Citazione di: Alberto Knox il 19 Novembre 2024, 20:34:07 PMla consapevolezza rimanda a quel "conosci te stesso" di cui avevate discusso te e Daniele ma io sono d'accordo che la consapevolezza da sola non basta. Hai detto infatti che l etica viene dal basso e da li riprenderò cominciando con la mia definizione di etica che è nient altro che questa; percezione e attuazione della responsabilità personale.
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Alcuni chiarimenti.
Non c'è l'etica, ma diverse possibili opzioni etiche, diverse concezioni etiche.
Quindi quando si parla del contenuto dell'etica bisognerebbe chiarire di quale etica si sta parlando e su quale basi si fonda (una specifica religione, o metafisica, o concezione della natura etc.).
Su ciò che hai scritto inerente la chiamata e la risposta, la comprensione e l'azione: si tratta semplicemente di un fatto biologico, l'empatia, che prevede la capacità di immedesimarsi nello stato emotivo dell'altro e che comporta poi reazioni quasi automatiche.
Per esempio se ora mentre sto scrivendo dovessi sentire il mio vicino di casa urlare, automaticamente interromperei ciò che sto facendo per andare a vedere ciò che succede.
Non avrebbe alcun senso elogiare il mio comportamento. Piuttosto sarebbe significativo da un punto di vista psicopatologico se io, nonostante le urla del vicino, continuassi indisturbato a scrivere.
Comunque se si volesse discutere di un'etica naturale, mettendo al suo centro proprio empatia e comportamenti di cura degli altri, dovremmo immaginare ciascuno con una posizione specifica nello spettro dell'empatia, dal valore 0 dello psicopatico al 10 del santo, e dovremmo chiederci: dato che ciascuno riceve tale posizione dalla natura e in parte dall'ambiente in cui cresce, quale funzione concreta e utile avrebbe la morale, nella sua classica riflessione?
Possibile risposta: quella di "costringere", "addestrare", o "persuadere", più persone possibile con valori bassi a comportamenti in linea con valori alti dello spettro dell'empatia.
Limitarsi all'elogio del comportamento di chi ha già valori alti o altissimi non servirebbe a nulla.
Le cose però non sono così semplici. Basta riflettere sul concetto di banalità del male della Arendt. Cioè su come i meccanismi sociali ed economici, le strutture burocratiche e lavorative in cui siamo inseriti possano farci dimenticare che in ultimo le nostre decisioni, a cascata, si ripercuotono alla fine sulla reale vita degli altri.
Cioè, anche volendo partire da dati scientificamente controllabili, dalle osservazioni dell'etologia etc., ci si imbatte subito su fattori culturali che possono mutare radicalmente la traiettoria naturale dei nostri comportamenti, favorendo azioni criminali e tuttavia perfettamente accettate sia dalla coscienza dell'attore che dall'ambiente sociale che lo circonda.
La storia della religione è, a questo riguardo, esemplare nella sua ambiguità, nell'includere contemporaneamente norme naturali basilari e mostruosità.
