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Messaggi - Koba

#181
Citazione di: Alberto Knox il 19 Novembre 2024, 20:34:07 PMla consapevolezza rimanda a quel "conosci te stesso" di cui avevate discusso te e Daniele ma io sono d'accordo che la consapevolezza da sola non basta. Hai detto infatti che l etica viene dal basso e da li riprenderò cominciando con la mia definizione di etica che è nient altro che questa; percezione e attuazione della responsabilità personale.
[...]

Alcuni chiarimenti.
Non c'è l'etica, ma diverse possibili opzioni etiche, diverse concezioni etiche.
Quindi quando si parla del contenuto dell'etica bisognerebbe chiarire di quale etica si sta parlando e su quale basi si fonda (una specifica religione, o metafisica, o concezione della natura etc.).

Su ciò che hai scritto inerente la chiamata e la risposta, la comprensione e l'azione: si tratta semplicemente di un fatto biologico, l'empatia, che prevede la capacità di immedesimarsi nello stato emotivo dell'altro e che comporta poi reazioni quasi automatiche.
Per esempio se ora mentre sto scrivendo dovessi sentire il mio vicino di casa urlare, automaticamente interromperei ciò che sto facendo per andare a vedere ciò che succede.
Non avrebbe alcun senso elogiare il mio comportamento. Piuttosto sarebbe significativo da un punto di vista psicopatologico se io, nonostante le urla del vicino, continuassi indisturbato a scrivere.

Comunque se si volesse discutere di un'etica naturale, mettendo al suo centro proprio empatia e comportamenti di cura degli altri, dovremmo immaginare ciascuno con una posizione specifica nello spettro dell'empatia, dal valore 0 dello psicopatico al 10 del santo, e dovremmo chiederci: dato che ciascuno riceve tale posizione dalla natura e in parte dall'ambiente in cui cresce, quale funzione concreta e utile avrebbe la morale, nella sua classica riflessione?
Possibile risposta: quella di "costringere", "addestrare", o "persuadere", più persone possibile con valori bassi a comportamenti in linea con valori alti dello spettro dell'empatia.
Limitarsi all'elogio del comportamento di chi ha già valori alti o altissimi non servirebbe a nulla.
Le cose però non sono così semplici. Basta riflettere sul concetto di banalità del male della Arendt. Cioè su come i meccanismi sociali ed economici, le strutture burocratiche e lavorative in cui siamo inseriti possano farci dimenticare che in ultimo le nostre decisioni, a cascata, si ripercuotono alla fine sulla reale vita degli altri.
Cioè, anche volendo partire da dati scientificamente controllabili, dalle osservazioni dell'etologia etc., ci si imbatte subito su fattori culturali che possono mutare radicalmente la traiettoria naturale dei nostri comportamenti, favorendo azioni criminali e tuttavia perfettamente accettate sia dalla coscienza dell'attore che dall'ambiente sociale che lo circonda.
La storia della religione è, a questo riguardo, esemplare nella sua ambiguità, nell'includere contemporaneamente norme naturali basilari e mostruosità.
#182
Forse l'errore sta nel pensare che in una condizione neutra l'uomo possa rimanere in uno stato privo sia di malessere che di benessere.
Le osservazioni che facciamo su noi stessi mostrano che non è così.
Tant'è che soffriamo la noia. Nella condizione neutra in realtà soffriamo, anche se si tratta di un malessere di fondo, che facciamo anche fatica a individuare.
Uno dei motivi di questa sofferenza di base potrebbe essere l'insieme dei traumi che ciascuno, chi più chi meno, subisce nel corso della propria vita, e che lasciano tracce che, riattivandosi spesso casualmente, riportano in essere, in una versione molto depotenziata ma con reali connotati fisici (cambiamenti fisiologici come aumento del battito cardiaco etc.), quel dolore che si è subito nell'evento originario.
Certo in questo caso c'è una causa specifica alla sofferenza: il ricordo.
Nulla toglie però che le tracce dei traumi possano agire a livello inconscio.
Quante volte ci si sveglia al mattino con un umore nero o triste senza alcuna ragione?
Dobbiamo immaginare che nei sogni di quella notte, anche se non li ricordiamo, si possano essere riattivati quei ricordi e quindi anche lo stato psicosomatico di sofferenza che gli eventi originari avevano provocato in modo così intenso.
Ma c'è dell'altro. Se tutti noi abbiamo fatte esperienze di grande sofferenza (anche solo fisica), soprattutto nell'infanzia, abbiamo anche sperimentato la vittoria su questa sofferenza, la guarigione.
Un'esperienza di euforia.
Ma finita tale euforia saremo portati a cercare di riprodurla. Sentiremo la sua privazione come disagio.
Non è quindi nemmeno necessario ipotizzare uno sfondo di traumi inconsci per dare conto del malessere generale. È sufficiente l'esperienza del piacere intenso a provocare poi una condizione negativa per il solo fatto che tale esperienza è assente.

Il nulla, il non senso, si possono spiegare come l'effetto dell'assenza di qualsiasi attività finalizzata a ricostruire, in una qualche sua versione, l'esperienza del piacere, del benessere.
Qualsiasi attività: compreso scrivere sul nulla. Perché la ricerca della verità o l'espressione artistica hanno sempre come obiettivo quello di "arricchirci", espressione retorica che però dice bene che il fine, anche inconsapevole, è aggiungere potenza al nostro stato conservativo.
Anche soltanto un modello, uno schema che dia conto del funzionamento di un certo fenomeno ci restituisce potere, forza, un qualcosa in più insomma rispetto all'istante precedente la sua teorizzazione.
Il non senso infatti si sperimenta quando ci fermiamo. Perché il senso è sempre immanente la prassi.
#183
Ma non esiste alcuna "verità del nulla". Ciò cui si riferisce quel nulla è la dissoluzione dello scheletro culturale di una civiltà. Si è capito che certi valori non sono eterni.
Quindi sarebbero niente perché non sono infiniti? Si rivelano nulla non essendo le idee di Dio?
Si vede bene come tutto questo parlare di nulla e di nichilismo non abbia molto senso, ma sia solo una fase di convalescenza, di espulsione di tossine, di notti febbricitanti.
Tutto è iniziato quando ci si è convinti di poter costruire una scienza del Bene. Anziché concentrarsi sulla prassi educativa e sugli esperimenti si è completamente perso la testa per la soluzione di questo enigma teoretico. La soluzione è stata inventata, poi elaborata complessivamente nella metafisica platonico-cristiana, quindi ancorata al potere politico.
Inutile dire che la questione di partenza, "come fare ad allevare degli uomini buoni", si era ormai perduta nelle dispute teologiche.
[Ma veramente c'è una soluzione al problema educativo? Forse una persona di indole buona e curiosa troverà sempre il modo di salvarsi, mentre chi è insensibile e indifferente troverà sempre il modo di perdersi. Questo al di là di tutto ciò che l'ambiente offra loro, sofisticato o povero che sia. Chissà...]

Io non ho affatto invitato a occuparsi solo di se stessi, piuttosto di prendersi cura di ciò che concretamente ci circonda. Mi pare inutile immaginare grandi riforme agrarie se non si è nemmeno in grado di coltivare il proprio giardino.

Non è nemmeno corretto dire che si uccida per noia.
Si uccide o si usa l'altro essenzialmente come strumento del proprio piacere quando si è perso (temporaneamente o per sempre) la capacità si sentirlo come persona. Vedendolo solo come oggetto o strumento si può arrivare anche al delitto, così per vedere che cosa si prova a uccidere.
Se di "nulla" vogliamo parlare allora ciò su cui bisogna riflettere è il nulla in quanto assenza di empatia, e sulle sue cause.
Se è l'assenza di empatia a permettere la crudeltà, va tenuto presente che tale assenza può essere determinata da tutt'altro che da un vuoto: per esempio il ricercatore che fa a fette il cervello di un gatto perfettamente cosciente, o la guardia nazista di un campo di concentramento, sono entrambi pieni di convincimenti rotondi, cosa che permette loro di sospendere la pietà, per poi, finito il "lavoro", con la coscienza pulita, di tornare ad essere le persone affettuose e sensibili che tutti conoscono.
Bisognerebbe quindi cercare di capire se la noia può essere una delle causa di questa sospensione dell'empatia, o piuttosto è la noia, il vuoto della vita, ad essere già l'effetto di tale sospensione.
#184
La civiltà greca aveva come presupposto la schiavitù.
Socrate e i suoi amici potevano impegnarsi nella ricerca di cosa fosse per esempio la giustizia, solo perché per ognuno di loro c'erano dieci schiavi che lavoravano nei campi.
Questa libertà ha prodotto grandi cose, ma nel momento del suo declino credo che il giudizio cambi se si interroga il cittadino o lo schiavo.
Certo si troveranno sempre degli schiavi innamorati dei propri padroni, che proveranno nostalgia per quella "naturale" differenza tra liberi e servitori.
Nelle grandi ideologie c'è qualcosa di simile: un apparato che produce o conserva una spiritualità specifica e degli schiavi che mantengono i funzionari (che però ora non sono liberi cittadini, perché i loro pensieri devono essere quelli scelti dall'élite al comando).
Ma in questo caso, rispetto alla schiavitù antica (che si reggeva sulla forza, su nient'altro che una differenza reale di forza), è attraverso la manipolazione e le illusioni che si riesce a mantenere in servitù le grandi masse. Così istupidite da andare felici al fronte a farsi ammazzare. Almeno le mucche al macello si rendono conto di quello che sta per accadere e giustamente esprimono terrore.

In sostanza anziché chiedersi come essere più liberi, o come utilizzare la libertà che si dispone a secondo della propria specifica posizione sul continuum tra l'élite e lo schiavo, dovremmo provare nostalgia per i macelli del Novecento perché è più nobile morire per delle illusioni piuttosto che suicidarsi per il nulla...
La nostra società è semplicemente una società di massa che si fa manipolare non con l'illusione di un futuro radioso, ma con quella di un edonismo da spendere nel presente.
Due forme di stupidità differenti.
Dietro di esse, lasciata la massa al suo destino, rimane l'unica cosa su cui vale la pena lavorare: la propria vita, la propria cultura, le proprie amicizie, i piccoli o grandi contributi all'educazione di qualche persona che da poco si aggira per questo mondo etc.
#185
Citazione di: green demetr il 11 Novembre 2024, 19:10:35 PM[...] la filosofia antica è una gnosi, la luce è la conoscenza, la conoscenza dell'altro Mondo.
In Platone visto come il maestro mi bombarda dovrebbe essere  bellezza, verità e bontà.
Questi tre verità dell'Altro Mondo, sono quelle che illuminano tramite la saggezza, questo di Mondo.
Abitato dalle tenebre.
E io ricordo che c'è un sole dietro il sole: che poi sarebbe qualcosa di ancora più in altro di queste verità, che dovrebbe essere il Dio, quello per cui Socrate arriva a dire di SAPERE di NON SAPERE.
Ossia Socrate sa delle virtù morali, ma non di quelle divine.
Noi vediamo insomma quelle che, suppongo, verranno chiamate poi le virtù teologali, morali etc...
Nella meditazione ci appaiono nitide, pure, eterne.
Poichè è il desiderio di conoscerle che ci ha portato a loro, nasce nell'uomo virtuoso, ossia il filosofo antico, il desiderio di farle conoscere anche a chi continua volontariamente a consolarsi con le immagini.

Io penso che la filosofia antica sia l'opposto della gnosi, sia cioè paideia. Prediligo l'interpretazione di studiosi come Jaeger, Hadot, Foucault. Esercizio spirituale, formazione, etc.
Del resto il gioco della filosofia è basato sull'argomentare ciò che si ritiene essere vero, per cui la salvezza o quantomeno il cambiamento possono realizzarsi solo attraverso un processo razionale, i cui partecipanti devono essere almeno due.
Lo gnosticismo invece conduce alla salvezza attraverso la sola rivelazione, la cui efficacia, non potendosi basare sulla ragionevolezza intrinseca della dottrina, viene dall'autorevolezza di un Libro, di una setta etc.

La luce viene dal Sole. La luce rappresenta la conoscenza. Ma il Sole non rappresenta la Verità, ma il Bene. Potremmo fare con Platone lo stesso ragionamento di una certa teologia medievale: la verità è tale non per ragioni proprie ma perché emanazione del Bene. È il Bene il criterio della verità, e non il contrario.
Così un certo orientamento teologico sosteneva che le verità che conosciamo come quelle dell'aritmetica non sono indipendenti dalla volontà di Dio: 2+3 è uguale a 5 perché Dio ha voluto fosse così, e non perché Dio, trovando il calcolo corretto, lo ha accettato e dato al mondo.

Credo sarebbe il caso di aprire un topic sulla lettura della Repubblica.
#186
Citazione di: green demetr il 11 Novembre 2024, 17:44:49 PMNon era Tommaso che diceva che si raggiunge Dio quando la libertà sposa il desiderio di Dio?
Non capirò mai le posizioni, per esempio dell'India in tutte le salse, di "abbandono del Mondo"
E seguendo Agostino, il desiderio di Dio non è la volontà di portare la luce in questo Mondo?
Come nella tradizione ebraica e greca: in questo Mondo, non nell'Altro (dove è già tutto luce).
E' questo il compito intimo della filosofia, non tanto la terapia, o la resistenza (comunque necessaria) ai mali del Mondo.
Io la vedo così ora. Piano piano la nebbia si dilegua.
Mancano i testi e un serio lavoro a come scrivo.

Prendiamo il mito della caverna di Platone. Il filosofo è un prigioniero, come tutti gli uomini, poi vede la luce, si arrampica lungo un sentiero, esce all'aria aperta, e si rende conto fino a che punto la sua vita sia stata nient'altro che uno spettacolo di simulacri, di maschere.
Dopodiché torna indietro a liberare gli altri prigionieri.

Ora, ti chiedo: tu dove ti vedi?

Io penso di essere uno di quelli che intravedendo la luce cerca l'uscita, si arrampica, arriva quasi in cima, poi scivola in basso, si dispera, riprova, si arrampica, rotola, riprova, cade, etc., ma non si dispera più. Questo è il punto. All'ennesimo ciclo non si dispera più, e i suoi occhi vedono sempre meglio la luce, anche se è destinata a non uscire mai dalla caverna e rimanere quindi una creatura dell'oscurità.
#187
Citazione di: iano il 11 Novembre 2024, 15:32:50 PMNon hanno presumibilmente senso, perchè se c'è una finalità non è a parole che la si può esprimere, secondo me, cioè non tutto è riducibile a parole, per quanto inevitabilmente proviamo a farlo [...]
Hai un po' modificato la questione.
Potremmo dire così, ora: l'edificio della metafisica è crollato, noi ci aggiriamo tra le macerie e ogni tanto ci fermiamo davanti ad uno di questi pezzi, interrogandoci su di esso, sulla sua natura, ma inutilmente in quanto il suo significato stava nella posizione occupata all'interno della struttura dell'edificio. Ora non è altro che un pezzo di materia inerte.
Quindi è corretto dire che le domande filosofiche che nascono dalla sollecitazione di questi ruderi danno il via ad un'attività che non può avere alcun esito positivo.
Ma in realtà l'edificio stesso è stato eretto per rispondere alla domanda sul senso.
E il suo crollo non comporta solo quel tipo di interrogativi determinati dall'ambiguità del linguaggio della tradizione, ma l'apertura a ben altro domandare.
Questo domandare non è un gioco, poiché in esso si decide sul senso del proprio vivere, sulle possibilità del proprio agire etc.
D'altra parte proprio la fine della metafisica, quindi di un certo dogmatismo, dovrebbe farci recuperare l'umiltà iniziale di Socrate: so di non sapere, cioè so che ogni posizione deve essere soppesata; finita la pacchia delle verità tradizionali non rimane che essere sempre un po' scettici, problematici, contraddittori quando serve.
Lo spirito polemico cioè non ha molto senso, nasconde per lo più altri interessi (psicologici o professionali).
#188
Green, Jacopus: apprezzabili le vostre divagazioni ma la posizione di Iano espressa nel post di apertura è chiara e può essere descritta come la radicalizzazione del neopositivismo logico. Dico radicalizzazione in quanto la critica feroce dei fratellini minori di Wittgenstein riguardava le questioni metafisiche. La tradizione metafisica e teologica occidentale era vista come un intreccio inestricabile basato sull'utilizzato errato di certi concetti. La filosofia quindi aveva il compito di curare il linguaggio, di sciogliere i rompicapi concettuali che appunto in verità non rimandano a nulla di reale ma solo a questioni astratte prive di un correlato oggettivo che poi la tradizione, ritornandoci su continuamente, ha complicato a tal punto da rendere possibile questo fraintendimento.
La radicalizzazione di Iano sta nell'asserire che anche le domande esistenziali sono prodotte da questo tipo di uso maldestro del linguaggio.
Ma le questioni esistenziali, attinenti il senso della condizione umana, non sono un prodotto della filosofia. Troviamo già tutto rappresentato nella tragedia greca e nella poesia.
La filosofia ha piuttosto accolto la sfida di voler affrontare il carattere paradossale dell'essere umano con il logos e con il dialogo.

Qui non c'entra niente il problema mappa-territorio, non si tratta del problema dell'attendibilità delle nostre descrizioni, ma del fatto che i termini del nostro linguaggio creerebbero in modo automatico le condizioni per falsi problemi, appunto quelli esistenziali:
cit. Iano: "Le risposte non le troviamo semplicemente perché non avrebbe senso porsi quelle domande".
#189
Citazione di: daniele22 il 10 Novembre 2024, 15:18:00 PM
@Koba II
Visto che hai detto che l'essere umano è ontologicamente problematico, a livello filosofico sarebbe interessante conoscere o sforzarsi almeno di conoscere i motivi per cui egli verserebbe in tale situazione, sempre ammesso che gli "altri" non evidenzino tale problematicità e che un compito della filosofia sia quello di essere d'aiuto al pover 'om.

In effetti la filosofia, pur avendo la tendenza a porsi come conoscenza e pur avendo la mania della teorizzazione, è forse soprattutto terapia del pover 'om.
Forse è nata proprio per questo e solo successivamente si è raccontata di essere stata generata dalla meraviglia.
Terapia del pover 'om nel senso di un esercizio spirituale, di un lavoro di cura di sé che poi concretamente consiste innanzitutto nella difesa della propria singolarità dalle forze che vogliono assoggettarlo, cioè renderlo soggetto comune, manipolabile.
C'è chi ritiene che l'esortazione antica "conosci te stesso" posta all'ingresso del tempio di Apollo a Delfi abbia a che fare con tale terapia.
L'esortazione esprimeva essenzialmente due cose, tutto sommato l'una in contraddizione con l'altra:
1) prendi atto di essere solo un mortale, tu che stai per entrare nel tempio dell'immortale Apollo!
2) cerca di capire che la tua essenza è l'anima, che nella sua purezza è del tutto simile al divino.

Quindi, viene da chiedersi: siamo delle creature miserabili o al contrario siamo, nel fondo di noi stessi, simili a Dio?
Entrambe le cose.
Ma appunto il divino, correttamente compreso, non ha attributi specifici (altrimenti sarebbe un grottesco super uomo con grossi attributi), ma è assenza di costrizioni, di volontà, di desideri, pura libertà.
Nell'anima probabilmente non c'è niente da conoscere, con buona pace dei cultori dell'interiorità lussureggiante.
Ci può essere silenzio, pace. Ma per arrivare a questa meravigliosa assenza bisogna filosofare tutta la vita, cioè difendersi continuamente, con ogni mezzo, dalla violenza degli uomini e del mondo, anche e soprattutto nella forma dei propri pensieri, dei propri desideri, etc.
#190
Citazione di: Alberto Knox il 08 Novembre 2024, 15:29:08 PMNon si tratta di imparare una disciplina , l educazione ha poco a che fare con l'insegnamento. Infatti "In-segnare" significa mettere, imprimere segni dentro la mente. Mentre E-ducare,  Educere, significa "tirare fuori" . c'è un bella differenza fra in-mettere e tirare fuori. E cosa si tira fuori? il tuo prendere sul serio il tuo essere pensante . Condizione indispensabile per agire e pensare in maniera etica.

Potrei anche essere d'accordo con te ma questo è irrilevante mentre non lo è la domanda che il Protagora della situazione ti porrebbe: da dove ti viene il convincimento che ci sia qualcosa di buono da tirar fuori dalle persone? Dall'etimologia della parola "educare"? La tua teoria morale è fondata solo sull'etimologia? O meglio ancora, c'è un fondamento o ci si deve basare solo sulla persuasione sentimentale della retorica umanistica?
#191
Citazione di: iano il 09 Novembre 2024, 08:16:35 AMA me pare che le nostre domande esistenziali non hanno risposta perchè con quelle domande andiamo oltre lo scopo d'uso per cui i termini di cui sono composte  sono nati, e cioè per descrivere la realtà.
D'altra parte sarà inevitabile farsi quelle domande nella misura in cui scambieremo la realtà con le sue descrizioni.
Per cui, ad esempio, se per descrivere la realtà termini come ''buono'' e ''cattivo'', ci chiederemo, senza trovare una risposta, perchè nel mondo ci sia tanta cattiveria.
Le risposte dunque non le troviamo semplicemente perchè non avrebbe senso porsi quelle domande, ma allo stesso tempo il porsele ci sollecita  a trovare nuove descrizioni della realtà, per cui farsele  sembra avere comunque una funzione.
Cosa c'è di più nichilistico del considerare la domanda filosofica come il prodotto di un fraintendimento linguistico?
Se sono i termini del linguaggio a produrre rompicapi esistenziali, i quali come dici tu "non avrebbe senso porsi", vuol dire che la condizione umana di per sé non li suggerirebbe affatto, e allora ti chiedo: sicuro che lo stato da cui proviene questa visione si possa definire vitale, aperta alla vita e alla conoscenza?
Non è piuttosto proprio questa visione ad essere costruita solo in base a giochi di parole, sullo sfondo di una rimozione globale di tutto ciò che è la vita degli uomini?
#192
Citazione di: Alberto Knox il 06 Novembre 2024, 17:32:16 PM[...]
Per quanto riguarda l'etica e il filosofare sull'etica mi chiedo quali forme di educazione morale ci sono ancora oggi. Il concetto di educazione odierna è ridotto, quando va bene, alle buone maniere. Ne viene che la parte più importante di un essere umano, ovvero la coscienza morale, è lasciata al caso. Si persegue  e si trasmettono informazioni a scopi conoscitivi ma ci si guarda bene dal trasmettere formazione, cioè valori, criteri di giudizio , modelli di pensiero e di vita . L'educazione quindi si perde, l'etica viene scambiata per buonismo. Ognuno di noi ha delle caratteristiche peculiari quali sensibilità , intelligenza , sapere, professionalità ma la nostra essenza specifica non è data da ciò che sentiamo, capiamo, facciamo , sappiamo bensì dal modo di cui facciamo uso di ciò che sentiamo, capiamo, facciamo , sappiamo. Noi siamo la nostra modalità, è questo il peso specifico di un essere umano. Ci definiamo Sapiens, ma in questa definizione è in gioco da subito l'etica. Sapienza infatti non è semplicemente conoscenza ma è l'unione di conoscenza e di virtù. Il fatto è che nessuno oggi sa più che cosa sono le 4 virtù cardinali considerandole dei fossili del pensiero.  Mentre invece sono i cardini , i pilastri di una vita in armonia con se stessi e con il mondo.


Sull'educazione morale ci si scontra subito con un problema: perché quel determinato insegnamento e non piuttosto un altro? Perché dovremmo addestrare i giovani alle virtù cardinali e non piuttosto al concetto di virtù come "efficacia", come "successo"?
I destinatari di questo disciplinamento infatti prima o poi chiederanno conto del contenuto specifico di tale educazione...
E questi valori, non essendo inscritti nella natura umana ma eredità di una specifica civiltà ormai in declino, quindi "ideali" grandiosi sì ma pur sempre relativi, come possono essere "offerti" in modo persuasivo?

Mah, forse solo nell'ambito di un contesto sociale in cui la cosa più importante sia lo studio paziente, la dedizione per le cose "alte", la critica ragionata e non la polemica fine a se stessa, solo nell'ipotesi di una comunità del genere si potrebbe immaginare un'educazione alle virtù che non sia mero apprendimento basato su una fede religiosa ma riconoscimento di un modello esemplare di convivenza civile.
#193
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
08 Novembre 2024, 10:58:32 AM
Citazione di: green demetr il 08 Novembre 2024, 02:22:16 AMCome direbbe Baldini e cosa attiva l'anti-ricompensa?
(se non la spiegazione di agitazione dello stesso paziente?).
Le spiegazioni biologistiche sono riduzioniste.
Inoltre il principio di morte non c'entra niente con l'anti-ricompensa.
Il disagio della civiltà si deve invece ricercare nei meccanismi di resistenza che si trovano all'interno del super-io. Ossia nel tiranno interiore, con tutto l'armamentario della sua sofistica.
Ossia nella volontà di non curarsi.

Premesso che è stato proprio Freud a ipotizzare la presenza di qualcosa di organico alla base della ripetizione di condotte ossessive che non fanno che apportare dolore, il modello che ho cercato di sintetizzare non spiega il perché della specifica coazione a ripetere di cui si lamenta il paziente X, ma dimostra oggettivamente che la sua forza, e quindi anche la sua resistenza agli assalti della terapia, deriva da un meccanismo fisiologico che accompagna sempre l'esperienza del piacere.
Si dimostra che ogni qualvolta faccio un'intensa esperienza di piacere, accanto al sistema dopaminergico, si attiva, con una leggera sfasatura temporale, un sistema che provoca stress, disagio.
E questa attivazione è automatica, indipendente dal mio umore, dal mio modo di interpretare l'esperienza.
Il che ovviamente non significa che tutti poi devono finire per sviluppare una nevrosi ossessiva.
Non c'è quindi nessun riduzionismo.
Piuttosto un interessante apporto scientifico di grande utilità nello studio delle proprie psicopatologie della vita quotidiana.

Ps.: e chissenefrega di quello che direbbe o non direbbe Baldini. Mi sembra il caso che tu faccia un po' di autoanalisi sulla tua propensione ad attaccarti a dei padroni, ops... volevo dire a dei maestri...  ;)
#194
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
06 Novembre 2024, 13:14:28 PM
Citazione di: Jacopus il 05 Novembre 2024, 23:31:45 PM@Dubbio. La tua sintesi non mi dispiace. Solo qualche precisazione.
Molto. La psicoanalisi afferma che si deve provare a conoscere ciò che è nascosto, ciò che sembra irriconoscibile, ciò che è frammentario, sommerso dal tempo. È un esercizio di "gnothi seatoun" in chiave dialogica. La psicoanalisi nasce (anche) dall'analisi del mito di Edipo, che ancora una volta ha a che fare con la sete di conoscenza, una conoscenza virile, cruda, che non fa prigionieri e che "libera" mentre "imprigiona". Faccio un volo pindarico e arrivo alla frase di Gesù "chi vorrà salvare la propria vita la perderà, chi la perderà a causa mia la troverà". Il senso è affine e dimostra ancora una volta, la radice ellenistica del cristianesimo (FN dissentirà). Una conoscenza "vera", libera l'uomo ma per farlo bisogna rischiare di restare ciechi, di uccidere il proprio messia e di affrontare i propri mostri interiori e scendere con loro nell'abisso. Come dice Recalcati, la psicoanalisi è in ciò l'alter ego del cristianesimo. Entrambi alla ricerca degli scarti, di ció che escluso, di ciò che è terreno, di ciò che è imperfetto e da quel materiale, dal materiale degli "ultimi" che è dentro ognuno di noi, ricostruire un uomo "autentico", lontano in entrambi i casi da ogni religione (anche Gesù era contro la religione giudaica di allora). Ed in ciò sta anche la necessità dell'uccisione (simbolica) di ogni maestro, di Gesù come di Freud. In ciò sta l'integrazione dell'umano in una vita vera non scissa, non proiettata, non polarizzata e che si compie nel "lavoro che è dentro il nostro desiderio". È un lavoro iniziato da appena un secolo e che deve disorganizzare e riorganizzare discorsi che hanno millenni di storia e sono delle gabbie di titanio dentro ognuno di noi.
La psicoanalisi è un viaggio su sentieri marcati appena nel fitto bosco dell' inconscio, del corpo umano, nel rapporto con il mondo. Simile al viaggio distopico di un ipotetico quartetto Dante-Virgilio-Beatrice e il Lucifero di Milton.
Quella di cui tu stai parlando è cultura psicoanalitica più che psicoanalisi in senso proprio, e infatti citi Recalcati, i cui libri, certamente interessanti, non potrebbero mai essere utilizzati come strumenti tecnici nella clinica.
Poi va ricordato che l'Edipo di Freud è completamente diverso da quello greco. Nella tradizione antica non c'è alcuna ambiguità nei desideri di Edipo. La verità che verrà svelata non riguarda il suo desiderio, ma solo la sua provenienza biologica. Conoscere se stessi in questo caso significa conoscere il proprio vero nome. Non so quanto di filosofico ci sia in tutto questo. Senz'altro si tratta di una riflessione sul destino. Non sul proprio desiderio (sempre che poi abbia senso parlare del proprio desiderio, e non piuttosto di desideri che l'analisi spesso dimostra essere originati da eventi traumatici del tutto casuali), non sulla propria "natura" faticosamente rimossa.
#195
Ma da sempre l'essere umano sembra deviare da quello che dovrebbe essere il suo fine.
A quanto pare in ogni epoca c'è qualcosa che impedirebbe all'uomo di esprimere la sua autentica vocazione. La fame, l'intolleranza religiosa, il razzismo, e ora un certo appiattimento cinico e un'incapacità di comunicare, e via dicendo.
Sicuro che questa rappresentazione sia realistica?
Non è che ci stiamo dimenticando della natura ambigua dell'amore? Della natura malriuscita dell'uomo?
Senza contare che chi di solito a turno fa un'invettiva per esprimere delusione sul genere umano si considera invece meno cinico, più capace di amare, più onesto etc.
Non penso sia l'unica persona decente rimasta su questa terra, o no? Ci saranno da qualche parte altre persone come lui con cui relazionarsi?

Il senso della propria vita non ci viene consegnato bello che fatto dall'ambiente che ci circonda.
Ciascuno di noi se lo costruisce.
Secondo me quello che ai nostri giorni manca in modo specifico è la capacità di immaginare un'avventura, di qualsiasi tipo (spirituale, politica, culturale, comunitaria, etc.), e il coraggio di perseguirla fino in fondo.
Penso per esempio alla scelta di Francesco d'Assisi e dei suoi amici. Al di là del racconto dei miracolosi segni della vocazione, alla fine si è trattato di una scelta radicale e dell'accettazione di tutti i rischi connessi (miseria, persecuzione, incomprensione generale).

Chi prova orrore per le sciocchezze di cui sembrano vivere molte delle persone di oggi può sempre scegliere di avventurarsi in altri paesaggi umani, un po' meno sicuri ma forse più affini a se stesso.

Insomma, non c'è da risolvere nessun problema. È l'uomo ad essere una creatura ontologicamente problematica. Le sue manifestazioni a volte sono grottesche, a volte sono terribile, qualche volta sono intelligenti, ma quasi mai sono pure.

Quindi no, la riflessione filosofica non può aspettare mutamenti improvvisi ed insperati dell'attuale società prima di mettersi finalmente in azione, perché la filosofia serve proprio a capire come orientarci al fine appunto di dare senso al nostro passaggio per questo mondo sgangherato.