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Messaggi - Phil

#1786
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Marzo 2018, 16:24:29 PM
Allora, ricapitolando un pò, io credo che la difesa delle categorie deboli (che per me è scopo primario) possa attuarsi
solo ed esclusivamente all'interno di uno "stato", cioè di una istituzione che, almeno potenzialmente, impone al "forte"
di rispettare i diritti del debole.
Da ignorante in materia, questa frase mi ha colpito: formalmente, ogni democrazia (anche quelle nate da un coacervo difforme di culture, come quella italiana) ha norme e leggi a tutela del debole. Quale norma nel corpus di leggi italiano, o europeo, o occidentale, mortifica il debole dandolo in pasto al forte?
Scoprire che il denominatore comune fra tutte le culture europee è proprio la difesa del debole, non mi stupirebbe... che poi, concretamente, questa tutela non sia perfetta, incorruttibile ed efficientissima, si spiega con il fatto che viene applicata da umani, non da automi (parlare di nobili ideali non dovrebbe farci perdere il senso di realtà).
Con "difendere i deboli" intendiamo piuttosto risolvere la loro situazione di debolezza, "fortificandoli"?
Qui, a parer mio, giova ricordare quanto già osservato nel disincantato post di Viator sulla "naturale" funzionalità della diseguaglianza (resta comunque legittimo sognare un mondo futuro migliore).


Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Marzo 2018, 16:24:29 PM
A mio parere, una istituzione di tipo statuale può avvenire solo se vi è almeno una certa omogeneità culturale.
Questo perchè non può darsi alcun "corpus" normativo tra individui che non posseggono almeno un "sostrato" valoriale
e di principio comune.
[...]Da questo punto di vista, non può darsi uno "stato" nella globalizzazione; perchè in essa manca la comunità, cioè
perchè manca un sostrato valoriale comune.
Mancando necessariamente lo stato, manca di conseguenza il diritto del debole di essere difeso dalla prepotenza del
forte.
Per quel poco che conosco, la globalizzazione non si sostituisce radicalmente alle differenti culture nazionali, le contamina differentemente senza scardinarle: se consideriamo l'Italia come "globalizzata", non per questo concluderemo che, deboli o forti che siamo, vivere in Italia o in un altro paese "globalizzato" sia indifferente... mi pare che il modo in cui una comunità "recepisca" la globalizzazione sia sempre unico, proprio in virtù del peculiare substrato culturale di partenza (con annessi temi e problemi in corso).
I diritti dei deboli non credo vengano ignorati o calpestati a causa della globalizzazione in sé, ma per fattori contingenti locali, non globali: se non erro (ribadisco la mia ignoranza!) la globalizzazione non ha sacrificato i lavoratori italiani quanto ha sacrificati i lavoratori cinesi o indiani...

Di sovrastruttura in sovrastruttura (nazione, continente, globo), direi che la materia umana di base resta indomita e frammentaria, fatta di sottoculture, di microcosmi, di tribù mimetiche che rielaborano le sollecitazioni esterne secondo i loro "genius loci", mutandoli, rinnovandoli, sconvolgendoli ma senza mai risultare, almeno finora, totalmente indifferenziabili dall'esterno, dalle culture altre.
Oggi abbiamo certamente punti in comune anche con chi abita a 10000 km di distanza, ma le differenze dell'humus culturale sono rilevabili talvolta anche spostandosi di 10 km (varcando un confine...).
Stiamo ancora tentando di "fare gli italiani" mentre l'Italia invecchia (a dimostrazione di come leggi e mercato comuni non significhino cultura comune, nemmeno dopo decenni), e già vogliamo fare gli "europei" e i "globalizzati"... dubito sarà l'uso della lingua inglese, o un sistema operativo da smartphone, o un mercato virtuale online ad omogeneizzare le differenti visioni culturali del mondo.

P.s.
In fondo, anche "proletari di tutto il mondo unitevi" voleva essere una forma di globalizzazione metaculturale, no? ;D
#1787
Tematiche Filosofiche / Re:Cosa significa capire?
06 Marzo 2018, 21:31:42 PM
Secondo me, capire/comprendere è un'attività mentale che si presenta come l'individuazione di un significato/senso (anche fuori dal linguaggio simbolico, come ci ricorda Eutidemo). 
Il parlante di Putnam che recita il cinese senza conoscerlo non è in grado di dare un senso a ciò che dice, ovvero non lo capisce.

Capire il teorema di Pitagora significa impossessarsi di un senso fruibile, riutilizzabile. Convocare la dimensione estetica permette però di allargare il campo del "capire" senza ridurlo all'utilitarismo: posso gradire un quadro senza capirlo, e quando mi viene spiegato (e qui entra in gioco l'aspetto sociale citato da Epicurus) non vengo in possesso di un senso utilizzabile ulteriormente, ma solo "archiviabile" (banalizzando: il quadro x "significa" y). Per cui il capire non implica sempre un'acquisizione strumentale, ma talvolta solo cognitiva, come quando, osservando qualcuno, capisco che è nervoso o capisco che la frase che usa è una parodia di un proverbio famoso. 
Il denominatore comune a tutte le sfumature di "comprensione" è quindi l'individuazione di un senso/significato? Si tratta allora di definire cos'è un senso/significato... e in bocca al lupo  ;D  (Il senso è una decifrazione concettuale-mentale che sovrapponiamo alla realtà o associamo ad un input, visivo o uditivo?).

Come osserva Angelo, per capire si parte sempre dal noto; Krashen parlava di "acquisito +1", ovvero si aumenta gradualmente la conoscenza che già si ha (se non ho conoscenze di elementare matematica di base, difficilmente capirò il teorema di Pitagora). 
La (ri)combinazione del noto può poi fare luce sull'ignoto, come nel caso della fisica quantistica a cui allude Iano (la risultante della combinazione fra conoscenze note non è sempre solo la mera somma delle nozioni usate). Tuttavia per capire la fisica quantistica, bisogna prima che essa sia stata formulata... e spesso la formulazione della comprensione scientifica è la creazione di un senso, più che una "scoperta" (il "senso" del tragitto del sole è stato prima interpretato come geocentrismo, poi come eliocentrismo), e ritorniamo alla vecchia faccenda della mappa e del territorio  ;)
#1788
Tematiche Filosofiche / Re:Ci sono cose
03 Marzo 2018, 16:42:38 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM
Il mio scopo era spiegare in che senso sia possibile parlare dell'essere come se fosse un sostantivo. Il senso è quello che ho detto: risultato di un processo di astrazione.
Pensavo ti riferissi al verbo "coniugabile", non alla sua forma di infinito sostantivato (la cui "costruzione", nel caso del verbo essere, non mi pare peculiare rispetto agli altri verbi...). Il processo di astrazione si basa comunque sul senso dell'infinito del verbo (la cui definizione resta quindi cruciale).

Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM
se sono inciampato vuol dire che non ci stavo pensando e quindi la pietra esisteva quando io non pensavo ad essa.
Forse non esisteva prima che la percepissi, direbbe qualcuno... (ok, qui faccio l'avvocato del diavolo ;) ).
Infatti, non la penso ma la sento, ovvero la sua esistenza dipende per me dal mio sentire (fuori dai miei sensi e dal mio pensiero, non posso fare asserzioni di esistenza). In questo senso dicevo:
Citazione di: Phil il 02 Marzo 2018, 17:13:32 PM
Per poter parlare di quella pietra (e della sua oggettività) senza pensarla, dobbiamo almeno percepirla... [...] Tale oggettività risulta dunque sempre soggettiva (pensata o percepita che sia).


Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM
la pietra, alla prova dei fatti, dimostra di esistere senza bisogno che io debba pensarla.
La pietra non fa né dà dimostrazioni (suvvia, non umanizziamola, altrimenti passiamo dalla filosofia alla letteratura  ;D ) sono sempre io a poter parlare della sua esistenza, pensandola o percependola (almeno, non vedo altri canali...).

Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM
non è possibile stabilire distanze nel tempo. Cioè, non possiamo dire "la memoria può tradirmi solo oltre una settimana; se è passata meno di una settimana ho la certezza di ricordare alla perfezione". No: se stabiliamo che la memoria può tradirci, ne consegue che essa può tradirci anche nell'arco di un milionesimo di secondo.
Distinguerei attentamente il "ricordare" dal "pensare". "Penso a una carta" non è "ricordo una carta".
Inoltre, (anche a me, come a Sgiombo, è tornato in mente quell'enigmista di Zenone!) nel parlare di infinita divisibilità del tempo o di milionesimi di secondo, non dovremmo mettere totalmente da parte i "limiti strutturali" dell'essere umano: i milionesimi di secondo esistono solo razionalmente, sulla carta, ma non possono essere percepiti-vissuti coscientemente... se un display me ne mostrasse il fluire in tempo reale, io non vedrei nulla (troppo veloci!), e ovviamente non li identificherei se provassi a contarli (pronuncia troppo lenta!).
Non credo sia possibile avere coscienza del milionesimo di secondo, né tantomeno memoria: fra un milionesimo di secondo e un altro, il mio corpo è quasi immobile, quasi identico al milionesimo di secondo precedente (si sarà mosso al massimo qualche elettrone, o comunque niente di cui io sia minimamente cosciente... oppure è tutta una questione di lentezza percettiva personale?  ;D ).
Mi sembra quindi che ci sia un "tempo minimo" sotto il quale non abbiamo ancora memoria (ma non chiedermi qual'è la sua unità di misura, se siano secondi o decimi...) e tale tempo minimo sancisce la differenza fra pensiero-presente e memoria-presente del passato (differenza squisitamente umana, dovuta al "ritmo" della sua biologia).

Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM
Ne consegue che non si tratta solo del fatto che io non posso mai essere certo di cosa ho pensato; si tratta del fatto che non posso mai essere certo neanche di cosa sto pensando, perché anche nel presente è pur sempre questione di memoria. [...] Se posso essere tradito dalla memoria, significa che posso essere tradito anche nel contare una sola carta. Ecco quindi la conclusione terribile: non possiamo mai stabilire di star pensando davvero ciò che ci sembra di star pensando.
L'incertezza radicale su cosa sto pensando, nell'atto presente ed (auto)evidente di pensarlo, è inattuabile (se non inattendibile), sia in teoria che in pratica: in teoria, se dovessi dubitare di aver davvero pensato alla "donna di fiori" (l'8 marzo si avvicina  ;) ), dovrei poi dubitare anche di aver davvero pensato di dubitare di aver pensato quella carta, e così via... in pratica, ciò comporterebbe uno stallo catatonico in cui il mio pensiero non sarebbe in grado di guidare un solo gesto, restando intento a dubitare del suo medesimo pensarsi (in una spirale paranoica, inibitoria dell'azione). Se invece fosse un esterno a dirmi che in realtà io non pensavo alla carta, perché non dovrei dubitare anche di lui? E via con altre catene infinite e autoreferenziali di dubbi "esponenziali"...
Direi che l'autoevidenza del pensiero presente (al di sotto del suddetto "tempo minimo") possiamo serenamente lasciarla fuori dal dubbio, almeno se vogliamo continuare a vivere fuori dal manicomio  ;D

Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2018, 00:58:24 AM
Infatti tu hai parlato di evidenza. Ma l'evidenza, di fronte alle esigenze severissime della filosofia, non ha alcun valore.
Le "esigenze severissime" le ha la metafisica classica (mossa dalla fede in utopiche perfezioni e assolute trascendenze), mentre la filosofia attuale può essere, di diritto e di fatto, anche più "bonacciona" e "giocosa".
Sostenere che "l'evidenza non ha alcun valore" significa non poter fondare alcuna filosofia (allora, da dove si parte?), e men che meno una qualsivoglia epistemologia (per cui si riaffaccia l'ipotesi della letteratura  ;) ).
Problematizzare l'evidenza, indagandone il valore (senza negarlo), significa fare filosofia (almeno secondo me... e anche secondo Marleau Ponty: "il filosofo deve avere il gusto dell'evidenza e il senso dell'ambiguità").
#1789
Non sono pratico di filosofia politica, e ancor meno del panorama politico attuale, tuttavia mi è capitato più di una volta di ascoltare persone, decennalmente "di sinistra", dichiarare con sinistro disappunto di non riconoscersi più totalmente in quell'ideologia, di sentirsi un po' più disincantati (e disimpegnati) nei confronti dalla fervente ambizione di rivoluzionare la società secondo quelle categorie. 
Ciò rappresenta, secondo me, un duplice sintomo: un cambiamento personale di prospettiva (quasi inevitabile, per una mente attiva, con il passare dei decenni) e la presa di coscienza del mutamento della società (e delle sue strutture) a cui si vorrebbe applicare un paradigma comunque figlio di altri tempi (forse gli ideali non scadono, ma le ideologie direi di si...).
Magari gli obiettivi e i valori di queste persone sono rimasti (circa) gli stessi, ma le modalità con cui sperano di realizzarli sono mutati (assecondando il duplice mutamento, individuale e della società), per cui il "programma" marxista li vede meno fiduciosi e coinvolti, talvolta persino "eretici"  ;D
Non voglio dire che si tratta di un mutamento "fisiologico" per chi è stato animato in gioventù dall'utopia comunista ("utopia" non è dispregiativo, ovviamente :) ), tuttavia suppongo non sia solo una questione di non potersi riconoscere in un partito attuale: parlare oggi di "borghesia" o "proletariato" (e forse persino di "classe") significa rischiare di essere inattuali, sganciati dalle dinamiche socio-economiche in atto; distacco anacronistico che infatti riconosci quando osservi che
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Marzo 2018, 20:16:29 PMSi rende dunque necessaria una ripresa "identitaria"; una ripresa del concetto di "nazione"; perchè quel "diritto" che, solo, può arginare il Mercato e tutelare le classi svantaggiate, può sorgere solo ed esclusivamente all'interno di una entità collettiva culturalmente omogenea.
uno scenario in cui europa, multiculturalismo e globalizzazione (ovvero il mondo occidentale in cui viviamo, volenti o nolenti) dovrebbero riavvolgere la bobina della propria storia (che li ha affermati sul palcoscenico dell'umanità), per riportare la situazione ad almeno mezzo secolo fa, quando non c'erano dubbi su quale fosse il "vangelo di sinistra", e la sua promessa di un mondo migliore era ritenuta da molti attendibile.


P.s.
A scanso di equivoci, ribadisco che non ho posizione politica (poiché non me ne sono mai interessato), propongo questa osservazione senza voler quindi insinuare che la prospettiva di sinistra sia fallimentare o che il multiculturalismo sia un bene o che un ritorno alle nazioni in senso "forte" sarebbe un male (o sia impossibile). Il cambio di paradigma è quello che trovo interessante (per come lo intravvedo anche fra le righe del post di Oxdeadbeef), nella fattispecie la difficoltà di "aggiornare" l'ideologia di sinistra, che porta alcuni suoi (ex?)sostenitori alla posizione espressa dal titolo del post (essendo ignorante di politica, non mi interessano dunque tanto i giudizi di valore: giusto, sbagliato, etc. quanto piuttosto cercare di decifrarne le dinamiche "filosofiche").
#1790
Tematiche Filosofiche / Re:Ci sono cose
02 Marzo 2018, 17:13:32 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
L'essere è la qualità, l'attributo, la caratteristica, posseduta da tutte le cose a cui riteniamo possibile applicare l'uso del verbo essere.
Definizione forse "da manuale", che tuttavia mi sembra piuttosto circolare; ovvero presuppone che sia sappia già cosa significhi "essere", altrimenti risulta inintelligibile: parafrasando, "l'essere è ciò che rende applicabile il verbo essere"?
Non aiuta molto a definire chiaramente l'essere, ne descrive solo il campo d'applicazione ;)

Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
In altre parole, è il risultato di un processo di astrazione [...] considerando tutte le cose a cui troviamo modo di applicare il verbo essere, riusciamo ad astrarre l'attributo di essere.
Circolarità viziosa in azione: applichiamo il verbo essere perché possiamo astrarre l'attributo di essere, e viceversa... di sicuro logicamente funziona (come tutte le petitio principii), ma non ha molto peso argomentativo né esplicativo.
Come dire "astraiamo la bellezza da ciò che troviamo bello, e troviamo bello ciò da cui astraiamo la bellezza", è senz'altro vero, però non ci agevola molto nel capire cosa sia e come funzioni la bellezza...

Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
In base alla definizione che ne ho dato, è importante notare che l'essere non appartiene soltanto agli oggetti che riusciamo a situare in un tempo e uno spazio, come ad esempio una pietra; l'essere appartiene anche a quanto di più irreale possiamo immaginare
Personalmente, prediligo la definizione alternativa (non autoreferenziale) che definisce l'essere (grammaticale) come l'avere un'identità individuata da una connotazione spaziale e/o temporale:
Citazione di: Phil il 27 Febbraio 2018, 23:07:01 PM
direi che essere-esistere significa avere una connotazione spazio-temporale: per l'uomo esiste tutto ciò che egli riesce a collocare in uno spazio e/o in un tempo... non solo in senso percettivo (sensazioni, percezioni, etc.), ma anche "interiore": se penso ad un'idea astratta (all'anima, a una chimera, a me in decomposizione fra 100 anni, etc.), quella idea ha comunque una connotazione temporale, ovvero il momento in cui la penso, e spaziale, essendo (apparentemente) "localizzata" nella mia mente (o nella vocina che la abita  ;D ).

Per questo il prospettivismo è, secondo me, un buon punto di partenza per riflettere sull'esistenza [...] per cui dovremmo, a questo punto, iniziare a distinguere fra i vari tipi (o piani) di esistenza, disambiguando i possibili sensi


Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
se la pietra dimostra di esistere senza bisogno di essere pensata da alcuno, ciò significa che la sua esistenza è oggettiva, cioè vera.
Per poter parlare di quella pietra (e della sua oggettività) senza pensarla, dobbiamo almeno percepirla... altrimenti come "ci dimostra di esistere senza bisogno di essere pensata da alcuno"? Tale oggettività risulta dunque sempre soggettiva (pensata o percepita che sia).

Vecchio (e inflazionato) koan: che suono fa un albero che cade quando non c'è nessuno ad ascoltarlo?
Qui la verificabilità vacilla e non consente risposte "scientifiche" ;D


Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
l'esistenza di quella pietra è capace di imporsi con validità universale: essa esiste non solo anche quando nessuno la pensa, ma anche contro chi volesse osare pensarla diversamente da com'è. L'esperienza dimostra che chi volesse osare ignorare l'esistenza di quella pietra, oppure pensarla diversamente da com'è davvero, ci rimette, ne paga le spese, a caro prezzo. Ecco la potenza della verità universale. L'essere è verità universale. Anche quando penso al cavallo volante, la sua esistenza nella mia fantasia è una verità universale. Negare che esso esiste nella mia fantasia magari non avrà le conseguenze di quando neghiamo l'esistenza della pietra, ma ormai abbiamo capito che significherebbe comunque allontanarsi dalla verità, dalla verità oggettiva, la verità universale.
L'oggettività percepita dai sensi, la verità universale, etc. sono temi cari alla filosofia metafisica occidentale; per confutazioni e decostruzioni in merito, ci si può rivolgere alla fenomenologia, al postmoderno, alle neuroscienze, ad alcune correnti orientali (le lascio qui solo come spunto  :) ).

Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
il terribile sospetto che non è affatto vero che l'essere sia indipendente e la cosa curiosa è che ci stiamo arrivando semplicemente portando avanti le conseguenze di averlo pensato indipendente: se è indipendente è universale, se è universale deve misurarsi con chi lo pensa, se deve misurarsi con chi lo pensa viene fuori che non è universale. Abbreviando i passaggi, viene fuori che se l'essere è universale si ha come conseguenza che non è universale.
Mi lascia un po' perplesso la premessa "se è universale deve misurarsi con chi lo pensa": perché deve, se è davvero indipendente?

Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2018, 01:25:47 AM
Tornando alla conseguenza terribile, significa che quando io ritengo di aver pensato, ad esempio, ad una pietra, non potrò mai sapere se in realtà ho pensato invece al teorema di Pitagora o al gatto con gli stivali. Quando io ritengo di aver pensato al concetto di verità, nulla mi garantisce che io abbia davvero pensato al concetto di verità; potrei aver pensato invece a Cappuccetto Rosso ed essermi illuso di aver pensato al concetto di verità. Quando dico "Questa cosa è vera" e sono certo di aver pensato ciò che ho detto, nulla mi garantisce che io in realtà abbia pensato a come faceva Picasso a disegnare o a quanti violini ci sono in una sinfonia di Mozart.
Nell'istante dell'autocoscienza del pensiero, se penso intensamente ad una palla rossa, non posso pensare al teorema di Pitagora; l'immagine mentale, nella sua (auto?)evidenza, non lascia molto spazio a dubbi... come diceva Sgiombo, il discorso cambia se invece tiriamo in ballo la memoria (soprattutto dopo una certa età... ;D ).


#1791
Tematiche Filosofiche / Re:Ci sono cose
01 Marzo 2018, 18:06:20 PM
Citazione di: sgiombo il 01 Marzo 2018, 15:25:24 PM
Ma dall' esistenza dell' "io" (esistenza reale, non meramente in quanto concetto pensato-pensabile! E al contrario che in questo senso), non consegue necessariamente l' esistenza anche di altro (non io).
Una volta posto l'io, per negazione logica, possiamo porre automaticamente il non-io (se poniamo "A", diventa subito logico anche identificare "non-A"). Fuori dalla logica, passando all'ontologia e all'esistenza cosiddetta empirica (che è il piano a cui ti riferisci, giusto?), mi pare parimenti ragionevole supporre che, se io esisto, plausibilmente non sono l'unica "cosa" che esiste:
Citazione di: Phil il 26 Febbraio 2018, 17:15:46 PM
posso dubitare dell'affermazione "io esisto" (come direbbe Cartesio) ovvero "io ci sono", qualunque "cosa" io sia?
Se così fosse, allora dovremmo considerare possibile il "io non esisto/non ci sono", che è palese non-senso: se non esisto, difficilmente posso pensare qualcosa, fosse anche di non esistere...
[...] A questo punto posso pensare di essere l'unica "cosa" che c'è? No, perché ci sarà almeno un'altra "cosa" che è tutto ciò che io non sono... fosse anche il vuoto cosmico in cui sono immerso sognante, oppure un capello che si stacca dal mio corpo, oppure l'aria che respiro, oppure un'altra dimensione in cui non sono nemmeno consapevole di essere, etc.

Comunque, almeno due cose ci sono: l'io e il non-io (intesi nel senso più indeterminato e "aperto" possibile); quindi, persino rispettando il solipsismo più fantasioso e radicale, direi di si, possiamo essere abbastanza certi che "ci sono cose" (il "quante", il "come" e il "cosa" siano, è poi un'altra storia...).
In fondo, mi basta tagliarmi un'unghia per produrre un "non-io" empirico abbastanza attendibile  ;D
#1792
Tematiche Filosofiche / Re:Ci sono cose
28 Febbraio 2018, 17:38:03 PM
Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
@phil.
Dal semplice,teoremino, se "esisto io allora esistono cose" ho derivato che io e non io sono fatti della,stessa sostanza.
Non capisco... fuoco e non-fuoco sono fatti dalla stessa sostanza? Se esisto io è semmai probabile che ci siano cose sostanzialmente differenti da me...
Intendi "sostanza" come "parolaccia metafisica"  ;D ?

Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Il punto è che , se è vero , come io credo , che la percezione di noi stessi sia problematica e ricettacolo di ogni dubbio , allora , per il teorema , almeno al livello basso in cui ci porta il teorema , il sasso è ugualmente problematico nella sua esistenza. Nella fisica quantistica questa problematicità viene fuori in modo esemplare.
Infatti
Citazione di: Phil il 27 Febbraio 2018, 23:07:01 PM
Se per "cose" intendiamo invece una serie di oggetti esterni autonomi dal mio pensarli, allora ci imbattiamo nell'atavica diatriba fra realismo e idealismo, che potremmo inasprire ulteriormente condendola con una spolverata "orientale" di considerazioni buddiste sulla "convenzionalità"  ;)

Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Ma prima o poi le contraddizioni saltano fuori , e quando saltano fuori , bisogna fare un passo indietro e specificare a che livello si discute.
Sottoscrivo:
Citazione di: Phil il 27 Febbraio 2018, 23:07:01 PM
dovremmo, a questo punto, iniziare a distinguere fra i vari tipi (o piani) di esistenza, disambiguando i possibili sensi

Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Scherzando sintetizzerei la questione citando Paolo Conte.
Da adulti sbagliamo da professionisti, mentre sono molto più concreti i bambini quando giocano a 
"facciamo che io ero" . 😬
Come ci ricordano i bambini l'esistenza è un gioco.
C'è lo ricordano perché noi una volta lo sapevamo.😊
Allora,se proviamo a tornare bambini ci apparirà chiaro che la realtà nasce dall'immedesimazione in un gioco  che non si sa di star giocando.
Perché non lo abbiamo iniziato noi quel gioco , e non abbiamo neanche deciso di giocarlo , ma ci siamo semplicemente trovati dentro al gioco.
Eppure la consapevolezza di quel gioco è un traguardo filosofico importante, che rende uomo il bambino (e non è detto si viva meglio  ;D ).

Citazione di: iano il 28 Febbraio 2018, 02:40:35 AM
Se però decidiamo di giocare quel gioco le regole le detta la scienza , anche se non sempre sono chiarissime perché sporcate umanamente sempre di metafisica.
La filosofia della scienza è infatti chiamata, nei limiti del possibile, a fare da "lavatrice della scienza"  ;D
#1793
Tematiche Filosofiche / Re:Ci sono cose
28 Febbraio 2018, 17:13:02 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
Il verbo essere/esistere non può essere spiegato
La poni già come una conclusione indubitabile?  ;D
Sostenere che "il verbo essere/esistere non può essere spiegato"(corsivi miei) non è un'autoreferenza piuttosto oscura, in cui si usa ("non può essere" dici) proprio ciò che si ritiene inspiegabile (il verbo "essere")?

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
Da qui possiamo passare ad una seconda ragione per cui è impossibile spiegare il verbo essere: perché, ammesso che se ne trovi una spiegazione qualsiasi, questa spiegazione avrebbe a sua volta bisogno di essere spiegata e così all'infinito.
Ogni definizione essendo convenzionale (arbitraria) può essere problematizzata mettendo in discussione gli assunti su cui si basa. Ciò non vale quindi solo per il povero verbo "essere" ;); anzi, vale ancora di più per le parole o i verbi che presuppongono il verbo essere (che, difficile non concordare, non è certo un verbo qualsiasi...).
Eppure abbiamo bisogno di usare un linguaggio, e per usarlo dobbiamo accettarne le definizioni (pur lasciandole diacronicamente modificabili, come direbbe De Saussure).
La "fruibilità" di una definizione viene messa alla prova dal suo utilizzo pragmatico: prova ad usare la definizione che ti ho proposto, se la accetti, incappi in fraintendimenti, aporie, ambiguità, oppure funziona?
Mettiamola pure in discussione (siamo qui per questo  :) ), ma mentre lo facciamo o smettiamo di usare il verbo "essere" (se è vero che non riusciamo a definirlo, e usare parole indefinite non giova certo alla comprensione) oppure ne proponiamo un'altra più "spendibile".


Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
La spiegazione data da Phil permette di far luce su un terzo motivo per cui non è possibile spiegare il verbo essere: le nozioni di spazio e tempo sono nozioni esperienziali e difatti non è difficile renderci conto che il verbo essere è nato per descrivere l'esperienza umana. Ma l'esperienza umana non è nata come riflessione, è nata come semplice esperienza, accompagnata da linguaggi utili a comunicare.
Il fatto che una definizione sia basata su "nozioni esperienziali" è davvero un difetto per la definizione stessa? Se devo definire significati difficili da ingabbiare in spiegazioni, come il dolore, l'amore, o altro, non giova proprio far appello all'esperienza?
Secondo me, l'avere radici esperibili rende una definizione ancora più salda e attendibile (prevenendo sterile astrattismo definitorio).

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
Il problema quindi è che la filosofia, con le sue esigenze severissime, si trova in realtà a doversi servire del linguaggio umano, il quale non è nato con tutta questa severità.
Inevitabilmente la filosofia usa il linguaggio umano (non mi pare un "problema", tutte le discipline fondano i loro linguaggio specifici su quello umano, se per "umano", intendi "comune"...).

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
In questo senso il verbo essere non può essere definito perché non è nato con intenzioni di assoluta precisione, come esige la filosofia, ma per scopi semplicemente pratici e quindi intriso di approssimazione e mancanza di chiarezze teoretiche.
Non confonderei la semplice riscontrabilità, l'intuitività, la funzionalità diffusa, con l'approssimazione e la mancanza di chiarezza. Ripensa ancora ad alcune delle definizioni che trovi in giro (per non citare sempre solo la mia  ;D ), alcune definiscono abbastanza chiaramente il verbo essere (non sempre una definizione deve essere stringente o rigida, la forza della lingua è proprio la sua controllata versatilità semantica!).

Citazione di: Angelo Cannata il 28 Febbraio 2018, 00:56:38 AM
In realtà, che il verbo essere non possa essere definito, è stato già in vari modi sostenuto, più o meno implicitamente, da molta filosofia: cos'hanno sostenuto i sofisti se non l'impossibilità di definire alcunché? Ritengo che il culmine sia stato raggiunto da Heidegger, nel sostenere che non esiste l'essere; l'unica cosa di cui ha più senso parlare è l'essere in quanto esserci, l'esserci nostro, il nostro essere nel mondo. In altre parole, Heidegger ci ha fatto capire che non possiamo definire l'essere perché, trovandoci interamente coinvolti in esso, non abbiamo alcuna alcuna possibilità di distanziarci da esso per poterlo definire. Qualsiasi definizione di essere non può fare a meno di essere viziata, condizionata, inquinata, da sé stessa, dal proprio stesso esistere.
Vogliamo emancipare il linguaggio dal verbo essere? Si può fare... ma useremo pur sempre un linguaggio convenzionale in cui si porrà l'inaggirabile problema di come fondare le definizioni (se si esclude la convenzione stessa che le fonda, dubitandone  ;) ). A questo punto il linguaggio va in stallo autoreferenziale: possiamo usare il linguaggio per criticare se stesso e possiamo anche produrre un linguaggio differente, ma si tratta comundi condividerne le definizioni con le persone con cui lo usiamo.
Tu, quando usi il verbi essere, a cosa ti riferisci? Qual'è l'effetto filosofico collaterale di intendere il verbo essere in quel modo? Puoi ritoccare la definizione per renderla meno inibitoria o confusa?

Su Heidegger farei molta attenzione: è ancora sul terreno metafisico, seppur "in fuorigioco", e la sua analitica dell'Essere (occhio alla maiuscola!) sfocia in un linguaggio poetante di difficile fruizione; non mi pare sia un buon esempio della fertilità della critica al verbo essere... che l'essere sia sempre un esserci aiuta forse a definire meglio l'essere, ma si tratta pur sempre di definirlo (concettualmente) prima di usarlo (semanticamente), il che presuppone che l'indefinibilità che postuli sia solo apparente.

Puoi citare altri nomi (Korzibski, Frege o alcuni analitici di oltre oceano), e comunque scommetto troverai una critica che è rivolta all'uso attento della parola, ma che non destituisce la sua funzione semantica, basata sulla sua definizione (almeno nelle lingue che la usano e che strutturano le loro filosofie usando quelle lingue... il che non toglie che alcune lingue possano farne a meno).

P.s.
Se chiedi la spiegazione di "cosa significa essere-esistere", e poi sostieni che non ti fidi perché la definizione si basa sull'arbitrarietà, vuol dire che era una giocosa domanda-trabocchetto, perché ogni definizione linguistica è inevitabilmente convenzionale; tuttavia, in fondo, se non accettiamo tali convenzioni non abbiamo un linguaggio da usare (né da modificare).
#1794
Tematiche Filosofiche / Re:Ci sono cose
27 Febbraio 2018, 23:07:01 PM
Citazione di: iano il 27 Febbraio 2018, 19:31:10 PM
Se ci sono io , allora ci sono cose che non sono io.
Un teorema breve e conciso, che non comporta necessariamente che ci siano cose.
Certo, alludevo infatti alla diade minima dell'ontologia: "io" e "non-io", le due "cose" (parola di cui "cavalcavo" la vaghezza ;) ) di cui non posso dubitare a cuor leggero; salvo, appunto, ritenere che forse non sto esistendo in nessun modo (!) o che sono l'unico ente ad esistere (?!).
Se per "cose" intendiamo invece una serie di oggetti esterni autonomi dal mio pensarli, allora ci imbattiamo nell'atavica diatriba fra realismo e idealismo, che potremmo inasprire ulteriormente condendola con una spolverata "orientale" di considerazioni buddiste sulla "convenzionalità"  ;)

Citazione di: Angelo Cannata il 27 Febbraio 2018, 01:02:02 AM
Qualcuno in questo mondo sa spiegarmi cosa significa essere, esistere?
Così al volo, pensando al senso in cui lo intendo (ma forse non solo io), direi che essere-esistere significa avere una connotazione spazio-temporale: per l'uomo esiste tutto ciò che egli riesce a collocare in uno spazio e/o in un tempo... non solo in senso percettivo (sensazioni, percezioni, etc.), ma anche "interiore": se penso ad un'idea astratta (all'anima, a una chimera, a me in decomposizione fra 100 anni, etc.), quella idea ha comunque una connotazione temporale, ovvero il momento in cui la penso, e spaziale, essendo (apparentemente) "localizzata" nella mia mente (o nella vocina che la abita  ;D ).

Per questo il prospettivismo è, secondo me, un buon punto di partenza per riflettere sull'esistenza: se domani farai una lista della spesa, per me, quella lista della spesa non esisterà; almeno finché non entrerà nella mia prospettiva in un qualche modo. Tuttavia, ora che ne parlo, esiste già, seppur solo come ipotesi... per cui dovremmo, a questo punto, iniziare a distinguere fra i vari tipi (o piani) di esistenza, disambiguando i possibili sensi a cui si riferisce "cose"  ;)
#1795
Tematiche Filosofiche / Re:Ci sono cose
26 Febbraio 2018, 17:15:46 PM
"Ci sono cose" mi pare una frase piuttosto indubitabile, soprattutto grazie alla vaghezza della parola "cose": posso dubitare dell'affermazione "io esisto" (come direbbe Cartesio) ovvero "io ci sono", qualunque "cosa" io sia? 
Se così fosse, allora dovremmo considerare possibile il "io non esisto/non ci sono", che è palese non-senso: se non esisto, difficilmente posso pensare qualcosa, fosse anche di non esistere... 
Quindi c'è almeno una "cosa", che è ciò che sono (anzi, distinguendo ciò che sono dalla vocina che sento in testa ;D , siamo già in due, ma concediamoci di dubitare pure di questa dualità...).

A questo punto posso pensare di essere l'unica "cosa" che c'è? No, perché ci sarà almeno un'altra "cosa" che è tutto ciò che io non sono... fosse anche il vuoto cosmico in cui sono immerso sognante, oppure un capello che si stacca dal mio corpo, oppure l'aria che respiro, oppure un'altra dimensione in cui non sono nemmeno consapevole di essere, etc.

Comunque, almeno due cose ci sono: l'io e il non-io (intesi nel senso più indeterminato e "aperto" possibile); quindi, persino rispettando il solipsismo più fantasioso e radicale, direi di si, possiamo essere abbastanza certi che "ci sono cose" (il "quante", il "come" e il "cosa" siano, è poi un'altra storia...).

P.s.
La parola "cose" si presterebbe persino anche a considerazioni meno "ontologiche", ma meglio non fare troppo i sofisti  ;)
#1796
Tematiche Filosofiche / Re:Ci sono cose
25 Febbraio 2018, 18:41:09 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 17:43:54 PM
Fondamentalmente sarei d'accordo quindi con le correzioni che tu apporteresti alle mie frasi, il problema è che queste correzioni sembrano voler salvaguardare un significato assoluto del "mai", considerato come possibile. [...] Quindi è come se tu avessi detto: "Riserviamo il mai alle frasi assolute"
Nessuna salvaguardia, anzi, il "mai" è una di quelle parole di cui, a parer mio, la filosofia attuale può fare a meno (come altre parole ereditate dalla metafisica classica).
Forse ti sarà sembrato controintuitivo, ma alludevo proprio all'abbandono del senso assoluto del "mai", al punto che suggerivo di non usarlo proprio, perché per esprimere il suo senso relativo, in modo meno fuorviante, possiamo usare altre parole :)

Nel parlare quotidiano, ovviamente, tutto il linguaggio è usato in modo più spensierato; per cui se dico di non essere mai stato in Africa, è chiaro che mi baso sulla mia memoria presente, o se dico che non ammazzerò mai nessuno, mi riferisco inevitabilmente alla mia intenzione presente... sono tutte precisazioni che, nel flusso di una conversazione informale (non filosofica), restano fra le righe e non ambiscono certo ad una assoluta verità oggettiva.

Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 17:43:54 PM
Personalmente preferisco mantenere il linguaggio che abbiamo, con tutte le ambiguità e confusioni che comporta, poiché abbiamo solo questo, non ne abbiamo altri.
Preferenza personale indiscutibile... tuttavia, usare un linguaggio poco ambiguo (di solito) facilita la comprensione per tutti, oltre a evitare le legittime osservazioni che ha suscitato quel "mai" (che sei stato infatti tenuto a spiegare e "giustificare").

Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 17:43:54 PM
Mi pare che Vattimo abbia detto da qualche parte che per ricostruire qualcosa, dopo che il castello (delle certezze, degli assoluti) è caduto, le sole pietre che abbiamo a disposizione sono quelle del castello caduto.
Salvo voler andare nella cava a sporcarci le mani per trovare altre pietre, con altre caratteristiche e potenzialità, per non continuare a riusare anche quelle che abbiamo scartato perché "difettose" ;)
#1797
Tematiche Filosofiche / Re:Ci sono cose
25 Febbraio 2018, 15:38:00 PM
Più o meno, concordo con Angelo: "più" quando parla di processi di cambiamento lenti e la necessità umana di fare soste; "meno" quando sembra intendere il cambiamento come negazione drastica del passato ("radicale continuo aggiornamento" delle religioni o ogni sistema filosofico che "è già vecchio, scaduto, sorpassato, subito un attimo dopo che sia stato pensato"... secondo me, spesso, si tratta di cambiare pazientemente una virgola alla volta, piuttosto che gettare subito al macero l'intero libro  ;) ).

Stando nella sua ottica (travestendomi da lui ;D ) proporrei un appunto: meglio ritenere parole come "mai" o "sempre" sensate solo se riferite al passato ("non sono mai stato in Africa", "ho sempre mangiato almeno una volta al giorno", etc.). Se, per adesso, ho in programma di restare aperto al cambiamento, conviene, per efficacia, evitare equivoci usando quelle due parole che cristallizzano già il futuro di una posizione dinamica, assolutizzandola (innescando così la paradossalità a cui alludeva Eutidemo). 
Basta sostituire a un "mai" un banale "senza", cancellare un "sempre" (che sembra la condanna di Sisifo ;D ) e l'imputazione di contraddittorietà decade (propongo le modifiche):
Citazione di: Angelo Cannata il 25 Febbraio 2018, 02:46:36 AM"sto sottoponendo a critica queste ipotesi", ma sempre in prospettiva di dover poi comunque oltrepassare, procedere, modificare tutto, riformulare, mai con  senza la prospettiva di pervenire ad alcunché di definitivo.
Il "senza" esprime meglio una temporalità aperta al cambiamento (persino allo stesso abbandono del "senza" ;) ): dire "adesso sono senza quella prospettiva", non implica che sarò sempre estraneo (o che non assumerò mai) quel punto di vista, ovvero non mi precludo nemmeno un cambiamento in quella direzione.

P.s.
@Angelo, scusa per la pedante puntigliosità, ma come hai visto, spesso una sola parola rischia di "svalutare" un intero discorso.
#1798
Citazione di: green demetr il 16 Febbraio 2018, 18:50:05 PM
E' vero che ho ragionato un pò oltre le apparenze del discorso heidegeriano, ma devo ancora approfondirlo.
Sono contento di leggere che si sia interessato a questa quadratura come la esponi tu Phil, sopratutto perchè è presente la terra, elemento che non ho mai trovato nella sua filosofia iper-metafisica.
Tiratina di orecchie! :)  Non mi risulta Heidegger sia "iper-metafisico": magari è virtuoso bardo di una metafisica poetante, ma tiene sempre fra le dita la terra, l'essere-nel-mondo (e l'esserci), l'abitare... sulla quadratura, ma non solo, ho trovato questo (al volo, l'ho letto ad ampie falcate, non garantisco  ;D ):
https://giulianoantonello.wordpress.com/2017/03/04/heidegger-costruire-abitare-pensare/

Citazione di: green demetr il 16 Febbraio 2018, 18:50:05 PM
Il senso ontologico io non lo sento, quando mi accosto a questa tematica, mi sento svuotato interiormente.
Mi sembra che in fin dei conti sia un tentativo goffo di incasellare qualcosa di reale in qualcosa di semantico, solo per far vivere il semantico, il gioco di parole, dei cani derridiani.
Secondo me, il gioco che spesso non viene riconosciuto come tale (e a cui Kobayashi alludeva, se ho ben colto il suo intervento), ovvero che viene inteso come una faccenda seria e destinale, è piuttosto l'inverso: incasellare nel reale qualcosa di semantico ;)  d'altronde, sia il contadino che l'archè-ologo "violano" la terra, seppur con scopi differenti...

Su Derrida: il gioco dei cani, il loro andare a caccia non per fame, ma per ammaestramento, denuncia proprio questa atavica aporia del filosofare, l'aporia di creare l'oggetto stesso della ricerca (proprio come la caccia alla volpe: la volpe viene liberata e poi si sguinzagliano i cani...).

Citazione di: green demetr il 16 Febbraio 2018, 18:50:05 PM
Certamente può essere utile per uscire dai pesi delle metafisiche idealizzanti, utilizzare l'arma dell'ironia, il coltellino svizzero per aprire i cieli nichilisti.
Anzi forse addirittura farne proprio il fine, il ludismo creativo che va assieme ai bernoccoli della realtà
... "ludismo" che va assieme al luddismo per i meccanismi che impediscono le rotture paradigmatiche.

Citazione di: green demetr il 16 Febbraio 2018, 18:50:05 PM
Io ahimè, proprio non ci riesco.  :-[  (deve essere questione zodiacale, mi pare buona come scusa  ;) )
O meglio a volte ci riesco molto bene, è che poi mi sento male.....mistero.... (o meglio non voglio dissipare qualche spettro, in fin dei conti innnocuo, a cui ormai sono affezionato  ;) ).
Già, ci sono gli spettri che non ci fanno dormire e quelli che invece ci sussurrano la ninna nanna  ;D

Citazione di: green demetr il 16 Febbraio 2018, 18:50:05 PM
Sono soddisfatto di questo 3d, mi succede di rado...grazie  :)
A te! :)
#1799
Citazione di: green demetr il 13 Febbraio 2018, 23:45:09 PM
Rispetto ad Heidegger e Rorty, in realtà non cambia nulla.
Perchè la realtà di quelle opzioni è solo in base al riscontro reale.
Perciò sensibile!
Non direi semplicemente "riscontro reale": Heidegger, ricordiamoci, parlava di "quadratura" fra cielo / terra / divini / mortali... per Rorty, la questione del reale non mi sembra pacificamente riconducibile al sensibile, costeggiando con noncuranza la questione dell'interpretazione di tale sensibile...

Citazione di: green demetr il 13 Febbraio 2018, 23:45:09 PM
il destino è cercare il senso, instillare il senso, attraverso il recupero di ciò che rimane
Questo cercare-instillare è proprio lo scoprire-inventare a cui alludevo; è l'aporia del senso semantico che facciamo assurgere ad ontologico, senza però poter poi reggere il mistero di tale sublimazione (le conseguenze sono scandite dalla storia della metafisica... che non va rinnegata, perché è la rotta da cui ci muoviamo).

Citazione di: green demetr il 13 Febbraio 2018, 23:45:09 PM
il residuo terrestre, il resto, è esattamente la traccia, il senso, del nostro cozzare con la parte dura della natura.
Si, il senso, per essere attendibile, deve avere "lo scarico a terra" e essere "cozzante": il bernoccolo è garanzia dell'impatto del senso sui sensi  ;D  Se non c'è bernoccolo, può trattarsi persino di olografica illusione (il-ludere, giocare), ovvero di un trompe l'oeil, che sembra tridimensionale, sembra avere profondità, ma è invece superficie bidimensionale che ammalia lo sguardo (teoretico).
Qui mi allaccio a Kobayashi
Citazione di: Kobayashi il 14 Febbraio 2018, 11:22:35 AM
Il problema è il fatto che inevitabilmente prendiamo sul serio la produzione di fantasticherie in cui la mente umana è impegnata giorno e notte.
E la filosofia è per eccellenza l'espressione di questa serietà.
Ma non possiamo farne a meno.
Finché lo riteniamo inevitabile, finché il "mestiere" del filosofo serio è ricercare il Senso, restiamo in un orizzonte metafisico classico, in cui come osservi,
Citazione di: Kobayashi il 14 Febbraio 2018, 11:22:35 AM
Giocare a trovare la grande verità che illumina e redime e salva la Terra è il gioco del filosofo.
eppure proprio il riconoscerlo come gioco, ce lo fa apprezzare meglio per quel che è... sta a noi decidere se stare al gioco (e a quale dei giochi giocare ;) ).

Superata la "crisi di astinenza" da un senso forte (il '900 è stato in ciò il secolo della nausea) ci si può riappropriare delle medesime domande, ma con un'attitudine "ludica", esorcizzata dalla gravosa seriosità dell'"antropocentrismo destinale".

Indubbiamente
Citazione di: Kobayashi il 14 Febbraio 2018, 11:22:35 AM
Nel frattempo dobbiamo vivere.
tuttavia possiamo anche ritagliare spazi di gioco-filosofico nel quotidiano, proprio come, oltre a soddisfare i bisogni primari e sociali, ci si può concedere, con corroborante indulgenza, momenti di svago estetico (la filosofia è un'arte... d'altronde, anche l'arte è un divertissement che produce-scopre un senso  ;) ).

Il nichilismo è inibitorio se ci lascia impalati a contemplare un cielo che credevamo pieno di dèi e di senso, ma può anche essere di sprono a mettere le mani nel mondo umano, per capire le dinamiche (non il senso  ;) ) dell'immanenza che ci circonda (sempre aspettando che la razza umana si estingua  ;D ).
#1800
Citazione di: green demetr il 13 Febbraio 2018, 19:56:17 PM
In questo senso credere che la terra sia al centro dell'universo, non è dal punto descrittivo un errore morale, ma solo un "errore" di prospettiva della ipotesi. [...]
Presumere che la terra sia al centro dell'universo non è un errore in sè di prospettiva, è un errore morale, e perciò connotativo
Proprio questo passaggio dal semantico-linguistico al semantico-esistenziale mi pare il passo falso del paradigma occidentale, ovvero confondere l'arbitrario-convenzionale con l'onto-metafisico (subordinare il "così io scrivo nella contingenza" al 'così è scritto nella necessità" ;) ).

Citazione di: green demetr il 13 Febbraio 2018, 19:56:17 PM
Il problema non è in sè nel senso, ma nella impossibilità di uscire dal senso dato.
La questione portante, secondo me, è proprio come intendere il dare che è a monte di tale "dato", o meglio, il "darsi": il senso si è dato (Heidegger) o ci siamo dati il senso (Rorty)?

Citazione di: green demetr il 13 Febbraio 2018, 19:56:17 PM
Il problema così non è nel fatto che l'uomo dia senso al suo vivere, ma nel contrario, che non riesca a darlo, rispetto a quanto gli si è detto finora.
[...]
Ossia la mancanza di senso a quanto ci avevano detto, ossia che noi eravamo quella collezione di oggetti, che ora non c'è più, viene confinata in uno spazio, lo spazio del cielo, del credo, della mistificazione. In cui all'oggetto reale, si sostituisce l'oggetto idele promesso, etc...
Non accettare questo "lutto del senso" è un discrimine filosofico cruciale: il fantasma nasce quando il lutto non è elaborato, e l'unica elaborazione residua è quella immaginifica che rimpiazza l'assenza (intesa come carenza).

Citazione di: green demetr il 13 Febbraio 2018, 19:56:17 PM
Ma il blocco paranoico è proprio l'incapacità di instillare senso nella terra, e di moltiplicarlo per compensazione nell'infinto del cielo. (Nietzche in questo senso va letto).
Dunque sono totalmente contrario sia a te sia a Kobayashi, che pretendete che il senso sia solo dei cieli.
Per me, è proiettato tanto nei cieli quanto nella terra: il senso è lo sguardo teoretico stesso (theorein, vedere) che riempie tutto ciò su cui si posa; se guardiamo il cielo, vertigine nel non trovare appiglio, se guardiamo per terra, stordimento per la danza delle ombre e nascita di quel desiderio di hybris (fondamento della scienza) di scavare per vedere cosa sorregge la terra che ci sorregge... il fantasma è infatti il residuo etereo di ciò che è sepolto in terra, no? ;)

Citazione di: green demetr il 13 Febbraio 2018, 19:56:17 PM
Ma voglio far notare come sia proprio nel paradosso, ossia nella sua impossibilità di puntare sul reale che risiede la sua più profonda strategia, la sua fantasmatica (tecnica del fantasma).
Questo sarebbe anche una possibile critica a tutte le filosofie contemporanee che trovano nel paradosso la soluzione (e che soluzione sarebbe? rendersi conto di essere in una fantasmatica, non cancella il fantasma stesso.)
Eppure, sapere di essere in un vicolo cieco almeno ci disillude dalla speranza di poter trovare uno sbocco... alcune aporie sono più utili di alcune soluzioni estemporanee  ;)

Citazione di: green demetr il 13 Febbraio 2018, 19:56:17 PM
Il superuomo, ossia il superamento del fantasma, è ancora da venire.
Non si può leggere Nietzche con la consapevolezza, che la strada è ancora lunga e da fare.
Che lui ci accompagna fino ad un certo punto, ma poi ci lascia.
Sono un po' allergico alle profezie  :) (sono ciò che rovina i profeti: lanciare il senso nel futuro, è un malizioso espediente per metterlo in salvo dalle sabbie mobili del presente...).

Citazione di: green demetr il 13 Febbraio 2018, 19:59:18 PM
Ma il discorso sul soggetto, a meno che non sia quello schizoide dell'oriente (che risibilmente lo nega) e quello paranoico dell'occidente (che ugualmente risibilmente crede sia unico, macchina, non storico), può benissimo essere anche altro da quelli che la infosfera delirantemente ci propina.
Certamente si, e riflettere sul fondamento del senso, prima di domandarsi dove e quale sia, è, secondo me, un modo per navigare l'infosfera senza farsi spaventare troppo dai flutti (e dalle navi fantasma  ;) ).

Citazione di: green demetr il 13 Febbraio 2018, 19:59:18 PM
Sul fatto che il discorso del soggetto, serva a delineare il destino dell'uomo  (oltre che a interrogarsi sugli orizzonti, sull'originario, e sul suo sviluppo vivente, sulla sua erleibnis) , ovviamente non potremmo che essere che in più totale disaccordo, perchè per me è addirittura ovvio che sia così, mentre per te, che sei dentro ai deliri paranoici, è addirittura un problema.
Il problema è per me cosa intendiamo come destino quando parliamo dell'uomo (e cosa intendiamo davvero quando scriviamo "uomo" con la minuscola...). Se non facciamo questo passo indietro (secondo una fenomenologia dei presupposti) abbiamo appena abbassato la luce per poter evocare meglio i fantasmi senza infastidirli  ;D

Citazione di: green demetr il 13 Febbraio 2018, 19:59:18 PM
Ma immagino che parimenti tu penserai che sono io a delirare. Ancbe per questo la filosofia è oggi IDIOTA. (non prenderlo come un attacco personale, ma è quello che penso in generale, se non si ha non dico il senso di destino, ma nemmeno il senso di orizzonte, allora si rimane uguali a se stessi, appunto identici, immobili, morti, in una sola parola, sempre quelli: IDIOTI, ID EUM, il se medesimo, l'autocoscienza. etc etc etc.)
Tuttavia, proprio l'orizzonte (inteso come orizzontalità cronologica... tanto per non usare "destino") non è il palcoscenico preferito dai fantasmi? Tenere il sipario chiuso è forse uno stratagemma ancor più angosciante e castrante (come ben sai, i fantasmi sanno attendere... e non muoiono certo di vecchiaia  ;D ).