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Messaggi - sgiombo

#1786
Secondo me non si può ignorare la filosofia analitica, "neopositivismo logico e dintorni" (mentre farei molto volentieri a meno di Freud).
Fra i "moralisti" metterei senz' altro Anders.
"Critico" a proposito del marxismo mi sembra un pleonasma (e a questo proposito più che Adorno e francofortesi suggerirei Lucacs e Gramsci (ma anche un altro grande italiano meno noto come Timpanaro).
#1787
Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Luglio 2018, 20:26:38 PM
Citazione
Scusate ma voi dove la vedete tutta questa bontà e tutta questa innatezza?
Vogliamo chiederlo, tanto per stare alla strettissima attualità, ai profughi africani i quali, per fame o per guerra
che sia, cercano una miglior fortuna nella "civilissima" Europa?
Come fate a vedere questa "legge norale dentro l'uomo" (e Kant, Giulio, sapeva bene dove "riposasse" quel sentimento...)?
Io, viceversa, non vedo nessuna bontà e nessuna cattiveria innate; vedo soltanto dei condizionamenti sovra E strutturali.
E gli imperativi della religione sono tra i più "potenti" di questi condizionamenti.
Lo si voglia o meno, l'uomo ragiona "anche" (ma avrei voglia di dire "soprattutto") nei termini che la religione ha posto
(basti guardare alla concezione del tempo lineare, al mito del progresso, o appunto ai valori "umani").
La religione, dice E.Durkheim, E' la comunità (il "sacro" non è altro che l'ipostasi assolutizzata delle necessità insite
in una comunità umana).
Da qui, ritengo (anzi temo...), la "sympatheia" greca, il "karuna" buddista o la "coscienza" cristiana...
Concetti nobilissimi, che però perdono inevitabilmente di senso nel momento in cui l'individuo emerge prepotente,
e la comunità si eclissa (e CON la comunità si eclissa la sua ipostasi: Dio).
Per questo, penso, Dostoevskij (attraverso la bocca di Ivan Karamazov) ha sommamente ragione laddove afferma: "se Dio
non esiste, allora tutto è lecito".
Dal canto suo, Nietzsche ci dice allora semplicemente: "visto che Dio non esiste, tutto è effettivamente lecito".
saluti

La violazione delle norme morali c' é sempre stata, anche quando nessuno credeva che "Dio fosse morto" e tutti credevano che Egli le avesse scolpite su due tavole di pietra consegnate a Mosé, oppure dettate a Maometto o rivelate ad altri profeti in altri modi.
L' esistenza della violazione dell' etica non ha mai dimostrato (né lo dimostra ora) l' inesistenza dell' etica.
Anche nei secoli e millenni passati ci sono state tragedie e negazioni dell' umanità non dissimili dalle attuali da te ricordate.
D' altra parte viviamo in una fase storica di profonda decadenza e di strapotere della più nera reazione, nella quale da marxista troverei molto strano che non venissero promosse, incentivate, pubblicizzate, sistematicamente proposte alle masse popolari come esempio da seguire le peggiori nefandezze
Ma anche oggi come sempre c' é chi perpetra il male e chi agisce bene.
Basta guardarsi intorno con realismo anziché farsi travolgere da un pessimismo assolutizzato e (anche per questo) irrealistico, seppur comprensibile date le circostanze, per accorgersene.
E negare (comunque falsamente) come fa Nietzche che vi sia differenza fra agire etico, altruismo generosità, magnanimità da una parte e agire immorale, egoismo, grettezza, meschinità, malvagità dall' altra pretendendo di confonderli indiscriminatamente in un nauseabondo e -scusa il termine- miserabile calderone chiamato "volontà di potenza" (simile per certi aspetti -peraltro i meno peggiori- all' ignoranza che Hegel paragona alla "notte in cui tutte le vacche sembrano nere") porta acqua (putrida) al mulino della malvagità e dell' immoralità.

Ho scritto chiaramente che (anche per me) bontà e cattiveria non sono innate (geneticamente determinate) ma risultano da circostanze epigenetiche, soprattutto di tipo culturale molto più che naturali (-stiche).

La mia conoscenza di Kant é senza ombra di dubbio abissalmente inferiore alla tua e potrei sbagliarmi.
Ma mi sembra di ricordare dal liceo che nella Critica della ragion pura fondasse la credenza in Dio (e nell' immortalità dell' anima) sulla presenza universale dell' imperativo categorico nell' animo umano e non viceversa (una sorta di altra  "preventiva rivoluzione copernicana" rispetto alle vedute alla Dostojevsky o alla Nietzche sulla pretesa che "morto Dio, tutto sarebbe lecito", ovvero eticamente indifferente).

Ciao!
#1788
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Luglio 2018, 09:48:25 AM
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 08:33:38 AM
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Luglio 2018, 09:48:25 AM"Esse est percipi": ""le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente da (insiemi e successioni di)
percezioni (percezioni reali, non opinioni sulle percezioni!".
Poi: "reali unicamente in quanto tali e non indipendentemente dall' accadere reale delle percezioni".
Poi ancora: "Non sono affatto illusioni (quando realmente accadono), ma realissimi fenomeni (=insieme di apparenze
sensibili); dunque non sono nemmeno cose in sé esistenti indipendentemente dall' accadere delle sensazioni stesse,
dalle quali solo e unicamente sono costituiti, che li costituiscono integralmente ed esaustivamente".
Vuoi dire che qualsiasi pensiero è "reale"? Naturalmente parlo del contenuto di un pensiero, non della mera
attività cerebrale.
Cioè vuoi dire che anche il pensiero dell'ippogrifo è "reale" (oltre il contenuto concreto dei neuroni che si
muovono a seguito di tale pensiero: cioè come pensiero stesso DELL'ippogrifo)?
Bah, non lo so se si possa o meno chiamare "realtà" quella del pensiero dell'ippogrifo, Sotto certi aspetti lo è
senz'altro.
La cosa mi richiama alla mente Platone, il quale diceva ("La battaglia dei giganti"): "cosa c'è di comune fra
un pensiero e una cosa reale, visto che di entrambe si dice che "sono"?
Se questa mia interpretazione fosse nella, diciamo, giusta direzione, allora si aprirebbe non "un", ma "il"
problema per eccellenza di tutta la filosofia: quello dell'Essere (d in effetti, per Berkeley, l'essere è essere-percepito (appunto "esse est percipi").

saluti
(ti pregherei, per mia chiarezza, di procedere per singoli punti)

Il pensiero dell' ippogrifo (posto che realmente accada) é un fatto reale.
Il fatto é che i pensieri sono eventi (reali se realmente accadono, ovviamente) caratterizzati da una importantissima peculiarità che non condividono con nessun altra specie di eventi: quella di "alludere ad altro da essi" (sono pensieri di qualcosa).
Non condivido la concezione fenomenologica dell' "intenzionalità" relativamente ad altri eventi di coscienza come le percezioni o sensazioni in generale -salvo quelle per l' appunto dei pensieri- che a mio parere sono eventi non alludenti ad alcunché d' altro da esse stesse; ma in un certo senso i pensieri, e in particolare i concetti, hanno un oggetto intenzionale da essi diverso; il quale può essere reale, come nel caso del concetto di un cavallo realmente esistente (il quale ultimo del concetto di "cavallo" costituisce la denotazione o estensione reale), oppure può non essere reale -contrariamente al pensiero di esso, come stabilito per ipotesi- come nel caso del concetto di ippogrifo", che ha soltanto -in comune con qualsiasi concetto, anche con quello di cavallo- un significato nel senso di connotazione o intensione "cogitativa" (reale solo in quanto tale) ma non anche alcuna denotazione o estensione reale.

Ma se e quando il pensiero dell'ippogrifo è reale (senza virgolette, come pensiero di un concetto con connotazione o intensione cogitativa ma senza denotazione o estensionereale esso) non coincide con il contenuto concreto dei neuroni che si muovono a seguito di [o meglio: contemporaneamente a] tale pensiero: il pensiero (mio) dell' ippogrifo nell' ambito della mia esperienza fenomenica cosciente**é tutt' altra cosa della constatazione (tua o di altri; nell' ambito delle vostre ee.ff.cc.*) di ciò che accade nel mio cervello, anche se, come dimostrano le neuroscienze, non si dà l' una senza l' altro (almeno potenzialmente: ossia immancabilmente purché si vada ad osservare il mio cervello, direttamente o -preferibilmente per me!- indirettamente per il tramite dell' imaging neurologico funzionale).

Contrariamente a Platone credo esista un enorme differenza fra l' "essere**" di qualcosa che é unicamente puro e semplice "contenuto di pensiero", concetto pensato (con la sua immancabile connotazione o intensione cogitativa) e l' "essere*" di qualcosa che invece é la denotazione o estensione reale (anche se e quando non oggetto di pensiero, indipendentemente dal fatto di esserle pensato o meno) di un concetto pensato (con la sua immancabile connotazione o intensione cogitativa).

Ma dicendo:
"Esse est percipi": le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente da (insiemi e successioni di) percezioni (percezioni reali, non opinioni sulle percezioni!".
Poi: "reali unicamente in quanto tali e non indipendentemente dall' accadere reale delle percezioni".
Poi ancora: "Non sono affatto illusioni (quando realmente accadono), ma realissimi fenomeni (=insieme di apparenze sensibili); dunque non sono nemmeno cose in sé esistenti indipendentemente dall' accadere delle sensazioni stesse, dalle quali solo e unicamente sono costituiti, che li costituiscono integralmente ed esaustivamente".
Non voglio dire che qualsiasi pensiero è "reale", non mi occupo del rapporto fra connotazione o intensione cogitativa ed eventuale denotazione o estensione reale di (delle sensazioni fenomeniche di) concetti pensati, di pensieri.
Intendo invece dire che qualsiasi "cosa" (realmente) sentita (che si tratti di pensieri, concetti con o senza denotazione o estensione reale, sentimenti -in generale res cogitans- oppure di oggetti materiali -res extensa- non fa differenza) é reale solo e unicamente come insieme-successioni di sensazioni (rispettivamente mentali o materiali) nell' ambito di una e.f.c., se e quando e fintanto che tali sensazioni realmente accadono nell' ambito di un' e.f.c.: diversa cosa (se realmente quest' ultima cosa c' é) che la realtà in sé non apparente ai sensi ma solo congetturabile (non fenomeno ma noumeno) che é reale anche quando i fenomeni non lo sono in modo da spiegare certe "puntualità nel ritornare ad essere reali" dei fenomeni; per esempio ciò che c' é anche quando non vedo il solito cedro (id est: il solito credo non c' é, non esiste) e fa sì che nonappena riapro gli occhi lo rivedo (id est: torna ad essere reale, ad esistere) o ciò che c' é anche quando non sento i miei pensieri, ricordi, sentimenti ecc. (id est: la mia mente, il "mio io fenomenico" non c' è; io non ci sono) e fa sì che nonappena ci (ri-) penso risento la mia mente, il "mio io", io stesso (id est: la mia mente, il "mio io fenomenico", io stesso torna ad essere reale).
#1789
Citazione di: Sariputra il 15 Luglio 2018, 16:37:23 PM


Al contrario io, come mi par di capire Sgiombo, ritengo che il senso etico e morale sia innato nell'uomo e fa parte di quella qualità spontanea che i greci definivano come sympatheia e i buddhisti come karuna. Ossia è la capacità che ha l'uomo di soffire con gli altri : sia come capacità di condividere i dolori altrui pur non essendone colpiti direttamente, sia come possibilità di sopportare insieme ad altri i medesimi dolori.

CitazioneSì, lo penso anch' io (e naturalmente anche la capacità di gioire con gli altri, di condividerne gioie, piaceri, soddisfazioni).


E non appare come 'imposto' dall'affermarsi del senso del sacro nella storia umana, ma proprio il senso del sacro scaturisce da questa innata peculiarità umana ( e in misura diversa di altri esseri senzienti...). Il contrario della sympatheia è quindi l'avversione, l'odio e l'antipatia, che è espressione di un 'Io' centrato esclusivamente su se stesso e che può sfociare in un'intelligenza cinica o in una sorta di bulimia del desiderio, che è una forma di ignoranza del carattere interdipendente e impermanente di ogni cosa e di ogni essere. L'innata qualità morale invece si afferma e si rafforza riducendo questa ignoranza con l'aumentare della conoscenza e consapevolezza di questo carattere della realtà..
:)


Condivido convintamente!
#1790
Citazione di: 0xdeadbeef il 15 Luglio 2018, 13:56:39 PMSarebbe appunto totalmente e definitivamente indifferente che si pronunci per l'una o per l'altra cosa, e laddove noi
"osassimo" pronunciarsi per un qualcosa che fondi un'affermazione piuttosto che l'altra non faremmo che pronunciare un
articolo di fede (certo, anche se ci si pronunciasse per il "male" e per l'odio sarebbe la medesima cosa).
Ritengo sia questo che Nietzsche vuol dirci quando ci parla di un "aldilà del bene e del male". La ricerca del proprio
utile e piacere come "essere" dell'uomo; come sua "sostanza unitaria nella sua molteplicità"; non ammette considerazioni
sulla bontà o sulla malvagità di questa stessa ricerca.
Probabilmente sono io ad essere eccessivamente affascinato (ma farei meglio ad usare il termine "atterrito"...) da questa
riflessione, che non trovo quindi per nulla banale.
Certo che c'è un appiattimento fra aspirazioni altruistiche ed egoistiche: come fai a non vederlo (o come faccio io a vederlo)?
"Non uccidere" (non rubare; non sfruttare etc.): e chi l'ha detto?
L'ha forse detto la scimmia nel suo diventare uomo quando nella sua ricerca del piacere e dell'utile ha stabilito cos'è "sacro"?
E che mi importa di quello che ha detto: io cercherò, seguendo il mio utile e il mio piacere, di essere più potente di lui, e
sovvertirò quel che lui ha detto.
saluti
PS
Ti ho risposto su quella cosa della conoscenza, forse ti è sfuggito

Il problema del noumeno e dei fenomeni voglio prenderlo in considerazione con più calma (magari oggi stesso, se ce la farò) perché mi sembra più complesso da affrontare.

La ricerca del proprio utile o piacere (preferirei dire della propria soddisfazione o felicità) mi sembra sinonimo di "il proporsi di realizzare quel che si vuole" o "il volere quel che si vuole" (qualsiasi cosa si voglia).

E non esiste (oltre che nessun Dio che e lo scriva su tavole di pietra o comunque ce lo faccia sapere in qualche modo) nessuna possibilità di dimostrare razionalmente ciò che é da volersi o che é bene volersi (la ragione può servire per valutare se ciò che si vuole é realizzabile o meno e in caso affermativo come realizzarlo: attraverso quali mezzi, data la situazione in cui ci si trova a volere e ad agire): gli scopi, contrariamente ai mezzi, si sentono come pulsioni irrazionali avvertite dentro di sé: non esistono "comandamenti circa il buon agire" o valori morali "di diritto" (divino né umano).

Ma di fatto, in conseguenza dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche "casuali" e selezione naturale (e per motivi ben comprensibili conoscendola scientificamente; le virgolette perché sono determinista e non credo che alcunché sia casuale, ma casomai moltissime cose sono di fatto imprevedibili, incalcolabili per insuperabili limiti soggettivi di conoscenza della realtà), ogni uomo -universalmente di fatto- avverte dentro di sé come (ovviamente irrazionali, indimostrabili) pulsioni ad agire o finalità da perseguire (fra l' altro, ovviamente) la ricerca del bene e della felicità degli altri senzienti, un' "istinto di solidarietà" o di "amore del prossimo e del lontano: degli altri" ovvero un istinto "di altruismo" (non ignoto nemmeno a Leopardi; come appare molto chiaramente per esempio nella Ginestra). E si rende istintivamente conto che violarlo sarebbe una pessima cosa (sarebbe "male"), assecondarlo un' ottima cosa (sarebbe "bene").
Ovviamente i desideri e pulsioni umani (ma in qualche nettamente minor misura anche degli altri animali) sono molteplici e in tantissimi casi reciprocamente incompatibili (soddisfacibili gli uni alternativamente agli altri; ovviamente tutti, chi più chi meno, hanno anche desideri malvagi, e la scelta di assecondare in maggiore o minor misura gli uni e/o gli altri può essere molto variabile da caso a caso, cosa che sta sotto gli occhi di tutti.

Ma questo secondo me non appiattisce affatto minimamente le aspirazioni e le condotte altruistiche su quelle egoistiche.
 "Non uccidere" (non rubare; non sfruttare etc.): e chi l'ha detto? Lo dice la coscienza di ogni uomo (declinando in parte questi "comandamenti di fatto" interiori, universali in un' accezione generalissima, in diversi modi storicamente condizionati in ultima istanza e non semplicisiticamente dalla dialettica fra sviluppo delle forze produttive sociali e rapporti di produzione); ovviamente c' é chi (per ragioni non certo genetiche ma letteralmente "epigenetiche" e in larga misura storico-culturali e non naturalistiche) é più o meno moralmente buono, generoso, magnanimo e segue più o meno conseguentemente gli imperativi categorici (per usare una terminologia che credo ti sia cara) non scritti su nessuna tavola di pietra da nessun Dio e non dimostrabili con nessun ragionamento ma di fatto presenti "dentro di tutti", e c' é chi é più o meno malvagio, gretto e meschino e più o meno conseguentemente li viola.
La scimmia nel suo diventare uomo (e in qualche minima misura anche prima: molti animali privano sensazioni molto simili all' umana vergogna) l' ha puramente e semplicemente avvertito dentro di sé come ha avvertito la fame, la sete, l' istinto all' accoppiamento, ecc.
E dunque chi é malvagio cercherà, seguendo il suo utile e il suo piacere, di essere più potente degli altri, dei quali se ne fregherà, chi é buono no (id est: si definisce "malvagio" chi cercherà, seguendo il suo utile e il suo piacere, di essere più potente degli altri, dei quali se ne fregherà e "buono" chi si comporterà in maniera opposta a questa).

Ciao!
#1791
Si tratta di un' espressione paradossale, fra l' altro molto "artisticamente funzionale": credo che nessuno della mia età possa dimenticare la splendida canzone di Guccini (il vate della mia generazione), specie nella versione dei Nomadi cantata dalla splendida voce di Augusto Daolio (ne ero un sosia, quando potavo barba e capelli lunghi ...ah, la gioventù; spero mi scuserete per l' ostentazione di nostalgia per tempi che credo indubbiamente migliori -anche a prescindere dalla mia età- degli odierni).
#1792
Tematiche Filosofiche / Re:Kant e il Principio.
14 Luglio 2018, 17:56:03 PM
Obiezione a Davintro
 
Ma allora la conoscenza delle "essenze" é conoscenza analitica a priori" che arbitrariamente stabilisce concetti e li mette in relazione secondo regole logiche arbitrarie, ma non ci dice nulla, non ci informa minimamente informa circa la realtà (ciò che realmente é/accade o meno).
 
Non capisco questa affermazione (credo fondamentale):
 
"Dunque intendendo come "princìpi" ciò che delle cose resta tale indipendentemente da ogni accidentalità o contingenza empirica, la loro dimensione di apriorità, proprio la considerazione delle cose come fenomeni a una coscienza (non la mia singola coscienza empirica, ma una coscienza nella sua struttura trascendentale) permette di disvelarli, di individuare leggi di rapporto essenziali e universalmente valide, perché slegate dalla considerazione della loro esistenza di fatto (che può esserci come non esserci)".
 
Mi sembra che qui si proponga un salto indebito fra "analiticità a priori" di ciò che delle cose resta tale indipendentemente da ogni accidentalità o contingenza empirica e sinteticità a posteriori delle cose come fenomeni a una coscienza ([anche se] non la mia singola coscienza empirica, ma una coscienza nella sua struttura trascendentale[ma che significa?]).
 
Le leggi di rapporto essenziali e universalmente valide nell' empiria fenomenica (sinteticamente a posteriori) le possiamo semplicemente rilevare per induzione (per arbitraria credenza indimostrabile: Hume!): sono "slegate dalla considerazione della loro [contingente] esistenza di fatto in quanto generali – astratte, ma non per questo non sono sintetiche a posteriori e dunque (Hume!) soggette a insuperabile dubbio scettico.
 
La considerazione (soggettiva, mentale da parte del soggetto di conoscenza) delle cause FORMALI, cioè quel tipo di causalità che individua l'essenza della cosa in questione, l'idea che lo specifica come tale e lo differenzia dall'altra mi sembra semplicemente uno stabilire arbitrariamente (le connotazioni o intensioni di) concetti per definizione (in altro modo non riesco a comprendere queste parole), anche se si tratta di concetti dotati, per constatazione empirica (e dunque sintetica a posteriori, con tutti i limiti di certezza del caso, in particolare circa l' induzione di rapporti universali e costanti di causalità fra di esse), di denotazioni o estensioni reali (anche se stratta di "ritagliare mentalmente -comunque secondo criteri arbitrari, soggettivi- la realtà" e non di crearla secondo una sorta di "idealismo magico".
#1793
Tematiche Filosofiche / Re:Kant e il Principio.
14 Luglio 2018, 17:27:25 PM
Vorrei sommessamente far notare a Carlo Pierini (che indegnamente e in maniera penosamente ridicola lo tratta come un ciarlatano) che Kant, oltre a scrivere tantissimo e di importantissimo di filosofia, ha formulato una teoria scientifica sull' origine del sistema solare (molto simile a quella quasi contemporamenamente proposta da Laplace, e infatti nota come "teoria di Kant - Laplace") sicuramente all' altezza dello "stato dell' arte" delle scienze naturali ai suoi tempi e a mio parere ad oggi sostanzialmente non falsificata.
#1794
Caro Eutidemo, sono ben felice che concordiamo (ovviamente in parte, e non affatto "in altra molto importante parte", sulla quale credo anch' io sarebbe molto interessante discutere, e infatti leggo quel che posso, anche ovviamente di sostenitori di tesi contrarissime alle mie; ma resto convinto che questo magnifico forum non sia la sede adatta, un po' come non é adatta a discutere con gli antidarwiniani sull' evoluzione biologica, le cui argomentazioni ridicole -contrariamente a molte tesi anti staliniste e in varia misura anticomuniste!- ho deciso di ignorare completamente).
#1795
Citazione di: 0xdeadbeef il 14 Luglio 2018, 09:27:39 AM
Ma è lecito equiparare la ricerca del piacere con l'egoismo?
Mi pare Leibniz disse, a proposito del concetto di "Bene" anglosassone: "la ricerca del proprio piacere e utile è
bene a meno che non vada a ledere il piacere e l'utile altrui" (le parole magari non sono proprio queste ma lo è
senz'altro il senso).
Il senso di ciò che voglio dire con questo post è che SE la ricerca del proprio piacere e utile è assimilabile
alla volontà di potenza, allora la volontà di potenza si presenta proprio come impulso primordiale e universale;
appunto come: "ciò che c'è di unitario nel molteplice".
CitazioneMi sembra ovvio che da tutti tipi di volontà particolari possibili, più o meno egoistiche oppure altruistiche, si può astrarre il concetto di "volontà in generale" (e magari chiamarla "volontà di potenza").


Ma allora, si dirà, che cosa ha mai scoperto Nietzsche che già non fosse stato detto dalla filosofia anglosassone?
E beh, magari potrebbe aver detto/aggiunto che non vi è alcun valore morale che un "grande orologiaio" ha posto a
fondamento di quell'utilitarismo...
CitazioneBeh, questo l' avevano già detto in tantissimi, anglosassoni o meno.

In maniera particolarmente lucida Hume -a me particolarmente caro malgrado fosse "anglosassone": non sono razzista- aveva molto chiaramente rilevato che dall' "essere" della realtà non é possibile dedurre in maniera logicamente corretta alcun "dover essere" (né dalla conoscenza di ciò che é alcuna conoscenza di ciò che deve essere, che si deve fare. Ma contrariamente a Nietzche, Hume era un uomo estremamente bonario, generoso, affabile, tollerante e pure sereno e soddisfatto della vita).


Potrebbe aver detto che la ricerca del proprio piacere e utile è SEMPRE bene, a prescindere che vada o meno a ledere
il piacere e l'utile altrui...
Non mi sembrerebbero aggiunte da poco.
CitazioneBuono (ciò che é bene) =/= soddisfacente, piacevole, gratificante, ecc.

Che anche le persone più grette ed egoiste possano essere felici (se soddisfatte nella loro grettezza ed egoismo) é ovvio; ma non equipara certo le loro meschine e malvagie aspirazioni a quelle ben diverse degli altruisti, generosi e magnanimi il fatto che in entrambi i ben diversi casi la soddisfazione delle rispettive aspirazioni é (per definizione) felicità, gioia, benessere interiore.


Perchè, ed è evidentissimo, quell'"a meno" (che non vada a ledere etc.) leibnitziano è fondato sul valore morale (che
nessuno che non sia il "grande orologiaio" può fondare).
CitazioneCerto, lo sapevano benissimo già in tanti anche prima di Nietzche.

Ma ciò non toglie che di fatto tutti gli uomini lo sentano dentro di sé (più o meno fortemente, e contrastato più o meno fortemente da opposte tendenze egoistiche a seconda dei casi; in conseguenza delle esperienze vissute e non del codice genetico, secondo me).
E che la scienza biologica, in particolare la teoria sostanzialmente darwinaiana dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche "casuali" e selezione naturale (se correttamente intesa) spiega benissimo tutto questo (cioé ci fa comprendere molto soddisfacentemente come sia del tutto naturale e per nulla stupefacente che esista una morale umana universale "di fatto" -in parte; in altra parte é socialmente condizionata e dunque geograficamente variabile e storicamente transeunte, mutevole- pur senza poterla ovviamente dimostrare, ovvero porne l' universalità su un piano per così dire "di diritto": non é scritta da alcun Dio su alcuna "tavola della legge", non é in alcun modo dimostrabile, ma naturalissimamente tutti l' avvertono dentro di sé; ovviamente in maniera più o meno forte e accanto ad altre tendenze più o meno forti ad essa diverse ad anche contrarie).


Su questo punto il concetto nietzschiano mi sembra dirompente. La volontà di potenza (che coincide, se la mia tesi fosse
plausibile, con la ricerca del proprio piacere e utile) come impulso primitivo ed universale non è da considerare né Bene
né Male (ma è appunto: "al di là del Bene e del Male"). Perchè il Bene e il Male sono concetti morali che, semmai, SONO
fondati dalla volontà di potenza; non essa, la volontà di potenza come ricerca dell'utile e del piacere, fondata SUI
valori morali com'è nella filosofia anglosassone.
salut
CitazioneBeh, é semplicemente come dir che il "volere" in generale" (avere aspirazioni qualsiasi) é astrazione che include i concetti meno generali (meno astratti, relativamente più concreti) di "volere il bene" (avere aspirazioni altruistiche, generose, magnanime) e di "volere il male" (avere aspirazioni egoistiche, grette e meschine o malvagie).

Scusami, amico Mauro, ma tutto ciò mi sembra molto banale.
E soprattutto non ne consegue alcuna indebito "appiattimento" o equiparabilità fra aspirazioni altruistiche e aspirazioni egoistiche, che rimangono reciprocamente contrarie ed opposte.
Stalin e Hitler rientrano nella medesima classe generale e astratta dei "dittatori", ma fra le loro scelte politiche c' era a mio parere molto maggiore differenza che fra quelle di Hitler e quelle di Churchill o rispettivamente fra quelle di Stalin e di Salvador Allende (faccio questo esempio pur sapendo che é decisamente anticoconformistico e i più pensano il contrario, secondo l' ideologia -falsa coscienza- dominante arendtiana del "totalitarismo", sulla quale molto e assai bene ha scritto il compianto Domenico Losurdo).
#1796
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 22:07:06 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 21:38:47 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 19:06:45 PMCARLO
Se non rispondi alla mia domanda cruciale (che ho marcato in grassetto) che si riferisce a un esempio concreto, giochiamo inutilmente con le parole. E io non ho tempo.
CitazioneQuesta ridicola affermazione dimostra platealmente tutto il tuo disinteresse per la filosofia (non sai cosa ti perdi, ma comunque non c' é oggettivamente niente di male: ognuno ha i suoi interessi; per quel che mi riguarda quello per la filosofia e di gran lunga maggiore che quello, pur non trascurabile, per le scienze naturali).

Comunque la tua domanda mi sembra molto banale rispetto alla questione ontologica.

E la risposta ovvia é che i fenomeni materiali possono essere postulati (non dimostrati né mostrati) essere intersoggettivi e divenienti secondo modalità generali astratte universali e costanti; e se così é, come é plausibile credere (e non é dimostrato non sia) osservandoli più attentamente si può intersoggettivamente concordare su errori di valutazione circa i fenomeni materiali stessi e il loro divenire e superarli mediante teorie più veritiere.

CARLO
Il problema, caro Sgiombo, è che chi usa le parole giocando sull'elasticità del loro significato, può affermare tutto e il contrario di tutto. Ma quando deve confrontarle con la realtà, che non è altrettanto elastica, il gioco non funziona più.

Infatti una sonda spaziale se ne frega delle percezioni soggettive degli uomini o della loro intersoggettività, ma atterra su Marte SOLO SE Marte si trova OGGETTIVAMENTE lì nel momento in cui finisce il suo viaggio.

QUESTI sono gli errori dei tuoi filosofi cervellotici e pantofolai (Kant, Hume, Berkley, ecc.) che riflettono sul mondo SENZA guardare il mondo ma SOLO le idee SOGGETTIVE che LORO hanno sul mondo. Con quelle teorie descrivono i LORO stessi limiti personali, non i limiti del SOGGETTO della conoscenza.

CitazioneComplimenti per l' eccelsa esibizione di incomprensione e di ignoranza (ovviamente non argomentata ma semplicemente condita di offese a filosofi geniali.

Ma é ovvio che chi non ha argomenti scriva quel che può...
#1797
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 19:06:45 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 17:44:32 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 16:20:52 PM
Quindi, sarebbe ora di finirla con questa fissazione sul "punto di vista privilegiato", o sul nostro conoscere NON le cose ma solo le idee sulle cose, o NON il territotio, ma solo la mappa.  Se la scienza funziona a meraviglia su un gran numero di fenomeni, vuol dire che il nostro punto di vista "soggettivo", se ben lubrificato dall'intelligenza e dalla ragione, è quello più adeguato per distinguere ciò che è solo soggettivo da ciò che è oggettivo.
Altrimenti dovresti spiegarmi PERCHE' il punto di vista geocentrico si è rivelato FALSO, mentre il punto di vista eliocentrico è VERO, pur essendo entrambi solo dei punti di vista soggettivi?
Citazione
Sarebbe ora di finirla con la confusione fra preteso "punto di vista privilegiato da cui osservare i fenomeni" e il noumeno ovvero le cose in sé, reali anche allorché non accadono (le rispettive, corrispondenti) sensazioni fenomeniche.

La scienza (compresa l' astronomia) funziona benissimo nel conoscere i fenomeni materiali (ma non quelli mentali, che a mio parre con quelli materiali non sono identificabili, ad essi non sono riducibili, ad essi non sopravvengono, da essi non emergono, qualsiasi cosa questi vaghi concetti possano significare) dei quali l' "esse est percipi" (come pure di quelli mentali).
Ma nulla può a proposito dell' eventuale conoscenza del noumeno o cosa in sé (e nemmeno di quella dei fenomeni mentali, per lo meno se intesa come scienza in senso stretto o proprio, quello delle "scienze naturali").

CARLO
Se non rispondi alla mia domanda cruciale (che ho marcato in grassetto) che si riferisce a un esempio concreto, giochiamo inutilmente con le parole. E io non ho tempo.
CitazioneQuesta ridicola affermazione dimostra platealmente tutto il tuo disinteresse per la filosofia (non sai cosa ti perdi, ma comunque non c' é oggettivamente niente di male: ognuno ha i suoi interessi; per quel che mi riguarda quello per la filosofia e di gran lunga maggiore che quello, pur non trascurabile, per le scienze naturali).

Comunque la tua domanda mi sembra molto banale rispetto alla questione ontologica.

E la risposta ovvia é che i fenomeni materiali possono essere postulati (non dimostrati né mostrati) essere intersoggettivi e divenienti secondo modalità generali astratte universali e costanti; e se così é, come é plausibile credere (e non é dimostrato non sia) osservandoli più attentamente si può intersoggettivamente concordare su errori di valutazione circa i fenomeni materiali stessi e il loro divenire e superarli mediante teorie più veritiere.


#1798
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Luglio 2018, 16:20:52 PM
Citazione di: sgiombo il 13 Luglio 2018, 08:33:38 AM
Citazione di: Carlo Pierini il 12 Luglio 2018, 23:39:59 PM

CARLO
Esse est percipi, ovvero: <<Non esistono le cose, ma solo le idee (le opinioni) che ci facciamo delle cose>>.
Ma le idee esistono? <<No, non esistono le idee sulle cose, ma solo le opinioni che ci facciamo delle idee sulle cose>>.
Ma le opinioni esistono? <<No, non esistono le opinioni sulle idee delle cose, ma solo le opinioni che ci facciamo sulle opinioni sulle idee sulle cose>>.
In definitiva, cos'è che veramente esiste? E' tutto un gioco di specchi? ...Ma allora, se tutto ciò che ci circonda è un'illusione, ...non l'avrò pagata troppo cara la moquette del mio studio?  :))
Mi dispiace, ma ignori Brekeley e (Hume).

"Esse est percipi" non significa affatto <<Non esistono le cose, ma solo le idee (le opinioni) che ci facciamo delle cose>> (questo é casomai pessimo relativismo o nichilismo putrefatto a là Nietzche, tutt' altra cosa che l' empirismo di Berkeley e Hume!), bensì significa "le cose che percepiamo sono costituite solo ed esclusivamente da (insiemi e successioni di) percezioni (percezioni reali, non opinioni sulle percezioni! Anche se)" reali unicamente in quanto tali e non indipendentemente dall' accadere reale delle percezioni, non quando queste non accadono (e non affatto: indipendentemente dall' accadere o meno delle opinioni sulle percezioni!).

CARLO
Mi sembra un discorso estremamente cervellotico. Come se non ci fosse alcuna relazione tra le cose e le percezioni che abbiamo di esse. O come se non fosse mai possibile uscire dal labirinto della soggettività.
Per non ripetermi ti copio incollo ciò che dicevo a Oxdeadbeef giusto l'altro ieri:
CitazioneE allora dimostrami (ovviamente in maniera non contraddittoria) che le cose che percepiamo sensibilmente sono reali in quanto tali anche quando non le percepiamo (per esempio l' intenso verde del fogliame, l' intenso odore di resina, il frusciare delle foglie al vento, ecc. del cedro del Libano del mio vicino di casa: il fatto che se riapriamo gli occhi dopo averli chiusi puntualmente lo rivediamo non significa certo che -autocontraddittoriamente!- tali sensazioni visive esistevano anche quando avevamo gli occhi chiusi e dunque non esistevano; se qualcosa anche allora esisteva era qualcosa di ovviamente diverso, di non apparente ai sensi -in assenza di alcunché di apparente ai sensi!- ovvero di non fenomenico ma solo congetturabile ovvero noumenico).

...E chi l'ha detto che il punto di vista soggettivo - combinato con la "capacita oggettivante" che ha il soggetto umano - non sia il punto di vista privilegiato?
Cosa intendo con "capacità oggettivante"? Quella, per esempio, che ci ha permesso di stabilire che il geocentrismo derivava da un punto di vista SOGGETTIVO e che, invece, l'eliocentrismo è il punto di vista DEFINITIVAMENTE OGGETTIVO. In altre parole è la nostra capacità di studiare COMPARATIVAMENTE i fenomeni da diversi punti di vista soggettivi che ci permette di pervenire all'oggettività. Nel nostro caso sono stati sufficienti solo DUE punti di vista soggettivi - la legge gravitazionale di Newton e le leggi cinematiche di Keplero - per stabilire con certezza l'oggettività del punto di vista eliocentrico.

Infatti, oggi siamo assolutamente sicuri che l'eliocentrismo è il paradigma DEFINITIVO dei moti planetari, semplicemente perché, se così non fosse, non avrebbero mai avuto successo le esplorazioni del sistema solare compiute con decine di sonde spaziali, la cui riuscita esige una precisione estrema dei moti previsti (vedi, per esempio, la "fionda gravitazionale" necessaria per accelerare "gratis" le sonde).
Citazione
Ma tutte queste sono considerazioni più o meno vere circa i moti relativi fra terra e sole, dei quali l' "esse est percipi", che sono reali unicamente in quanto sensazioni, se , quando e fintanto che sono sentite coscientemente (= accadono in qualità di fenomeni).
E non affatto come cose in sé reali anche indipendentemente dall' essere sentire (= dall' accadere in quanto insiemi e successioni di sensazioni fenomeniche reali fintanto che accadono, ovvero si sentono, e basta).

E se non fai queste distinzioni non puoi comprendere perché se guardi nel mio cervello mentre vedo un coloratissimo arcobaleno o penso alla dimostrazione di un teorema di geometria o provo un forte sentimento di gioia non vi vedi (nell' ambito della tua coscienza*) alcun colore, alcun ragionamento né concetto, alcun sentimento (che sono peraltro ben reali nell' ambito della mia copscienza**), ma solo "della roba grigiorosea molliccia gelatinosa" costituita da neuroni, sinapsi, assoni, ecc., a loro volta costituiti da particelle/onde subatomiche, campi di forza, ecc.: tutt' altre cose che -sensazioni di- colori, concetti e ragionamenti o sentimenti!

Invece se distingui correttamente fra fenomeni e cose in sé o noumeno puoi comprendere questi fatti: lo stesso ente in sé cui é correlata un' esperienza fenomenica cosciente** (per esempio: io cui é correlata la mia coscienza**) che se é in determinate relazioni con altri, da esso differenti -per quanto similmente con un' esperienza fenomenica cosciente* correlata a ciascuno di essi- enti in sé (per esempio tu, cui é correlata la tua coscienza*) "fa sì" che in questi ultimi accadano eventi biunivocamente corrispondenti alla visone nell' ambito della loro coscienza* (per esempio la tua*) di determinati fenomeni costituenti un determinato cervello con in atto determinati processi fisiologici, si trova "in proprio" a divenire secondo determinati eventi biunivocamente corrispondenti alla visione nell' ambito della sua propria coscienza** (per esempio la mia**) di determinate altre sensazioni fenomeniche (mentali o materiali a seconda dei casi).



Quindi, sarebbe ora di finirla con questa fissazione sul "punto di vista privilegiato", o sul nostro conoscere NON le cose ma solo le idee sulle cose, o NON il territotio, ma solo la mappa.  Se la scienza funziona a meraviglia su un gran numero di fenomeni, vuol dire che il nostro punto di vista "soggettivo", se ben lubrificato dall'intelligenza e dalla ragione, è quello più adeguato per distinguere ciò che è solo soggettivo da ciò che è oggettivo.
Altrimenti dovresti spiegarmi PERCHE' il punto di vista geocentrico si è rivelato FALSO, mentre il punto di vista eliocentrico è VERO, pur essendo entrambi solo dei punti di vista soggettivi?
Citazione
Sarebbe ora di finirla con la confusione fra preteso "punto di vista privilegiato da cui osservare i fenomeni" e il noumeno ovvero le cose in sé, reali anche allorché non accadono (le rispettive, corrispondenti) sensazioni fenomeniche.

La scienza (compresa l' astronomia) funziona benissimo nel conoscere i fenomeni materiali (ma non quelli mentali, che a mio parre con quelli materiali non sono identificabili, ad essi non sono riducibili, ad essi non sopravvengono, da essi non emergono, qualsiasi cosa questi vaghi concetti possano significare) dei quali l' "esse est percipi" (come pure di quelli mentali).
Ma nulla può a proposito dell' eventuale conoscenza del noumeno o cosa in sé (e nemmeno di quella dei fenomeni mentali, per lo meno se intesa come scienza in senso stretto o proprio, quello delle "scienze naturali").
#1799
E copio-incollo quanto da me scrtto in proposito in una precedente discussione nel forum ("la morale é egoismo mascherato secondo voi?"):

Importante é secondo me non confondere, come spesso fanno coloro che sono tendenzialmente più o meno egoisti, soddisfazione (piacere, felicità, ecc.), che può darsi tanto dell' egoista quanto dell' altruista, con insoddisfazione (dolore, infelicità ecc.), che pure, del tutto parimenti, può darsi tanto dell' egoista quanto dell' altruista (a seconda che le ben diverse aspirazioni degli uni e degli altri, più o meno egoistiche o più o meno altruistiche, siano soddisfatte o meno).

Non dobbiamo confondere soddisfazione (ovvero piacere, felicità, benessere interiore) con egoismo e insoddisfazione, sofferenza, dolore con altruismo.

C' é una bella differenza!
 
 L' egoista che soddisfa il proprio egoismo (per esempio accumulando ricchezza da taccagno senza fare né dare mai nulla per chi ha bisogno di essere in qualche modo aiutato) é felice (ceteris paribus), ma non per questo non é egoista.
 
 L' egoista che non riesce ad ottenere tutto quello che vorrebbe per sé malgrado la sua taccagneria (e magari invidia altri più fortunati) é infelice (ceteris paribus), ma non per questo non é egoista, non per questo diventa altruista.
 
 L' altruista che non riesce a soddisfare la propria generosità (per esempio perché troppo povero per poter fare regali a chi ne ha bisogno) é infelice, ma non per questo non é altruista.
 
 E l' altruista che soddisfa il proprio altruismo (per esempio elargendo denaro o aiutando in altri modi chi ne ha bisogno) é felice (ceteris paribus), ma non per questo non é altruista, non per questo diventa egoista.
 
 Egoismo =/= soddisfazione, benessere interiore, felicità
 
 e
 
 altruismo =/= insoddisfazione, sofferenza, infelicità (e anche =/= masochismo).


La felicità, il benessere interiore, la gioia (cioé la soddisfazione dei propri desideri) può conseguirla o meno (a seconda dei casi) tanto l' egoista quanto l' altruista.
Chi la ottiene non é egoista o altruista per il fatto di ottenerla, ma invece (per il fatto di ottenerla) é felice, soddisfatto, anche se é altruista!!!
E chi non la ottiene non é altruista o egoista per il fatto di non ottenerla, ma invece (per il fatto di non ottenerla) é infelice, insoddisfatto, anche se é egoista!!! 

Che vuol dire "volontà di potenza?
Ogni tipo di volontà (qualsiasi tipo: più o meno buono a seconda di questo o quel punto di vista) ccrca per definizione una soddisfazione.
E sa la trova fa felice, contento, "piaciuto" il suo (delle volontà) soggetto, se non la trova lo fa infelice. scontento, "spiaciuto".
Ma non affatto per questo una volontà vale l' altra ! ! !
#1800
Citazione di: Eutidemo il 11 Luglio 2018, 12:58:29 PM
- però è invece indubbiamente "GIUSTO", almeno secondo me, che ogni decisione sia presa dalla maggioranza (popolare o parlamentare), perchè, tutto sommato fino ad oggi non mi pare che si sia trovato un sistema migliore.
Ed infatti, se è vero che la decisione presa dalla maggioranza non è necessariamente quella "GIUSTA" (anzi, spesso non lo è), è anche vero che che ancora meno può risultare "GIUSTA" quella presa da una minoranza, o, al limite, da un solo uomo; se non bastasse la logica a farcelo capire, basterebbe la storia ad insegnarcelo.

Ma si pone anche il problema se la decisione presa dalla maggioranza sia libera o coatta.
 
E a mio parere (non che mi illuda di convincerti, men che meno con questa brevissima considerazione che serve solo a porre il problema a chi non se lo sia mai posto ...e non credo sia il tuo caso) senza la ineludibile conditio sine qua non della uguaglianza economico-sociale, cioè della proprietà collettiva dei mezzi di produzione, le minoranze che detengono il potere reale hanno tali mezzi di pressione e di costrizione da rendere sostanzialmente illusoria e non reale un' espressione autenticamente libera della volontà della maggioranza (per quanto in diversa misura a seconda dei rapporti di forza nella lotta di classe; non é un caso che per esempio solo la cosiddetta "prima repubblica italiana", ove operava un Partito Comunista molto forte, abbia avuto in vigore per decenni una legge elettorale "quasi proporzionale", essendo quelle proporzionali le uniche non sfacciatamente truffaldine e antidemocratiche).
 
Per questo a mio parere (e so benissimo che non sarai d' accordo) qualsiasi processo politico che tenda realmente nei fatti (inevitabilmente attraverso un percorso durissimo, irto di enormi difficoltà ed ostacoli di ogni genere e necessitante l' accettazione di compromessi onde essere realistico e non velleitario) al conseguimento della proprietà collettiva sociale dei mezzi di produzione, é incomparabilmente più autenticamente democratico di qualsiasi processo politico che vi si opponga (per quanto comunque pur sempre, e in larga misura inevitabilmente, democratico solo più o meno limitatamente ed embrionalmente a seconda dei casi concreti della storia).
E infatti molti paesi del cosiddetto "socialismo reale (quando esistevano i quali -a mio parere non affatto a caso- le masse popolari di tutto il mondo, nostro paese compreso, stavano moooolto ma moooolto meglio di ora, al contrario delle infime -per numero e per qualità umane, culturali, morali- minoranze privilegiate) a mio parere del tutto a buon diritto si autodenominavano nelle loro costituzioni "repubbliche democratiche".

P.S.: non ho intenzione di imbarcarmi in una discussione su quelle esperienze storiche in questo forum, che non ritengo la sede adatta all' uopo, anche perché credo si tratti di materia storica vastissima e dalle molteplici ed estremamente complesse  implicazioni che richiederebbero tempi e spazi (di scrittura) incompatibili con i limiti oggettivi del forum stesso.
Preannuncio pertanto che (ovviamente senza pretendere che non vi siano dissensi, anche profondi, da queste mie convinzioni) ad eventuali provocazioni in tal senso non risponderò (tanto più -ma non solo- se basate sulle solite liquidazioni sommarie di Stalin mangiatore di preti e di bambini, su pretesi "genocidi in Ucraina", sulle largamente correnti moltiplicazioni ad libitum delle vittime più o meno innocenti di tali eventi, ecc.; Ma voglio sia chiaro che questo non sarà per mancanza di argomenti (ma casomai di tempo e spazio per svolgerli con un minimo di serietà), e tantomeno che se ne possa dedurre che "chi tace acconsente".