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Messaggi - Aumkaara

#181
Citazione di: Ipazia
L'ontologia assoluta la possiede meno che mai il postulante dell'Assoluto. La migliore ontologia a cui possiamo attingere é quella induttiva-deduttiva del metodo scientifico
L'ontologia non riguarda l'assoluto, ma più semplicemente la causa o la radice dei fenomeni relativi: non è la stessa cosa, perché se una causa esiste, è anch'essa relativa. Quindi, se la pluralità è ontologica, è anch'essa un relativo (che venga poi assolutizzata da alcune filosofie o punti di vista, è un altro discorso). Ma per ora ci stavamo accontentando di scoprire se la pluralità lo è davvero, ontologica.
Il fatto però che il metodo migliore (solo per certi propositi, e con tutti i rovesci della medaglia) sia quello induttivo-deduttivo che postula una esistenza plurale, non garantisce lo status ontologico a quest'ultima.
Lo hai appena detto: è solo un metodo.
Solo un'analisi filosofica può stabilire se tale metodo ha basi solide, per ora esso di solido ci ha dato solo prodotti comodi (alcuni anche umanamente quasi essenziali per non cadere in alcuni eccessi del passato) o nozionisticamente interessanti a prezzi non sempre convenienti, soprattutto per la maggioranza degli esseri (vedere la lista dei problemi, di portata più grande dei precedenti, e scatenati o ingigantiti solo dopo l'uso massiccio di questo metodo).
Finché non concludiamo questa analisi filosofica che avevamo iniziato, la dichiarazione che la pluralità esplorata dal metodo scientifico sia ontologica, rimane articolo di fede o al massimo di convenienza intellettuale e fisiologica (due aspetti importanti, ma non ontologica).
L'analisi può comunque continuare riprendendo la ricerca: cosa rende possibile, se davvero è possibile, che due enti essenzialmente distinti possano interagire con una qualunque regolarità?
#182
Citazione di: IpaziaLe abbiamo chiamate forze nella natura [...] Le riscontriamo oggettivamente e abbiamo imparato a misurarle anche se non ne conosciamo la causa
Facciamo finta che non importi (e forse non importa davvero) la nostra ignoranza su di una eventuale causa e sulla necessità che ce ne debba essere una, perché altrimenti forse basterebbe questo per non poter stabilire se la pluralità è davvero ontologica, che invece affermavi come se fosse già stato accertato. Forse si può stabilire con informazioni che già abbiamo. Ad esempio la possibilità a cui accenni di poter effettuare misurazioni sulle interazioni dando loro anche un nome.
Possiamo misurare anche di quanto si muove il sole nel cielo, e dargli anche un nome, "moto del sole nella volta celeste", ciononostante questo non ci garantisce che tale movimento appartenga al sole. Poter misurare qualcosa e dargli persino un nome quindi non ci garantisce di sapere quale è la natura di ciò che misuriamo. Non ci interessa quindi il fatto di poter fare misurazioni sulle interazioni, per stabilire come fanno due enti ad interagire regolarmente, che è ciò che può accertare se la pluralità è davvero ontologica. Quindi, torniamo alla domanda: possiamo sapere, in qualche altro modo, come fanno due enti essenzialmente separati ad interagire per più di un istante o comunque sempre nello stesso modo?
#183
Citazione di: Ipazia
Le regolarità si spiegano con le interazioni fisico-chimico-biologiche tra la pluralità degli enti in gioco racchiusi in un tutto (universo) che la scienza da sempre indaga. Tali relazioni non sono ipostasi metafisiche ma eventi reali e non autorizzano ad alcun volo pindarico al di fuori di ciò che si può dire (Wittgenstein).
Concordo con Wittgenstein: niente ipostasi, sono abolite dal discorso.
Mentre è in gioco solo ciò che è osservabile o descrivibile, fin quanto è possibile. E l'interazione è possibile: due enti interagiscono. Lasciamo stare la natura di tali enti. Per ora.
Interagiscono, niente lo impedisce. Ma cosa fa proseguire l'interazione per più di un istante o proprio nello stesso modo ogni volta?


Citazione di: viatorle "necessità" che esse dettano sono sempre relative al sistema di previsione degli eventi [...] I materialisti "duri e puri" (non faccio nomi)  anch'essi scelgono "per fede".
Ah. La necessità non era esattamente tale, allora. Quindi si ritorna alla fede, per spiegare la causa di qualcosa: quello che si studia dipende dalla propria visione, non dalla sua natura. Se anche il materialismo filosofico si rivelasse per questo motivo una fede, cadrebbe qualunque logica che voglia arrivare fino alle proprie estreme conseguenze. Se fosse così, se la logica dovesse arrestarsi per un dogma qualunque, non potremmo proseguire.
#184
Viator: ovviamente scherzavo sulla gravità dell'avere introdotto un concetto non dimostrato (o per lo meno non è grave in un forum), come spero fosse chiaro dal PS.
Però ora stiamo proseguendo comunque su di una strada migliore:
Citazionegenerare necessariamente un effetto
Questo è un motivo regolatore possibile: la necessità. Dobbiamo solo scoprire che necessità è, da cosa è dovuta.
Ma vedila da un punto di vista filosofico ontologicamente pluralista, in cui la visione unitaria è solo epistemica, soggettiva, una formalità propria di un certo modo di conoscere, una forma di insiemistica matematica, utile ma senza radici reali: in un quadro del genere, da dove spunta quel "necessariamente"? Due enti essenzialmente separati, che al massimo cozzano per caso, "alla Democrito", che possibilità hanno di proseguire per più di un istante nel loro rapporto? Ricordiamolo: non ci sono davvero delle leggi, perché queste presuppongono un piano-ente-intelletto regolatore (infatti, se per i primi scienziati le leggi erano "ovviamente" date da Dio, oggi le "leggi" naturali sono formulazioni. Con cui descrivere le regolarità osservate. Non sono la causa di tali regolarità, ne sono solo il "racconto" che ne facciamo noi).


Paul11: niente da aggiungere. Ma la filosofia materialista, come dici anche tu, avrà molto da togliere. E non sarebbe un problema, è nel suo diritto non porsi certe domande: se non ci fosse almeno un po' di tale filosofia, non avremmo la forza neanche di cercare il cibo. Ora però si è appena appena ecceduto nel lato opposto. E, come dicevi, ciò trasforma la tecnica in prassi, nel muoversi tanto per muoversi, sempre più efficientemente e sempre meno con un motivo che non sia la gratificazione per l'efficienza stessa, in ogni ambito sociale, per le masse; relegando la ricerca (persino quella scientifica) a poche oasi.
#185
Viator:
Citazioneun andamento natural-naturalistico il quale prevede
Ti fermo subito. Un andamento naturale che prevede, dici. È quindi una natura intelligente e consapevole. È una forma di panteismo. È oggetto di fede, non di logica, come era richiesto dalla domanda. Scartato. Il prossimo, prego.


PS: spiegazione meno brutale: precedentemente ho parlato con tono "metafisicheggiante" (senza comunque termini specifici) poche volte: se guardi bene (qualche punto a caso, non certo rileggendo tutta la marea di parole) più spesso evidenziavo le contraddizioni e le mancanze di una filosofia materialista che non riesce a fare altrettanto con quelle filosofie che non sono né materialistiche né antimaterialistiche (infatti le scambia per queste ultime; ma anche solo lo studio della logica ha trovato logiche non binarie), può solo pubblicizzare i biscotti che producono le tecniche su cui si basa interamente. Saporiti, ma evitando di pubblicizzare anche che c'è l'olio di palma.
Infatti (mi rifaccio al primo post dell'argomento originario, prima di questo lungo approfondimento), la filosofia materialista pubblicizza se stessa (che è una filosofia del fare) con un'etica del fare del bene (alla società, all'ambiente), dimenticandosi di notare che questi problemi... li crea essa stessa.
Neanche la religione (che pubblicizza se stessa con la pappa d'avena, a volte anche avariata, promettendo un banchetto dopo, sempre dopo) era arrivata a tanto: al massimo ha creato problemi sociali, e a macchia di leopardo, che non erano come ora tutti concentrati contemporaneamente nella maggior parte del globo (quello sfruttato), sempre che prima o poi non arrivi un contraccolpo anche nella zona più piccola, quella sfruttatrice. Nel frattempo, fa un danno ambientale dappertutto.
Problematiche risapute. Se non c'è via d'uscita, allora va bene così. Facciamo i botti, sempre di più e sempre più forti, alla fine almeno ne usciremo appunto col botto.
Se c'è un'altra uscita... Vediamo quale può essere. Partiamo dalle contraddizioni logiche delle filosofie più gettonate. Perché se partiamo solo per rimanere a vedere quanto siamo bravi a produrre cose sempre più belle, senza mettersi in dubbio (né nei risultati pratici, né nei presupposti logici), facciamo un'autoreferenzialità. Quindi basta con le autoreferenzialità, non voglio più neanche parlare di cose metafisiche autoreferenzialmente, ipotizzando azioni non duali che posso dimostrare solo a me stesso e che possono essere seguite da altri solo sulla fiducia, per lo meno se non hanno voglia di notare le contraddizioni delle proprie filosofie (ci sono anche nella metafisica, ma vengono integrate di colpo nell'azione, azione che la stessa logica tendente alla non dualità - ma anche altre pratiche volendo - alla fine fa scaturire di colpo: proprio come nelle filosofie materialiste, che agiscono bypassando le proprie contraddizioni: con ripercussioni di ben altra portata però. Accidenti, ho fatto di nuovo pubblicità autoreferenziale indimostrata 🙃). Servono solo le contraddizioni ora, di qualunque punto di vista, dimostrate logicamente.
#186
Ma quel che ho appena detto verso la fine rischia di diventare anch'esso una apologia, stavolta senza neanche prodotti da mostrare, né positivi né negativi (come nel caso invece della scienza).
Partiamo da un punto più basilare, già posto ma non risolto se si nega una visione non pluralista ontologica. Una domanda che è in linea con quanto detto finora ma che potrebbe stare bene in apertura di un altro argomento: come si spiegano, in assenza di divinità esterne o di un panteismo (presumendo che non crediamo ad entrambi), le regolarità riscontrate nei rapporti tra elementi di un'esistenza realmente frammentaria (e non frammentata artificiosamente per finalità di approssimazione conoscitiva)?
#187
Hai fatto una descrizione degli aspetti positivi della scienza, praticamente una apologia. Ero già d'accordo che la scienza era utile. Mancano però gli aspetti negativi, i conflitti che alimenta, le commistioni con fascinazioni poco rigorose, come quelle economiche, i protocolli a cui spesso si riduce e che sono dannosi quando non ben adattabili a tutti i contesti, il fatto che l'etica e l'elecologia di cui accenni siano descrittive ed oggettivistiche e quindi non sufficientemente motivanti.
Ma siamo anche d'accordo che essa è (estrapolo letteralmente le seguenti parole) scissa, funzionale, e portatrice di adattamento, non di verità. Basterebbe questo per vedere che non si adatta neanche alla totalità del singolo umano o della sua società, figuriamoci a tutto quello che può esistere.
Non ho cercato di compensare questa mancanza con aspetti ancora più manchevoli, come religioni e metafisiche esclusivamente teoretiche, fini a se stesse. Non si tratta neanche di cercare la verità.
Sì tratta di avere una visione d'insieme che la descrizione di osservazioni parziali etichettate come "virus" e "astri", o strumenti assemblati per avere certe funzioni come il treno e le sonde, non ci daranno mai. Una visione d'insieme che, in quanto non frammentata (quindi non conflittuale), non si oppone alla scienza, ma attenuerebbe i conflitti dei suoi eccessi. Potrebbe valerne la pena,  perlomeno iniziare ad interessarsi alla possibilità che almeno esista, anche se dandogli attenzione potrebbero rallentare altre attività? Anche perché parli di contraddizioni dei postulanti dell'Assoluto, ma se anche ci fossero non sono evidenziabili con una apologia scientifica, né qui vedo postulanti che propongono assoluti divinizzati o beatitudini nullificanti.
#188
Viator: capisco la difficoltà che hai sottolineato. Perché me l'hai spiegata, non perché la sperimento (neanche con chi la fa a me): non ho bisogno di correre qua e là per la risposta che mi è stata data, per rintracciare le cose a cui mi riferisco. Quando mi vedo esposto qualcosa, è "nuovo" a prescindere, non c'è neanche bisogno che sia più di tanto legato a quello che è stato detto precedentemente. In pratica, il filo dei pensieri o dei principi su cui si basa quello che scrivo riconosce i "propri simili" (ovvero ciò che gli è più attinente) in ogni ambito, non c'è bisogno di ritrovare punto per punto ogni risposta. Non scrivo infatti con il principio della "botta e risposta": come avevo già accennato, più che un dialogo contrapposto, prendo ciò che mi viene detto per affinare o viceversa rovesciare quello che dico, affinché non sia mai granitico, affinché non si basi mai su concetti fissi, assolutizzati.


Ipazia: prendo spunto dal fatto che Viator mi ha fatto notare che è di poco aiuto far perdere in un mare di spiegazioni (anche se servono proprio per non assolutizzare nessun punto, che è proprio quello che "rimprovero agli altri", soprattutto quando pensano di fare altrettanto), e prendo un piccolissimo punto soltanto, come se fosse una chiave di volta di tutto l'ultimo discorso:
CitazioneQual'è il problema ? Entrambe le metodologie funzionano nel contesto applicativo che è loro proprio.[/size]
Appunto: separazione, incongruenza, incapacità di sintesi, da parte della scienza. Che è bene! Non deve avere più di tanto una visione d'insieme.
Proprio per questo però non può permettersi di essere la prima a poter dire cosa è ontologico o no, cosa è vero o no. Il suo fine è favorire la tecnica, con cui piegare le apparenze percettive che sperimentiamo. Lei non fornisce la visione della realtà (usiamo questa espressione al di là che la realtà sia sottoponibile a visione o meno), perché la sua conoscenza è data da delle metodologie (parole tue!), e i metodi partono da (anzi, sono) una selezione della realtà, quindi sono un artificio ("fare con arte", appunto un fare, prima che un conoscere). Basta infatti focalizzare l'attenzione in modo più o meno nitido (guardando sempre lo stesso fiume, e non cambiando luogo di ricerca!) e ci ritroviamo con "verità" incongrienti tra loro, che sembrano riguardare cose diverse - e invece hai sempre e solo il fiume! Anche se non è un nome che gli daresti, a certi gradi di nitidezza di osservazione.
Va benissimo così, dici bene, ma da questo non possiamo trarre nessuna visione di insieme. Che è qualcosa che non possiamo non fare. Se crediamo di potervi rinunciare, ce la ritroviamo in qualche forma come pregiudizio inconscio. Meglio trovare consapevolmente e volontariamente una strada per essa, anche se dovesse venir fuori che anche la visione d'insieme non è esattamente la realtà. Ma la scienza, quindi la visione plurale, discreta, presa come guida principale e come meta per sapere cosa è reale o meno, non è adatta a prescindere (proprio perché... scinde a priori).
#189

La "Pippa" (il correttore automatico me la mette maiuscola... sarà il suo Assoluto preferito?) sulla dualità te l'ho "appioppata" perché te avevi dichiarato (alla fine faccio un quote anche io):
Citazione L'ignoranza è lo sfondo epistemico, la pluralità è lo sfondo ontologico
Dando tu statuto ontologico alla pluralità, ho dovuto mostrare come questa non fornisca mai una conoscenza stabile. Qualcosa di instabile può essere utile, ma di sicuro non è ontologico. E se mi avessi "ontologizzato" l'ignoranza, avrei fatto il discorso opposto, per mostrare come non si può assolutizzare neanche quella, non se la si definisce in qualche modo, con concetti "positivamente" qualificanti.

Dimostrazione di "ipoontologia" di una qualunque delle due polarità in esame, prendendo un esempio che hai fatto: il fiume appare continuo ma a guardarlo meglio è fatto di "qualcosa" con proprietà interagenti ("chimiche") precise, che lo rende quindi costituito di parti discrete. Guardando ancora meglio, queste parti discrete si comportano anche in modo continuo, da qui tutte le teorie dei campi (o, per quelli più buontemponi, dei fluidi eterici), che mostrano come le parti precedentemente considerate discrete potrebbero essere in realtà delle semplici conformazioni momentanee del campo, quindi di un continuo. Non contenti per tutta una serie di incongruenze in certi ambiti, si ipotizzano discreti filiformi, non più piccoli di una ipotetica misura limite. È così in ogni ambito, non finisce mai: finché credi che l'esistenza sia davvero divisa in una dualità, o polarità che dir si voglia, i suoi poli si alternano, e a quel punto se ti fermi o comunque consideri più vero uno solo dei due, è solo per il momento, perché non si sa ancora guardare oltre o per pregiudizio (concettuale o "sentimentale"). È vero, la scienza non si pone il problema del fatto che non c'è fine a questa altalena, non è il suo compito, non ne è neanche capace, funziona solo come ariete per sfondare (leggasi "guardare meglio", più nitidamente) i discreti che si riveleranno continui che si riveleranno discreti che si riveleranno dei continui.
Non è adatta per "tirare delle somme" ontologiche.
#190
Appunto. La scienza ha sfondato il discreto degli "oggetti macroscopici" separati e il continuo dello spazio indefinito ed indipendente, per trovare un nuovo ambito in cui si ripresenta di nuovo la dualità discreto-continuo.
È solo uno degli indefiniti esempi, scientifici o meno.
#191
I quote sono fantastici, ho solo un po' perso l'abitudine. Così come è stato fantastico Democrito, per quanto, tra i greci, preferisco (senza idolatrare) un Parmenide. Direi che è ovvio che anche le intuizioni di Democrito sono ben adattabili ad una qualche teoria o risultato sperimentale: il concetto di discreto, come quello di continuo, sorgono inevitabilmente in ogni ambito di pensiero, variamente applicabili ad ogni ambito di ricerca, perché ogni ambito presenta sia caratteristiche discrete che continue (senza fine: prima o poi sfonderanno in qualche modo "l'assoluta piccolezza di Plank", e poi troveranno un nuovo "ultimo pezzetto", e così via, anche se in modalità e concettualità molto diverse tra loro).


Il punto è che, se non si vuole cadere in assurdità della logica (che la letteratura Vedica continuamente si adopera per confutare, mentre quella zen le sfrutta, ma questa è solo una questione di metodo), con tutti i sentimentalismi o le preferenze poco equilibrate che comportano, questa dualità di discreto e continuo (caso particolare della dualità in generale) va ordinata: il discreto è davvero ontologico? Se lo fosse, l'esistenza sarebbe essenzialmente frammentata, quindi qualunque pretesa di conoscenza non potrebbe mantenersi neanche in un individuo, figuriamoci collettivamente, e la stessa universalità, di cui vediamo le regolarità naturalistiche, non potrebbe ragionevolmente mantenersi per più di un istante, già per due istanti sarebbe un miracolo, anzi, la stessa possibilità di mantenere una suddivisione conoscitiva che riconosce degli "istanti" sarebbe un miracolo. È il motivo per cui sorgono le fedi: in un universo intelligente e con una propria volontà, o in un controllore esterno altrettanto intelligente e con una altrettanta volontà precisa.


Chi ha abbastanza intuito da non dare troppo credito a queste ipotesi, che personalizzano l'universo o pongono una persona come suo controllore, dovrebbero anche intuire che rimane il problema di come fa l'universo, nella sua impersonalità, a mantenere una QUALUNQUE regolarità. Il problema è passato inosservato quando si è cominciato con una scienza che presupponeva comunque un Dio, per cui non era un problema che ci fossero leggi applicate alla natura, e si è passati ad un ateismo senza rendersi conto che a quel punto non era sufficiente definire tali leggi come "formulazione linguistica, spesso matematica, per descrivere le regolarità riscontrate": ci siamo dimenticati di spiegare come si mantenessero tali regolarità, senza più una volontà esterna, a meno che non si cadesse in un panteismo, che comunque personalizza e divinizza al pari di prima.

L'unico modo con cui è possibile che delle regolarità si mantengano senza ricadere nei suddetti fideismi è comprendere che la soluzione sta nell'invertire la dualità di cui parlavamo: il discreto, cioè la conoscenza, è epistemico, soggettivo, utile ma fittizio (per quanto momentaneamente condivisibile in certi ambiti: scientifici, che in fondo è la condivisione di un metodo, sociali, che in fondo è la condivisione di un'etica, ecc.): il che implica che non c'è nessun elemento davvero disgiunto da un altro che quindi abbisogna di regolarità per avere una qualunque interazione efficace, sensata... e continua.
Ad essere ontologico è il continuo, l'ignoranza, l'inconiscibile, l'ineffabile, l'indivisibile e l'intramontabile: niente infatti scalfisce ciò che non possiamo sapere: come possiamo dire che l'ignoranza è diminuita grazie ad una qualche nostra nuova conoscenza, se è la stessa ignoranza a non permetterci di dire se ha un confine?
Se quindi l'esistenza è intrinsecamente continua, anche se può apparire discreta, essa non ha bisogno di controllori esterni, o di una coscienza interna: è una unità che rimane sempre tale, le suddivisioni sono "solo" modi di conformarsi, che niente possono determinare, creare, dividere o distruggere, se non a parole, se non da punti di vista limitati e quindi incapaci di mettere una parola definitiva su come stanno le cose, su come è l'ontologia: hanno solo l'episteme per stabilire qualcosa, hanno cioè solo la propria soggettiva conformazione, momentanea ma non impossibile da mantenere per un po' su di uno sfondo continuo.


Non c'è niente di fideistico nell'attribuire quei non-nomi altisonanti (in-effabile, in-tramontabile, ecc.) all'inconoscibile ontologica ignoranza, è semplicemente inevitabile che l'ignoranza non si lasci veramente diminuire con un qualunque nostro atto. Né è una valutazione pessimista, quella di invertire l'attribuzione di ontologico ed epistemico all'ignoranza e alla conoscenza, perché in ogni caso non perderemo comunque mai l'episteme della conoscenza, per quanto fittizia: come ogni dualità o meglio polarità, anche in quella tra conoscenza ed ignoranza c'è inscindibilità.


PS: angolino di psicologia da strapazzo molto molto arrogante ed antipatica:
è evidente che alla fine sono io quello che ha rinunciato all'assoluto? Quando infatti dico che esso è l'ignoranza, vuol dire che "non ho speranza": non posso indicare qualcosa e dire "questa è ignoranza" (al massimo, di qualcosa, come questi miei post, posso dire che è sbagliato, inappropriato, incompleto, ecc.).
Mentre sei tu che lo cerchi, magari nell'insondabilità ribollente del segmento di Plank? In fondo è il discreto che cerca il punto fermo, la costante, l'invariante.
Prego di ignorare totalmente questo post scriptum, più che antipatico è odioso, nel voler valutare i comportamenti consci ed inconsci, di entrambi. 🤫
#192
In questa era di Facebook, mi mancavano le suddivisioni in vari "quote" di uno stesso post, proprie dei forum.
Ma non "cado nel tranello", che è proprio quello della scienza, di dividere per capire (fin qui va bene, nel proprio ambito va benissimo) ma estrapolando da ciò anche una conclusione universale, nel suo caso che "tutto è realmente diviso", non rendendosi conto che la visione plurale era solo un passo artificiale utile per i propri propositi, e proponendo così comunque una sintesi (gli è inevitabile sintetizzare in qualche modo, la mente stessa ha entrambe le possibilità, dividere e sintetizzare, nessuna delle quali si lascia silenziare a lungo, al massimo ripiega nell'inconscio - o nel "meno conscio", se si preferisce, in ogni caso nella disattenzione, nel rifiuto, nello sminuimento, nell'apparente rimosso - e da lì influenza le direzioni e le conclusioni dei pensieri consci, che però saranno così sottilmente paradossali).
In realtà questa sintesi incongruente non è della scienza in sé, ma dei... postulanti della Divisibilità.


Quindi, rimettendo insieme le risposte: sfondiamo la metafisica dello sfondo, per avere comunque uno sfondo, solo che è uno sfondo paradossale e incongruente (una "pluralità che fa da sfondo", da contenitore), che deriva da una divisione fatta per produrre certi vantaggi pratici, ma che non può cogliere la natura di ciò che indaga. Tale natura è infatti inconoscibile, è ignoranza.


Ma lo stiamo dicendo tutti, qua dentro! Non è proprio l'ignoranza ad essere indivisa, una, ineffabile? Ci possiamo mettere la maiuscola, Ignoranza, come la mettiamo quando la chiamiamo Assoluto, non per idolatrarla (beh, non nel caso mio, che non idolatrizzo più di tanto l'ignoranza, se non quel che serve per metterla "al suo giusto posto di sfondo immutabile", dopodiché vivo volentieri e quindi un po' idolatrizzo la pluralità senza però crederla padrona... assoluta), ma per ricordarci che essa non è solo un concetto, non è solo uno stato momentaneo che la conoscenza, cioè la divisione artificiale fatta per avere un orientamento (artificiale anch'esso ma comunque variamente inevitabile) potrà un giorno sfondare per porsi come sfondo essa stessa. L'ignoranza non può essere toccata dalle divisioni conoscibili fatte modellando forme con la sua "sostanza". L'ignoranza è lo sfondo. Accettato pienamente (da qui la maiuscola da "postulanti") non si cade più nell'idolatrare (anzi assolutizzare! Pur riconoscendola relativa!) la divisibilità. Con cui si pone l'incongruenza che proponi: l'ignoranza sarebbe lo sfondo da cui emerge tutto, ma lo sfondo sarebbe anche la pluralità.


PS: Democrito è stato smentito con quella fisica grazie alla quale abbiamo il cellulare con cui stiamo presumibilmente tutti scrivendo. Le "sferette indivisibili in uno spazio indeterminabile se non come estensione" sono utili per calcolare la traiettoria di un pallone e il moto dell'aria che sposta, ma nulla più (ehi, a meno che non si torni ad una fisica fondamentale dei fluidi, l'eterica! 😊 Allora si possono usare le formule di Newton anche per la "sostanza indeterminabile" da cui si forma tutto, e Newton in fondo è democritiano: ma ne risulterebbe comunque uno sfondo unitario in cui gli oggetti che vi appaiono sono conformazioni solo apparentemente divise. Proprio come i corpuscolo-onde per i campi della quantistica, che però hanno così relegato Newton ad un altro ambito fisico, non riuscendo più a sintetizzare neanche le varie "fisiche", tra cui quella di Einstein, e ritrovandosi così un universo con punti di incongruenza, con equazioni dal risultato infinito, ecc.
In ogni caso, nella fisica moderna niente Democrito, sullo sfondo. Ma questo è solo un post scriptum rafforzativo, non certo una conclusione sulla fisica).
#193
Citazionedovremmo piuttosto parlare di una pluralità di (s)fondo
Come può una pluralità fare da sfondo? Può esserci una pluralità IN uno sfondo, ma lo sfondo è lo "spazio" che per sua natura non è divisibile se non a parole.
Persino da un punto di vista fisico, quelle scienze che ipotizzano "granuli di spazio", devono farlo immaginando anche solo implicitamente uno sfondo in cui sono contenuti tali granuli, un "iperspazio" in cui i granuli sono un "momento" di esso che danno l'apparenza dello spazio. Ma la scienza, quando rinuncia ad un qualunque "oltre" e assolutizza ciò che indaga (che per sua natura però è un qualcosa che appare e scompare), è costretta a farlo emergere da un nulla, cadendo così in un involontario creazionismo.
Al massimo si può ipotizzare che la suddetta pluralità NELLO sfondo sia assolutamente (non si esce comunque dal presupporre un qualche assoluto, lo si dichiari o meno...) distinta da esso: ma avremmo così una serie di atomi di Democrito. Ha senso? Pezzetti di qualcosa (non importa se concepiti come fisici o meno) in uno spazio di per sé inqualificabile se non come estensione. Venuti ad esserci come? Dal nulla, creazionisticamente? Oppure sono un fatto bruto da accettare "perché è così"? Da non indagare oltre solo perché dobbiamo (?) limitarci alla scienza che deve per sua natura fermarsi ad indagare su COME si muovono e interagiscono?
#194
Mi sembra di aver letto che Ipazia era neoplatonica, quindi in qualche modo non era comunque "inchinata all'Uno"? Il problema per chi la uccise era solo il modo (da "pagana") in cui si poneva a questo uno. Ma in ogni caso la stessa matematica di Ipazia era dedita a tale unità fondamentale, e presumibilmente non alla matematica fine a se stessa o usata per spiegare i "fenomeni naturali", visti come meccaniche indipendenti sorrette da leggi fisiche. Leggi che anche oggi... non sono leggi. Per quanto ne so infatti, sono viste come formulazioni nostre per descrivere le regolarità riscontrate. Ma da cosa sono sorrette tali regolarità, come fanno a mantenersi, non ha ancora spiegazione, né forse la scienza ritiene di poter far rientrare una spiegazione del genere nei propri ambiti.
Comunque è interessante come Ipazia (qualla nostra, che preferiamo ☺️ perché ne vediamo la cultura e la compostezza senza doverla ipotizzare da pochi frammenti storici) abbia definito la realtà come "una", ineffabile e beffarda, visto che non si lascia afferrare neanche dal rigore numerico delle scienze. Non so se quel "beffarda" è visto come un problema: non dovrebbe esserlo, perché, in quanto "una", essa è anche noi; e quindi, non può che essere una beffa, il volersi cogliere artificiosamente con misurazioni, calcoli e conti (o con qualunque altro strumento, anche opposto, come le emozioni); è sempre una beffa, cercare di cogliere se stessi, sarebbe come volersi alzare da terra afferrandosi per il proprio collo.
#195
Viene da chiedere: cosa c'entra la storia con l'universale, o il fatto che essa sia influenzata o meno da ciò che di universale colgono solo alcuni? Si mette in dubbio che uno stato "estatico" possa riflettere l'universale, e sia invece solo un farmaco, un costrutto senza connessioni con altro, però dovremmo aspettarci che sia la storia, la collettività, a cogliere qualcosa di più stabile e integrale? O che comunque niente abbia valore se non è essa a coglierlo? O forse il suggerimento è che ci sia una scissura assoluta sempre e comunque tra ciò che cogliamo (individualmente o collettivamente) e una qualche universalità?