Con questo tipo di temi, l'off topic è dietro l'angolo, eppure, secondo me, il discorso sul sacro (e quindi sulla eventuale sacralità della vita) è logicamente un punto di partenza prioritario rispetto alla tematizzazione diretta della pena di morte.
Se il sacro è un "espediente narrativo" della (post)modernità (ovvero una metafora sull'importanza di qualcosa, una copertura di alcuni dispositivi non-sacri) che nondimeno convive con le differenti tradizioni religiose e se la pena di morte è contemplata dal diritto di paesi in cui il sacro non è solo metaforico, è lecito chiedersi perché lo stato non debba decidere anche della vita di cittadini che hanno a loro volta deciso della vita di altri cittadini...
Se non c'è una sacralità della vita che prescinde dalla colpa e dai reati, se non c'è un'ordalia che rende superfluo il giudizio della legge umana (e nemmeno un capro espiatorio ad interrompere il ciclo della violenza, come ben osserva Kobayashi altrove), se l'essenza dello stato è essere approvato dai cittadini per poi poter disporre dei cittadini (secondo ciò che dovrebbe essere giusto e saggio) come conclude il condannato a morte la frase "no, non dovete uccidermi perché..."?
Se scardiniamo i concetti religiosi di "sacro", "colpa" e "perdono", il discorso sulla pena di morte diventa una questione fra giurisprudenza (pena proporzionale al reato) e sociologia (rieducazione sempre possibile?)... e non è detto sia un male
Se il sacro è un "espediente narrativo" della (post)modernità (ovvero una metafora sull'importanza di qualcosa, una copertura di alcuni dispositivi non-sacri) che nondimeno convive con le differenti tradizioni religiose e se la pena di morte è contemplata dal diritto di paesi in cui il sacro non è solo metaforico, è lecito chiedersi perché lo stato non debba decidere anche della vita di cittadini che hanno a loro volta deciso della vita di altri cittadini...
Se non c'è una sacralità della vita che prescinde dalla colpa e dai reati, se non c'è un'ordalia che rende superfluo il giudizio della legge umana (e nemmeno un capro espiatorio ad interrompere il ciclo della violenza, come ben osserva Kobayashi altrove), se l'essenza dello stato è essere approvato dai cittadini per poi poter disporre dei cittadini (secondo ciò che dovrebbe essere giusto e saggio) come conclude il condannato a morte la frase "no, non dovete uccidermi perché..."?
Se scardiniamo i concetti religiosi di "sacro", "colpa" e "perdono", il discorso sulla pena di morte diventa una questione fra giurisprudenza (pena proporzionale al reato) e sociologia (rieducazione sempre possibile?)... e non è detto sia un male

