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Messaggi - maral

#181
Citazione di: green demetr il 28 Maggio 2017, 19:34:49 PM
Ma l'inconscio è ovviamente il simbolico, che si apre come canto e come danza (lo dice anche sini).
Che si apre alla storia nel cerchio, nel villaggio attorno al fuoco.
Perchè la comunità che sta attorno al fuoco, può vedere dietro le spalle di ogni osservatore, ogni parlante è coperto dalle minacce esterne. Dalla bestia. Dall'animale.
E' quello che ci racconta l'antropologia, l'archeologia.
Dunque l'altro è il rimedio contro l'oscurità.
Il cerchio ... (Sini ne parla spesso: gli esseri umani escono dalla foresta ove ognuno consumava da solo il suo pasto e, nello spazio aperto della savana, si mettono a consumarlo insieme, in cerchio, così che l'un l'altro si proteggono le spalle).
Certamente il cerchio è il simbolo migliore per un mondo privo di gerarchie: ogni elemento del cerchio è ugualmente distante dal centro, ogni elemento del cerchio vede il compagno e il pericolo che sopraggiunge. L'uno per l'altro, l'uno a salvaguardia dell'altro, tutti permeati dalla stessa fiducia che mantiene saldo il centro, come i cavalieri nella leggenda. E' la fiducia reciproca a mantenere unito il cerchio attorno al centro, altrimenti il simbolo si spezza e va in frantumi. E il centro è vuoto, ma c'è, non può non esserci finché c'è il cerchio.
In fondo è proprio il cerchio la "cosa unica" dell'opera alchimistica, sempre in procinto di spezzarsi per chiedere di farsi ritrovare. Dovremmo allora esercitarci nell'arte di fare cerchi disegnando così topografie viventi? Nel cerchio alla fine tutto torna, finché il centro (la fiducia che riempie quel punto di vuoto) regge.   
#182
Citazione di: quasar97 il 30 Maggio 2017, 01:10:35 AM
Citazione di: maral il 29 Maggio 2017, 22:32:26 PM
No, significa semplicemente ammettere che ogni certezza ha in sé il suo errore che la contraddice e proprio in quanto è errore si apre alla verità. E dunque sì, il principio di non contraddizione non ci ferma, ma non ci ferma perché il principio di non contraddizione non può che avere in sé stesso la contraddizione di sé, non essendoci nulla al di fuori di esso che possa contraddirlo.

Ho studiato filosofia politica quest'anno, devo concordare con Spinoza quando dice che, in virtù della natura umana, la comunicazione tra uomini non sarà mai limpida: alla fine è ovvio, ognuno con i propri schemi, il proprio lessico e così via; questo preambolo serve per dirti che non riesco a capirti al 100%, sei criptico  ;D  
Ovviamente non sto affatto offendendo o altro, però non saprei cosa risponderti, inizialmente mi hai detto di aver rinunciato alle certezze, qui invece me ne stai parlando!
Dunque mi contraddico... e se mi contraddico il principio di non contraddizione non mi ha fermato! :)
In realtà intendevo sottolineare il fatto che il principio di non contraddizione non può essere contraddetto da alcuna preposizione, poiché per affermare che la contraddizione è possibile occorre che il principio di non contraddizione sia valido. Vale per Agrippa come per ogni scettico. Il principio di non contraddizione deve valere anche per l'affermazione del tipo: "occorre sospendere il giudizio", perché tale affermazione abbia un  senso. La posizione radicale dello scettico è quindi impossibile eppure ha una sua validità che riguarda il limite di ogni giudizio di verità che si fonda sulla consistenza formale del detto, ossia del significato.
Ciò che è detto è detto, è fermo, è eterno, eternamente vero o eternamente falso, non può essere altrimenti.
Ma ciò che viene detto e su cui solo può essere esercitata il giudizio apofantico non corrisponde all'esperienza che viviamo e anche questo è certamente solo un modo di dire che traduce il senso di un perenne sfasamento, di una perenne inadeguatezza di ogni formalismo logico, compreso il principio di non contraddizione stesso il quale non può essere contraddetto, perché è esso stesso all'origine della contraddizione, ossia all'origine dello sfasamento, è lo sfasamento; anzi è la contraddizione lo sfasamento all'origine del principio che la nega, è la non identità che determina l'incontrovertibilità di ogni significato a sé stesso, ma al contempo riapre l'incontrovertibile a un sempre diverso significare che lo controverte. 
Se l'identità del medesimo è l'arché, il principio primo, la negazione dell'identità viene ancora prima, dunque è l' "anarchia" ontologica che sempre ritorna, ogni volta che un giudizio di ordine logico è espresso, ogni volta che una certezza riguardante il "detto" è emersa come tale. La certezza si viene quindi a contraddire per effetto del suo stesso presentarsi come certezza e altre certezze di conseguenza appariranno. Certezze che non possiamo non vivere come tali pur nella consapevolezza che non lo sono.  Viverle dunque nel loro senso profondamente contraddittorio, viverle poiché solo in esse troviamo senso, nel loro stesso errare.
Questo vuol dire che il medesimo non può che essere il medesimo, ma non è mai identico. Vuol dire Che Baylham, pur non  essendo altro da quello che è, non è mai davvero quello che è, è sempre altro e altro ancora, mai lo stesso; che questa lampada accesa sul mio tavolo pur essendo proprio ed eternamente questa lampada accesa sul mio tavolo non è mai davvero questa lampada accesa, è sempre altro.
E che anche in questo che ho detto, proprio perché l'ho detto, si apre a un altro dire in cui sarà contraddetto.







Citazione di: Phil il 29 Maggio 2017, 22:47:00 PMCommento
Citazione di: quasar97 il 29 Maggio 2017, 21:23:18 PMdevo per forza dedurre che tra noi (anche il più razionalista) ed un credente (ad es.) non c'è alcuna differenza, il che mi rende alquanto pensieroso.
e
Citazione di: paul11 il 29 Maggio 2017, 18:46:14 PMSe tutto è falso, daccapo, allora tutto è anche vero.
Non vorrei deviare il discorso verso sentieri già ampiamente battuti (in altri topic), ma se la Verità Assoluta non c'è, allora diventa ancor più importante discriminare le gradazioni delle "verità relative": per questo, in alcuni casi, espressioni come "fino a prova contraria" sono un fattore più rilevante del famigerato "inconfutabilmente", pur non essendo parimenti assolute. Ci sono gradazioni di falsità e di verità che prescindono dall'identificazione della verità assoluta e, anzi, in sua assenza, sono quanto di più funzionale, prezioso e plausibile la nostra ragione possa offrire. Propongo un esempio sciocco ma, spero, adeguatamente allusivo: dire che sto scrivendo tirando i peli di un gatto a tre code, o sostenere che sto scrivendo usando un computer vecchio di 10 anni, sono due affermazioni entrambe false, ma possiamo concludere davvero che una vale l'altra? Direi di no: se non avessi svelato che sono entrambe false, da una delle due può partire un'indagine di verifica, l'altra indica invece che sono un soggetto burlone, fantasioso o sotto effetto di stupefacenti ;D Detto in altro modo: appiattire tutte le verità e tutte le falsità (valore "1" vs valore "0") funziona (forse) nella compilazione delle tavole di verità, ma nella vita umana le ripercussioni nella prassi (sociale o individuale) delle "differenti sfumature di falsità" sono ben più sfaccettate...
Citazione di: paul11 il 29 Maggio 2017, 18:46:14 PMMa soprattutto, e questo è il punto fondamentale dell'attuale cultura, ritenere che non essendovi una verità costituiva originaria, allora tutto è opinione. se così fosse vince la forza bruta , non la forza del ragionamento.
Non saprei... stando alla nostra società, direi che, in assenza di valori forti, non vince affatto la forza bruta (che era più diffusa all'epoca dei valori forti, se non erro ;) ), ma domina proprio il ragionamento-come-discorso, tuttavia non quello logico e orientato di verità, bensì quello retorico, affabulatore, strumentale, che impregna la "società delle comunicazioni forti installate su pensieri deboli" (il vecchio adagio "ne uccide più la lingua che la spada" è forse più attuale oggi che in passato...). Così come, nella vita vissuta, una falsità non vale l'altra (vedi sopra), ugualmente un'opinione non vale l'altra...

A parte eleggerti a re degli esempi, vorrei fare solo una domanda: ma se la verità assoluta non esiste. come possiamo discriminare tra ''verità parziali''?
Lo so. è un discorso del tutto alieno dalla vita quotidiana, perchè effettivamente nella ''realtà'' sembrano esistere dei diversi gradi di verità, l'esempio più banale che mi viene da fare è eliocentrismo vs geocentrismo. Però, se abbiamo appurato, seppur velocemente, che da un punto di vista epistemologico non possiamo giungere ad una verità assoluta poiché tutto, anche il ragionamento, si risolve in un atto di fede, di conseguenza eliocentrismo e geocentrismo, su un piano ''più ampio'' sono entrambi già ''viziati'' da un problema conoscitivo di base, a prescindere dalla applicazione nella realtà.  (Provo a fare un esempio: è come se stessimo facendo un'equazione senza sapere di aver sbagliato qualcosa durante il procedimento)
Per quanto utile nella vita reale, la ricerca tra verità parziali sposta il focus dai problemi conoscitivi!

Anche qui, non so se sono riuscito a farmi capire, in quanto si tratta di argomenti davvero ma davvero astratti e intricati

Poi concordo con sgiombo sul non riuscire ad accettare l'impotenza pratica dello scetticismo, nonostante questo sia praticamente ''''' inattaccabile dal punto di vista logico '''''' (notare le virgolette). Mi verrebbe da dire che, mentre Falcone e Borsellino tentarono di sconfiggere la mafia con le leggi, qua cerchiamo di sconfiggere la logica con logica, le contraddizioni sbucano come funghi, di conseguenza.

Arrivati a questo punto, è molto facile finire a contemplare l'esistenza individuale, ed è per questo che sono molto vicino anche all'esistenzialismo
[/quote]
#183
Citazione di: quasar97 il 29 Maggio 2017, 22:18:59 PM
Rinunciare a ogni pretesa di certezza epistemica è una certezza epistemica  ::)
Ripeto, a mio parere non è il principio di non contraddizione che può fermarci
No, significa semplicemente ammettere che ogni certezza ha in sé il suo errore che la contraddice e proprio in quanto è errore si apre alla verità. E dunque sì, il principio di non contraddizione non ci ferma, ma non ci ferma perché il principio di non contraddizione non può che avere in sé stesso la contraddizione di sé, non essendoci nulla al di fuori di esso che possa contraddirlo.
#184
CitazioneMa se l'intelletto fosse fallace? Se ogni ragionamento fosse un paralogismo?
Se l'intelletto fosse fallace sarebbe fallace anche il ragionamento di Agrippa (per quanto accurato e pertinente possa risultare), quindi saremmo comunque daccapo, lo scettico coerente non può non mettere in dubbio il suo scetticismo coerente e dunque non può non sospendere il giudizio pure sulla sospensione del giudizio.
E allora come se ne esce? semplice, rinunciando a ogni pretesa di certezza epistemica fondata sull'intelletto e basandosi sulla necessità di convenire sulla inevitabile possibilità di errore in ogni giudizio, per quanto corretto possa formalmente apparire. Questo implica che il fondamento su cui ci si basa è frutto di una parzialità espressa da un contesto di pratiche in continua trasformazione di cui noi stessi, con i nostri giudizi, non siamo che il prodotto variante.
#185
Citazione di: Garbino il 28 Maggio 2017, 20:39:33 PM
A questo punto l' argomento si fa complesso e spero di essere chiaro nel cercare di evidenziare i miei dubbi.
Bene, abbiamo detto che l' uomo mordendo il serpente si libera del suo passato e diviene oltreuomo accettando ciò che lo circonda fino all' abisso che a tuo avviso è di carattere ontologico. Quello che vorrei però mettere in evidenza è che Nietzsche intende il Superuomo o Oltreuomo come il fanciullo che finalmente può creare nuovi valori. Ma se ciò è vero significa anche che deve porsi come colui che riesce a spezzare il ciclo dell' Eterno Ritorno altrimenti si ritroverebbe sempre al cospetto di qualcosa che è già stato. Ma Nietzsche non lo ritiene possibile, identificando nel credere di creare qualcosa di nuovo come il ritorno della vecchia concezione del Dio di cui si ci era finalmente liberati.

Questo ragionamento cioè crea una contraddizione tra l' Oltreuomo e l' Eterno Ritorno.

Il secondo aspetto è la discrepanza, rilevata anche da Heidegger, che Nietzsche ritrova tra La volontà di potenza come arte e la verità. E la discrepanza è che per quanto l' Oltreuomo pensi di essere nel vero egli è comunque una manifestazione di una volontà che ama la menzogna e che trasfigura il mondo per poterlo renderselo accettabile. Al che l' Eterno Ritorno stesso, che Nietzsche vuole sostituire alla Metafisica e alla Religione, diviene  purtroppo un' ulteriore menzogna a cui l' Oltreuomo invece non dovrebbe soggiacere. Può cioè soggiacerci Nietzsche, che Oltreuomo non è, e questo è il terzo aspetto, ma ciò che poi si determinerà nel pensiero di chi attraversa il ponte chi può saperlo?
Capisco bene i tuoi dubbi Garbino, il problema è che l'Eterno Ritorno si presenta come estremamente sdrucciolevole, può sembrare la negazione più radicale dell'Oltreuomo che è tale proprio in quanto come un fanciullo, crea nuovi valori. Con l'eterno ritorno sembra invece proprio il contrario. Dove va a finire allora l'Oltreuomo?
Forse bisognerebbe riprendere in mano proprio quel passo dello Zarathustra in cui l'episodio del pastore è presentato come enigma rivolto ad arditi esploratori di mari inesplorati.
   
Citazione di: ZarathustraA voi, intrepidi cercatori, a voi tentatori, e a tutti coloro che s'imbarcano per terribili mari con vele sagaci;
A voi, ebbri di misteri, amatori del crepuscolo, la cui anima come dal suono d'un flauto si sente attratta verso ingannevoli abissi; (giacchè voi sdegnate seguire con vil mano un filo che vi guidi per il cammino; e dove potete indovinare, sdegnate di comprendere).
E' proprio l'Oltreuomo che sta al centro dell'enigma rappresentato dalla improvvisa enigmatica immagine del pastore che si libera del serpente che, essendogli penetrato in gola, lo soffoca mentre giace addormentato, e questo accade dopo che Z. ha presentato l'eterno ritorno al nano, lo spirito di gravità che lo trattiene appesantendolo nella sua ascesa in vetta mentre lo deride.
Quel morso che finalmente stacca la testa del serpente è proprio ciò che libera l'attimo del suo passato, non cancellandolo (dunque non facendolo divenire niente, perché è nel serpente che ogni cosa diventa niente), ma tramutandolo nell'assoluta novità di un presente che eternamente accade. E' qui, proprio in quel morso, che l'uomo trasfigura nel fanciullo che è l'oltreuomo:
Citazione di: ZarathustraNon più un pastore, non più un uomo — ma un rinnovato, un illuminato, che rideva!
Non mai ancora sulla terra uomo rise al pari di lui!
Proprio perché c'è l'eterno ritorno l'alba è eterna, ogni volta è alba radiosa, la giornata reca l'aria fresca di una novità inesauribile di progetti che vogliono affermarsi ancora, all'infinito.
Sì, al divenire si imprime così il carattere dell'essere e non c'è volontà di potenza più grande di questa: perché nulla invecchia.
Ma, viene obiettato, se questa è volontà di potenza, è una menzogna! Come può l'oltreuomo che vuole la verità accettare la menzogna, accettarne la consolazione? Ma l'oltreuomo non l'accetta, la vuole! E non la vuole come consolazione, consolazione all'invecchiare del mortale, consolazione di fronte a tutto ciò che si fa rovina trascinando ogni cosa nel nulla.
Citazione di: ZarathustraE le cose non sono esse forse collegate tra sé in tal modo, che questo Momento tragga dietro a sé tutte le cose venture? E per conseguenza — anche se stesso?
La vuole come trionfo della falsificazione in cui compiutamente si realizza, poiché è proprio la falsificazione che mette in mostra la verità e che quindi, falsificandola, vuole continuamente, senza mai esaurirsi, la verità.
Il pastore trasfigurato ride e quella risata non è semplicemente il segno di un animo diventato allegro e felice, ma è la verità stessa che si annuncia nella volontà che la mente, ossia in ogni illusione, in ogni errore destinato a ripresentarsi.
In questo senso per dire la verità non si può che tradirla, volerla continuamente tradire e tradire di nuovo. E la si tradisce ogni volta in ciò che resta detto.  

Ecco, io ho provato a risolvere così l'enigma che Nietzsche pone ai naviganti intrepidi. Ma ogni navigante, più o meno intrepido che sia nel suo pensare, dovrà cercare la sua soluzione all'enigma facendosene carico. :)
#186
Citazione di: green demetr il 28 Maggio 2017, 20:11:34 PM
Ma c'è una differenza tra Antigone che accetta trasfigurata le conseguenze della sua scelta.
Ossia di essere sepolta da Altri.
E Nietzche che si auto-seppellisce.
in questo senso l'autoseppellimento di Nietzsche potrebbe apparirci ancora più radicale nei termini della volontà.
E' indubbio che Nietzsche si inoltri su sentieri estremamente pericolosi, il suo linguaggio evoca l'abisso, quell'abisso in cui noi, che ci manteniamo al sicuro su un piano più tranquillamente delimitato, possiamo (come Ferraris dopotutto) scorgere solo la malattia di un folle. Nietzsche è come uno sciamano che, dopo aver scompigliato la comunità umana con i suoi gesti isterici, risale verso vette sconosciute e temibili. Deriderlo o maledirlo è come esorcizzarne il demone. Farselo amico... non so ... il suo viaggio termina in una solitudine estrema, su sentieri troppo impervi per trovarvi compagnia.

 

#187
In realtà mi pare che il discorso sulle gerarchie del pensare sia molto complesso e assai più complesso di come lo tratta Carrera prendendo spunto dalla musica dodecafonica e soprattutto, per quanto lo trovi estremamente interessante, dal principio di equivalenza tra alto e basso, destra e sinistra del pensiero alchemico ed ermetico.
Sicuramente all'interno dei vari settori topologici, da prendere tra loro in modo incommensurabile, secondo una visione rigorosamente pluralistica, verrà ad elaborarsi sempre una gerarchia, un canone interno (e infatti Carrera lo rileva e lo tiene ben presente nel suo approccio alle arti e in particolare ai vari aspetti della musicologia), ma è davvero possibile limitare settorialmente questo principio gerarchico o non è una sorta di artificio? E qui si inserisce quanto mai appropriata la domanda di anthonyi. D'altra parte lo stesso principio alchemico recita "Come in alto, così in basso, per compiere il mistero della Cosa Unica". E' la "Cosa Unica" a essere gerarchicamente imbarazzante e lo è per Carrera, che se ne ritrae un po' spaventato, come dichiara nella sua risposta. Ora, questo mistero della Cosa Unica, può forse essere tenuto da parte quando si affrontano questioni estetiche, forse si riesce un po' anche a farne a meno. Almeno dal mio punto di vista non ci sono difficoltà in linea di principio nel considerare come potenzialmente parimenti perfette la musica folk e quella classica, il rock e la dodecafonia; la moda, il pop e i generi letterari e cinematografici minori rispetto alla poesia, alla letteratura e alla filosofia (a parte la nostalgia verso la bella profondità del tempo che fu). Ma quando entrano in ballo aspetti ontologici, politici, sociali e teologici? Come ce la caviamo rispetto alle pretese della "Cosa Unica"? Possiamo farne solo una questione di estetica per quanto la questione di estetica sia fondamentale?
Perché questa pretesa c'è, è inutile nasconderselo e c'è pure come volontà di un canone universale, non solo di un primo oggetto universale. A meno che il mistero della Cosa Unica che va compiuto non stia proprio nel manifestarsi delle differenze dei particolari ciascuno in cammino verso la propria perfezione. Nel riconoscere la perfezione in questo camminare particolare di ciascuno verso la propria perfezione e ammettere i diversi percorsi senza progettare unificazioni globali in nome di panoramiche predefinite di grande portata unificante di tipo concettuale astratto, ma tenendo anche presente che questi cammini sono destinati a intrecciarsi, dunque a ostacolarsi reciprocamente, a farsi guerra o a sostenersi reciprocamente incontrandosi. In altre parole la "Cosa Unica" non potrà mai essere detta, mai definita, mai tradotta in alcuna regola o divinità o utopia definitiva buona per tutti e per sempre per come la si stabilisce, ma sempre da dirsi affinché ogni detto si apra a un "altrimenti detto". La Cosa Unica accade continuamente nell'intrecciarsi e richiamarsi delle sue parti (delle sue periferie) e richiede solo che in questo suo accadere ci si riesca a mantenere in bilico, senza poterla vedere, o meglio, vedendola solo nella sua parzialità che persegue la sua particolare perfezione, dopo di ché tramonta e sopraggiunge una nuova parzialità destinata a compiere nell'intreccio la sua parte di cammino. La Cosa Unica è solo prassi che si spera si dimostri una buona prassi nei diversi ambiti dei nostri progetti da concludere prima o poi.

   
#188
Sono certamente d'accordo con Garbino sul fatto che ognuno si accosti a Nietzsche dal suo angolo di visuale, rivelandosi così soprattutto a se stesso, per quello che è, anzi credo che la grandezza di un pensatore non sia tanto in quello che ha detto (nel suo "detto", come direbbe Levinas, che ho ripreso a leggere con passione), ma nel suo continuare a dire oltre il detto. E certamente sento che Nietzsche è grandissimo nel suo continuare a dire oltre il silenzio della follia in cui morì.
Non penso però che "escamotage" sia la parola giusta per intendere l'eterno ritorno, l'avverto piuttosto come una necessità estrema e radicale della volontà di potenza di fronte alla quale Nietzsche non si maschera più per continuare a vivere, non si arresta per rendersi ancora la vita saggiamente tollerabile mediante l'autoinganno che rende l'artista capace di godere della sua capacità di mascheramento, ma va avanti verso le conseguenze estreme del suo pensare, verso l'abisso che è un abisso ontologico, è l'abisso dell'essere, ove essere è ancora una parola troppo piccola per darne ragione. E non è una rassegnazione quello che spinge avanti, ma una volontà assoluta, la volontà di fissare lo sguardo oltre quello che sarebbe assai più saggio non guardare. E in questa volontà estrema c'è pure un'euforia estrema, c'è il riso di un Dio sul volto di chi la compie, è uno sprofondare che dischiude a una leggerezza sovrumana, è il senso di una liberazione suprema. Ma il riso del Dio, ossia dell'uomo che trasfigura, mentre vuole aderire alla volontà fino in fondo è, per noi che restiamo nel mondo dei saggi a ingannarci giocando con i nostri saperi, godendo della nostra arte poetica  a distanza di sicurezza come saggiamente conviene, solo il riso di un folle (e certamente anch'io sono tra questi, tra i tanti mortali che giustamente temono l'abisso per riuscire a sopravvivere ogni giorno ancora un po', qui, tra noi, come tutti ed è "sano" che sia).
Green, ha magnificamente commentato nella sua riflessione il passo riportato da Garbino utilizzando la poesia di Montale, ma appunto, per quanto ho detto sopra, qui non si tratta di un venir meno, in cui Nietzsche solo cede alla psicosi e alla malattia, si tratta invece della volontà di guardare fino in fondo sentendo tutta la sovrumana leggerezza che accompagna l'atto di sprofondare nell'abisso dell'essere che non è essere, è molto meno e infinitamente di più. E non importa se la metafora è quella dell'eterno ritorno cosmico per come lo spiega Nietzsche, ciò che importa è l'atto stesso, come una sorta di rivelazione finale, in qualsiasi "ultima immagine" essa prenda forma. 
Nell'ultimo atto dell'Antigone di Sofocle, Antigone, condannata a essere sepolta viva in una grotta dallo zio Creonte, nuovo re di Tebe, per aver voluto dare sepoltura al fratello contravvenendo agli ordini del sovrano, mentre si avvia al suo destino, volge nell'ultimo istante il suo sguardo al mondo (il mondo della quotidiana aspettativa in cui solo si può vivere) e il suo volto che pare sorridere è bellissimo, come trasfigurato. Non si tratta di una resa, di un venir meno, o di una malattia, ma di un atto di verità estrema a cui non ci si vuole più sottrarre. Così trasfigura colui che si accorge di non desiderare altro e risponde "sì, lo voglio" al demone che compare nella "Gaia scienza" e così trasfigura il pastore dopo che ha staccato con un morso la testa al serpente che lo soffoca davanti a Zarathustra. Non è una resa, ma la volontà estrema di un'adesione.
#189
Avevo promesso di portare la risposta di Carrera. Bene, la risposta è arrivata, sono più di tre pagine fitte. Ne tenterò un riassunto per trasmettervi come vede lui il discorso della necessità di un pensiero non gerarchico.

Carrera riconosce come cruciale il problema del "come" che ho introdotto nella domanda che gli ho posto e il rischio che esso  istituisca a sua volta una gerarchia nel momento in cui si presenta più risolutivo del "che cosa" .  Ma in realtà non affronta questa problematica (il come a cui si riferisce non è modale, ma comparativo come nel pensiero ermetico) in quanto  per lui  si tratta innanzitutto di pervenire a una disposizione topologica dei campi del sapere (o in termini propriamente fenomenologici, delle "ontologie regionali" intese in senso lato).
Il suo percorso intellettuale verso un pensiero non gerarchico si rifà alla scoperta della serie  dodecafonica di   Schönberg  con la sua abolizione della gerarchia tra i suoni, collegata al "non c'è né sopra né sotto, né destra né sinistra" di Emmanuel Swedenborg e all'episodio dell'"uccello Saggezza" dello Zarathustra di Nietzsche, poi alla formula alchemico ermetica della Tabula Smaragdina ("Come in alto, così in basso...") e infine al lavoro di un irregolare antropologo come Harry Everett Smith che, nella sua Anthology of American Folk Music, ignorò tutte le classificazioni dell'etnomusicologia sostituendole con il principio ermetico citato, per cui la folk music (o la medioevale musica instrumentalis) è il perfetto equivalente (basso) della "musica delle sfere" pitagorica. «Riassumendo, la musica più alta è "come" la musica più bassa. Attenzione: non è "meglio" e non è "peggio"; è "come". Qui sta tutta la differenza. E tutto il problema. Non si tratta perciò di adottare una "tecnica" di pensiero, ma di mettere tra parentesi le scale di valori che mettono in gerarchia i vari campi dell'espressione per constatare invece che cosa questi campi hanno in comune indipendentemente dalla complessità di linguaggio che ogni campo raggiunge al suo interno e che, come tale, può benissimo risultare incommensurabile agli altri campi». Si tratta dunque di vedere tutta una serie di somiglianze e parentele che sottende le varie pratiche. Cos'ha in comune la complessità dell'Arte della fuga con  la semplicità di una canzone folk, a parte la gerarchia di complessità? Citando Bartok  «un brano di folk music può essere tanto "compiuto" quanto il più sofisticato pezzo di musica classica, perché in quel brano che magari dura un minuto si sono cristallizzati secoli di pensiero musicale elaborato da intere culture che non avevano a disposizione il privilegio, o l'arma a doppio taglio, della scrittura». Quelle semplici melodie raggiungono la più alta perfezione artistica. Quando una pratica raggiunge la sua massima perfezione in relazione non ad altre pratiche, ma a se stessa tanto da non poterle chiedere ulteriori sviluppi senza farla diventare un'altra pratica, allora possiamo far valere la potenza del "come".
Uscendo dal campo musicale per entrare in quello sociale e politico, Carrera ricorda il tema della non contemporaneità di Ernst Bloch, secondo il quale non tutti i popoli e le culture vivono nello stesso tempo storico. Lo sfruttamento di questo divario permetterebbe a Bloch di spiegare come personaggi quali Hitler ieri, oggi Trump e la Le Pen possano farsi strada, a fronte dell'incapacità degli intellettuali progressisti di farsene carico. E' un'analisi, questa di Bloch, che, pur con i suoi meriti, risulta criticabile (da Benjamin e Adorno) sia perché presuppone uno sviluppo storico "correttamente dialettico" e sostanzialmente lineare accanto ad altri  dialetticamente falliti, sia e soprattutto perché si dimentica che, accanto alla contemporaneità, va considerata in modo più rilevante la compresenza nel presente storico di posizioni e situazioni non confrontabili tra loro, ma che accadono contemporaneamente. Lasciandoci sfuggire questa "consistenza del presente" si potrebbe erroneamente ritenere ad esempio che il fondamentalismo islamico sia un rigurgito del passato, mentre «è un fenomeno tanto contemporaneo, moderno o postmoderno quanto l'ultimo modello di iPhone»
Non si tratta quindi di un "più" o "meno" da istituirsi tra campi del sapere, ma di un "come", ossia parimenti perfetti sul piano della diversità di compresenza, ove perfetto significa ciò che non può essere ulteriormente migliorato senza distruggerlo.
Alla domanda su come si faccia a innalzare propriamente e concordemente il livello dei discorsi Carrera trova che non sia possibile dare risposta, perché non c'è una regola,  accade o non accade, mentre a  valutare e stabilire l'innalzamento del livello per Carrera è la comunità degli interpretanti che:  «grazie al loro lavoro trasformano quell'enunciazione in un macrotesto composto di discussioni scritte e orali, tesi di laurea, libri, voci di enciclopedia, pagine di antologie, siti web, documentari, qualunque cosa la semiosfera ci metta a disposizione». Tutto questo alza il livello della conversazione anche grazie agli errori che si producono, perché anche gli errori determinano innalzamenti nel livello del discorso (i riferimenti vanno agli errori di Foucault quando si occupa di pensiero classico e a Sartre per come criticato da Derrida).
Anche se la tecnica implica una diacronia, facendo riferimento a una tradizione, «lo sguardo della compresenza e sulla compresenza è sincronico. È lì che sta il suo potere. Non nel negare la diacronia (e quindi lo sviluppo delle pratiche), ma per coglierle nel momento in cui "appaiono" contemporaneamente sullo stesso sfondo, portandosi dietro tutte le differenze del loro sviluppo senza poterle mostrare diacronicamente».
In conclusione Carrera scrive: «Certo, questa è (anche) la globalizzazione. Ciò che Nietzsche chiamava il museo della storia è oggi, e non solo da oggi, il centro commerciale del presente. Non possiamo ignorare l'evidenza: tutto ciò che cinquant'anni fa era considerato cultura (poesia, letteratura, filosofia) oggi è subcultura, così come non possiamo ignorare che ciò che cinquant'anni fa stava alla periferia della cultura (i generi letterari e cinematografici minori, i palinsesti televisivi, la moda, la popular music, i videogiochi), oggi ne occupa il centro (commerciale e non).
Ma cominciare a pensare non in termini di ciò che è meglio e ciò che è peggio (ah, quando c'era x;
non come oggi che c'è solo y), bensì in termini di come x è anche y, e come y è anche x, forse è un modo concreto di avvicinarci alle pratiche che circondano la nostra vita, nonché di navigarle senza farsi travolgere.»
#190
Tematiche Filosofiche / Re:L'elemosina di Hobbes
25 Maggio 2017, 20:04:29 PM
Citazione di: cvc il 25 Maggio 2017, 12:50:40 PM
Come quelli che mettono l'altruismo a fondamento di tutto per trarne vantaggi personali.
L'altruismo non può avere in se stesso nessuna finalità e può avere come fondamento solo un sentire originario di essere per l'altro, ove l'altro è presenza concreta, tangibile, anche se non può essere toccata. L'altruista, quando è davvero tale, non sa minimamente di esserlo, né vuole esserlo. Accade malgrado se stesso.
#191
Tematiche Filosofiche / Re:L'elemosina di Hobbes
24 Maggio 2017, 23:59:25 PM
Lo so Sgiombo, la mia risposta non era in polemica con la tua, ma con quelli che mettono l'egoismo a fondamento di tutto e assumono una considerazione ontologica (ovvia in senso tautologico) come pretesto per trarne considerazioni socio economiche o addirittura etiche.
#192
Citazione di: green demetr il 21 Maggio 2017, 23:28:21 PM
Serpenti? clessidre? attimi infiniti? stessa sequenza??? mi sembra tutto veramente troppo allegorico, se non si riesce a collegarlo con il resto. (e senza altri raccordi di senso, sono frasi deliranti, non mi pare di ripetere le stesse cose bla bla bla....)
Tutto qui,
Se tu mi dicessi, ho letto la gaia scienza, e ho capito che questo tema torna io non avrei problemi a dirvi ok avete ragione. (magari mi fate pure un favore)

L'interpretazione tua e di Garbino o di Paul non è quello che Nietzche dice.
Punto e a capo.
Veramente Green "La gaia scienza" l'avevo proprio letta e il pezzo citato mi sembra davvero chiarissimo, uno dei più chiari che Nietzsche abbia scritto. Poi è evidente che a te non gusta l'eterno ritorno, ma non puoi lasciarlo fuori per questo, resta il punto centrale del pensiero filosofico nicciano. Non puoi accantonarlo perché non ti garba, o Nietzsche lo prendi tutto o non lo prendi. Poi se me lo spieghi in altro modo ben venga. Per quel che mi riguarda anche la sua follia resta parte essenziale del suo pensiero, ne è la perfetta conclusione. E non dico questo per denigrare Nietzsche, come fa Ferraris, ma proprio il contrario, è una follia filosoficamente grandiosa (questa comunque, a differenza dell'eterno ritorno è una mia opinione personale, ma che sento strettamente conseguente). Comunque attendo la tua interpretazione dell'eterno ritorno in connessione alla volontà di potenza, fino ad allora non aggiungerò altro in merito, la mia l'ho già detta.  :)

Citazione di: garbinoRingrazio Maral per il link, e sinceramente, come per Green, il rigetto di quell' argomento, orrore e comicità, mi sembra non solo necessario ma anche opportuno. Quando cioè non si sa cosa dire è meglio tacere ( guarda un po' a caso una frase di Nietzsche ).
Condivido il giudizio su Ferraris (compreso il suo "Nuovo realismo").
#193
Citazione di: Fharenight il 23 Maggio 2017, 02:33:10 AM
Non hai neppure idea di quanta bravissima gente c'è ancora in Italia, cristiani credenti e non, che proprio per il loro essere sostanzialmente persone  per bene e di buoni  sentimenti soffrono nel vedere la propria terra, la propria patria ridotta a discarica, a letamaio, a terra di nessuno. Non si tratta piú ormai nemmeno di ideologia, ma di rispetto della propria dignità.
Tutte queste bravissime persone allora farebbero meglio a preoccuparsi dell'inciviltà dei propri connazionali, di intere regioni governate di fatto dalla delinquenza organizzata sempre DOC, da una classe politica e burocratica sempre più corrotta e dalla totale indifferenza per la salvaguardia del proprio territorio (cosa che ci contraddistingue da secoli) ridotto a pubblica discarica per interesse privato, piuttosto che degli immigrati. Ma fa comodo scaricare sugli altri le proprie magagne!

CitazioneE ma a quanto pare la sinistra ama chi fa danni purché non sia DOC.  :)
Ma come??? l'islam non fa danni?
Leggetevi i libri degli intellettuali dissidenti islamici va'.
Sempre meno finora di quanti non ne abbia fatti il fascismo e le idee di una razza pura e selezionata. Quali sarebbero poi questi intellettuali dissidenti islamici? Magdi Allam che citi sarebbe forse un dissidente islamico? Ma quante balle racconti! Altro che disco rotto!

CitazioneDirei allora alle persone che ancora ragionano e che avessero ancora un residuo di coraggio e di amor proprio e amor di patria (lo so, ce la stanno mettendo tutta per distruggerci anche questi sentimenti, invece in me si stanno rafforzando) di farsi coraggio, prendere decisamente una posizione e lottare contro questa ingiustizia, contro il piú grande inganno e tradimento della storia italiana ed europea.
Sentiamo un po' cosa proporresti per difendere il sacro suolo della patria ...
CitazioneCome diceva Pasolini, la verità la senti dentro di te, anche sei vuoi nasconderla.
Abbi almeno la decenza di non citare Pasolini per la tua propaganda sentimental popolare per favore.


Citazione di: anthonyiE' interessante la strategia dei sostenitori delle "porte aperte a tutti". Una volta resisi conto che il consenso dei cittadini va da un'altra parte (Sono solo il 20 % degli italiani che sono a favore delle porte aperte, gli altri, a livelli differenti di forza, sono per le limitazioni e le espulsioni) allora chiamano la causa di forza maggiore: "le migrazioni ci sono sempre state", non è possibile bloccarli, etc.).
Peccato che queste affermazioni contrastino con quello che vediamo in giro per il mondo, l'Italia è l'unico paese nel quale non esiste una politica di controllo alle frontiere.

Che tu lo voglia o no è proprio così, le migrazioni ci sono sempre state e gli Europei (per non parlare degli Italiani!) ne sono stati protagonisti indiscussi. Quanto al tanto temuto meticciato noi Italiani ne siamo il prodotto, dato che qui sono passati tutti, ma proprio tutti (a eccezione degli Indiani d'America e dei nativi australiani). Vorrei proprio sapere che ne sai poi della "politica di controllo alle frontiere" che solo in Italia non esisterebbe. A quali frontiere ti riferisci poi?  Dobbiamo rinforzare i controlli ai confini con la Svizzera, pericoloso paese extracomunitario? Mi pare una buona idea.
Citazione di: altamareaIo invece non voglio convivere con loro, perché ne vedo troppi in giro.
Apprezzo la sincerità, sapessi io con quanta gente preferirei non convivere e sono quasi tutti connazionali.
Detto poi tra noi non me ne frega niente di maggioranze o minoranze. In Germania i nazisti erano la maggioranza, capita che la demenza più ributtante diventi maggioranza, la storia europea del secolo scorso lo ha ampiamente dimostrato e di nuovo il rischio è esattamente quello.
#194
Citazione di: green demetr il 21 Maggio 2017, 19:31:50 PM
x maral

cit maral
"L'accettazione dell'eterno ritorno richiede dunque l'estrema dedizione alla volontà di potenza di cui solo l'oltreuomo può rendersi capace e l'oltreuomo è colui che si arrende al non poter più in alcun modo pensare. Strimpellando e cantando canzoni napoletane, delirando su se stesso come un matto da barzelletta, Nietzsche si prepara alla follia catatonica come ultimo coerente atto ontologico. "

Ma dove l'hai letta questa cosa Maral??? Quando mai Nietzche ha scritto una cosa del genere????
Incredibile!
Ti riferisci all'oltreuomo che trasfigura nella volontà di potenza accettando l'eterno ritorno o alla follia che esplode nel 1889?
Nel primo caso il riferimento va a questo passo de "La gaia scienza":

   "Che accadrebbe se, un giorno o una notte, un demone strisciasse furtivo nella più solitaria delle tue solitudini e ti dicesse: «Questa vita, come tu ora la vivi e l'hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione - e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L'eterna clessidra dell'esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello di polvere!». Non ti rovesceresti a terra, digrignando i denti e maledicendo il demone che così ha parlato? Oppure hai forse vissuto una volta un attimo immenso, in cui questa sarebbe stata la tua risposta: «Tu sei un dio e mai intesi cosa più divina»? Se quel pensiero ti prendesse in suo potere, a te, quale sei ora, farebbe subire una metamorfosi, e forse ti stritolerebbe; la domanda per qualsiasi cosa: «Vuoi tu questo ancora una volta e ancora innumerevoli volte?» graverebbe sul tuo agire come il peso più grande! Oppure, quanto dovresti amare te stesso e la vita, per non desiderare più alcun'altra cosa che questa ultima eterna sanzione, questo suggello?" (da La gaia scienza, Libro IV, n. 341).

(ma c'è anche e forse soprattutto il passo "della visione e dell'enigma" in "Così parlò Zarathustra": il morso del pastore che stacca la testa all'orribile serpente nero che gli è entrato in gola (l'immagine della nausea del tempo che lascia solo rovine)  esprime la decisione all'accettazione dell'eterno ritorno per trasfigurare nell'oltreuomo ridendo)

Nel secondo caso a quanto riporta Maurizio Ferraris che ha curato una biografia di Nietzsche:
https://www.youtube.com/watch?v=GpBr3xqyEFI

Citazionecit maral
" E ognuno prende da Nietzsche quello che vuole, il suo modo lo autorizza, autorizza la volontà di potenza su lui stesso."

A me pare proprio quello che stai facendo tu.

Direi invece di meditare un pò più approfonditamente sui temi da LUI proposti, piuttosto che su quelli che vogliamo noi.
Green lo starò facendo io, quanto lo fai e lo farai tu. Nietzsche si presta moltissimo e proprio qui sta la sua grandezza. Il suo non è un testo da prendere in oggetto di analisi, come un trattato di logica o un teorema filosofico post hegeliano, ma per come risuona, è nella risonanza che la sua grandezza esplode. Nietzsche non si può che mentire facendogli dire quello che si vorrebbe sentirgli dire (e scommetto che tu, dopo un'attenta analisi dei testi troverai proprio quello che volevi trovarci ed è pure giusto che sia così), perché abbiamo bisogno di sentircelo dire, oppure perché abbiamo bisogno di non sentircelo dire, come fa chi lo rifiuta radicalmente. E' così che attraverso il suo dire si può diventare ciò che si è che è quello che solo conta.
Non siamo di fronte all'indifferenziato, è tutt'altro che indifferenziato, è risonanza di un valore estremo per ognuno che vi si accosti cercando in lui una salute salvifica o una malattia oscena da rigettare, perché  non si può essere indifferenti a Nietzsche in ogni caso. Mai come per lui la sua vita non può essere considerata a parte dalla sua filosofia, è la sua filosofia e per questo la sua filosofia ci scuote nel profondo come può fare solo una vita che si mette a nudo. E forse proprio a partire da Nietzsche, questo resta l'unico modo per fare filosofia.  
E per questo "diventare se stessi" attraverso Nietzsche che sento importante e di grande valore il lavoro di condivisione di Garbino quanto quello che intendi fare tu su Nietzsche, ma certamente non per avere un Nietzsche oggettivo, buono per tutti, affinché sia a tutti definitivamente chiaro e incontrovertibile quello che lui voleva dire. "Ecce homo" è quello che lui voleva dire, dopo di ché nient'altro si può dire.
#195
Tra i malriusciti si è sempre in larga compagnia, Sari, e credo ci si possa mettere dentro pure Nietzsche, considerandolo proprio dal punto di vista di quella pienezza di salute vitale di un corpo sano espressione di una perfetta volontà di potenza. Certamente il pensiero di Nietzsche è espressione di un modo di sentire epocale, di una crisi che va ben oltre i singoli individui ed è indubbio che in esso il nazismo abbia potuto trovarci elementi di ispirazione eugenetica (sviluppatasi peraltro a partire da Galton, soprattutto negli Stati Uniti e sostenuta ai tempi da molti personaggi di primo piano politico e culturale). Nietzsche non era certo un nazista e detestava il proto nazismo miserabile degli "ultimi uomini" del suo tempo, tra i quali certamente la sorella e il cognato, e certamente avrebbe detestato il nazismo delle bestie da branco con la svastica, trasudante un risentimento razziale d'accatto. ma non è per semplice errore interpretativo che i soldati della Wehrmacht sarebbero partiti per il fronte russo con nello zaino il "Così parlò Zarathustra" e non, che ne so, con "I pensieri" di Pascal o "Il manifesto" di Marx ed Engels. Nietzsche condensa in sé un momento epocale del pensiero dell'Occidente, un evento grandioso e definitivo, ridurlo a questo o a quell'aspetto, leggerlo solo secondo certi termini è comunque tradirlo. Heidegger se ne accorse, nonostante si fosse iscritto al partito nazista. Ma questo non toglie che leggerlo secondo certi termini è possibile, fu di fatto possibile. E ognuno prende da Nietzsche quello che vuole, il suo modo lo autorizza, autorizza la volontà di potenza su lui stesso.
L'eterno ritorno resta a mio avviso il punto chiave e fondamentale per la volontà di potenza, e Nietzsche ne era profondamente convinto. Si tratta di imprimere al Divenire il carattere dell'Essere, l'estrema approssimazione, una doppia menzogna verso la quale la volontà di potenza si muove proprio per essere se stessa senza smentirsi. E qui, nell'Eterno Ritorno, si può pure pensare che ogni gerarchia è abolita, come in ogni ontologia che si mantenga al suo fondamento ontologico: tutto torna indiscriminatamente, ossia tutto è ed è ancora, per sempre, senza distinzione, solo è ancora e poi ancora. Ma c'è ancora colui che pensa l'eterno ritorno, c'è ancora di mezzo Nietzsche che vede l'eterno ritorno e dunque, poiché è così, rappresenta un vertice che resta al di sopra della volontà di potenza. Finché c'è Nietzsche di mezzo l'Eterno Ritorno, per quanto estrema approssimazione, sarà ancora solo un'approssimazione, ma Nietzsche si toglie di mezzo, Nietzsche impazzisce. E qui l'aderenza è raggiunta, il pensiero, espressione di una soggettività, diventa impossibile, diventa non pensiero e si realizza la grandezza smisurata di un pensare che non potendo più pensare si annulla. E' una metafisica che non è più nemmeno fisica, ma aderenza totale a un'insignificanza totalmente indifferente che aderisce alla più pura ontologia.
Non è paranoia questa di Nietzsche, forse si potrebbe leggere rispetto al soggetto in essa inesistente, come l'estremo atto di coerenza che si realizza in una sorta di psicosi maniaco depressiva che arriva al culmine, facendo venire a coincidere nello stesso attimo eterno la fase dell'esaltazione maniacale con quella della depressione più profonda, ma ancora di più è la conclusione nella psicosi di un'epoca millenaria, l'ultimo atto di una ontologia che si rende perfettamente coerente ingoiando se stessa e distruggendo il senso del tempo. L'accettazione dell'eterno ritorno richiede dunque l'estrema dedizione alla volontà di potenza di cui solo l'oltreuomo può rendersi capace e l'oltreuomo è colui che si arrende al non poter più in alcun modo pensare. Strimpellando e cantando canzoni napoletane, delirando su se stesso come un matto da barzelletta, Nietzsche si prepara alla follia catatonica come ultimo coerente atto ontologico.