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Messaggi - iano

#1741
Citazione di: Eutidemo il 08 Luglio 2024, 13:51:30 PM
Ciao Iano. :)
Tu confondi il "genere prossimo" con la "differenza specifica"; solo attraverso la quale si può distinguere un'"entità tipica" (mela) da un'altra un'"entità tipica" (pera), e sommare soltanto quelle della medesima "specie".
***
Ma cosa centra un trattato di tassonomia per quelle che erano semplici analogie?
Se tu pretendi di trattare allo stesso modo enti discontinui ed enti continui sei fuori strada.
Non è neanche pensabile imbastire fra le due cose un analogia.
#1742
Tematiche Filosofiche / Re: 𝜋
08 Luglio 2024, 13:11:55 PM
Citazione di: Eutidemo il 08 Luglio 2024, 11:41:56 AM
Ed invero, da profano, io ero e sono tutt'ora convinto che il possedere una "misura" sia nella "natura" di ogni "segmento di retta"; ed infatti, visto che ogni "segmento di retta" ha necessariamente una sua determinata "lunghezza", mi sembra implicito che essa debba anche essere necessariamente "misurabile"! ::)
Altrimenti:
- o si tratta di una retta infinitamente lunga;
- oppure si tratta di una retta infinitamente piccola (cioè, secondo me, un "punto").

Oppure si tratta di un numero irrazionale.
Se qualcosa ha una lunghezza non è implicito che sia misurabile, finché non specifichiamo in cosa consista l'operazione di misura.
La misura della lunghezza cioè non è assoluta, ma relativa a un sistema di misurazione che va specificato.
La misura è implicita nella lunghezza solo se confondiamo la lunghezza con la sua misura.

Passato qualche migliaio di anni da Pitagora non è che la incommensurabilità sia divenuta cosa più digeribile.
Rimane cosa indigeribile, e l'accettiamo solo perchè ne esiste una dimostrazione.

Da un punto di vista filosofico è interessante capire da dove si origina questa indigeribilità.
Evidentemente partiamo da un pregiudizio sulla realtà a noi tutti comuni, che ci rende difficile accettare la incommensurabilità.
Qual'è questo pregiudizio ''nascosto''?



#1743
Tematiche Filosofiche / Re: Essere ed esistere
08 Luglio 2024, 06:28:46 AM
Citazione di: Donalduck il 08 Luglio 2024, 01:40:19 AMPiuttosto non mi è chiaro cosa di preciso intenda TU quando dici che non esiste il caso puro ma solo lo pseudocaso, visto che non hai definito né l'uno né l'altro.


Il caso di cui parli tu e Monod è mancanza di intenzionalità, e contempla perciò diversi gradi, essendo graduabile l'intenzionalità.
Tutto ciò che non intenzionale è casuale.
Parlavamo dunque di due ''casi'' diversi.
Io intendo casuale ciò che non è soggetto alla catena di causa ed effetti, e perciò indeterminabile, e pseudocasuale ciò che pur essendo soggetto alla catena di cause ed effetti, come ad esempio il lancio di un dado, risulta imprevedibile di fatto.

Io non credo che il caso o pseudocaso che si ipotizza intervenga nella teoria dell'evoluzione sia ''mancanza di intenzionalità'', ma una impossibilità di determinazione per  principio, o in subordine di fatto.
Qui caso e determinismo si escludono a vicenda in modo netto, senza che si contemplino  gradi intermedi.
#1744
Tematiche Filosofiche / Re: 𝜋
07 Luglio 2024, 16:01:19 PM
Vorrei aggiungere ai miei precedenti post una considerazione che ritengo IMPORTANTE, sopratutto alla luce di un generale rigetto che viene espresso verso la matematica, e la scienza in generale.
Tutte le questioni cui matematici fisici e scienziati in genere ci danno come risolte, rimangono potenzialmente problemi ancora aperti ad ogni soluzione.
Ripercorrere le loro soluzioni e tentarne di nostre è un modo di farci sentire partecipi al processo scientifico, e al processo della conoscenza in generale, sentendolo come nostro, e non qualcosa che ci venga imposta dall'alto.
Qualcuno potrebbe ritenere oneroso questo percorso, fidandosi di ciò che gli scienziati ci dicono, cosa che non ritengo una cattiva idea, ma esistono alternative a ciò, come il nostro Eutidemo ci esemplifica di fatto.
Perchè anche se ripercorrere l'intera storia della conoscenza umana è di fatto impossibile, ripercorrerne in modo vivo almeno una sua parte, può darci ulteriori buoni motivi per porre fiducia nella scienza, seppur non la percorreremo tutta per intero un altra volta, perchè non abbiamo il tempo per farlo.
Io posso anche fidarmi del fatto che la scienza proceda in modo rigoroso, ma se posseggo almeno uno di questi esempi,  potrò meglio intendere cosa la scienza intenda per rigore.
Non c'è miglior modo di comprendere le cose che riuscire a ripercorrerle in modo autonomo, ma questo purtroppo è possibile farlo solo in parte.
Ma nella misura in cui riusciamo a farlo non vi dovremmo rinunciare.
Consiglio dunque a tutti di seguire l'esempio che Eutidemo ci dà.
Che poi è l'esempio di chi della sua curiosità, nei limiti del possibile, non fà lettera morta.
#1745
Tematiche Filosofiche / Re: 𝜋
07 Luglio 2024, 15:45:03 PM
Citazione di: iano il 07 Luglio 2024, 15:02:20 PMDiversamente l'alternativa è ammettere che, sebbene alcuni segmenti abbiano misura, l'avere una misura non è ciò che li caratterizzi in modo esclusivo.
Ciò comporterà che il ''possedere una misura'' non potrà entrare  a far parte della definizione del segmento di retta.
#1746
Tematiche Filosofiche / Re: 𝜋
07 Luglio 2024, 15:02:20 PM
Penso che il tuo sconcerto non sia nulla di nuovo, trattandosi dello stesso sconcerto provato da Pitagora nello scoprire l'incommensurabilità della diagonale del quadrato rispetto al suo lato, o, il che è lo stesso, l'incommensurabilità del lato del quadrato rispetto alla sua  diagonale.
Per raggio e circonferenza del cerchio il discorso è uguale.
Detto in altre parole, se il lato di un quadrato ''misura un numero intero'' ( o frazionario, perchè concettualmente non c'è differenza fra i numeri interi e i numeri frazionari) allora si può dimostrare che la diagonale del quadrato non ha misura.
Viceversa se la diagonale del quadrato ha misura allora il suo lato non ce l'ha.

Pitagora però sosteneva insieme agli uomini del suo tempo, e di qualcuno del nostro tempo ancora, come Eutidemo, che il possedere una misura fosse nella natura di ogni segmento di retta.
Pitagora al momento risolse la questione mettendo la sua scoperta sotto al tappeto, arrivando perfino ad uccidere chi quel tappeto cercò di sollevare, secondo la leggenda.

Quindi, se noi questa strage non vogliamo perpetuare, allora delle due una.
O la natura del segmento di retta non è quella di avere una misura in modo necessario, oppure è la natura stessa della misura a dover essere rivista.
Si è scelta nel tempo questa seconda opzione.
Quindi pur di mantenere l'assunto che ogni segmento di retta abbia una misura, di questa misura si è dovuta cambiare la natura.
Per farlo si è ammesso quindi che esistessero altri numeri oltre a quelli frazionari/interi, per quanto a prima vista tale operazione potesse apparire irrazionale, e non a caso irrazionali sono stati chiamati i nuovi numeri, di cui pigreco è un esempio.
Si può ancora oggi non condividere questa soluzione, ma i motivi che hanno portato ad adottarla dovrebbero essere adesso chiari.
Nessuno vieta di adottare comunque soluzioni alternative.
Quale soluzione alternativa proporresti tu Eutidemo?

La soluzione ufficialmente adottata in sostanza è stata quella di generalizzare il concetto di numero, portandolo oltre le nostre capacità intuitive, di modo che ogni segmento di retta potesse avere la sua misura, senza fare figli e figliastri fra i segmenti.
Diversamente l'alternativa è ammettere che, sebbene alcuni segmenti abbiano misura, l'avere una misura non è ciò che li caratterizzi in modo esclusivo.

#1747
Citazione di: Eutidemo il 07 Luglio 2024, 13:32:42 PM
Ciao Iano. :)
Il segmento di retta, secondo tutti i libri di geometria, è una parte di retta delimitata da due "punti", detti "estremi"; e se i due "estremi" vengono definiti "punti", non vedo perchè mai non definire "punti" anche gli elementi di quel segmento di retta delimitato dai due "punti estremi".
***
Allo stesso modo, se in una fila di mele ci sono due mele estreme, tra l'una e l'altra non possono che esserci altre mele.
***
Ciò premesso, mi pare che ne consegua che un segmento di retta possa benissimo essere definito come ciò che deriva da una "somma infinita di punti".
Cos'altro sennò?
***

Fino a che punto è lecito fare l'analogia fra un insieme continuo di punti, e un insieme discontinuo di mele?
Questa analogia è certamente il prodotto legittimo del nostro intuito, ma come detto dovremmo imparare ad usare l'intuito, laddove non possiamo farne a meno, in modo sorvegliato.
Possiamo sommare punti come fossero mele astraendo la loro diversa natura?

Allora tu scrivi che :'' Al che ti rispondo che le regole per sommare "due punti" sono le stesse previste per sommare "due mele"; l'importante è che si tratti di entità della stessa natura, e, cioè, che non si cerchi di sommare le "mele" con le "pere".''

Le mele con le pere si possono sommare se gli cambi nome, chiamandoli frutti, usando le stesse regole.
Parimenti per poter dimostrare che  per sommare mele e punti possano valere le stesse regole, dovremmo trovare un nome col quale indicare indifferentemente punti e mele.

Cioè non è tanto il possedere la stessa natura che ci consente di sommare le cose fra loro, ma al contrario dal riuscire a sommare cose diverse, come mele e pere, possiamo dedurne una natura comune, quella di essere frutti.
Ti sfido a fare la stessa operazione con mele e punti, riuscendoli a sommare fra loro, per dedurne la comune natura.
#1748
Non abbiamo allora più la libertà di sommare punti come fossero numeri, senza sottostare a precise nuove regole inventate ad hoc..
Nella geometria analitica, geniale creazione di Cartesio, in effetti si trattano i punti come fossero numeri e viceversa, ma secondo le precise regole che Cartesio ha dettato, e che i matematici che sono venuti dopo hanno meglio precisato.
Nella misura in cui queste regole non maneggiamo del tutto, possiamo ancora sopperire con l'intuito, ma con tutte le cautele del caso, avendone compreso meglio la natura.
Essendo infatti la natura dell'intuito, nel bene e nel male, molto elastica, esso ben si presta  a supportare pregiudizi di ogni genere che nascano dalla nostra soggettività, credendo in tal modo di poterci fare le nostre ragioni.
Non si tratta di voler assecondare il progetto di Cartesio per cui dietro ogni giudizio vi stia un calcolo che possa sottrarlo alla nostra soggettività, ma non è vero neanche il contrario.
Dopo Cartesio non possiamo far finta che nel nostro modo di pensare nulla sia cambiato.
#1749
Citazione di: Eutidemo il 07 Luglio 2024, 11:26:00 AM
Di conseguenza se sommassimo all'infinito entità geometriche prive di dimensioni, dovremmo ottenere una entità geometrica anch'essa priva di dimensioni (così come se sommassimo all'infinito degli zeri); ma poichè, invece, sommando un numero infinito di "punti" otteniamo un "segmento di retta", il quale costituisce sicuramente una "figura geometrica" dotata della dimensione della "lunghezza", ne deduco, "a contrario", che anche gli elementi che compongono tale "segmento di retta" debbono necessariamente avere anche una loro una sia pur "infinitesimale dimensione".
***

Se segmento di retta fosse definito come ciò che deriva da una somma di punti, avresti ragione.
Sappiamo come si fà a sommare due numeri, perchè ci sono precise regole per farlo, al punto che non bisogna sapere cosa significhi sommare due numeri, bastando seguire le regole, motivo per cui anche un computer può farlo.
Dovremmo conoscere parimenti le regole per sommare due punti per poterlo fare, e siccome finora io ne ho sentito parlare solo da te, mi aspetto che sia tu a darmele.
Indirettamente nel tuo discorso  richiami le regole per sommare i numeri, ma è corretto applicare quelle regole ai punti se i punti non sono numeri?

Io immagino che usare l'intuito equivalga ad applicare regole che non sono ben definite, pur essendoci, per cui le si può cambiare in corso d'opera, nella misura in cui non abbiamo coscienza di applicarle.
Una volta che però i matematici siano riusciti ad astrarre queste regole dall'intuito, non abbiamo più tutta la libertà di usarle che prima ci potevamo prendere.
#1750
Citazione di: Eutidemo il 07 Luglio 2024, 11:26:00 AM
Il che, però, con buona pace tua e di Euclide, secondo me non vuole affatto dire che il "punto" sia "privo di dimensioni", poichè ciò che è privo di dimensioni, secondo me, non può esistere neanche nel mondo astratto della geometria.
***
***

In astratto può esistere qualunque cosa.
Non può esistere del tutto nella misura in cui a questa astrazione non siamo in grado di abbandonarci del tutto, e tu sei un buon esempio di questa incapacità.
Niente di male, essendo una capacità che nel tempo abbiamo sviluppato, e che perciò non tutti possediamo allo stesso modo.
#1751
Citazione di: Eutidemo il 07 Luglio 2024, 11:26:00 AM
Ciao Iano.
Definire il "punto" come ''privo di dimensioni'' significa fare appello alla intuizione tua e di Euclide, ma non certo alla mia ed a quella di altri; secondo la quale il "punto" è quel "segmento infinitesimale di retta" del quale non se ne può concepire uno più corto.
***

Questo è appunto quello che succede quando si usa l'intuito, e questo è il motivo per cui si è ritenuto dover sottrarre la matematica all'intuito, seppur dall'intuito sia nata.
Questo è anche il risultato di una lunga storia che mi pare tu voglia ripercorrere coi tuoi passi.
Non è cosa facile a farsi, e richiede un dispendio di energia che non tutti possono permettersi, ma ripercorrere la storia rivivendola, per quel poco che ho provato io stesso a fare, è anche l'unico modo per capirla davvero.
Posso solo immaginare che la tua frase "punto è quel segmento infinitesimale di retta del quale non se ne può concepire uno più corto.'', sia un indizio del fatto che tu nella tua ricerca matematica ti sia imbattuto nel concetto di limite, che effettivamente al tempo di Euclide non esisteva, e questo è il motivo per cui lo puoi contrapporre ad Euclide, e impropriamente anche a me, essendo che ai tempi di Euclide nenche io non sono rimasto.
Mi pare cioè che tu voglia spacciare come frutto del tuo intuito un concetto che è sorto con grande fatica dalla lunga storia della matematica, che è quello di ''limite'' o di infinitesimo in generale, la cui primogenitura sarebbe da attribuire piuttosto a Leibnitz, e che tu presumibilmente hai solo orecchiato, facendolo tuo in qualche modo.
#1752

Quel cestino è la matematica, che agisce in noi sia che la conosciamo oppure no.
Nella misura in cui agisce a nostra insaputa oppure no, un cestino di tre mele ci apparirà in diverso modo, come una cosa in sè cui dare un unico nome nel primo caso, come un costrutto più complesso, di cose diverse poste in relazione fra loro, nel secondo caso.
Faccio un esempio significativo da non prendere alla lettera:oggi noi diciamo ''dodici uova'', ma una volta bastava dire ''una dozzina'', e ogni contenitore di realtà aveva un suo proprio nome asseconda di cosa e di quanto di quella cosa contenesse, perchè lo percepivamo come una sola cosa.
Una cosa, un nome.
#1753
Citazione di: Eutidemo il 07 Luglio 2024, 06:41:19 AMSecondo Enrico Gregorio, Professore associato di Algebra all'Università di Padova: "Nella geometria euclidea moderna (hilbertiana) il punto non è definito come "privo di dimensioni". :)
Definire il punto come ''privo di dimensioni'' significa fare appello alla nostra intuizione comune.
Ma il fare appello al nostro intuito, a un certo punto della storia della matematica, si è arrivati alla conclusione che non fosse strettamente necessario.
La storia è lunga e io non la conosco tutta, e in parte me la reinvento quando ne parlo.
Però la conclusione della storia posso darla per certo ed è la seguente.
Se non occorre necessariamente l'intuito per fare matematica, allora anche chi è privo di intuito può farla, come ad esempio un computer.
Ma abbracciando questo nuovo punto di vista riusciamo a dare ancora un senso, magari nuovo, alla definizione: ''Il punto è ciò che è privo di dimensioni''?
Credo di si, ma a patto di dimenticarsi di ciò che intuiamo essere punto e dimensione.
Punto e dimensione si riducono quindi a simboli, P e D ad esempio, posti all'interno della definizione in relazione logica fra loro.
perchè poi questa relazione possa essere rigorosa dovremo rinunciare alla lingua italiana che abbiamo usato nella definizione, per passare al logichese o matematichese, che sono comunque ancora lingue con tutti i difetti delle lingue come ha dimostrato Godel, ma che meglio si prestano allo scopo essendo state costruite per lo specifico scopo.
Così della nostra frase di partenza in lingua italiana resteranno i simboli P e D, e nuovi simboli logici che li pongano in relazione fra loro.
Da adesso in poi dovremo però dimenticarci della lingua italiana con tutto il suo portato di intuizione.
Un libro di matematica scritto in tal modo risulterebbe però incomprensibile a alla maggioranza di noi, divenendo materia specifica per programmatori di computer.
Nei testi di matematica allora troveremo ancora la lingua italiana, ma sarà da intendersi come metamatematica.
E a cosa dovrebbe servire tutta questa nuova matematica, oltre a poter programmare i computer?
Serve a descrivere potenzialmente la realtà, per cui potremo provare ad applicare alla realtà la definizione di P in termini di D, se ci sembrerà che nella realtà vi siano enti che possiedano questa relazione.
Detto in altri termini, se da un lato non sappiamo più cosa siano davvero un punto e una dimensione, o meglio se rinunciamo a saperlo in modo preventivo, punto e dimensione diventeranno possibili ''contenitori'' della realtà.
Se ho un cestino che contiene tre mele, cosa rimane se tolgo le mele?
Rimane un cestino che posso usare per metterci tre pere dentro, e ogni altra realtà che riesco farci stare.

La matematica emerge dalla realtà fatta di mele, come un cestino che le contenga, ma una volta così emersa, diviene indipendente dalle mele, e possiamo così usare il cestino per spiegare la realtà delle pere.
#1754
Tematiche Filosofiche / Re: Essere ed esistere
07 Luglio 2024, 09:22:37 AM
Citazione di: Donalduck il 06 Luglio 2024, 19:15:09 PMUna sinfonia di Beethoven, fino a prova contraria, non può essere generata da algoritmi psudocasuali.
Concordo, ma allo stesso tempo credo sia una semplificazione attribuire la sinfonia a Bethoven, come è una semplificazione attribuire la relatività ad Einstein, perchè significa ignorare le storie della musica e della scienza che vi stanno dietro.
Quindi ''vero'' che la sinfonia sia di Bethowen, ma solo nella misura in cui disconosciamo, o invece conosciamo, ma volutamente ignoriamo, La storia della musica.

La semplificazione in se non è un errore, ma una necessità descrittiva della realtà.
Il rischio è però poi credere che di quelle semplificazioni sia fatta la realtà.
Cioè il rischio è di confondere la descrizione della realtà con la realtà.
Caso e necessità di Monod a suo tempo l'ho letto, ma non è rimasto niente nella mia memoria, se non il fatto che lo trovai poco interessante.
In particolare non ricordo in che termini Monod parla di ''caso'', se intende che esista davvero il puro caso, oppure no.
Sarebbe bello se tu ci dessi una rinfrescata in una discussione a parte.

La mia personale posizione è che non siamo in grado di descrivere la realtà se non usando i concetti di caso e di determinismo, ma che questo non implica necessariamente che essi siano caratteristiche della realtà.
Allo stesso tempo non credo che caso e necessità siano concetti arbitrari, ma che noi li traiamo dal nostro rapporto con la realtà, e che questi concetti perciò possano evolversi insieme a noi.
Quindi, applicando il concetto di determinismo, a me pare che si possa chiamare in ''causa'' il caso o una sua simulazione senza che cambi nulla.
Le simulazioni del caso sappiamo bene cosa sono, o dovremmo saperlo, dato che siamo noi a metterle in atto.
Siamo noi infatti i costruttori di dadi.
Ciò ha la non banale conseguenza che siamo in grado di simulare l'evoluzione, se possiamo simulare il caso, e possiamo farlo all'interno di un processo ben determinato.
Lo facevamo quando come allevatori selezionavamo gli animali domestici, lo facciamo adesso sempre meglio, grazie a una descrizione sempre migliore del processo.
La conoscenza nasce dal fare e poi ne diventa causa?
Quale intelligenza potevano mettere in campo gli allevatori nell'applicare il progetto evolutivo se neanche lo conoscevano.
D'altronde non è cha la conoscenza proceda per illuminazioni, ma si tratta di una storia continua, che per esigenze narrativa viene raccontata come fatta di illuminazioni e di intelligenti e geniali trovate, come calassero dallo spirito santo.
Sarebbe quindi un errore ignorare col senno di poi quanto Darwin debba agli allevatori, e a tutti gli altri umani, perchè la storia della scienza è la storia del fare umano, raccontata coi limiti in cui, conoscendola,
riusciamo a farlo.

Ad Einstein che dice  ''Dio non gioca a dadi'', oggi potremmo provare a rispondere ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''
#1755
Con un segno di matita si può al massimo indicare un punto, non tracciarlo esattamente.
Esattamente se ne possono dare al massimo le coordinate.