
#1725
@ paul
E' impossibile farsi guidare dall'Ego se vedi la consistenza dolorosa e insoddisfacente del divenire ( se la vedi davvero, non se la affermi semplicemente come idea). Spontaneamente decade l'attrazione per ciò che è ripugnante. Ma il divenire è anche coscienza, sentimento, ragione, e quindi spontaneamente la mente rivolge l'attenzione a questo. Nessuna dualità, tra coscienza e natura. E' il rifiuto della metafisica come possibilità di dare un senso all'esistenza se non costruendolo su astrazioni concettuali inverificabili. In effetti quale altra concreta esperienza abbiamo se non quella del divenire e tutte le idee e formule che escogitiamo non si riferiscono sempre al divenire stesso? Persino le religioni sono piene di concetti "in divenire" ( Realizzazione del regno, fine dei tempi, Cieli nuovi e Terra nuova, beatitudine da conquistare con il tempo, ecc.). Questo , a mio parere, dimostra che le cause e condizioni che tengono in essere il divenire sono le stesse che formano la mente umana e il suo lavoro non può sfuggire alle stesse cause e condizioni, anche se ne è inconsapevole ( avidya).
Il centro unificatore, o anima che spiega  anche
@ davintro ( a proposito auguri!! :))
ha una consistenza  temporanea, legata al tempo. Al mutare delle condizioni e delle cause che lo determinano, si trasforma. Anche il corpo agisce come un tutt'uno. I piedi camminano insieme e le braccia dondolano alternativamente mentre passeggiamo, nel frattempo il cuore batte, lo stomaco digerisce e i polmoni respirano. Ma chi se la sentirebbe di dire che è eterno ?
E la mente che si trasforma: da neonato che non ha coscienza di sé, a bimbo che non vede differenza alcuna tra la realtà e i sogni, all'adulto che ha ricordi ma che costantemente li muta, li trasforma, li rimuove e poi al vecchio che perde tutti i ricordi e non distingue più il passato dal presente e perde qualunque possibilità di ragionare e di pensarsi, perchè invece desumiano che tutto questo processo sia l'esperienza di un'anima eterna ? Se quello è così anche questo deve essere necessariamente così, perchè ci dovrebbero essere due realtà separate? Una spirituale e una materiale?
Credo anche che la separazione creata dal pensiero greco-cristiano tra spirito e materia , con questa inferiore e da sottomettere e usare, abbia costruito le basi di una visione negativa e utilitaristica della Natura.
Per questo l'ho definita "Il Vivente" e noi , che siamo nella natura, siamo anche noi "Il Vivente". Quando cessa l'identificazione con l'Ego appare Il Vivente. Cosa c'è di più puro e sacro ?
Però credo che sono andato troppo fuori tema... :-\ :-\ :-\