Penso che l'errore più grande sarebbe seguire il protestantesimo nel suo fallimento. Apertosi da secoli allo 'spirito del mondo' , il protestantesimo ha di fatto perso il proprio . Teologi come Vito Mancuso temono la modernità e consigliano continuamente di scendere a compromessi con essa, cercando di diluire e annacquare la dottrina cattolica. Eliminare cioè quel che non può essere accettato dagli abitanti delle società liquide moderne.
Il consiglio indiretto di Mancuso è proprio quello di fare come le chiese protestanti. Solo rinunciando al suo "insostenibile" punto di vista, sostiene Mancuso, la Chiesa riceverà finalmente l'applauso del mondo e sarà accolta nella luminosa era del progresso...
"La Chiesa è indietro! Deve adeguarsi al mondo" è il mantra che circola tra teologi atei e chierici 'disinibiti'. Ma il protestantesimo, che ha accettato e fatto proprio lo spirito del mondo, come sta di salute?
Peggio, molto peggio della Chiesa Cattolica, vien da dire, osservando cifre e statistiche...
L''emancipazione' dal Cattolicesimo non è riusita a frenare la polverizzazione e il relativismo etico facendo proliferare centinaia di altri piccoli protestantesimi, ognuno con il suo orticello e le sue regolette. Ormai, in alcune aree dell'America, si può trovare una chiesa protestante diversa ogni 50 km circa (anglicana,battista, mormone, evangelica, luterana,ecc.ecc.)..
La reverenda anglicana Sally Hitchiner è perennemente in televisione, veste Prada e gioielli: «Non ho 80 anni, indosso ciò che voglio. Moti uomini si sentono intimiditi e non vogliono uscire con me la sera». E dichiara: «La chiesa cattolica è la stessa da duemila anni e questa è la sua forza. Noi siamo una chiesa diversa, molto più tollerante, sempre in divenire». La tollerante Chiesa anglicana per questo ha deciso di eliminare le scomode parole "peccato" e "diavolo" dal rito del battesimo, preferendo una formula asettica e neutrale, politicamente corretta. Tanto che il vescovo anglicano di Rochester Michael Nazir-Ali ha accusato il tentativo di «ridurre il Cristianesimo a citazioni facilmente digeribili».
Una chiesa molto tollerante, come dice Hitchiner, ovvero liquida come la società in cui è immersa. Eppure è molto alto l'allarme del rischio di estinzione degli anglicani in Inghilterra. «La chiesa d'Inghilterra è soltanto a una generazione dall'estinzione», ha detto l'ex arcivescovo di Canterbury, Lord Carey, intervenuto al grande sinodo della chiesa d'Inghilterra. «Dovremmo vergognarci di noi stessi, nell'aria vi è un senso di sconfitta».
Non va meglio decisamente per i protestanti in generale. In alcuni paesi nordici, come la Svezia, il numero di praticanti ruota attorno al 2%, nonostante tutte le aperture al mondo possibili, financo modificando i termini biblici stessi...
Le contraddizioni profonde in cui versa il protestantesimo sono il prodotto di una crisi d'identità e d'autorità secolare. Il Cattolicesimo continua invece a crescere, almeno nominalmente, perché, alla crisi nel mondo occidentale, si contrappone una chiesa africana e terzomondista vivace, di cui il cardinale Robert Sarah è uno dei più autorevoli esponenti. Una chiesa 'povera' ma piuttosto radicata nella tradizione, seppur condita di canti effervescenti e vesti variopinte. Sarah è uno dei candidati al post-Bergoglio. Sarebbe l'"Obama" del Cristianesimo cattolico se riuscisse a salire al soglio pontificio. Al di là delle sue possibilità di nomina, che Chiesa sarebbe una chiesa con il centro spirituale nel cuore martoriato dell'Africa subsahariana? Così lontana, in ogni senso, dal vuoto esistenziale in cui è immerso l'Occidente nichilista? C'è una teologia nuova che sta sorgendo in Africa. Pochi ne parlano, come per ogni cosa di quel disgraziato continente, ma c'è...
Riporto uno spunto interessante sull'etica vista da parte della nuova teologia africana, così come emersa dopo il primo sinodo africano
L'etica africana
Per molto tempo il solo problema etico che la chiesa e i teologi africani studiavano in dettaglio riguardava l'etica sessuale e matrimoniale. Tuttavia negli ultimi anni ci si è dedicati al fondamento stesso dell'«etica africana» per studiare come ciò poteva ridare forza al cristianesimo.
La ricerca nel campo dell'etica ha mostrato che l'antropologia africana non parte dai principi della filosofia occidentale, come quello indicato, ad esempio, da Cartesio, che afferma: «Cogito, ergo sum». Non parte neppure dalla filosofia kantiana con il suo imperativo categorico. Nella concezione africana ciò che è fondamentale per l'uomo sono le relazioni interpersonali, di modo che se si volesse formulare un principio alla maniera cartesiana si dovrebbe dire: «Cognatus sum, ergo sumus»; noi esistiamo per il fatto di essere legati da una parentela.
La persona umana non è considerata come una sorta di atomo isolato, che non si concepisce se non mediante la sua indipendenza dagli altri, ma si pensa che l'uomo non può diventare persona se non entrando in relazione con gli altri. Questa relazione comprende, come si è detto rispetto alla guarigione, tutte le dimensioni, ivi compresa la dimensione cosmica. In altre parole: la persona umana non è veramente tale se non è in armonia con Dio, con i vivi, i morti, le persone non ancora nate e l'universo intero. Affinché queste relazioni rimangano sane, c'è la pratica costante della palabre, che è il luogo dove la comunità si ritrova per mangiare insieme la parola. In effetti nell'Africa subsahariana, a somiglianza della mentalità biblica, la parola è efficace: realizza ciò per cui è destinata. Questo significa, per esempio, che una parola cattiva può uccidere o distruggere la comunità. Per tale motivo è importante che una parola sia bene masticata e digerita, affinché non si trasformi in veleno. Per costatare il carattere vivificante o la nocività di una parola, è necessario che non ci stanchi di ruminarla e la comunità è il luogo ideale per questa ruminazione. Ciò avviene mediante la palabre, che è il luogo in cui la famiglia nel senso africano del termine diventa uno stomaco comunitario che rimastica, rumina e digerisce la parola, per toglierle ogni veleno che sarebbe distruttivo per tutti.
È la parola, dunque, che determina anche le norme per l'agire: si tratta di confermare, abolire o creare delle norme, quando se ne sente la necessità. A prima vista, l'agire morale non si basa solamente sugli atti dell'individuo, ma in Africa ci si confronta piuttosto con un'etica comunitaria, in cui c'è un'articolazione tra comunità e individuo. In altri termini, né la comunità, né l'individuo sono una quantità trascurabile, ma i due elementi costituiscono una dimensione essenziale dell'agire morale. Secondo questa concezione etica il problema della libertà, per esempio, si pone in modo diverso che nella filosofia occidentale. In effetti, la libertà non può essere unicamente né individuale né comunitaria, ma è fondamentalmente radicata in entrambe le dimensioni. L'individuo non può essere libero senza la comunità e viceversa. Non si è liberi nel senso unicamente negativo di liberarsi da qualcosa, ma la libertà è nello stesso tempo per e con gli altri all'interno di una determinata comunità. L'«io» non è veramente libero se non quando si sforza di rendere libero il «noi»[13]. In questa prospettiva il problema riguardante la libertà di stampa, così cara al mondo occidentale, sarà discusso in Africa in modo differente. Se ci si riferisce alla concezione della persona seguendo la filosofia africana, non si può diventare persona se non all'interno di una relazione armoniosa che ci rende parenti gli uni degli altri (ho dei parenti ed è per questo che noi esistiamo!); la libertà di stampa che si assolutizza senza tener conto delle conseguenze che ciò che si scrive può avere per le relazioni comunitarie è una dittatura che non libera la comunità; e dato che non libera la comunità, non può neppure liberare l'individuo che ne usa in modo puramente dittatoriale, il che, in realtà, è la negazione della vera libertà, il cui compito è di procurare la dignità altrui.
Collegato a questo problema, bisogna ricordare l'insegnamento tradizionale sulla coscienza individuale considerata come l'istanza ultima dell'agire morale. Anche qui l'etica africana procederà in modo diverso. In effetti, per essa, la coscienza è sempre una realtà che non si deve separare dalla comunità. La mia coscienza, in quanto individuo, non è coscienza se non tiene conto della coscienza comunitaria. In questo caso non è solamente la coscienza dell'individuo l'istanza ultima, ma anche la coscienza della comunità può diventare istanza suprema per l'individuo. È per questo che la ricerca di norme etiche si compie anch'essa mediante la palabre, in cui ci si sforza non tanto di votare a maggioranza, ma piuttosto di arrivare a un consenso in cui ciascuno si ritrovi, almeno fino al punto in cui il contrario non venga a infirmare ciò che è stato deciso in comune. Ciò significa che, sebbene un individuo non sia totalmente convinto di una decisione presa nel corso di una palabre, si comporterà seguendo la norma fissata fino al giorno in cui ritornerà con altri fatti contrari, i quali in una nuova palabre dovranno essere nuovamente esaminati per mettere alla prova una decisione anteriore.
Tenendo conto di quanto è stato detto finora circa l'etica africana, i teologi pensano che la chiesa-famiglia in Africa dovrebbe sempre più integrare questa base antropologica nella proclamazione del messaggio evangelico. Le norme etiche per un agire cristiano non dovrebbero consistere nell'applicazione di norme astratte recepite dalla filosofia occidentale, ma una palabre evangelica nella comunità ecclesiale dovrebbe mangiare, masticare e digerire insieme la parola di Dio per confrontarla con le realtà africane e trovare una modalità etica propria di comportarsi da cristiani. In definitiva, ciò vorrebbe dire che la ricerca e la scoperta delle norme etiche non riguardano solamente i responsabili nella chiesa, ma che si tratta di uno sforzo comune sotto l'azione dello Spirito Santo. Né l'individuo può assolutizzare la propria libertà per porre degli atti che misconoscano la comunità, né quest'ultima può ignorare il ruolo insostituibile e la vocazione dell'individuo nel suo seno. Dio non sarà tutto in tutti se non quando c'è una relazione dialettica tra i due elementi, nel senso che «io sono imparentato con gli altri, ed è per questo che esistiamo», che siamo persone volute da Dio in comunità e mai senza di essa.
Il consiglio indiretto di Mancuso è proprio quello di fare come le chiese protestanti. Solo rinunciando al suo "insostenibile" punto di vista, sostiene Mancuso, la Chiesa riceverà finalmente l'applauso del mondo e sarà accolta nella luminosa era del progresso...
"La Chiesa è indietro! Deve adeguarsi al mondo" è il mantra che circola tra teologi atei e chierici 'disinibiti'. Ma il protestantesimo, che ha accettato e fatto proprio lo spirito del mondo, come sta di salute?
Peggio, molto peggio della Chiesa Cattolica, vien da dire, osservando cifre e statistiche...
L''emancipazione' dal Cattolicesimo non è riusita a frenare la polverizzazione e il relativismo etico facendo proliferare centinaia di altri piccoli protestantesimi, ognuno con il suo orticello e le sue regolette. Ormai, in alcune aree dell'America, si può trovare una chiesa protestante diversa ogni 50 km circa (anglicana,battista, mormone, evangelica, luterana,ecc.ecc.)..
La reverenda anglicana Sally Hitchiner è perennemente in televisione, veste Prada e gioielli: «Non ho 80 anni, indosso ciò che voglio. Moti uomini si sentono intimiditi e non vogliono uscire con me la sera». E dichiara: «La chiesa cattolica è la stessa da duemila anni e questa è la sua forza. Noi siamo una chiesa diversa, molto più tollerante, sempre in divenire». La tollerante Chiesa anglicana per questo ha deciso di eliminare le scomode parole "peccato" e "diavolo" dal rito del battesimo, preferendo una formula asettica e neutrale, politicamente corretta. Tanto che il vescovo anglicano di Rochester Michael Nazir-Ali ha accusato il tentativo di «ridurre il Cristianesimo a citazioni facilmente digeribili».
Una chiesa molto tollerante, come dice Hitchiner, ovvero liquida come la società in cui è immersa. Eppure è molto alto l'allarme del rischio di estinzione degli anglicani in Inghilterra. «La chiesa d'Inghilterra è soltanto a una generazione dall'estinzione», ha detto l'ex arcivescovo di Canterbury, Lord Carey, intervenuto al grande sinodo della chiesa d'Inghilterra. «Dovremmo vergognarci di noi stessi, nell'aria vi è un senso di sconfitta».
Non va meglio decisamente per i protestanti in generale. In alcuni paesi nordici, come la Svezia, il numero di praticanti ruota attorno al 2%, nonostante tutte le aperture al mondo possibili, financo modificando i termini biblici stessi...
Le contraddizioni profonde in cui versa il protestantesimo sono il prodotto di una crisi d'identità e d'autorità secolare. Il Cattolicesimo continua invece a crescere, almeno nominalmente, perché, alla crisi nel mondo occidentale, si contrappone una chiesa africana e terzomondista vivace, di cui il cardinale Robert Sarah è uno dei più autorevoli esponenti. Una chiesa 'povera' ma piuttosto radicata nella tradizione, seppur condita di canti effervescenti e vesti variopinte. Sarah è uno dei candidati al post-Bergoglio. Sarebbe l'"Obama" del Cristianesimo cattolico se riuscisse a salire al soglio pontificio. Al di là delle sue possibilità di nomina, che Chiesa sarebbe una chiesa con il centro spirituale nel cuore martoriato dell'Africa subsahariana? Così lontana, in ogni senso, dal vuoto esistenziale in cui è immerso l'Occidente nichilista? C'è una teologia nuova che sta sorgendo in Africa. Pochi ne parlano, come per ogni cosa di quel disgraziato continente, ma c'è...
Riporto uno spunto interessante sull'etica vista da parte della nuova teologia africana, così come emersa dopo il primo sinodo africano
L'etica africana
Per molto tempo il solo problema etico che la chiesa e i teologi africani studiavano in dettaglio riguardava l'etica sessuale e matrimoniale. Tuttavia negli ultimi anni ci si è dedicati al fondamento stesso dell'«etica africana» per studiare come ciò poteva ridare forza al cristianesimo.
La ricerca nel campo dell'etica ha mostrato che l'antropologia africana non parte dai principi della filosofia occidentale, come quello indicato, ad esempio, da Cartesio, che afferma: «Cogito, ergo sum». Non parte neppure dalla filosofia kantiana con il suo imperativo categorico. Nella concezione africana ciò che è fondamentale per l'uomo sono le relazioni interpersonali, di modo che se si volesse formulare un principio alla maniera cartesiana si dovrebbe dire: «Cognatus sum, ergo sumus»; noi esistiamo per il fatto di essere legati da una parentela.
La persona umana non è considerata come una sorta di atomo isolato, che non si concepisce se non mediante la sua indipendenza dagli altri, ma si pensa che l'uomo non può diventare persona se non entrando in relazione con gli altri. Questa relazione comprende, come si è detto rispetto alla guarigione, tutte le dimensioni, ivi compresa la dimensione cosmica. In altre parole: la persona umana non è veramente tale se non è in armonia con Dio, con i vivi, i morti, le persone non ancora nate e l'universo intero. Affinché queste relazioni rimangano sane, c'è la pratica costante della palabre, che è il luogo dove la comunità si ritrova per mangiare insieme la parola. In effetti nell'Africa subsahariana, a somiglianza della mentalità biblica, la parola è efficace: realizza ciò per cui è destinata. Questo significa, per esempio, che una parola cattiva può uccidere o distruggere la comunità. Per tale motivo è importante che una parola sia bene masticata e digerita, affinché non si trasformi in veleno. Per costatare il carattere vivificante o la nocività di una parola, è necessario che non ci stanchi di ruminarla e la comunità è il luogo ideale per questa ruminazione. Ciò avviene mediante la palabre, che è il luogo in cui la famiglia nel senso africano del termine diventa uno stomaco comunitario che rimastica, rumina e digerisce la parola, per toglierle ogni veleno che sarebbe distruttivo per tutti.
È la parola, dunque, che determina anche le norme per l'agire: si tratta di confermare, abolire o creare delle norme, quando se ne sente la necessità. A prima vista, l'agire morale non si basa solamente sugli atti dell'individuo, ma in Africa ci si confronta piuttosto con un'etica comunitaria, in cui c'è un'articolazione tra comunità e individuo. In altri termini, né la comunità, né l'individuo sono una quantità trascurabile, ma i due elementi costituiscono una dimensione essenziale dell'agire morale. Secondo questa concezione etica il problema della libertà, per esempio, si pone in modo diverso che nella filosofia occidentale. In effetti, la libertà non può essere unicamente né individuale né comunitaria, ma è fondamentalmente radicata in entrambe le dimensioni. L'individuo non può essere libero senza la comunità e viceversa. Non si è liberi nel senso unicamente negativo di liberarsi da qualcosa, ma la libertà è nello stesso tempo per e con gli altri all'interno di una determinata comunità. L'«io» non è veramente libero se non quando si sforza di rendere libero il «noi»[13]. In questa prospettiva il problema riguardante la libertà di stampa, così cara al mondo occidentale, sarà discusso in Africa in modo differente. Se ci si riferisce alla concezione della persona seguendo la filosofia africana, non si può diventare persona se non all'interno di una relazione armoniosa che ci rende parenti gli uni degli altri (ho dei parenti ed è per questo che noi esistiamo!); la libertà di stampa che si assolutizza senza tener conto delle conseguenze che ciò che si scrive può avere per le relazioni comunitarie è una dittatura che non libera la comunità; e dato che non libera la comunità, non può neppure liberare l'individuo che ne usa in modo puramente dittatoriale, il che, in realtà, è la negazione della vera libertà, il cui compito è di procurare la dignità altrui.
Collegato a questo problema, bisogna ricordare l'insegnamento tradizionale sulla coscienza individuale considerata come l'istanza ultima dell'agire morale. Anche qui l'etica africana procederà in modo diverso. In effetti, per essa, la coscienza è sempre una realtà che non si deve separare dalla comunità. La mia coscienza, in quanto individuo, non è coscienza se non tiene conto della coscienza comunitaria. In questo caso non è solamente la coscienza dell'individuo l'istanza ultima, ma anche la coscienza della comunità può diventare istanza suprema per l'individuo. È per questo che la ricerca di norme etiche si compie anch'essa mediante la palabre, in cui ci si sforza non tanto di votare a maggioranza, ma piuttosto di arrivare a un consenso in cui ciascuno si ritrovi, almeno fino al punto in cui il contrario non venga a infirmare ciò che è stato deciso in comune. Ciò significa che, sebbene un individuo non sia totalmente convinto di una decisione presa nel corso di una palabre, si comporterà seguendo la norma fissata fino al giorno in cui ritornerà con altri fatti contrari, i quali in una nuova palabre dovranno essere nuovamente esaminati per mettere alla prova una decisione anteriore.
Tenendo conto di quanto è stato detto finora circa l'etica africana, i teologi pensano che la chiesa-famiglia in Africa dovrebbe sempre più integrare questa base antropologica nella proclamazione del messaggio evangelico. Le norme etiche per un agire cristiano non dovrebbero consistere nell'applicazione di norme astratte recepite dalla filosofia occidentale, ma una palabre evangelica nella comunità ecclesiale dovrebbe mangiare, masticare e digerire insieme la parola di Dio per confrontarla con le realtà africane e trovare una modalità etica propria di comportarsi da cristiani. In definitiva, ciò vorrebbe dire che la ricerca e la scoperta delle norme etiche non riguardano solamente i responsabili nella chiesa, ma che si tratta di uno sforzo comune sotto l'azione dello Spirito Santo. Né l'individuo può assolutizzare la propria libertà per porre degli atti che misconoscano la comunità, né quest'ultima può ignorare il ruolo insostituibile e la vocazione dell'individuo nel suo seno. Dio non sarà tutto in tutti se non quando c'è una relazione dialettica tra i due elementi, nel senso che «io sono imparentato con gli altri, ed è per questo che esistiamo», che siamo persone volute da Dio in comunità e mai senza di essa.