Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Marzo 2018, 16:24:29 PMDa ignorante in materia, questa frase mi ha colpito: formalmente, ogni democrazia (anche quelle nate da un coacervo difforme di culture, come quella italiana) ha norme e leggi a tutela del debole. Quale norma nel corpus di leggi italiano, o europeo, o occidentale, mortifica il debole dandolo in pasto al forte?
Allora, ricapitolando un pò, io credo che la difesa delle categorie deboli (che per me è scopo primario) possa attuarsi
solo ed esclusivamente all'interno di uno "stato", cioè di una istituzione che, almeno potenzialmente, impone al "forte"
di rispettare i diritti del debole.
Scoprire che il denominatore comune fra tutte le culture europee è proprio la difesa del debole, non mi stupirebbe... che poi, concretamente, questa tutela non sia perfetta, incorruttibile ed efficientissima, si spiega con il fatto che viene applicata da umani, non da automi (parlare di nobili ideali non dovrebbe farci perdere il senso di realtà).
Con "difendere i deboli" intendiamo piuttosto risolvere la loro situazione di debolezza, "fortificandoli"?
Qui, a parer mio, giova ricordare quanto già osservato nel disincantato post di Viator sulla "naturale" funzionalità della diseguaglianza (resta comunque legittimo sognare un mondo futuro migliore).
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Marzo 2018, 16:24:29 PMPer quel poco che conosco, la globalizzazione non si sostituisce radicalmente alle differenti culture nazionali, le contamina differentemente senza scardinarle: se consideriamo l'Italia come "globalizzata", non per questo concluderemo che, deboli o forti che siamo, vivere in Italia o in un altro paese "globalizzato" sia indifferente... mi pare che il modo in cui una comunità "recepisca" la globalizzazione sia sempre unico, proprio in virtù del peculiare substrato culturale di partenza (con annessi temi e problemi in corso).
A mio parere, una istituzione di tipo statuale può avvenire solo se vi è almeno una certa omogeneità culturale.
Questo perchè non può darsi alcun "corpus" normativo tra individui che non posseggono almeno un "sostrato" valoriale
e di principio comune.
[...]Da questo punto di vista, non può darsi uno "stato" nella globalizzazione; perchè in essa manca la comunità, cioè
perchè manca un sostrato valoriale comune.
Mancando necessariamente lo stato, manca di conseguenza il diritto del debole di essere difeso dalla prepotenza del
forte.
I diritti dei deboli non credo vengano ignorati o calpestati a causa della globalizzazione in sé, ma per fattori contingenti locali, non globali: se non erro (ribadisco la mia ignoranza!) la globalizzazione non ha sacrificato i lavoratori italiani quanto ha sacrificati i lavoratori cinesi o indiani...
Di sovrastruttura in sovrastruttura (nazione, continente, globo), direi che la materia umana di base resta indomita e frammentaria, fatta di sottoculture, di microcosmi, di tribù mimetiche che rielaborano le sollecitazioni esterne secondo i loro "genius loci", mutandoli, rinnovandoli, sconvolgendoli ma senza mai risultare, almeno finora, totalmente indifferenziabili dall'esterno, dalle culture altre.
Oggi abbiamo certamente punti in comune anche con chi abita a 10000 km di distanza, ma le differenze dell'humus culturale sono rilevabili talvolta anche spostandosi di 10 km (varcando un confine...).
Stiamo ancora tentando di "fare gli italiani" mentre l'Italia invecchia (a dimostrazione di come leggi e mercato comuni non significhino cultura comune, nemmeno dopo decenni), e già vogliamo fare gli "europei" e i "globalizzati"... dubito sarà l'uso della lingua inglese, o un sistema operativo da smartphone, o un mercato virtuale online ad omogeneizzare le differenti visioni culturali del mondo.
P.s.
In fondo, anche "proletari di tutto il mondo unitevi" voleva essere una forma di globalizzazione metaculturale, no?
