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Messaggi - Phil

#181
Tematiche Filosofiche / Re: A Caccia...ri trita
29 Aprile 2024, 23:15:44 PM
Secondo Cacciari, se non l'ho frainteso, la filosofia-metafisica risulta "concreta" perché si occupa degli essenti senza ignorare la scienza, fungendo da antidoto all'eventuale meccanicismo latente in cui potrebbe indulgere la scienza (meccanicismo che taglierebbe fuori tale filosofia-metafisica, per cui è anzitutto una autotutela). La filosofia-metafisica viene riscattata (perché è questa la sommessa «urgenza» di cui parla nella parte finale) come garante della dignità teoretica dell'incalcolabile e dell'approssimazione (causata da una indefinibilità sempre in gioco nell'esistere). Un pensiero che dipinge, ben oltre la fisica, un'aporia ontologica per poi fare i conti con la sua irrisolvibile eccedenza; di fatto una disciplina ai limiti dell'impraticabile, se non come estetica del pensare («tensione verso una sophia che manca», visione dell'assente come «non fondato su un fondamento ultimo», dice Cacciari; tutto molto bello, ma come ne procede il pensiero? Rimasticando citazioni e suggestioni di epoche in cui Spirito e Dio erano parole importanti? Ricordando al pensiero pratico che «eppure deve esserci dell'altro...»?).
L'esito di tale approccio sembrerebbe dunque rendere la filosofia-metafisica una forma di pensiero spettrale ("concreto" come uno spettro), che dà ragione alla doxa e lascia il philein per i contenuti reali alla scienza, ma senza poterlo ammettere (come un fantasma che minaccia di mangiarti pur sapendo che non può nemmeno toccarti, ma si diverte lo stesso a spaventarti, perché quello è il senso del suo essere l'essente "meta-fisico" che è).
#182
Tematiche Filosofiche / Re: Il tragico
29 Aprile 2024, 12:24:28 PM
Citazione di: Jacopus il 29 Aprile 2024, 01:19:57 AMChe la maggioranza decida è una posizione funzionale ma di certo non democratica, o meglio è democratica ma la democrazia non è possibile descriverla solo attraverso elezioni e maggioranze, sarebbe una visione davvero molto naive. Proprio per questo, nelle democrazie sono tutelate le minoranze, sia etniche che politiche e vi sono tutta una serie di stratagemmi, di pesi e contrappesi come li chiamava Montesquieu, o in certi casi vi è la democrazia diretta.
Quindi, ricapitolando: in democrazia decide la maggioranza e nondimeno le minoranze vengono tutelate... dov'è il tragico? La mediazione fra istanze differenti, con cui il politico deve fare i conti, può essere tragica solo alla luce ("celeste") dell'utopia, un mondo senza dissidi o divergenze da mediare (un "paradiso in terra").
Così come la prospettiva della morte è tragica se non se ne comprende la necessità (in senso di inevitabilità). Mi pare che la radice del tragico sia dunque la non accettazione individuale del reale, abbinata all'incapacità di trovare una soluzione a ciò che non si accetta e crea disagio. Questione di come si legge il mondo, prima che di sensibilità drammatica.

Citazione di: Jacopus il 29 Aprile 2024, 01:19:57 AMMa decidere chi è il migliore ci fa tornare di nuovo nel dilemma del tragico. Non considerare questa peculiarità della democrazia, significa farla decadere a semplice ornamento o a una sorta di rito (le elezioni)
Anche qui non scorgo molta tragicità: la scelta del migliore (politicamente parlando) può avere molti canoni, molti paradigmi di giudizio e il fatto stesso che si abbia la possibilità di scegliere il migliore e che costui non si imponga con la forza bruta, direi che è un buon passo di allontanamento dalla tragicità della sottomissione.
Parlando di grecità, non andrebbe dimenticato che, anche solo etimologicamente, la demo-crazia non può essere la "miglior" forma di governo qualitativamente, ma solo quantitativamente (per il "meglio" qualitativo bisognerebbe usare altri prefissi, dall'infelice percorso storico: aristo-, episto-, con il percorso storico proprio a fungere da vaccino per la tragicità della loro assenza... o no?).
#183
Tematiche Filosofiche / Re: Il tragico
29 Aprile 2024, 01:01:48 AM
Citazione di: Jacopus il 28 Aprile 2024, 23:29:02 PMQuesta visione del tragico e delle democrazia mi sembra classicamente rieccheggiare una visione "borghese" sia del tragico che della democrazia, ovvero una descrizione da "migliore dei mondi possibili".
Chi non riconosce il tragico dell'esistenza è incline a credersi nel migliore dei mondi possibili? Anche questa è a sua volta una polarizzazione (come volevasi dimostrare): la democrazia «in quanto possibilità collaborativa di un "lieto vivere" (un "lieto fine" inteso teleologicamente)»(autocit., corsivo aggiunto) non può essere associata al credersi nel "migliore dei mondi possibili", altrimenti non avrebbe senso aver parlato di possibilità (non di realtà) e di teleologia (che presuppone solitamente che il telos sia di fatto assente, da raggiungere).

Citazione di: Jacopus il 28 Aprile 2024, 23:29:02 PMla vera democrazia implica l'assenza di gerarchia oppure la messa in discussione continua di ogni gerarchia. Una situazione tale, però, implica l'impossibilità di decidere sulla cosa pubblica, e pertanto il tragico della democrazia consiste proprio in questa consapevolezza di dover agire in contrasto con la sua stessa concezione più profonda.
Fuori dal "pantragicismo", che si condanna a non slacciarsi dalla tragicità destinale (profezia autoavverante, direbbe qualcuno), la democrazia in atto ha una gerarchia chiara e distinta, quella che pone la scelta della maggioranza al vertice; quella della "quantità orizzontale", che non risulta impossibilitata a decidere sulla cosa pubblica (di fatto decisioni vengono prese, talvolta persino direttamente dal popolo).

Citazione di: Jacopus il 28 Aprile 2024, 23:29:02 PMAnche in merito al "tragico" considerato come status "privato" ci sarebbe molto da scrivere. Fantozzi è davvero un "singolo" che tragicizza la sua vita a causa della sua indole, oppure la sua condizione tragica proviene da una storia, personale e sociale che è sempre una storia collettiva?
Un detto recita «mal comune, mezzo gaudio...»; la tragicità di Fantozzi è invece tragica perché individuale (Filini è già molto meno tragico, ad esempio); ma anche estendendo la sua tragicità ad emblema dei suoi colleghi, non si ottiene una generica "tragicità dell'esistenza umana universale"; il mega-direttore-intergalattico non è tragico, molte altre figure di "caste intermedie" non sono tragiche. Il "monopolio della tragicità" è spesso negli occhi, o meglio, nel monocolo, del pensatore tragico che vede tragicità ovunque, anche nella democrazia, e magari anche nel mega-direttore, in quanto destinato comunque a morire.
#184
Varie / Re: L'enigma dei duemila euro nascosti
27 Aprile 2024, 21:16:17 PM
Di oggetti se ne vedono (giustamente) molti, ma come depistaggio punterei sulla ciabatta elettrica, sull'asta del ventilatore o sulla tastiera; tre oggetti solitamente insospettabili (secondo me), non troppo difficili da aprire e con compartimenti vuoti in grado di contenere banconote (plausibilmente di grosso taglio, data la somma occultata).
#185
Tematiche Filosofiche / Re: Il tragico
26 Aprile 2024, 14:47:22 PM
In realtà il pensatore tragico polarizza: la sua consapevolezza della tragicità della vita si oppone infatti ad una inconsapevolezza altrui, non ad una differente consapevolezza. Il pensatore tragico sa che la vita è tragica, quasi fosse una verità che alcuni colgono e gli altri, gli inconsapevoli, non colgono, ma per lui la verità è una ed è quella della tragicità dell'umano esistere. Egli è impossibilitato a concepire che la vista possa non essere tragica, proprio perché «La condizione tragica dell'uomo è una condizione universale»(cit.) è un assioma vero e assoluto; così egli si chiede, tragedia nella tragedia, come mai gli altri non lo capiscano (proprio come il religioso si chiede come mai gli altri non capiscano che la divinità c'è).
La democrazia è invece l'antitesi della tragedia, in quanto possibilità collaborativa di un "lieto vivere" (un "lieto fine" inteso teleologicamente), addirittura condiviso con gli altri, "alla faccia" del sentimento tragico individuale. La democrazia non è nemmeno semplicemente una risposta alla tragicità, perché tutto ciò che rende tragica la vita, rimane perlopiù tale anche in democrazia.
(Poi, se proprio vogliamo parlare davvero "tragichese", la tragicità più radicale per il soggetto sarebbe se fosse la sua vita ad essere tragica, in quanto sua, non in quanto vita umana in generale... e qui direi che il tragico Fantozzi docet).
#186
Tematiche Filosofiche / Re: Il tragico
26 Aprile 2024, 13:23:21 PM
Citazione di: Jacopus il 26 Aprile 2024, 10:56:26 AML'uomo è un soggetto tragico, che si oppone alla sua tragicità.
Per me la tragicità sta nell'opposizione, ma non verso la tragicità stessa, che anzi va accolta, non avversata, per potersi riconoscere come "soggetti tragici": il pensatore tragico non si oppone alla tragicità, se ne nutre, e nutrendosene la trova amara e se ne lamenta; questo lamento è il mesto "canto del satiro" (con riferimento a un possibile etimo di «tragedia»). L'opposizione tragica è piuttosto verso la propria umanità; sia la scienza che la religione che l'arte, si oppongono infatti alla nuda umanità (Adamo docet), intesa come tragica, per rivestirla di comfort tecnologici, di promesse di immortalità e di giustizia, di bellezza.
Tuttavia, per chi non adotta una visione tragica, per chi non se ne nutre, il bisogno di attaccarsi ai seni della tecnica, della religione o dell'arte, non è affatto pressante e ancor meno inevitabile. Per costui il loro latte è eventualmente privo di retrogusto tragico, sa di divertissement; tutta un'altra narrazione, tutta un'altra "teatralità".
«La condizione tragica dell'uomo è una condizione universale»(cit.) solo nel senso che il pensatore tragico la proietta epicamente su tutti e compatisce coloro che non se ne rendono conto, proprio come il credente compatisce coloro che non credono, sostenendo che «l'essere creature che saranno giudicate è una condizione universale», e tapini coloro che non se ne avvedono. Questione di ruoli, di maschere e di copioni; e guai a rompere l'incanto di una narrazione ricordando all'attore che essa è solo tale.
#187
Tematiche Filosofiche / Re: Il linguaggio
18 Aprile 2024, 15:54:43 PM
Citazione di: daniele22 il 18 Aprile 2024, 09:41:59 AMper il noto teorema di viator secondo il quale almeno per ciò che attiene ai massimi sistemi nessuno nel forum ha mai cambiato la propria idea, viene il dubbio che i nostri dialoghi risultino essere in realtà dei monologhi; ovvero l'efficacia della propria comunicazione risulta sempre nulla.
Da queste "dubbiose" affermazioni si rischia di dedurre che «l'efficacia della propria comunicazione» stia nel far cambiare idea all'interlocutore, magari addirittura sui «massimi sistemi». Ci può anche stare come prospettiva, di cui una delle ragionevoli conseguenze possibili è, se quello è lo scopo, l'abbandono della piazza, una volta preso atto che gli altri non cambiano idea e noi non abbiamo intenzione di cambiare la nostra. Questa impostazione tuttavia appiattisce la comunicazione a mera persuasione, uccidendo Socrate una seconda volta, bruciando incensi sull'altare degli eristi e deformando la riflessione in "strategia di marketing" delle proprie tesi, che fallisce se non riesce a trovare acquirenti (e così si finisce, come i testimoni di Geova, a suonare speranzosi il prossimo campanello, del prossimo utente).
Se invece lo scopo non è catechizzare (né essere catechizzati), allora la permanenza può essere fertile anche se non si cambia idea sui massimi sistemi e non si convince nessuno che il proprio "folletto" ("daimon"?) è quello che aspira ("sucks") più di tutti.
Forse posso dire di non aver cambiato opinione sui massimi sistemi (e non ne sono nemmeno tanto sicuro), ma di certo, come ricordato da Ipazia, i feedback ricevuti, mi impediscono di definire «monologo» la mia esperienza del forum: qui ho imparato molto, più di quanto qualunque monologo mi abbia mai insegnato (tu no? Pensaci bene... il tuo stesso citare l'assioma di un altro utente, con cui hai dialogato, falsifica l'ipotesi che sia solo questione di monologhi, no?).
Chiaramente, come ricordato da InVerno, l'esporre le proprie riflessioni ha anche un valore catartico e di autocomprensione per il parlante, a prescindere che riceva feedback o meno, che ricalibri le proprie idee o meno. In fondo, anche se non spostiamo di un centimetro la nostra posizione nella griglia della classificazione delle ideologie, confrontarsi con il pensiero e i commenti altrui non è detto sia un'operazione che non lascia traccia, fosse anche la traccia di essere ancora più convinti della solidità della propria prospettiva, di sapere che è stato superato il collaudo fatto da altri, magari oppositori (che, a mio avviso, non è "guadagno" da poco).
#188
Tematiche Spirituali / Re: vacuita
17 Aprile 2024, 14:26:44 PM
Citazione di: bluemax il 17 Aprile 2024, 11:38:41 AMse si parla di vacuità dei fenomeni della mente, della coscienza ecc... ecc... e in ultima istanza, quindi, di un sè, perchè mai uno dovrebbe avere compassione ?
Se la compassione viene concepita come un dovere, significa che c'è ancora un'idea forte di una soggettività "piena", di un sé che si "attacca" ad una legge, perché è "quella giusta".
Una volta tolti ignoranza, attaccamento e avversione ciò che rimane spontaneamente (non per dovere), è un'azione innocua, che non nuoce.
Chiaramente si tratta di rivolgersi all'altro come a qualcosa di identificato e designato; tuttavia, senza ignorare la sua vacuità (intesa come hai ricordato), la nostra "natura" ci spingerà, nella momentanea "pienezza" dell'evento-relazione, o alla compassione o, per chi è meno empatico, alla non-curanza (che è una forma di non-attaccamento più "ascetica").
L'innesto problematico di tale attitudine nella società, spiega sia come mai il buddismo abbia sviluppato storicamente compromessi sociali (sotto forma di culto, cerimonie, credenze, etc.), sia perché risulti più "facile" essere buddisti in un monastero (e ancor più nella solitudine di un eremo).
#189
Giusto per mettere un paio di "paletti semantici", ricordo: giusnaturalismo e fallacia naturalistica; fermo restando che le declinazioni del giusnaturalismo sono molteplici e che, a seconda dei contesti, le fallacie possono anche trasmutare in "argomentazioni" (o almeno essere usate come tali).
#190
Citazione di: PhyroSphera il 14 Aprile 2024, 14:55:29 PMLe vere Grandi Narrazioni non erano sbagliate, la loro fine è stata dovuta a un ampliarsi degli orizzonti; e adesso la crisi delle narrazioni nella nostra società
Non so fino a che punto si possa parlare di «crisi delle narrazioni»; forse c'è piuttosto un proliferare "rizomatico" di narrazioni, di cui quelle riguardanti i generi sono un recente esempio. Di certo, c'è un proliferare di narratori, ciascuno con il suo megafono (di cui ho accennato altrove) e spesso sostenuto da numeri democratici da far invidia agli schieramenti politici o alle tifoserie sportive. Difficile trovare un fenomeno sociale che non sia anzitutto narrazione, con i suoi protagonisti, i suoi antagonisti, sfide, misteri, oggetti simbolici e "magici", etc.
Le grandi narrazioni erano tali non solo per la loro estensione demoscopica, ma anche per la sedicente grandezza della verità di cui si facevano alfieri; oggi le narrazioni della post-verità, della contro-verità, della verità "red pill", della verità decomplottizzata, della verità "quella di una volta" o quella del "c'era una volta", etc. sono un dedalo di incroci e contaminazioni che di grande ha perlopiù la complessità da narrare (e non tutte le narrazioni si dimostrano all'altezza, il che fa rimpiange a qualcuno le grandi narrazioni, ma ormai la "kenosis" non è più totalmente o totalitaristicamente reversibile).
#191
Tematiche Filosofiche / Re: Il linguaggio
12 Aprile 2024, 16:19:50 PM
Citazione di: niko il 12 Aprile 2024, 12:49:05 PMil bambino umano (infante in tutti i sensi) impara prima il dialogo, che non il monologo: impara a parlare perche' e' esposto ad una comunicazione dialogica, non monologica, cioe' apprende il linguaggio perche' sente gli adulti parlare con lui, e perche' li sente parlate tra di loro.
Sarei molto cauto al riguardo: dagli adulti il bambino impara una lingua (fonetica, grammatica, etc.), non un linguaggio, poiché ne esercita già uno sin dal primo vagito. Basta frequentare un bambino sin dai primi mesi di vita (in cui si "sveglia" l'area cerebrale in questione) per capire che ha un suo linguaggio, non una lingua codificata o semioticamente strutturata, ma comunque un linguaggio con cui comunica. Agli altri? Non necessariamente; il piagnucolare per fame, ad esempio, prescinde dalla presenza della mamma, è un breve "monologo ad alta voce" in cui il bambino dice "ho fame, mi sento vuoto, etc.", non lo dice a qualcuno (in dialogo) e non lo dice simulando i discorsi degli adulti. Lo dice come noi diciamo un'eslcamazione quando sbattiamo il piede su uno spigolo: con chi stiamo parlando? Nessuno, eppure stiamo comunicando all'infuori di noi il nostro sentire (dolore) fisico, senza il filtro della lingua (tranne nel caso di imprecazioni semanticamente apprese da chi ci circonda o create combinando quanto sentito in precedenza). Ugualmente quando il bambino gioca da solo (ossia in assenza di interlocutori), prima ancora di imparare a stare in piedi, "parla" il suo linguaggio, la sua lallazione è il riflesso linguistico del suo giocare, un monologo non ancora articolato in lingua; solo in seguito, crescendo, imparerà a dire, nella lingua appresa dagli adulti, «questo è Superman che ora vola e attacca il mostro...».
Anche a noi adulti capitano fulminei monologhi interiori non strutturati in una lingua appresa, ossia quando non sviluppiamo un intero discorso interiore, ma elaboriamo conclusioni o micro-ragionamenti senza che il "suono" della "vocina interiore" elenchi tutti i passaggi e le parole necessarie (oppure devo farmi vedere da uno bravo?).
#192
Tematiche Filosofiche / Re: Il linguaggio
12 Aprile 2024, 11:18:51 AM
Citazione di: InVerno il 12 Aprile 2024, 08:53:51 AMchecchè sia la sua origine dopo millenni di evoluzione sociale è diventato qualcosa con dei limiti definiti dalla sua stessa evoluzione nel tempo. Se la mazza da baseball fosse evoluta con la funzione primaria di spaccare crani probabilmente avrebbe quattro spigoli, ma siccome è comoda una superficie tonda per dare diverse traiettorie ad una pallina è tonda.
Interessante la questione del limite in rapporto alla temporalità: c'è stato un momento in cui la mazza ha iniziato ad essere meno adeguata per quello che era/è il suo gioco?
L'esempio del panettiere non era totalmente ingenuo: per il nostro "pane quotidiano", il linguaggio solitamente risulta adeguatamente efficace; inizia ad esserlo meno quando dal linguaggio delle elementari passiamo a quello delle superiori, ossia quando iniziamo ad ibridarlo e complicarlo ben oltre la transazione economica alla cassa del panificio. Notoriamente, i filosofi sono la stirpe che più si è alienata dal panificio, sono la stirpe di Babele, sotto le mentite spoglie di portatori di chiarezza (e, a proposito di lingue, sappiamo come si dice «portatore di luce» in latino... almeno i poeti sono solitamente meno presuntuosi e hanno velleità meno ecumeniche). Alcuni di loro, circa un secolo fa, provarono a razionalizzare il linguaggio per ridurre i fraintendimenti e facilitare il gioco, ma probabilmente era già tardi e il fatto che la tecnologia abbia poi dato a tutti un megafono con licenza di straparlare, non ha aiutato a rendere il gioco meno caotico.
Concordo sul fatto che, in ambito "impegnato", spesso non si giochi totalmente lo stesso gioco dell'interlocutore, perché pensiamo di sapere quale sia il suo gioco, ma in fondo è solo la precomprensione che ne abbiamo (se il linguaggio è mediazione fra significati mentali e mondo esterno, fra te e Ipazia ci sono almeno due mediazioni, il cui incontro richiede un'ulteriore mediazione... ci starebbe una battutaccia su un paio di guerre in corso, ma meglio lasciare la mazza da baseball nel suo fodero).
Il problema più dirompente si verifica quando un parlante con la mazza da baseball incontra uno con la mazza da golf e provano caparbiamente a voler giocare assieme; difficile ne scaturisca una bella partita, più probabile che entrambi finiscano con ricorrere all'uso "non prioritario" del rispettivo arnese (spesso accusando l'altro di, appunto, "non capire una mazza"). Eppure per giocare sembrerebbe necessario essere in due: se nessuno ci lancia una palla, che ce ne facciamo della mazza? E qui la tua tesi dell'autoreferenzialità della comunicazione calza a pennello: il gioco più funzionale e "istintivo" è infatti quello in cui si gioca da soli (come dimostrano i bambini), per il bisogno di giocare, per conoscersi, per riflettere, proprio come palleggiare contro uno solido specchio con la nostra racchetta da tennis: giochiamo con(tro) il nostro alter-ego, e se la pallina non c'è, ce la immaginiamo e la partita va avanti lo stesso.
#193
Tematiche Filosofiche / Re: Il linguaggio
11 Aprile 2024, 23:25:30 PM
Citazione di: InVerno il 11 Aprile 2024, 20:02:30 PMAssumere che la funzione primaria del linguaggio sia quella comunicativa è come assumere che la funzione primaria di una mazza da baseball sia difendersi dai ladri.
Credo che il "passo falso" sia il ritenere che ci debba essere una funzione primaria a priori: una mazza da baseball in un campo da baseball ha la funzione primaria di colpire la palla, ma se la teniamo ai piedi del letto e non sappiamo nemmeno giocare a baseball, allora il fatto che si chiami «da baseball» è solo questione di "nominalismo" (perché di fatto la sua funzione è primariamente altro dal baseball, infatti la terremmo lì anche se avesse un altro nome).
Resta innegabile che il linguaggio sia anche monologo, interiore o esteriore (la poesia solitamente ed "essenzialmente" è tale); tuttavia quando parlo con il fornaio probabilmente è dialogo.
"Primariamente" direi che il linguaggio è la tecnica delle parole (così come la tecnica è il linguaggio con cui "parliamo" con il mondo circostante) e come molte tecniche può essere usata su/per se stessi, ma anche su o con gli altri: posso tatuare me stesso, ma anche tatuare un altro, tatuarmi con altri (fianco a fianco), tatuarmi per gli altri, etc.
#194
Citazione di: green demetr il 03 Aprile 2024, 21:05:52 PMDunque possiamo dire che il soggetto che è il fascio delle sensazioni dovute all'evento oggetto, differisce in termini morali, dalla descrizione meramente ontologica degli stessi (ente-oggetto)?
Direi di sì: la morale è una sorta di plusvalore della conoscenza descrittiva, quando applicata ad un altro uomo: se posso (ri)conoscerlo come ente-uomo, allora tale conoscenza produce un "plusvalore in debito" (per quanto suoni paradossale, ma in fondo tutta l'etica lo è), nel senso che gli devo (debito) un atteggiamento morale. A prescindere che egli sia morale o immorale con me, solitamente la mia morale universale (ecco il paradosso degli "universi paralleli" in campo etico) dovrebbe essere un mio a priori nel relazionarmi con lui.
Se ti individuo come essere umano, ti devo (imperativo etico) trattare come qualcosa di differente da tutti gli altri enti (oggetti), differente da tutte le altre forme di vita (ecologia permettendo), in quanto interlocutore morale. Questo se accettiamo il "comandamento zero" di ogni morale: devi avere una morale.

Citazione di: green demetr il 03 Aprile 2024, 21:05:52 PMIn fin dei conti non potremmo ascrivere questo tempo come un tempo in cui sempre più la dimensione del racconto sovrasta quella dei fatti.
Portando alla famosa dissonanza cognitiva.
Concordo: l'ipercomunicazione odierna, le micro-narrazioni dell'utente che da casa produce e dissemina informazioni sul web (youtuber e blogger vari, grandi e piccoli), le postverità, complottismi e negazionismi vari, etc. sono l'apoteosi di quella che da sempre è l'affabulazione narrativa che caratterizza l'uomo; il fascino del racconto che si sovrappone al fascino della realtà (e sappiamo che il racconto non è la realtà, essendo la realtà non-verbale).
Non si potrebbe né, soprattutto, dovrebbe (imperativo etico) dire, ma anche l'etica è perlopiù narrazione; ereditata, accreditata, magari necessaria, ma pur sempre "manuale del gioco di società" che ci circonda (e più persone differenti hanno voce in capitolo, e più il gioco si complica, multiculturalismo docet; la dissonanza cognitiva è solo uno degli effetti collaterali di tale complicazione dello scenario con annessa cacofonia di voci e strepiti vari).
#195
Citazione di: Ipazia il 03 Aprile 2024, 18:33:38 PMSe nel linguaggio comune ha ancora senso distinguere cosa da evento, nel linguaggio filosofico, attento all'ontologia, non si può prescindere dall'evoluzione gnoseologica in ambito scientifico, e ciò fa LW quando afferma che il mondo è la somma dei fatti non delle cose.
Eppure, anche solo confinandoci al Wittgenstein del Tractatus, è eloquente come viene sviluppato il concetto di fatto: «il fatto, è il sussistere di stati di cose» (2), «Lo stato di cose è un collegamento di oggetti (cose, entità)»(2.01), «Gli oggetti costituiscono la sostanza del mondo» (2.021). Dunque: oggetti → stato di cose → fatti.
Viene infatti spiegata poco dopo la differenza fra ente ed evento ovvero, a parole sue, fra oggetto e stati di cose: «L'oggetto è ciò che è fisso, ciò che sussiste; la configurazione è ciò che è mutevole, instabile»(2.0271), «La configurazione degli oggetti costituisce lo stato di cose» (2.0272), «Nello stato di cose gli oggetti stanno in relazione l'uno con l'altro in modo determinato»(2.031), etc.
Tanto ad oriente quanto ad occidente, abbiamo bisogno del principio di identità/individuazione per fondare una qualunque logica praticabile, nonostante "la nota a fondo pagina" che ci ricorda che l'identità è convenzione (dunque, ontologicamente, è "nulla", dicono ad oriente, confondendo gli occidentali avvezzi a ben altra rigidità onto(teo)logica).