Secondo Cacciari, se non l'ho frainteso, la filosofia-metafisica risulta "concreta" perché si occupa degli essenti senza ignorare la scienza, fungendo da antidoto all'eventuale meccanicismo latente in cui potrebbe indulgere la scienza (meccanicismo che taglierebbe fuori tale filosofia-metafisica, per cui è anzitutto una autotutela). La filosofia-metafisica viene riscattata (perché è questa la sommessa «urgenza» di cui parla nella parte finale) come garante della dignità teoretica dell'incalcolabile e dell'approssimazione (causata da una indefinibilità sempre in gioco nell'esistere). Un pensiero che dipinge, ben oltre la fisica, un'aporia ontologica per poi fare i conti con la sua irrisolvibile eccedenza; di fatto una disciplina ai limiti dell'impraticabile, se non come estetica del pensare («tensione verso una sophia che manca», visione dell'assente come «non fondato su un fondamento ultimo», dice Cacciari; tutto molto bello, ma come ne procede il pensiero? Rimasticando citazioni e suggestioni di epoche in cui Spirito e Dio erano parole importanti? Ricordando al pensiero pratico che «eppure deve esserci dell'altro...»?).
L'esito di tale approccio sembrerebbe dunque rendere la filosofia-metafisica una forma di pensiero spettrale ("concreto" come uno spettro), che dà ragione alla doxa e lascia il philein per i contenuti reali alla scienza, ma senza poterlo ammettere (come un fantasma che minaccia di mangiarti pur sapendo che non può nemmeno toccarti, ma si diverte lo stesso a spaventarti, perché quello è il senso del suo essere l'essente "meta-fisico" che è).
L'esito di tale approccio sembrerebbe dunque rendere la filosofia-metafisica una forma di pensiero spettrale ("concreto" come uno spettro), che dà ragione alla doxa e lascia il philein per i contenuti reali alla scienza, ma senza poterlo ammettere (come un fantasma che minaccia di mangiarti pur sapendo che non può nemmeno toccarti, ma si diverte lo stesso a spaventarti, perché quello è il senso del suo essere l'essente "meta-fisico" che è).