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Messaggi - Apeiron

#181
Citazione di: viator il 10 Novembre 2018, 00:36:18 AMSalve. Per Apeiron : citandoti : "In realtà, non riesco nemmeno a concepire cosa succederebbe se una tempesta solare di grosse proporzioni ci investisse... non voglio neanche sapere il caos che ci sarebbe se tutto il mondo andasse in black-out improvvisamente"- Ci ha già pensato il cinema di fantascienza a prefigurarci - a modo suo - un simile futuro, rappresentato naturalmente attraverso rozze emblematizzazioni.

Salve Viator!

Corretto. Effettivamente, un bel po' di gente ha pensato alle conseguenze di un simile avvenimento. E, direi che il risultato non è così rassicurante  :(

Citazione di: viator il 10 Novembre 2018, 00:36:18 AM
 L'uomo, attraverso la tecnologia, in realtà cerca di costruirsi un futuro da drogato. Sogna di affidare la realtà alle macchine che gli eviteranno di lavorare, ai medicamenti che gli eviteranno di ammalarsi, alla scienza che gli eviterà il dubbio e l'incertezza. Tutto ciò per potersi dedicare al piacere puro. Naturalmente il prezzo sarà la dipendenza da ciò che non sarà più in lui ma si limiterà a circondarlo.

Esatto, questa era proprio quello che volevo comunicare  ;) il "progresso tecnologico" certamente ci ha dato opportunità fino a poco tempo fa impensabili. Tuttavia, questo lato positivo ci distoglie lo sguardo dagli effetti deleteri. Tra questi effetti c'è, appunto, la dipendenza che ci toglie libertà (come dicevo, si può pensare che la tendenza sia un aumento della sicurezza a scapito della libertà). 


Citazione di: viator il 10 Novembre 2018, 00:36:18 AM

 Catastrofi naturali terrestri od extraterrestri ? Semplicemente si produrrà la retrocessione della civiltà verso modelli o addirittura stadi di vita più adatti e flessibili, ovvero più semplici ed "arretrati" Società a tecnologia semplificata oppure comunità ridotte allo stadio della sussistenza oppure eliminazione della nostra specie e, in funzione della gravità e pervasività dell'evento catastrofico, di quelle di "vertice" evolutivo sino a gradini più bassi. Saluti.

La specie umana ha avuto nella sua storia, una capacità di adattamento sbalorditiva e, in caso di cataclismi naturali (nel caso di una invasione extraterrestre, molto dipenderebbe dal comportamento e dalle intenzioni di tali esseri...) sono quasi convinto che l'umanità troverà una soluzione (a meno che, ovviamente, il cataclisma non sia così grave da provocare la nostra estinzione). E molto probabilmente la soluzione, come ben noti tu sarà un ritorno a stili di vita "più semplici e "arretrati"". 

Inoltre, lo shock che un tale evento avrebbe sull'individuo sarebbe terribile.
#182
Citazione di: Jean il 07 Novembre 2018, 22:03:48 PMCit. Apeiron - Già, come dicevo, più che "viaggi interstellari" e "conquiste di mondi", probabilmente il nostro futuro sarà più simile a quello descritto da "Ghost in the Shell". Ovvero, ci saranno sempre più "cyborg": umani che modificheranno il loro corpo per aumentare le "facoltà". Forse si potrà comunicare con il pensiero, navigare su internet senza nemmeno aprire il computer o accendere lo smartphone... Ciao Apeiron, son contento di ritrovarti... il link all'articolo di Repubblica inizia proprio con la scommessa di May Lou Jepsen (le cui qualità e imprese sono ben descritte, dicono un autentico genio...) di realizzare appunto un dispositivo che renda possibile la telepatia, addirittura in un arco di tempo di pochi anni... una persona così fortemente motivata con un percorso costellato di imprese (riuscite) ritenute impossibili va presa sul serio, non sta parlando di sogni ma di come usare le notevoli conoscenze e i mezzi di cui dispone per raggiungere l'obiettivo.
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Ciao Jean,
sono anche io contento anche io  ;)


Riguardo all'articolo hai ragione e lo avevo pure letto. Ad ogni modo, avevo in mente lo scenario "poco rassicurante" che si trova in quella "saga" che ho citato. In pratica, un mondo dove ci si può collegare alla rete tramite impianti collegati al cervello anche col solo pensiero. Chiaramente, nella storia si dice chiaramente che uno dei rischi è il "ghost hacking", ovvero fare una cosa simile a quello che fanno oggi gli "hacker" (o più correttamente, i "cracker") ai computer: furto di informazioni, "virus mentali", riscrittura di memorie e così via. Al solo pensarci, è una cosa che fa venire i brividi.


Detto ciò, effettivamente l'articolo parla abbastanza chiaro ovvero che una forma di "telepatia", come ben dici, potrebbe essere "introdotta" entro pochi anni, stando a quanto viene detto. Personalmente, sono abbastanza sorpreso e anche un po' scettico. Se è vero, mi coglie abbastanza di sorpresa, nel senso che accadrebbe molto prima di quello che avrei immaginato  :)


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Citazione di: Jean il 07 Novembre 2018, 22:03:48 PMAccidenti, Apeiron, te lo immagini.. altro che macchina della verità con le due sole possibilità vero/falso... se e quando ci sarà la possibilità di rendere visibili/udibili (?) i pensieri che ne sarà dei segreti, della privacy? Una tale macchina ha un potenziale devastante (tanto che dubito non sulla sua realizzazione ma sulla possibilità di disporne...).

Sì, concordo, ci sono problemi etici già solo con la possibilità della telepatia senza scomodare il "ghost hacking" di cui parlavo prima. La privacy sarebbe completamente "compromessa" e si può pensare ad una svolta dittatoriale ("1984" o "Brave New World" impallidirebbero...). Sarebbe il trionfo della "sicurezza" e la morte della "libertà"...

Citazione di: Jean il 07 Novembre 2018, 22:03:48 PM

Se poi fosse interfacciata ad una A.I. connessa a una banca dati.... servirà ancora studiare quando si potrà disporre di tutta l'informazione?


Probabilmente no, se non viene anche "modificato" il cervello (il nostro processo apprendimento sarebbe bene o male lo stesso). Ovviamente, sarebbe molto più facile trovare le informazioni e quindi i libri andrebbero in pensione (e forse anche i PC...)...

Citazione di: Jean il 07 Novembre 2018, 22:03:48 PM
Molti studenti del secondo anno delle superiori già non ricordano come si esegue una divisione (non parliamo di radici quadrate ecc.), tanto c'è la calcolatrice, una primitiva (!) forma di A.I..

Eh... la "massa" di dati, potrebbe avere conseguenze deleterie anche per il pensiero critico: se si passa tutto il tempo a ricevere informazioni senza dare del tempo al ragionamento e alla "speculazione intellettuale", quello che rimane è "sapere tante cose" (cosa che il vecchio Eraclito diceva che non necessariamente portava alla "comprensione")...


D'altro canto, noto che la mia generazione sa fare molti meno "lavori tecnici". Deleghiamo sempre più cose alla tecnologia. Lascio un bellissimo dialogo del film "Matrix Reloaded", preso da Wikiquote:



CitazioneNeo: Ma noi le controlliamo queste macchine, non avviene il contrario.

Consigliere Hamann: Be', certo che no, come potrebbero? L'idea stessa è una pura assurdità ma ti spinge tuttavia a chiederti... che cosa è il controllo?

Neo: È la facoltà di spegnere quelle macchine volendo.

Consigliere Hamann: Giusto, è così. Hai fatto centro, quello è avere il controllo. Se volessimo potremmo farle in mille pezzi. Prima però converrebbe valutare cosa accadrebbe alle nostre luci, al calore, alla nostra aria.

Neo: Noi dipendiamo dalle macchine e loro da noi. È questo il concetto consigliere?



Citazione di: Jean il 07 Novembre 2018, 22:03:48 PM
Il punto è che se qualcosa/qualcuno fa le cose meglio di noi, col tempo (oggi i tempi son brevi) ci subentrerà, la via è stata tracciata sin dall'inizio del metodo scientifico. Quel che immaginava il (direi quasi "profeta") biochimico Isaac Asimov prende via via forma... qualcosa/qualcuno "guiderà" per noi e "lavorerà" per noi (beninteso, non per tutti i poveri diavoli... per chi avrà le caratteristiche ($) adeguate...) e man mano "suggerirà" (questo già accade) le nostre azioni e in ultima gestirà il nostro tempo...

In parte gestiscono già il nostro tempo, non trovi?... :)

Citazione di: Jean il 07 Novembre 2018, 22:03:48 PM
 Mettiamo (la do 1:1000) che non accada... ma le possibilità, le probabilità crescono a vista d'occhio... quindi appar sensato cominciare a parlarne (perché chi se ne occupa ne parla eccome!). Questi son i frutti (piacciano o meno) dei nostri tempi... se hai un telefonino o usi un PC (come tutti quelli che ora stan leggendo) li stai già mangiando... questa "mela" ti ha fatto uscire dall'età dell'oro, quando l'uomo era in equilibrio con la natura. Però, onestamente, di ciò ho solo informazioni... qualcuno ne ha esperienza diretta? O tutti noi manipoliamo e siamo manipolati dalle informazioni? Informazioni, Apeiron (... senza pensare al futuro, io mi accorgo già della differenza che c'è tra il mondo del 2018 e quello di 10-15 anni fa... ormai gli anni 2000 sono già quasi una fiaba) un flusso di informazioni in costante aumento e scambiate a velocità sempre maggiori... non avremo alcuna chances contro AlphaGo... (un esempio). Se non potrai sconfiggere chi domani ti sarà (per forza di cose, ma si può approfondire) contro... anticipa... lascia "qualcosa" fuori dal gioco e assecondalo per non farglielo scoprire... (eh, Asimov docet...).  Un caro saluto Jean (PS – sei giovane, tu ci sarai quando accadrà...) ;)

Beh, onestamente anche senza scomodare le guerre contro l'I.A., c'è anche un altro effetto che, onestamente temo e che già si vede.

Ed è proprio quello che dice il "Consigliere Hamann" nel dialogo che ho citato, ovvero che perfino le "nostre" macchine (ovvero, quelle che possiamo spegnere), che sono per certi versi sotto il nostro controllo, in realtà ci controllano. Non ci controllano "violentemente", ma siamo noi a farci controllare ed essere sempre più dipendenti da esse. Delegando sempre più cose alla tecnologia, potremmo sì vivere negli agi e nelle comodità ma, se ben vediamo le cose, è come se ci rinchiudiamo sempre di più in una sorta di "prigione d'oro".  

In realtà,  non riesco nemmeno a concepire cosa succederebbe se una tempesta solare di grosse proporzioni ci investisse... non voglio neanche sapere il caos che ci sarebbe se tutto il mondo andasse in black-out improvvisamente  :o
#183
Citazione di: Ipazia il 07 Novembre 2018, 10:50:56 AM@ Apeiron Io assumo il punto di vista della cosa-per-noi, non della cosa-in-sè. Da questa prospettiva "pragmatica" e realista le cose sono molto più semplici e richiedono meno dimostrazioni. Quello che la ricerca scientifica offre mi basta e avanza. Ad essa consegno l'ontologia degli enti materiali incluso l'Essere e il suo ibrido Creatore. Ritengo tale posizione filosofica sostanzialmente materialista.

@Ipazia,

beh, diciamo che è un "materialismo" molto particolare, il tuo (ho difficoltà a chiamarlo "materialismo", ma posso capire il motivo che ti porta a farlo ed è legittimo...). Rilevo una influenza del "relazionalismo" di Carlo Rovelli... sbaglio?
Chi è il "Creatore"?  :)  

Citazione di: Ipazia il 07 Novembre 2018, 10:50:56 AM
 A questo punti tu dici: non mi basta. Concordo e pertanto mi riservo uno spazio ontologico particolare, cui attribuisco un carattere trascendentale, agli enti immateriali prodotti dall'attività umana (res cogitans) interagendo con la Natura (res extensa) non intesa come realtà esterna vista da fuori, ma da dentro da una sua parte interagente. Tale interazione modifica la natura sia materialmente che "spiritualmente", trascendendo la legge esclusiva del DNA. Il processo ha caratteristiche dialettiche, di feedback, retroattive ed è su questa dialettica che si gioca il destino umano, la sua progettualità. Anche questa posizione mi pare compatibile con una filosofia materialistica (homo sive natura). Certamente non meccanicistica e dogmaticamente deterministica. Peraltro, delle patenti di ortodossia scolastica, non mi preoccupo granchè. Mi basta ridurre tutto il reale alla sua dimensione - in divenire -antropologicamente rappresentabile. La quale dà ragione anche della singolarità evidenziata da Einstein: il mondo è così comprensibile perchè anche gli strumenti della sua comprensione sono farina del nostro sacco.

Penso di capire... punto di vista interessante! 

Quello che a me piace del relazionalismo, è che, effettivamente, sembra che si basa su un ragionamento che sembra funzionare bene nella fisica stessa. Galileo ha scoperto che le velocità erano definite in relazione ad un determinato riferimento. Einstein addirittura arriva a dire lo stesso per la simultaneità (e, quindi, anche per distanze e durate). Quello che i vari riferimenti hanno veramente in comune - a parte, ad esempio il valore della velocità della luce - sono le "regolarità" dei fenomeni. Tuttavia, mentre Minkowski riteneva che la "vera realtà" era uno "spazio-tempo quadridimensionale" da cui ogni riferimento "ricavava" le sue prospettive, è anche vero che noi non sperimentiamo uno "spazio-tempo quadridimensionale", bensì le "prospettive" (che Minkowski paragonava ad "ombre"). Usando, quindi, il gergo di Minkowski mentre lo "spazio-tempo quadridimensionale" sembra qualcosa di "astratto", le "ombre" sembrano molto "concrete" (anche se hanno una "realtà" puramente relazionale...quindi, effettivamente, sembrano essere "ombre"). La metafisica di Rovelli sembra dire che, in realtà, ci sono solo ombre. Ho abbastanza difficoltà a "immaginarmi" una "realtà" del genere, ma è anche vero che già un mondo dove non sono "definite" le velocità (vedi Galileo, se non prendi "sistemi di riferimento privilegiati") è contro-intuitivo. 

La filosofia di Kant, per certi versi, mi sembra "l'analogo" con le coscienze (anche se, in Kant, lo stato ontologico della "cosa in sé" non è ben chiarito...). In questo caso, però, se noi abbiamo accesso alla sola "cosa-per-noi" come spieghiamo il fatto di riuscire a interagire tra di noi? :)  sembra una domanda un po' stupida, ma il rischio dell'approccio Kantiano è proprio quello di "scivolare" in una sorta di solipsismo epistemologico o addirittura ontologico (mi pare che Carnap ha esplicitamente detto che il neopositivismo è "solipsismo ontologico" o "metodologico" e il neopositivismo deve molto a Kant. Così come (almeno) il "primo" Wittgenstein, che arriva a dire che "ciò che il solipsismo intende è del tutto corretto, solo che non si può dire"...). Secondo me "qualcosa" di importante viene "segnalato", per così dire, da queste filosofie ma forse questo "qualcosa" si riduce all'antinomia di cui parlavo a sgiombo, ovvero ammettere che ci sono cose che esistono in modo indipendente da noi (la Luna esiste quando non la osservo - e anche prima che nascessi e dopo la mia dipartita molto probabilmente) e ciononostante sono parte della rappresentazione/esperienza/mondo fenomenico. Chiaramente è una antinomia o un "paradosso"... 

Sgiombo,

Citazione
La conoscenza delle sensazioni é una cosa (un fatto), le sensazioni sono altre cose (altri fatti).

"Ciò di cui si ha sensazione" può essere inteso come le sensazioni stesse (un albero che vedo), delle quali "esse est percipi", e dunque qualcosa di non indipendente (anzi: di identico) ontologicamente dalle sensazioni stesse (e dal rispettivo soggetto, se reale; anche se non solo da tutto ciò); oppure come la cosa in sé (se reale) che "si manifesta come le (corrisponde biunivocamente alle) sensazioni , ma é indipendente da esse (é reale anche e  e quando non lo sono le corrispondenti sensazioni con le quali "si manifesta" fenomenicamente) e dal rispettivo soggetto.

Apeiron

Adesso capisco la distinzione, grazie. 

Ritengo che Kant sia, nella Ragion Pura, agnostico sulla cosa in sé. Tuttavia, per Kant, non è necessario chiamare in "causa" il noumeno per "rendere conto" dei fenomeni anche quando non li si osserva. Per Kant, traduco da una citazione dall'inglese "la conoscenza delle cose come effettive non richiede, certamente, l'immediata percezione (e, quindi, le sensazioni di cui siamo coscienti) dell'oggetto la cui esistenza è da conoscere " (A225/B272). Come dicevo, per spiegare l'insorgere delle sensazioni non è necessario "scomodare" il noumeno, per Kant (visto che sia le sensazioni che le cause delle sensazioni sono parti del "mondo empirico"/"mondo fenomenico"). Per lui, questo bastava per spiegare l'inter-soggettività e il fatto che viviamo in un mondo "condiviso".

Onestamente, però, credo che questo ragionamento produca solo un'antinomia, come dicevo (antinomia, peraltro interessante...). 

CitazioneSgiombo:
Ma non stavamo parlando di ontologia?
Apeiron

Ho avuto un lapsus. "Trascendentale" = "conoscenza indipendente dall'esperienza" /"Empirico" = "conoscenza derivata dall'esperienza".
"Realismo" = "esistenza indipendente dall'esistenza oggettiva" /"Idealismo" = "esistenza dipendente dall'esistenza soggettiva".

Ergo, stiamo parlando di entrambe. Il "paradosso" è che per Kant l'esperienza è "costruita" dalla mente e ciononostante in questa costruzione ci sono oggetti che esistono indipendentemente dalla mente ("realismo empirico"). La costruzione viene fatta tramite forme e categorie a priori, "a priori" e quindi che non si conoscono con l'esperienza. Inoltre, essendo "proprietà" della nostra mente, non possono "esistere" all'infuori di essa (ovviamente, esistono in altre menti) - "idealismo trascendentale".  

Citazione
[font="Segoe UI", "Helvetica Neue", "Liberation Sans", "Nimbus Sans L", Arial, sans-serif]Apeiron

concordo... pure su Kant (udite, udite!)   o più precisamente... per Kant la ragion pratica non può dare conoscenza bensì, per Kant, la ragion pratica "impone" gli assiomi sulla "cosa in sé" (ad esempio: libero arbitrio, immortalità e esistenza di Dio - sui quali la "ragion pura" crea solo antinomie). 



Citazione[/b][/font][/size]

CitazioneSgiombo:
NOn capisco la differenza: gli assiomi i quali  sono imposti (= il credere nella verità dei quali é imposto) dalla ragion pratica che cosa sono se non conoscenza (che esistono Dio, l' anima individuale immortale e il libero arbitrio)?
Apeiron

Sono imposti dalla "pratica", dal dovere morale. In pratica, l'etica richiede quei postulati. Ma questa è una richiesta, non una conoscenza "di per sé". Meglio adesso? :)


Citazione
Apeiron

 a rigore, Hume non ha mai realmente dubitato della ragionevolezza della causalità...)
Citazione
CitazioneSgiombo
Ne ha realmente dubitato, anche se ovviamente si é sempre comportato "ragionevolmente", come se non ne dubitasse (differenza fra conoscenza o teoria e pratica).




Apeiron

Concordo! Diciamo che ne ha dimostrato l'indimostrabilità (argomento peraltro non nuovo, Sesto Empirico a quanto pare aveva già messo in dubbio l'induzione con un'argomentazione praticamente identica)  :) d'altro canto, però, c'è, diciamo, la "quasi" certezza che sia così  :)


Citazione
Citazione
CitazioneSgiombo:

CitazioneSgiombo:
Concordo se (come mi pare di comprendere ora) stai parlando di cose come gli atomi, le particelle-onde, i campi di forza, ecc.: questi non sono cose in sé ma invece ciò che si teorizza (si conosce come non falsificato) circa i fenomeni (il "mondo fenomenico" analizzato nelle modalità del suo divenire, nei suoi aspetti anche non immediatamente evidenti ma da ipotizzare per spiegare il divenire di quelli immediatamente evidenti: non usciamo dall' "esse est percipi", ma semplicemente percepiamo meglio, meno superficialmente, più approfonditamente o precisamente e compiutamente; o meglio consideriamo, pensiamo meglio, meno superficialmente, più approfonditamente o precisamente e compiutamente ciò che percepiamo.

Apeiron

Credo che ci stiamo avvicinando :)


Ma questo è il "casino" della filosofia Kantiana. Per rendere sensata la rappresentazione gli "oggetti" devono esistere (la Ragion Pura lo "richiede", per così dire). Però la rappresentazione è, ovviamente, appunto una "rappresentazione" e quindi interna. 

Kant arriva addirittura a fare una distinzione tra l'arcobaleno e le gocce che lo "causano". Arriva a distinguere le apparenze empiriche (es: arcobaleno) con le cose in sé empiriche (es: le goccioline d'acqua). L'(immagine dell') arcobaleno è la sensazione visiva. Le goccioline d'acqua e la luce solare sono le "cose in sé empiriche". Entrambe le cose sono nella "rappresentazione", la "realtà-vista-da-noi"... per l'appunto non si esce dall'"esse est percipi" (in un certo senso, visto che come dici tu "ipotizziando" "percepiamo meglio") ma al contempo lo si fa (visto che la rappresentazione non avrebbe alcun senso senza tali "cose" non direttamente percepite) ;D

Quindi la Ragion Pura arriva ad un paradosso. In pratica, gli "oggetti" sono esterni ed interni a seconda di come li si considera. Ovviamente, è difficile giustificare che qualcosa sia all'interno della rappresentazione e indipendente ontologicamente da noi (per questo motivo ritengo che la filosofia Kantiana arriva ad una indecidibilità/antinomia...per Kant, forse, non c'era questa "antinomia" visto che da quanto mi sembra di capire pensava di aver risolto il dibattito tra razionalisti ed empiristi dando il tanto ricercato fondamento "certo" alla conoscenza scientifica). 



CitazioneSgiombo:
Se per "oggetti esterni" intendi le cose in sé (o il noumeno) dissento: sono ontologicamente indipendenti dall' esistenza del soggetto di coscienza e diversi (altre "cose") dalle rappresentazioni fenomeniche.

Se invece (dicendo che sono necessari nell'ordinamento della "causalità"; comunque credibile per fede e non dimostrabile) intendi che sono aspetti "nascosti", non immediatamente evidenti della realtà fenomenica ma deducibili dai suoi aspetti immediatamente evidenti (atomi, particelle-onde, ecc.), comunque non reali indipendentemente dalle sensazioni fenomeniche (e dal rispettivo soggetto, se é reale anch' esso), allora concordo. 
Apeiron

Qui in realtà credo di concordare con te e non con il "mio Kant", anche se, in realtà, quello che dice è consistente seppur "paradossale" :)  nel senso, se la rappresentazione è ordinata, ovviamente, necessita degli "oggetti esterni" (quelli che Kant chiama "cose in sé empiriche"), tuttavia la rappresentazione non è "indipendente" da noi. Però, "punta" a qualcosa di esterno. La filosofia Kantiana arriva lì (da come leggo Kant, lui credeva che veramente il "puntare" era un "dimostrare", in realtà  :) ). Non va oltre, secondo me. Andare oltre, significa parlare della "realtà-così-come-è". E non abbiamo alcuna garanzia che "essa" - se c'è, come ben dici tu - sia come è "richiesto" dalla Ragion Pura. Nel rifiuto all'idealismo (anche se è un tentativo di rifiutare il solipsismo), Kant dice che solo con qualcosa di "esterno" possiamo avere auto-coscienza (grazie alla distinzione "interno" ed "esterno"...). Quindi per Kant la Ragion Pura "prova" l'esistenza di "qualcosa di esterno". Ma di questo "qualcosa" non possiamo sapere "come è veramente" indipendentemente dalle nostre categorie trascendentali (in realtà, a rigore, nemmeno "se c'è" ma assumendo che c'è vale quello che dicevo). 


CitazioneSgiombo:
Ma da noi le regolarità del noumeno o cosa in sé non sono comprensibili (nemmeno immaginabili); lo sono solo quelle (postulabili ma non dimostrabili) dei fenomeni).
Apeiron

Mi riferivo alla "cosa in sé". Per un realista diretto, però dovremmo conoscere la "cosa in sé"  ;)

Perchè, però, dici che non possiamo nemmeno comprendere e immaginare le (eventuali) regolarità del noumeno? Mi aspettavo che dicevi che, ammesso che esistono, non possiamo sapere quali sono... :)

Ciao!
#184
Sgiombo

CitazioneFin qui concordo con Cartesio: le qualità primarie, per il fatto di essere misurabili direttamente, non sono meno fenomeniche o più in sé (il loro "esse" non é meno "pecipi") di quelle secondarie.

Apeiron

Idem...

Sgiombo

CitazioneApeiron
Così tramite il famoso "cogito ergo sum" e le prove dell'esistenza di Dio pensava di aver risolto l'inghippo: in fin dei conti, se Dio esiste ed è perfettamente buono non può ingannarci ma, invece, è il garante che possiamo conoscere le cose. Spinoza, invece, partendo da "assiomi inconfutabili" ha tentato di dimostrare qual era "l'essenza della realtà" seguendo un percorso razionalista (come aveva fatto Cartesio) senza mai basarsi sull'esperienza.

Citazione
CitazioneQui naturalmente dissento da Cartesio (sempre seguendo l' immenso Hume) sulla certezza del soggetto del "cogito" (l' "ego" che ne sarebbe -erroneamente- dedotto) e sulla cosiddetta "prova ontologica" dell' esistenza di Dio e tutto ciò che ne ricava.

Apeiron

Concordo.

Tra l'altro anche Kant, pur ritenendo "verità indubitabili" le forme e le categorie riteneva che le prove dell'esistenza di Dio non potevano portare a niente perché Dio non è un oggetto dell'esperienza fenomenico (per Kant). Così come non lo è nemmeno l'universo nella sua interezza (non può essere "osservato" dall'esterno, per così dire...). In ambo i casi, la ragione - per Kant- genera antinomie e, al massimo, congetture. Inoltre, Kant dice la stessa cosa anche per l'anima (l'"io noumenico") e il libero arbitrio.

Sgiombo


CitazioneFu poi la volta di Locke che, in contrasto con Cartesio e Spinoza, riteneva che la conoscenza si basava unicamente sull'esperienza. Dopo Locke giunse Berkeley, notando, come aveva fatto Cartesio, che i contenuti dell'"esperienza sensibile" sono "interni" alla nostra coscienza. Quindi, non ci danno alcuna prova dell'esistenza di una "realtà materiale" che esiste indipendentemente da noi. Berkeley spiegava il fatto che gli oggetti sembrano esistere anche quando non vengono percepiti con l'esistenza di Dio, che "guardava" le cose in ogni momento.

Citazione
CitazioneMa soprattutto che provocava, causava la loro presenza come meri fenomeni nella nostra coscienza.


Apeiron
Vero

Sgiombo


CitazioneApeiron
Kant, in seguito, riconosce a Hume e a Berkeley che la pura speculazione intellettuale non può portare a nessuna conoscenza ("pensieri senza intuizioni (=dati empirici) sono vuoti" come afferma nella "Critica della Ragion Pura"). Kant però ha cercato di "salvare" la validità della conoscenza scientifica dicendo che a livello della "realtà empirica"/"fenomenica" la scienza vale. Come? Secondo Kant la ragione era che la nostra mente ordina "l'esperienza" con "forme" e "categorie" "a-priori", ovvero quelle "caratteristiche" che sono presenti in tutte le esperienze. Se la mente non ordinasse l'esperienza, dice Kant, sarebbe completamente incomprensibile (la citazione precedente continua con "le intuizioni senza concetti sono cieche" - ovvero se i dati empirici non vengono ordinati dalle "caratteristiche" menzionate prima sono incomprensibili). Quindi, secondo Kant, la scienza, basandosi sull'esperienza porta conoscenza vera: d'altronde la scienza, per Kant, utilizza concetti per studiare l'esperienza, proprio come richiesto (se non si basasse sull'esperienza sarebbero pensieri senza contenuto ("vuoti") e se non usasse i concetti sarebbe "cieca").

Citazione
CitazioneMa le "forme" e "categorie" "a-priori" non sono empiricamente dimostrabili né mostrabili come applicabili con certezza di verità all' esperienza fenomenica: Kant si illude di superare lo scetticismo humeiano, ma in realtà non lo supera affatto!

Apeiron
Concordo... non puoi dimostrarlo. A meno che non riesci a conoscere "direttamente" la "natura della mente"...conoscenza che non è né necessaria logicamente né empiricamente (Wittgenstein nel Tractatus pur riconoscendo all'idealismo trascendentale che "il mondo è il mio mondo" e che le proposizioni devono avere un contenuto** critica l'idealismo trascendentale perché postula un "ordine a priori" nell'esperienza).

**per Kant, il "contenuto" che fa andare fuori dal mondo fenomenico è, per certi versi, l'etica (anche se, in realtà non dà vera conoscenza). Per Wittgenstein, le scienze naturali producevano "proposizioni sensate" perché potevano essere ricondotte all'empirico (era vicino al neopositivismo logico - anche se non lo era, come è evidente dalla parte finale del Tractatus stesso...)

Sgiombo

CitazioneApeiron
Chiaramente questo lascia perplessi, visto che, in fin dei conti, Kant riteneva che tra le "categorie" vi era la causalità. Perciò, per Kant, gli "oggetti esterni" devono esistere indipendentemente da noi e, allo stesso tempo, devono anche essere parte dell'esperienza ordinata dalla mente - ovvero parte della "rappresentazione". Non a caso, per Kant fenomeni erano anche "oggetti" che non erano sensazioni immediate.

Citazione

CitazioneMa se ben lo intendo erano "oggetti" e non sensazioni immediate solo in quanto cose in sé o noumeno, non i quanti fenomeni.

Apeiron

Sono indipendenti dalla nostra esistenza ma al tempo stesso sono "interni" all'esperienza cosciente (o meglio, alla "rappresentazione") perché sono necessari per spiegare la presenza delle sensazioni. Quindi non sono "fenomeni" in quanto sensazioni, bensì sono all'interno del mondo fenomenico in quanto sono implicati dalla causalità (che è una forma regolativa a-priori). O almeno questo è quello che pensa "Kant interpretato da me"  ::)  

Sgiombo

CitazioneApeiron
La filosofia Kantiana riesce a dare una sorta di "spiegazione" del fatto che osserviamo regolarità nella nostra esperienza: d'altronde la mente "ordina" le sensazioni. D'altro canto, è anche vero che arriva al paradosso quando, in pratica, finisce per sostenere che questo "ordinamento" dell'esperienza richiede la presenza di oggetti esterni (causalità) e allo stesso tempo però questi oggetti esterni, che spiegano l'insorgere delle sensazioni (ovvero sensazioni visive, uditive...), devono essere parte del "mondo fenomenico"/"rappresentazione"/esperienza. Il paradosso, dunque, è il seguente: gli oggetti esterni devono, al contempo, essere sia interni alla rappresentazione sia esterni a noi (ovvero non dipendere ontologicamente dalla nostra esistenza). Perciò, Kant, si avvicina addirittura al "realismo diretto" sostenendo che noi possiamo conoscere oggetti che non dipendono dalla nostra esistenza e, al contempo, si avvicina all'"idealismo" visto che tali oggetti sono sempre parte della rappresentazione! Quindi la filosofia di Kant ha, effettivamente, questo grosso problema e, effettivamente, rimane da vedere se davvero giustifica la conoscenza scientifica (e, credo, che qui si vede che non appoggio Kant in modo incondizionato   ).

Citazione
CitazioneSecondo me l' apparente paradosso (che mi sembra proprio della tua interpretazione errata -ma potrei invece sbagliarmi io!- di Kant e non del grande konigsberghese) si scioglie facilmente distinguendo fra "oggetto" (di sensazione e non di conoscenza), impropriamente inteso come apparenza fenomenica nell' ambito della nostra coscienza (quelle materiali -res cogitans- non sono propriamente oggettive ma possono solo essere -indimostrabilmente postulate- essere intersoggettive; cioè reciprocamente corrispondenti -e non "cose" uguali, che non avrebbe senso, né men che meno le medesime "cose"- fra le diverse esperienze fenomeniche dei diversi soggetti); e "oggetto" propriamente inteso come cosa in sé o noumeno (in determinate relazioni con l' altra cosa in sé che é l' oggetto allorché accadono i determinati fenomeni coscienti; quelli materiali se soggetti ed oggetti sono diverse cose in sé, mentali se riflessivamente si identificano nella medesima cosa in sé).


Apeiron

E invece credo di no  ;D secondo "la mia interpretazione di Kant" o "Kant interpretato da me", gli oggetti esterni, pur essendo ontologicamente indipendenti dall'esistenza del soggetto, sono pur parte della rappresentazione in quanto sono necessari nell'ordinamento della "causalità". Su questo punto si capisce, secondo me, il fatto che Kant voleva distanziarsi da Berkeley/Hume e Cartesio/Spinoza e il motivo della critica rivoltagli da Fichte, Schelling e Hegel, secondo i quali non ha completato la sua "rivoluzione" (per questi filosofi, il "mondo esterno" era la creazione di una coscienza...per Kant ciò era possibile solo per Dio, la cui esistenza non poteva essere dimostrata con la "ragion pura" ma al massimo postulata dalla ragion pratica. Per il trio appena nominato tale coscienza era lo "Spirito" che ha creato il mondo esterno e di cui noi siamo "manifestazioni" - se non li ho fraintesi  :) )

Sgiombo

CitazioneApeiron
Il problema del "realismo diretto" (su cui, secondo me, il materialismo "mainstream" si basa) è proprio il fatto che non si pone il problema epistemologico di come possiamo conoscere la realtà e, ciononostante, finisce per dichiarare che la realtà è conoscibile senza però davvero "rifiutare" le possibili obiezioni

Citazione

CitazionePerfettamente d' accordo salvo "sentire" anziché "conoscere" (e solo conseguentemente il conoscere ciò che si sente).
Concordo...

Sgiombo
CitazioneApeiron
Il "realismo diretto" perciò,  non riesce a spiegare il motivo per cui i nostri concetti, la matematica ecc possono essere usate per comprendere l'esperienza

Citazione
CitazioneQui devo ripetere che per me é un fatto del tutto ovvio non richiedente alcuna spiegazione.


Apeiron
Non è affatto ovvio che una "realtà esterna", indipendente ontologicamente da noi e non parte della nostra rappresentazione, sia regolare (assunzione 1) e che tali regolarità siano comprensibili da noi (assunzione 2) - ci sono anche altre assunzioni ma mi fermo qui. Onestamente, non capisco il motivo per cui a te sembra così "ovvio"  :)

Come diceva Einstein:"l'eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità...Il fatto che sia comprensibile è un miracolo"
E Einstein era un realista diretto o molto vicino al realismo diretto se non ricordo male...

Ciao!


X Ipazia,

fai conto che ho detto che questo casino era iniziato con Cartesio perché è lui che ha messo in dubbio tutto. Anche Hume poi ha messo in discussione l'applicazione dei concetti all'esperienza. 
Con la questione delle "categorie" e delle "forme" a-priori Kant voleva dare un fondamento certo alla scienza per eliminare la possibilità che argomenti come quelli proposti da Cartesio e Hume potevano mostrare che si poteva dubitare della scienza. L'intenzione di Kant perciò era quella di dare alla scienza un fondamento indubitabile, irrefutabile, certo...se poi il suo tentativo sia fallito è un altro discorso :) 

Ovviamente, uno può "fregarsene" di questo tipo di dubbi, usando un approccio pragmatico ;) (in fin dei conti anche Hume poi sceglieva di "credere" nella ragionevolissima ipotesi che la causalità era vera - e che quindi non aveva senso pratico di dubitare che prendendo a pugni un muro si potevano avere danni alle mani)
#185
Sgiombo

CitazioneQui farei una prima obiezione:
Conoscere =/= sentire
Conoscere == predicare circa il sentire (o altro) conformemente alla realtà (del sentire o altro).
Nessun possibile oggetto di conoscenza é sentito indipendentemente dall' esperienza (per definizione); dunque nessuna sensazione (e non conoscenza) può accadere indipendentemente dall' esperienza costituita da sensazione (o sensazioni), tutti gli oggetti di sensazione sono sentiti tramite l' esperienza, anzi in quanto sensazioni costituenti l' esperienza; ma se continuano ad esistere anche senza l' esperienza (anche se e quando le sensazioni non accadono realmente, anche indipendentemente dalla eventuale realtà di queste, allora sono cosa diversa da esse, dall' esperienza), allora non sono costituite da sensazioni ovvero apparenze sensibili (fenomeni) ma invece da cose reali in sé e non apparenti ma congetturabili (noumeno).

Apeiron

vero però senza il "supporto" dell'esperienza (ed, eventualmente, ciò che può essere ricavato in modo indubitabile da essa) la "conoscenza" è una congettura (cosa su cui anche tu sei d'accordo  ;) )
Onestamente, pensavo che fosse chiaro che, ad esempio, "realismo empirico" significa proprio che si ha conoscenza di qualcosa che è indipendente ontologicamente e che lo si può conoscere tramite l'esperienza (e quindi, in ultima analisi le sensazioni...). Non capisco cosa cambia questa tua precisazione (per me era già implicita...) 


Sgiombo

CitazioneNon si riferiscono all' epistemologia (allo studio della conoscenza) ma all' ontologia (alla realtà): le sensazioni sono fatti, non conoscenze (conoscenze sono invece -peculiari sensazioni costituite da- proposizioni, pensieri, predicati veri circa fatti (come le sensazioni o eventualmente altro); veri o "conformi" (concetto da definire per bene) ai fatti stessi.
 
Traducendo dalla questione (secondo me mal posta) delle sensazioni in quella (corretta) delle conoscenze circa le sensazioni, allora circa queste ultime si pone il problema se ad esistere o meno indipendentemente dal soggetto sono le sensazioni (fenomeni) o gli oggetti in sé (noumeno) delle stesse
 
Se le sensazioni (fenomeni) necessitano di un soggetto (in sé, da esse diverso, reale anche indipendentemente da esse: noumeno), allora i fenomeni sono indubbiamente dipendenti dal soggetto, mentre il noumeno (le cose in sé oggetto di sensazione fenomenica) potrebbero:
 
o esistere (essendo ben altra cosa ei fenomeni) indipendentemente dall' esistenza del soggetto e dei fenomeni o sensazioni: realismo:
 
oppure semplicemente non esistere: irrealismo (o idealismo a là Berkeley: esistono solo le sensazioni e non loro specifici oggetti, loro "oggetto" essendo in ultima analisi alquanto aspecificamente Dio che le fa esistere[font="Segoe UI", "Helvetica Neue", "Liberation Sans", "Nimbus Sans L", Arial, sans-serif] 
[/font][/size][/color]

Apeiron

Beh "trascendentale" e "empirico" sono concetti epistemologici. Il loro significato è nel campo epistemologico. Riguardo ad "idealismo" ed "empirismo" direi che è invece abbastanza ovvio che il significato è ontologico. Sulla questione del noumeno torno più avanti.

Sgiombo

CitazioneUna volta reimpostata correttamente (secondo me) la questione come questione delle sensazioni e non delle conoscenze (delle sensazioni), si può credere che gli oggetti in sé (noumeno) esistono indipendentemente dalle sensazioni e dai soggetti di sensazione (essi stessi in sé o noumeno), con esse correlate (biunivocamente corrispondenti) ma da essi diverse: altre "cose"!
Ma non lo si può dimostrare logicamente né tantomeno (per definizione) constatare empircamente (e questo vale pari pari per il soggetto delle sensazioni, cosa in sé o noumeno anch' esso).
Quello che si percepisce sensibilmente sono solo fenomeni, sensazioni: "esse est percipi"; e forse hanno oggetti reali in sé (noumeno) da esse stesse del tutto diversi (ad esse solo correlati, corrispondenti), forse no: lo si può credere solo per fede.
Questa é la posizione di Hume (e naturalmente mia), mentre mi sembra (se non li fraintendo) che per Kant e "in un certo senso" per Spinoza l' esistenza reale delle cose in sé o noumeno (per quanto inteso in maniera del tutto indeterminata) sia certa (sebbene per Kant esso non sia conoscibile nelle caratteristiche determinate che lo costituiscono -razionalmente- dalla ragion pratica ma solo -a mio parere irrazionalmente- dalla ragion pratica).

Apeiron

concordo... pure su Kant (udite, udite!)  ;D o più precisamente... per Kant la ragion pratica non può dare conoscenza bensì, per Kant, la ragion pratica "impone" gli assiomi sulla "cosa in sé" (ad esempio: libero arbitrio, immortalità e esistenza di Dio - sui quali la "ragion pura" crea solo antinomie). 

Sgiombo

CitazioneQui entra in ballo la conoscenza delle sensazioni.
La quale per me può limitarsi a essere una conoscenza "episodica" o "aneddottica" di singoli enti o eventi particolari concreti immediatamente esperiti; oppure può (limitatamente ai fenomeni materiali: res extensa, in quanto misurabili qantitativamente e postulabili essere intersoggettivi) ambire ad essere conoscenza scientifica, ovvero conoscenza delle modalità generali astratte, universali e costanti del divenire; ma in questo caso richiede la verità di talune conditiones sine qua non indimostrabili né empiricamente constatabili: oltre all' intersoggettività, il divenire ordinato secondo concatenazioni causali (di questa infondatezza razionale, di questa incertezza o dubitabilità in linea teorica o di principio é ben consapevole Hume, mentre -se ben l' ho compreso- Kant pretende di fondarne la certezza sulle -per me inesistenti, se non come tendenze comportamentali e non come credenze certe; casomai come "credute certezze" e non come "certezze reali" - forme a priori 
Apeiron

Penso di essere d'accordo e penso che anche la "mia interpretazione di Kant" sia d'accordo con quanto dici (forse non sarebbe d'accordo con la critica che "gli" fai alla fine, ma hai ragione :)  - anche se, a rigore, Hume non ha mai realmente dubitato della ragionevolezza della causalità...)
#186
Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AMLa "filosofia materialista" non ignora questo problema ed è assai indaffarata a risolverlo per via neuroscientifica. Un punto assodato di tale filosofia è che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura). Ma deve riconoscere, aldilà di ogni sforzo riduzionista, che la res cogitans ha delle facoltà trascendentali che agiscono sulla res extensa. Di tutto il bestiario filosofico narrato, mi pare che Kant sia quello che si avvicina di più alla realtà. Basta soltanto demetafisicizzare le categorie a priori in caratteristiche evolutive della nostra specie affinatesi nel tempo, capaci di trascendere col ragionamento logico i livelli meramente empirici dell'esperienza. Come una particella subatomica siamo contemporaneamente massa e onda, esperienza empirica e trascendentale. Non vi è alcuna contraddizione perchè siamo entrambe le cose. Mi auguro che scienza e filosofia finiscano con l'accorgersene, mettendo nella spazzatura della loro storia dispute tardonominalistiche il cui tempo è scaduto.


Ciao Ipazia,

Direi che la "filosofia materialistica" può accettare in parte e solo in parte quel tipo di ragionamento  :) ...

La "filosofia materialistica" assume che le nostre categorie mentali possano essere utilizzate per comprendere la "realtà esterna" alla nostra esperienza cosciente, assumendo, inoltre, che tale "realtà esterna" si possa conoscere empiricamente. Facendo così "si allontana" sia da Cartesio sia da Kant (pur conservando analogie con entrambi...).

Da Cartesio perché, secondo Cartesio, a-priori la conoscenza empirica non ci può dare una conoscenza adeguata sulla realtà esterna.

Da Kant, perché la "realtà esterna" è comprensibile dalle nostre categorie perché tale "realtà esterna" è implicata dall'ordinamento delle nostre sensazioni (ovvero applicando la causalità alle sensazioni, queste ultime non si possono spiegare senza "realtà esterna", perciò la "realtà esterna" è paradossalmente "interna" alla nostra rappresentazione).

La "filosofia Kantiana" cerca di spiegare la validità dell'applicazione delle nostre categorie mentali all'esperienza (e quindi, per Kant, la scienza) assumendo che l'esperienza viene ordinata dalla nostra mente in un certo modo. Hume e Cartesio criticherebbero Kant per l'assunzione, seppur per motivi diversi e, inoltre, è ben da vedere quanto questo tentativo di spiegazione riesce effettivamente a spiegare...

Andando nel dettaglio del tuo intervento:
Citazione
Un punto assodato di tale filosofia è che la res cogitans (pensiero) è parte della res extensa (natura).
[preferirei il termine "mente" piuttosto che "pensiero" che può essere una parola fuorviante ma lasciando perdere ciò], questo però non è un punto "assodato" è una assunzione della filosofia materialistica (peraltro, c'è anche quello che è definito "the hard problem of consciousness"...).

Citazione
Ma deve riconoscere, aldilà di ogni sforzo riduzionista, che la res cogitans ha delle facoltà trascendentali che agiscono sulla res extensa

se ciò è vero qui si assume che si può riuscire fino a che punto le facoltà trascendentali "distorcono" la "res extensa" (che per il materialismo, è la "realtà vera"). Ovvero: se non diciamo che la "realtà esterna" è parte della rappresentazione come possiamo dire che tale "realtà esterna" è "conoscibile" (dubbio Cartesiano)? In pratica, qui c'è l'assunzione del realismo diretto già criticata sia dagli empiristi (Hume, Berkeley...) che dai razionalisti (Cartesio, Spinoza) che da Kant.  Per Cartesio e Spinoza il problema è che non c'è nessuna categoria che il nostro sistema percettivo ci possa dare una conoscenza della "realtà esterna". Per Hume e Berkeley, i sensi non dimostrano l'esistenza della "materia". Per Kant, non si può sapere come è "la realtà indipendentemente dalle nostre rappresentazioni".

Citazione
Basta soltanto demetafisicizzare le categorie a priori in caratteristiche evolutive della nostra specie affinatesi nel tempo

per farlo, si deve assumereche tale spiegazione valga nel tempo (quindi in qualche modo, ci deve essere qualcosa che è "indipendente" dal tempo...).

Il punto è che così non superilo scetticismo di Hume e Cartesio (cosa che ha provato a fare Kant senza ahimè riuscirci)

Vedo che ci sono molte assunzioni e pochi tentativi di spiegare perché:
1) perché si può conoscere qualcosa di indipendente dalle "rappresentazioni";
2) e ammesso ciò, perché si può conoscere qualcosa.

Citazione di: Ipazia il 06 Novembre 2018, 09:33:50 AM
PS La matematica è quella che è perchè è il ragionamento logico, la techne, (trascendentale) che meglio ci permette di mettere ordine all'universo empirico trasformandolo da cosa-in-sè (verità) - che pertanto non è più un problema nè epistemologico, nè scientifico - a cosa-per-noi (veridicità). Che invece problematica lo è, ma anche risolvibile attraverso le nostre funzioni trascendentali.

Se appoggi la filosofia Kantiana no problem.
Se appoggi la filosofia materialistica, invece, devi assumere che possiamo distinguere la "verità" dalla "veridicità" altrimenti, è una filosofia materialistica solo di nome. In fin dei conti, se assumi la "filosofia materialistica" e credi che le neuroscienze possano darci una conoscenza della realtà aldilà delle nostre "funzioni trascendentali" assumi che la "realtà esterna" è conoscibile  :)

Da qui il mio richiamo al problema della matematica. Ma visto che ha portato un po' fuori strada (anche se, il buon Einstein - che era un realista diretto o quasi - affermava che "l'eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità...Il fatto che sia comprensibile è un miracolo")

Perché tale di "realtà esterna" indipendente dalle nostre funzioni trascendentali si possono conoscere le proprietà?  :)
#187
Citazione di: Jean il 05 Novembre 2018, 08:35:22 AMIn questo campo (AI e assimilati) i progressi, nel senso di nuove idee e realizzazioni, son quasi esponenziali piuttosto che lineari. Tra non molto si attiverà il 5G e già si parla del successivo 6G... Ormai non più dietro le quinte ma apertamente, o almeno per una gran parte, si discutono e si vanno apprestando innovazioni di tal portata che in un futuro (se ci sarà...) sempre più prossimo impatteranno sul modo di vivere e persino sulla struttura organica stessa dell'essere umano sì che l'attuale diverrà un ricordo... un mito, una fiaba... 


Ciao Jean! 

Senza pensare al futuro, io mi accorgo già della differenza che c'è tra il mondo del 2018 e quello di 10-15 anni fa... ormai gli anni 2000 sono già quasi una fiaba  comunque, concordo, nei prossimi decenni la vita dell'uomo sarà estremamente diversa da quella di adesso. Difficile però, "farsi un'idea" di come andranno le cose (solitamente le predizioni su "come sarà il mondo fra 50 anni" sono sbagliate...).

Ma più che "macchine volanti", "viaggi interstellare" e cose così, quello che cambierà sarà il rapporto uomo-tecnologia.

 Oggi abbiamo la Realtà aumentata che ci permette, ad esempio, di accedere alle informazioni su qualcosa puntandoci la telecamera dello smartphone (informazioni che, ovviamente, vengono prese da Internet...connessione che ormai è disponibile praticamente ovunque). Perlopiù, queste tecnologie non sono ancora "dentro" il nostro corpo. Fra qualche decennio, forse non servirà più puntare la telecamera dello smartphone ma, semplicemente, guardare con gli occhi. Se ciò si avverrà, letteralmente, non si sarà più "sconnessi"  



Citazione di: Jean il 05 Novembre 2018, 08:35:22 AM
 Riporto un estratto di un articolo odierno (che invito a leggere nella sua interezza):  DARPA Ovviamente non poteva mancare l'esercito. L'anno scorso la DARPA, l'agenzia dei progetti di ricerca avanzata per la difesa militare degli Stati Uniti, ha lanciato un programma da 60 milioni di dollari per sviluppare un'interfaccia neurale impiantabile in collaborazione con un consorzio di aziende private. Il progetto, parte dell'iniziativa BRAIN dell'ex presidente Barack Obama, è un programma molto ambizioso e per il quale l'ex presidente aveva stanziato 250 milioni di dollari. DARPA vuole creare un dispositivo in grado di registrare l'attività di almeno 1 milione di neuroni contemporaneamente e di stimolare almeno 100.000 neuroni nel cervello. DARPA vuole anche che il dispositivo sia wireless, della dimensione di una monetina e che sia pronto in quattro anni, una scadenza questa che secondo il periodico MIT Technology Review sarebbe estremamente aggressiva.   Ma se la MIT Technology Review fa il police verso al progetto di DARPA, Matt Grob, Chief Technology Officer di Qualcomm, lo ritiene tra quelli più fatitbili. E infatti predice che arrivarà sul mercato con l'arrivo del 6G, ovvero le cosiddette tecnologie wireless di sesta generazione. "Quando guardi l'evoluzione della comunicazione wireless ti rendi conto che è inevitabile", ha dichiarato Grob. "Prima la voce per voce, per le tue orecchie. Dal 3G al 5G sono i tuoi occhi ad essere bersagliati. È probabile che il 6G andrà oltre i display montati sulla testa per introdurre l'interfaccia neurale diretta ", ha spiegato Grob alla conferenza "The Next Billion of Quartz" tenutasi a San Francisco il 13 ottobre dell'anno scorso.   https://www.repubblica.it/tecnologia/2018/10/29/news/la_nuova_scommessa_della_silicon_valley_la_telepatia-210302849/?ref=RHPPBT-VT-I0-C4-P24-S1.4-T1 
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Già, come dicevo, più che "viaggi interstellari" e "conquiste di mondi", probabilmente il nostro futuro sarà più simile a quello descritto da "Ghost in the Shell". Ovvero, ci saranno sempre più "cyborg": umani che modificheranno il loro corpo per aumentare le "facoltà". Forse si potrà comunicare con il pensiero, navigare su internet senza nemmeno aprire il computer o accendere lo smartphone...  


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Citazione di: Jean il 05 Novembre 2018, 08:35:22 AM
Come dice Lou [font] ... Alice e Bob non sono che un pretesto carico di sviluppi ulteriori, vita, coscienza, linguaggio, saperi, tecnologia, confini, forse... limiti e tutte le possibili correlazioni del caso etc.  ... così che un giorno potrebbe avvenire quanto si domanda Cit. Apeiron – post 22 - E se l'I.A. confermasse per assurdo l'animismo? post 30 - Curiosità: tu non credi nella possibilità mind uploading?   Un cordiale saluto Jean [/font]



Queste mie domande nascevano dal fatto che non ho trovato argomentazioni convincenti per cui solo ai corpi umani ed animali si può associare una coscienza (so di essermi espresso male, ma spero di aver lasciato passare il concetto). Tuttavia, finché i computer si basano solo su algoritmi ritengo che sia impossibile che siano coscienti (non credo alla teoria della mente del "funzionalismo"... :) )
#188
sgiombo (e chi avesse voglia di leggere ovviamente  :) ),

questa è l'analisi che più o meno fa il filosofo Kelley L. Ross ( http://www.friesian.com/kant.htm#idealism. link in inglese - analisi che condivido visto che Kant voleva distanziarsi sia dai razionalisti che dagli empiristi, sia da quello che chiamava "realismo trascendentale" che da quello che chiamava "idealismo empirico").


  • "Trascendentale" = "oggetto di conoscenza che viene conosciuto in modo indipendente dall'esperienza"
  • "Empirico" = "oggetto di conoscenza che viene conosciuto tramite l'esperienza"


Dunque, "trascendentale" ed "empirico" si riferiscono all'epistemologia.


  • "Idealismo" = "oggetto di conoscenza che esiste in modo dipendente dall'esistenza del soggetto"
  • "Realismo" = "oggetto di conoscenza che esiste in modo indipendente dall'esistenza del soggetto"


Dunque, la posizione di Cartesio/Spinoza è "realismo trascendentale", ovvero:

  • "realismo trascendentale" = "gli oggetti di conoscenza esistono in modo indipendente dall'esistenza del soggetto e vengono conosciuti indipendentemente dall'esperienza"

Questo perché secondo Cartesio e Spinoza la nostra mente si fa un'immagine distorta della "realtà esterna" e quindi essa rimane inconoscibile se si usa solo un'indagine empirica. Non a caso sia Spinoza che Cartesio erano razionalisti: la "realtà esterna" poteva essere conosciuta solo tramite la "ragione pura", ovvero tramite la speculazione intellettuale.

La posizione di Berkeley (e di Hegel) è "idealismo empirico":

  • "idealismo empirico" = "gli oggetti di conoscenza esistono in modo dipendente dall'esistenza del soggetto e vengono conosciuti tramite l'esperienza." - che è proprio quello che Berkeley proponeva: gli oggetti "esterni" in realtà sono semplici sensazioni ("esse est percipi") che dipendono dall'esistenza della mente.


Kant voleva evitare entrambe le conclusioni e propose:

  • "realismo empirico" = "gli oggetti di conoscenza esistono in modo indipendente dall'esistenza del soggetto e vengono conosciuti tramite l'esperienza" -

Fin qui Kant pare essere un realista naive. Tuttavia, questa è solo una parte della filosofia di Kant e riguarda gli oggetti "esterni" della nostra esperienza (ovvero tavoli, sedie, case ecc). In realtà c'è la parte che lascia più confusi ed è:


  • "idealismo trascendentale"= "gli oggetti di conoscenza esistono in modo dipendente dall'esistenza del soggetto e vengono indipendentemente dall'esperienza".

Ovviamente, questi non sono gli stessi oggetti di prima... quali sono?  
Ora essi devono essere per forza gli aspetti, che secondo Kant, erano a-priori nella nostra esperienza, ovvero "forme a-priori", "categorie dell'intelletto" e così via, ovvero le "facoltà" con cui la mente ordina l'esperienza.

Tutto questo "casino" non è nato, storicamente, da Kant ma da Cartesio (quindi @CarloPierini dovrebbe prendersela con Cartesio  ;D  ). Per Cartesio, i sensi non potevano essere uno "valido strumento di conoscenza" perché la nostra esperienza sensibile presenta alcune caratteristiche che, certamente, dipendono dalla nostra esistenza soggettiva (colori, suoni ecc) - le "qualità secondarie". A differenza di Galileo, però, Cartesio non riteneva che noi potessimo dire che le "qualità primarie" (quantitative) erano degli oggetti esterni. Perché? Per il fatto che, in fin dei conti, secondo Cartesio la nostra "esperienza sensibile" è una costruzione mentale (e un "genio maligno" poteva ingannarci sulla sua "fedeltà" alla "realtà"). Quindi, Cartesio ha concluso che non si poteva sapere niente con certezza della realtà esterna se ci si basava sull'esperienza ("realismo trascendentale"...). Così tramite il famoso "cogito ergo sum" e le prove dell'esistenza di Dio pensava di aver risolto l'inghippo: in fin dei conti, se Dio esiste ed è perfettamente buono non può ingannarci ma, invece, è il garante che possiamo conoscere le cose. Spinoza, invece, partendo da "assiomi inconfutabili" ha tentato di dimostrare qual era "l'essenza della realtà" seguendo un percorso razionalista (come aveva fatto Cartesio) senza mai basarsi sull'esperienza.

Fu poi la volta di Locke che, in contrasto con Cartesio e Spinoza, riteneva che la conoscenza si basava unicamente sull'esperienza. Dopo Locke giunse Berkeley, notando, come aveva fatto Cartesio, che i contenuti dell'"esperienza sensibile" sono "interni" alla nostra coscienza. Quindi, non ci danno alcuna prova dell'esistenza di una "realtà materiale" che esiste indipendentemente da noi. Berkeley spiegava il fatto che gli oggetti sembrano esistere anche quando non vengono percepiti con l'esistenza di Dio, che "guardava" le cose in ogni momento. Visto che Berkeley riteneva che gli oggetti comunemente ritenuti esterni erano in realtà interni proponeva un "idealismo empirico". Infine arrivò Hume, che pur considerando la causalità un'ipotesi ragionevole, riteneva che in realtà è indimostrabile. Così come la conoscenza scientifica. In entrambi i casi, ci affidiamo all'"abitudine".

Kant, in seguito, riconosce a Hume e a Berkeley che la pura speculazione intellettuale non può portare a nessuna conoscenza ("pensieri senza intuizioni (=dati empirici) sono vuoti" come afferma nella "Critica della Ragion Pura"). Kant però ha cercato di "salvare" la validità della conoscenza scientifica dicendo che a livello della "realtà empirica"/"fenomenica" la scienza vale. Come? Secondo Kant la ragione era che la nostra mente ordina "l'esperienza" con "forme" e "categorie" "a-priori", ovvero quelle "caratteristiche" che sono presenti in tutte le esperienze. Se la mente non ordinasse l'esperienza, dice Kant, sarebbe completamente incomprensibile (la citazione precedente continua con "le intuizioni senza concetti sono cieche" - ovvero se i dati empirici non vengono ordinati dalle "caratteristiche" menzionate prima sono incomprensibili). Quindi, secondo Kant, la scienza, basandosi sull'esperienza porta conoscenza vera: d'altronde la scienza, per Kant, utilizza concetti per studiare l'esperienza, proprio come richiesto (se non si basasse sull'esperienza sarebbero pensieri senza contenuto ("vuoti") e se non usasse i concetti sarebbe "cieca").

Chiaramente questo lascia perplessi, visto che, in fin dei conti, Kant riteneva che tra le "categorie" vi era la causalità. Perciò, per Kant, gli "oggetti esterni" devono esistere indipendentemente da noi e, allo stesso tempo, devono anche essere parte dell'esperienza ordinata dalla mente - ovvero parte della "rappresentazione". Non a caso, per Kant fenomeni erano anche "oggetti" che non erano sensazioni immediate.

E qui sta l'antinomia/indecidibilità della filosofia kantiana: da un lato afferma che la nostra mente ordina le sensazioni per renderle comprensibili, dall'altro affinché ciò sia possibile devono esistere oggetti esterni. La filosofia kantiana, perciò arriva ad una sorta di paradosso: gli oggetti esterni sono necessari per rendere l'esperienza comprensibile e quindi sono parte della rappresentazione e, allo stesso tempo, devono essere anche "esterni" ad essa  

Ora quanto detto sopra lo vedo come una sorta di "paradosso", che, in pratica, riflette la nostra limitatezza. Se, infatti, neghiamo la validità delle "categorie" e delle "forme", finiamo per dover ammettere che non possiamo conoscere nemmeno la nostra stessa esperienza sensibile (Hume diceva che al massimo potevamo fare "ipotesi ragionevoli" e su questo, secondo me, è "più coerente" di Kant, visto che Kant, effettivamente non dimostra quanto afferma). Se, invece, concordiamo con i "realisti trascendentali" (Cartesio/Spinoza...) rimane il problema che non si può sapere che relazione c'è tra la nostra "esperienza sensibile" e "gli oggetti reali". Se, diciamo che la "realtà esterna" dipende ontologicamente dalla mente finiamo in una forma di idealismo (es: Berkeley e Hegel).
La filosofia Kantiana riesce a dare una sorta di "spiegazione" del fatto che osserviamo regolarità nella nostra esperienza: d'altronde la mente "ordina" le sensazioni. D'altro canto, è anche vero che arriva al paradosso quando, in pratica, finisce per sostenere che questo "ordinamento" dell'esperienza richiede la presenza di oggetti esterni (causalità) e allo stesso tempo però questi oggetti esterni, che spiegano l'insorgere delle sensazioni (ovvero sensazioni visive, uditive...), devono essere parte del "mondo fenomenico"/"rappresentazione"/esperienza. Il paradosso, dunque, è il seguente: gli oggetti esterni devono, al contempo, essere sia interni alla rappresentazione sia esterni a noi (ovvero non dipendere ontologicamente dalla nostra esistenza). Perciò, Kant, si avvicina addirittura al "realismo diretto" sostenendo che noi possiamo conoscere oggetti che non dipendono dalla nostra esistenza e, al contempo, si avvicina all'"idealismo" visto che tali oggetti sono sempre parte della rappresentazione! Quindi la filosofia di Kant ha, effettivamente, questo grosso problema e, effettivamente, rimane da vedere se davvero giustifica la conoscenza scientifica (e, credo, che qui si vede che non appoggio Kant in modo incondizionato  ::) ).

Il problema del "realismo diretto" (su cui, secondo me, il materialismo "mainstream" si basa) è proprio il fatto che non si pone il problema epistemologico di come possiamo conoscere la realtà e, ciononostante, finisce per dichiarare che la realtà è conoscibile senza però davvero "rifiutare" le possibili obiezioni date dalle filosofie empiriste (Berkeley, Hume) e dalle filosofie razionaliste (Spinoza, Cartesio) per le quali, rispettivamente, c'è a priori un problema di applicare i concetti all'esperienza e c'è anche il problema di capire che conoscenza ci può dare, in ultima analisi, l'esperienza. Rispetto Kant per il tentativo di risolvere il problema anche se, effettivamente, ha generato un'altra "antinomia" e quindi di fatto forse non è riuscito a risolvere questi problemi.

Il "realismo diretto" perciò,  non riesce a spiegare il motivo per cui i nostri concetti, la matematica ecc possono essere usate per comprendere l'esperienza e, inoltre, non spiega perché la nostra esperienza "ci fa conoscere" la "realtà esterna". Per esempio, come dicevo, un teista può "spiegare" la "corrispondenza" tra le nostre "facoltà mentali" e l'esperienza sostenendo che Dio ha creato il mondo in un modo a noi comprensibile ("spiegando" così il dilemma di Einstein, secondo cui "la cosa più incomprensibile dell'universo è la sua comprensibilità"). Oppure un platonico può spiegare la validità dello studio empirico della natura dicendo che la natura "partecipa" alla "Forme". Un materialista però, semplicemente, deve sempre "prendere atto" della "validità" dei concetti senza riuscire a dare alcuna spiegazione per cui tale "validità" c'è (pur sostenendo che è così e non c'è nessun motivo per cui è così)**. Diverso è lo scettico "tout-court" per il quale non si può conoscere una ragione di tale "corrispondenza" ("sospendendo il giudizio" su tale questione)*.

*se devo essere onesto, strettamente parlando, la mia attuale posizione non può essere che quella "scettica" visto che non sono veramente convinto da nessuna alternativa proposta, anche se alcune alternative mi affascinano e mi sembrano più "ragionevoli", per così dire, di altre. Detto ciò, ritengo che questo "dilemma" forse è veramente insolubile con la razionalità, lo studio "empirico" (e ovviamente anche la ragionevolezza che non può dare "soluzioni" ma "ipotesi ragionevoli", quando va bene - come dicevo, per avere una sorta di "sicurezza" si dovrebbe avere forse una "esperienza straordinaria" che non si potrebbe nemmeno chiamare "esperienza", strettamente parlando...)  :)

**P.S. Secondo me, come filosofia, è insoddisfacente perché nemmeno prova a dare una spiegazione di tale "corrispondenza". Questo è il motivo per cui non sono materialista. Per me "non è ovvio" che ci sia questa "comprensibilità" e critico il materialismo proprio perché sembra essere indifferente a questo problema (ovviamente, non sto dicendo che il materialista è "più dogmatico" di altri...  :) tuttavia, talvolta mi sembra che la filosofia materialista semplicemente ignori questo problema...).
#189
Cit. Sari
Citazionecit.Apeiron: Una cosa interessante però, secondo me, si può capire come i tre piani per questi "pezzi" non sono separati ed è molto difficile (se non impossibile) riuscire a rimanere in uno dei piani... Proprio così!Scrivevo infatti che la loro esistenza non è altro che il loro stesso agire tra i tre piani. La loro 'natura' è il mutare incessante di posizione. Finchè sono aggregati karmici non possono far altro che seguira la dinamica karmica stessa, che li costringe a variare continuamente di piano (vuoi per necessità [le regole del gioco degli scacchi], vuoi per desiderio o vuoi per avversione...) , pur rimanendo, in un certo senso, sempre sostanzialmente in movimento sul piano B, dove lottano continuamente non solo con gli altri pezzi/aggregati kammici/persone ma anche con se stessi... Lottano con se stessi perché non consapevoli di essere solamente pezzi del gioco, che presto saranno 'mangiati' e tolti dalla scacchiera, per ricomparire alla prossima partita...magari come semplici pedoni...oppure?


In pratica, possiamo dire che non è vero che "si fa ciò che si è" (o "si diventa ciò che si è" come disse Nietzsche ;D ) bensì "si è ciò che si fa"  ;D effettivamente, questa "prospettiva" "azione-centrica", sembra descrivere meglio la natura dinamica della nostra esperienza. Mettendo, dunque, in luce la natura "dinamica" come può uno non aspettarsi di essere in continuo movimento tra A, B e C  :-[ o, più precisamente: se il nostro essere è "dinamico", ciò significa che più cerchiamo di aggrapparci ad uno dei tre monti più la nostra lotta contro noi stessi e contro "l'esterno" tenderà ad essere violenta. Cercheremo di proteggere il nostro "stato" cercando di respingere il mutamento. Dunque, se uno dei tre "livelli" ci sembrerà la nostra "casa", il nostro "rifugio" finiremo per attaccarci ad esso e quindi ad essere avversi ad ogni prospettiva di mutamento.

Poniamo per esempio, chi vive solo in "A". Chi vive solo in A è semplicemente guidato dalla necessità. Così facendo si dimentica la propria autonomia, si "rifugia" nella necessità e non vuole saperne di dover "scendere a patti" con la propria responsabilità, i valori, la scelta. Magari non lo sa, ma così rischia di condursi ad una sorta di "disperazione" data da un rifiuto di essere "sé stessi" (sul termine "disperazione" riferimenti all'esistenzialismo e, in particolare, a Kierkegaard sono sottintesi  :) ). Ovviamente c'è che vive solo in "B" nella mente/passione. Ma anche qui la realtà della necessità del Corpo (A) e dell'"obbligo", della responsabilità ecc (C) prima o poi lo richiameranno e, nuovamente, non potendo negare l'evidenza che la sua realtà comprende anche i piani A e C rischia, come chi vive in A, di finire in una sorta di "disperazione". E chi vive in C? potremmo pensare che chi si rifugia in C sia libero dalla disperazione. E invece no. La realtà della cieca necessità (A) (per "ignoranza" sto pensando ad una "cieca necessità" ) finirà per dimostrare l'intrinseca limitatezza anche del più "nobile" degli stati. Magari C vorrebbe "cambiare il mondo" ma il suo nobile desiderio potrebbe essere ostacolato dal vincolo della necessità. Oppure la passione, con i suoi attaccamenti e le sue avversioni, con la sua natura mutevole ed estremamente "viva" è difficile da controllare e, quindi, chi si rifugia in C potrebbe rinnegare l'imperfezione del suo stesso "autocontrollo". C, dunque, rappresenta la "nobiltà d'animo". Chi si rifugia in C può disperarsi vedendo che i suoi nobili desideri non possono essere realizzati a causa della natura imperfetta e limitata della realtà.

Ogni "stato", ogni "identità" è uno "stato condizionato", uno "stato costruito". Ovviamente ciò che è stato costruito può venire distrutto e quindi anche il migliore di questi stati inevitabilmente non può essere "perfetto". Perfino chi ha i desideri più nobili deve fare i conti con la propria limitatezza ed imperfezione (e quindi di "dukkha", l' "insoddisfazione"). 

CitazioneE corpo-mente-cuore? Anche questo è un triplice mondo interessante:
Corpo ( l'istinto, la necessità) mondo A
Mente (il desiderio, l'attaccamento, l'avversione, la volizione, l'ideazione) mondo B
Cuore (la compassione, la libertà dall'attaccamento, la benevolenza, lo spazio interiore sgombro, il 'divino', l'incontro) mondo C

Ottima osservazione :)



Citazionecit.Apeiron:
E questo in un certo senso rattrista perché, poniamo, se un pezzo X diventa amico di un altro pezzo, Y, per passione se avviene che si "sposta" nel piano A finisce, di fatto, per perdere l'amicizia di Y (o almeno, di indebolire di molto il legame). Ovviamente ciò vale per tutte le permutazioni. E succede di continuo.

Direi di sì, inevitabilmente il legame si attenua, s'indebolisce. A meno che il pezzo Y sia così radicato in C ( nel 'cuore' del piano spirituale...) da saper 'aspettare' il pezzo amico X e nel frattempo rimanere come una possibilità concreta di risalita per X, con il suo semplice essere testimonianza della possibilità di stare anche in C...

E vista la natura limitata che contraddistingue è estremamente difficile che ciò avvenga  :(



CitazioneNella mia teoria del mondo delle tre scacchiere s'impone, a questo punto, il bisogno di dare una risposta alla domanda: "Donde sorgono i tre mondi/scacchiera A-B-C ?"
La risposta  che mi viene spontanea è quella di affermare che vengono in essere, sono mantenuti (vigilati...dagli Elohim)e continuamente distrutti/costruiti dal Rta. Il Rta è un concetto anichissimo di "ordine cosmico" dal quale discendono le divinità/(gunas) stesse. Se non fosse, a questo punto, che starei solamente per copiare la filosofia vedica e quindi...me lo reinterpreto, questo concetto,  ad uso e consumo della mia triplice scacchiera.
ll termine Ṛta deriva da Ṛ (radice sanscrita di "muoversi") e *ar (radice indoeuropea di "modo appropriato"), quindi "muoversi, comportarsi, in modo corretto" ( è una similitudine ottima quindi per indicare, come vedete, il movimento appropriato dei vari pezzi sulle scacchiere). Così Ṛta acquista il significato di "ordine cosmico", ossia della realtà che procede priva di contrapposizioni od ostacoli (esattamente come il passare, liberamente ma con regole/ordine tra i piani A-B-C dei vari pezzi/persone/aggregati karmici). Questo termine è legato, sempre per mezzo della radice indoeuropea di *ar, al termine greco harmos, da cui l'italiano "armonia", e al latino ars da cui "arte".
Ordine  - Armonia - Arte  (una triplice rappresentazione che il pezzo/agg.karmico , fermo provvisoriamente in B, si fa dell'insieme del gioco al quale è costretto a partecipare...).


Bellissimo  :) 


Davvero interessante il concetto vedico di Rta, con la sua idea di "divenire ordinato" (che richiama il Logos cosmico occidentale)  :) non meno interessante è la tua re-interprertazione. Però non "afferro" la differenza tra "Ordine" e "Armonia"  :-[


CitazioneNaturalmente alcuni pezzi del gioco pensano che non vi sia alcun Rta a determinare le regole a cui sono vincolati e pensano, al contrario, che sia invece il Druh, ossia il "disordine cosmico" a dominare l'incessante e logorante salire e scendere tra i tre piani.
Il fatto poi che vedano continuamente pezzi/agg.karmici/persone 'mangiati' da Druh fa sì che, molti di questi, si immaginino questo Druh come l'opera di pezzi o di devas malvagi...
Perché un ordine appare alla mente dei pezzi, fermi provvisoriamente in B, come un disordine? Forse perché, queste diverse forme che in apparenza appaiono ai pezzi come caotiche  e insensate, sono come rami che hanno una radice medesima ?...Naturalmente ci rifletterò sopra, come faccio quando qualcosa mi lascia indeciso, inquieto, a volte persino un pò turbato...in questo momento sono provvisoriamente anch'io sul piano B della triplice scacchiera

Forse perché i pezzi non conoscono l'Ordine. O forse perché le azioni dei pezzi possono "modificare" l'Ordine/Rta introducendo il Disordine/Druh, disturbando l'Armonia*.

*di certo una cosa simile l'avrà pensata Tolkien scrivendo "Il Silmarillion" quando racconta della disarmonia introdotta nella melodia di Eru Iluvatar e degli Ainur...
#190
sgiombo,

ci sono tre problemi che faranno slittare la mia risposta: ovvero il fatto che su alcune cose sono confuso io, il fatto che su altre mi sono spiegato male e, infine, la presenza di alcuni equivoci dati da "equivoci", ovvero dal fatto che usiamo le parole in modo diverso (per esempio, attualmente non riesco proprio a capire come si possa affermare che "le sensazioni sono causate da altre sensazioni"  ::) - ho il fortissimo sospetto che usiamo il termine "sensazione" in modo diverso). Dovrai lasciarmi un po' di tempo per risponderti  :)


(ahimè, non ti garantisco che gli equivoci (?) spariranno  :( )


Citazione di: Ipazia il 01 Novembre 2018, 18:58:59 PM
Citazione di: Apeiron il 01 Novembre 2018, 14:16:32 PMHai ragione, effettivamente Schopenhauer dice una cosa poco giustificata ;D d'altronde a volte certi istinti o desideri sopravanzano l'istinto di sopravvivenza (o anche quello di "non farsi male") Ma allo stesso tempo, secondo me, i comportamenti che seguono istinti e i desideri si basano sull'intuizione della causalità. Non riesco a comprendere tali comportamenti negli esseri senzienti senza una intuizione della causalità (che ovviamente può benissimo essere pre-concettuale, come mostra l'esempio del cagnolino nei riguardi dell'istinto di autoconservazione). Quindi, secondo me, l'intuizione della causalità è innata.
Sì, nell'uomo è probabile che "certi istinti o desideri sopravanzino l'istinto di sopravvivenza".

Forse non solo nell'uomo  :) anzi, credo proprio che a volte sia vero anche negli altri animali...

Citazione di: Ipazia il 01 Novembre 2018, 18:58:59 PM
Dovremmo imparare dai nostri cani ad essere un po' più saggi e dare più importanza a quello che sta scritto nel nostro DNA. Che certamente, al di là di ogni intuizione e "giudizio sintetico a priori", è tarato per evitarci i guai peggiori.

Certamente! l'uomo -  direi più che altro l'adulto - dovrebbe senz'altro fare più attenzione al suo DNA  :)


Secondo me la causalità, come dicevo, si manifesta "innatamente" nella mente. Ma non come "contenuto di conoscenza" ma proprio come "funzionamento". Basta pensare a come funzionano i comportamenti che seguono anche gli istinti più basilari. In questo, senso, direi - come ipotesi per me ragionevole - che la "causalità" è una "intuizione"/"forma a-priori" presente in tutte le menti...


E direi che oltre a conoscere il nostro corpo, ci servirebbe la consapevolezza di come "funziona" la mente. D'altronde, "mente e corpo" (per usare il linguaggio di sgiombo) sono gli aspetti della nostra esperienza cosciente.
#191
Citazione di: Ipazia il 01 Novembre 2018, 12:40:51 PM
Citazione di: Apeiron il 01 Novembre 2018, 12:08:14 PM

... basti considerar per esempio come finanche un giovanissimo cane non osi saltar giù dalla tavola, per quanto desiderio ne abbia, perché prevede l'effetto del peso del suo corpo; pur senza aver prima sperimentato questa caduta. ... " (Schopenhauer, Mondo come Volontà e Rappresentazione, tomo 1, capitolo 1)

Valesse pure per i pargoli umani (sempre così desiderosi di farsi male) !  :(

Hai ragione, effettivamente Schopenhauer dice una cosa poco giustificata ;D d'altronde a volte certi istinti o desideri sopravanzano l'istinto di sopravvivenza (o anche quello di "non farsi male") 


Ma allo stesso tempo, secondo me, i comportamenti che seguono istinti e i desideri si basano sull'intuizione della causalità. Non riesco a comprendere tali comportamenti negli esseri senzienti senza una intuizione della causalità (che ovviamente può benissimo essere pre-concettuale, come mostra l'esempio del cagnolino nei riguardi dell'istinto di autoconservazione). Quindi, secondo me, l'intuizione della causalità è innata.
#192
CitazioneConcordo, visto che non possiamo avere la "certezza" che la causalità valga nella nostra esperienza (d'altronde secondo me uno degli errori di K & S è stato quello di non vedere che la loro teoria dell'idealismo trascendentale è un'ipotesi - assunta questa ipotesi, ovvero che la mente ordina l'esperienza causalmente, comunque non c'è certezza sul noumeno...).

Puntualizzo che è un'ipotesi che non può essere verificata. E, inoltre, concordo che la "causalità" sia innata nel nostro intelletto (e l'esperienza per essere comprensibile deve essere "ordinata" - se non lo è già - per essere compatibile con le forme dell'intelletto...). E non solo nel nostro, visto che anche gli animali hanno il senso della causalità, come spiega Schopenhauer per esempio: "Che il conoscimento di causa ed effetto, come forma universale dell'intelletto, sia insito a priori negli animali, è invero già pienamente sicuro del fatto che quel conoscimento è per essi, come per noi, la condizione prima d'ogni conoscimento intuitivo del mondo esterno. Se poi si vuole averne ancora una prova particolare, basti considerar per esempio come finanche un giovanissimo cane non osi saltar giù dalla tavola, per quanto desiderio ne abbia, perché prevede l'effetto del peso del suo corpo; pur senza aver prima sperimentato questa caduta. " (Schopenhauer, Mondo come Volontà e Rappresentazione, tomo 1, capitolo 1) Ciò che non può essere verificato è che nell'esperienza la causalità "valga" (ovvero che la nostra esperienza è già ordinata...) ed è impossibile verificarlo empiricamente.

Ah, inoltre, puntualizzo anche che il "realismo diretto classico" afferma che la "realtà-in-sé" è caratterizzata da causalità ecc e che quindi può essere "compresa direttamente". Per Schopenhauer, ciò non era vero. Per Kant, rimaneva un problema "insoluto". Io, personalmente ritengo che il nostro intelletto ha determinate categorie e che la nostra mente faccia un lavoro di "ordinamento" dell'esperienza per renderla comprensibile. Tuttavia, ritengo che la realtà stessa sia ordinata (come già dicevo tra i motivi possibili per cui ciò sia possibile, ci può essere (ipotesi tra di loro non necessariamente esclusive): il fatto che mente e materia sono inter-dipendenti, una qualche forma di panpsichismo, il fatto che il mondo sia stato creato da Dio ecc)...
#193
Sgiombo,


CitazioneApeiron:

Allo stesso modo, secondo me, l'idealismo trascendentale ci dice che io non vedo "il mondo" ma vedo il "mondo visto da me". Dunque, così si capisce perché Schopenhauer può dire che "l'oggetto senza soggetto non è pensabile", ovvero non possiamo pensare al mondo "al di fuori" della nostra prospettiva. In pratica, il mondo fenomenico non si riduce alle sole "sensazioni" bensì è la "realtà vista da noi".

Sgiombo:

Che differenza c'é?
Io non ne vedo.

Visto che nel caso di K & S (=Kant e Schopenhauer) il mondo fenomenico comprende anche le cause della sensazione, la differenza c'è  :)


CitazioneApeiron:

Per questo motivo usare le categorie dell'intelletto, come la causalità, diventa problematico nel caso della "realtà in sé". Non a caso, Kant, a differenza di Hume riteneva che potevamo, limitandoci al mondo fenomenico, usare la causalità senza problemi.

Sgiombo:

E sbagliava (casomai senza problemi pratici; non certo senza problemi teorici, come sostenuto da Hume.

Concordo, visto che non possiamo avere la "certezza" che la causalità valga nella nostra esperienza (d'altronde secondo me uno degli errori di K & S è stato quello di non vedere che la loro teoria dell'idealismo trascendentale è un'ipotesi - assunta questa ipotesi, ovvero che la mente ordina l'esperienza causalmente, comunque non c'è certezza sul noumeno...). Però, assumendo vera l'ipotesi ragionevole che vale, si può usarla senza problemi e dedurre che noi possiamo conoscere anche il "mondo esterno" (d'altronde, l'intenzione di Kant era proprio quella di dare una giustificazione alla scienza. Che poi ci sia riuscito o meno, è un altro discorso. Dire che per Kant, però la scienza si limita al solo studio delle sensazioni (visive, uditive...) non è corretto. Non a caso, nella Critica, se non erro, dice che il campo magnetico pur non essendo "percepibile" esiste e può essere indagato dalla scienza...)

Aggiungo a quanto detto ieri, che per l'idealismo trascendentale è problematico utilizzare le categorie dell'intelletto e l'intuizione a-priori fuori dal "mondo fenomenico" (ovvero dall'oggetto rispetto al soggetto) proprio perché tali "facoltà" servono per "ordinare" l'esperienza. In pratica, per l'idealismo trascendentale l'oggetto "indipendente" dal soggetto è "impensabile" (anche se, specialmente nel caso di Schopenhauer, sembra che l'idealismo trascendentale metta la questione in termini ontologici avvicinandosi a Berkeley...). Personalmente leggo la cosa in modo abbastanza sottile: senza soggetto l'oggetto non può essere concepito. Per questo motivo per Kant era problematico concepire la "realtà in sé".

Come dicevo, sono affascinato da questa prospettiva ma non convintissimo. D'altronde se la causalità è un modo con cui la nostra mente ordina l'esperienza, sembra che l'idealismo tedesco (Fichte, Hegel, Schelling) sia la formulazione coerente dell'idealismo Kantiano. Ovvero che il soggetto crea l'oggetto! per Kant, un soggetto che crea l'oggetto è solo un soggetto che ha l'intuizione intellettuale, in altre parole Dio come era concepito da Kant. Il punto è che la "realtà esterna" è parte della rappresentazione sembra difficile riuscire a non "scivolare" nella posizione di Hegel (non a caso, per Hegel, l'Io era lo Spirito e noi siamo "modi" dello Spirito. Quindi, in un certo senso, il "mondo esterno" è una creazione del nostro "vero Io", ovvero lo Spirito...) [posizione tra l'altro simile a certe filosofie Vedanta dell'induismo...]. Per Kant, l'"io trascendentale" ordina i fenomeni, non li crea. Su di questo punto posso capire, per certi versi, anche la frustrazione di @Carlo Pierini nei confronti di Kant (anche se, volendo, in Kant puoi addirittura vedere la "coppia di opposti" soggetto-oggetto).

Posso accettare la prospettiva in modo "debole", ovvero dicendo che la conoscenza ha sempre la forma di un oggetto in relazione ad un soggetto (con la precisazione che tale conoscenza è perfettamente normale che sia valida anche per altri soggetti - o anche tutti, ovvero che ci siano verità universali...). E accetto che non si può sapere se la "realtà in sé" indipendente dai soggetti è concepibile con le categorie (ci vorrebbe una sorta di intuizione intellettuale per avere conoscenza di ciò, per usare un termine kantiano oppure una qualche forma di "conoscenza" molto "particolare", una rivelazione divina ecc... in pratica, possiamo dire che se Dio esiste, allora visto che il suo intelletto "crea" può conoscere la realtà-così-come-è).

Ma forse questi sono solo miei deliri  :-\

Il parallelismo con i sistemi di riferimento è che, in fisica, è impossibile, di fatto, parlare delle "osservazioni" indipendentemente dal sistema di riferimento. Se ci fosse un "riferimento privilegiato" questo probabilmente vedrebbe i "veri valori" delle grandezze fisiche. Ma, il riferimento privilegiato è ormai un concetto abbandonato... inoltre c'è pure, volendo, l'analogia nel fatto che la "realtà" indipendente dai sistemi di riferimento è abbastanza difficile da considerare come l'oggetto dello studio della fisica. Semmai la fisica studia gli elementi "comuni" che si trovano nei vari riferimenti (ad esempio le grandezze "invarianti" - per fare un esempio: la velocità della luce, nella relatività ristretta, è la stessa nei sistemi di riferimento inerziali... ma ciò non significa che tale "velocità" è una grandezza indipendente dai riferimenti inerziali, ovvero che ha senso parlare di "(valore della) velocità della luce" quando non ci si riferisce ad un riferimento). Forse così l'analogia è un po' più chiara. Non a caso, è proprio per questo che mi affascina la nozione dell'"oggetto" che può essere concepito "in relazione ad un soggetto" (o forse è un mero delirio della mia mente  ;D )  


CitazioneSgiombo:

Ma in realtà le cause dei fenomeni sono altri fenomeni né più né meno dei loro effetti. di oggetti .Sono cose non osservate ma osservabili o comunque anche se non osservabili ricavabili inferenzialmente da quanto direttamente osservato, e dunque reali non più di quanto sia reale il direttamente osservato, ovvero non più che come apparenze fenomeniche non reali allorché ciò da cui sono inferite non é reale in quanto insieme – successione di mere apparenze sensibili.
Allorché non é visto un albero non esiste l' albero e dunque non esistono nemmeno gli atomi, i quark, ecc. che lo costituiscono; se qualcosa esiste anche allora (come credo per fede), non é l' albero, né ciò che circa la sua costituzione possiamo inferire, che ciò sia visibile o meno: se é invisibile, allora é invisibile come il noumeno ma non é in sé come il noumeno, non é il noumeno; é bensì ciò che di invisibile costituisce i fenomeni. E infatti se nella realtà in toto non ci fossero enti coscienti soggetti di esperienza fenomenica, nemmeno ci sarebbero, oltre agli oggetti fenomenici macroscopici, nemmeno i loro costituenti di cui si ha (ma solo se si é soggetti di coscienza) inferenza: non ci sarebbe l' universo materiale (fenomenico; né i fenomeni mentali, di pensiero).

...E quindi probabilmente concordiamo  ;D ma se ci sono anche le cause delle sensazioni nel mondo fenomenico non vedo perché dobbiamo "scomodare" il noumeno per spiegare l'inter-soggettività e l'interazione tra i vari soggetti (o almeno questo credo che sia il motivo per cui dici che ci deve essere una corrispondenza biunivoca  :) ). Quello che, semmai, è contro-intuitivo è che le cause delle sensazioni sono altri fenomeni quando il mondo fenomenico è una "rappresentazione" (o nella mia "lettura" quando ).



CitazioneSgiombo:

Non ti seguo in questi formalismi astratti.

"Corrispondenza biunivoca" significa che per ogni determinata situazione del noumeno c'é una e una sola determinata situazione dei fenomeni (se ci sono fenomeni; cioé in quelle situazioni del noumeno -non tutte- che hanno corrispondenze coscienti); e che per ogni determinata situazione dei fenomeni mentali (res cogitans) c'é (per lo meno potenzialmente: se si va a cercarla empiricamente in maniera adeguata) una e una sola determinata situazione dei fenomeni materiali (res extensa; se ci sono fenomeni mentali; cioé in quelle situazioni dei fenomeni materiali -non tutte: sonno senza sogni, coma- che hanno corrispondenze mentali).

E non ci vedo alcun problema.


Ok scusami per la puntigliosità, ma volevo proprio capire il senso della "biunivocità"  :)



CitazioneApeiron:

Y = {F('fenomeni materiali'),F('fenomeni mentali'),...}
dove "..." sono gli altri aspetti. Ora, se ammettiamo che, in qualche modo, la mente è insorta, dobbiamo dire che la ragione di tale insorgenza deve essere in questi "...". Ma questo, di fatto, equivale a dire che la ragione dell'insorgenza della mente è completamente ignota. In pratica, l'insorgenza della mente (e quindi anche dell'esperienza cosciente) sono completamente intelligibili.

Sgiombo:
Per forza nel cercare spiegazioni prima o poi ci si imbatte in spiegazioni a loro volta inspiegate.

Niente di strano!


Capito, ma qui per forza ritieni che ci deve essere "altro" nel noumeno oltre a ciò che corrisponde a fenomeni mentali e materiali. E che in questo "altro" risieda la ragione della presenza della coscienza. Vuoi dire questo, giusto?  :)



CitazioneSgiombo:

Al sonno REM si giunge per progressivo "approfondimento" da precedenti fasi più "leggere" (avrai fatto caso che anche soggettivamente di solito se in una pennichella pomeridiana capita di sognare quando ci si sveglia si ha l' impressione di aver dormito più profondamente che quando non si sogna.


Ok ma, ciononostante non capisco perché lo si chiama "sonno profondo". Concordo che quando si sogna si ha quell'impressione di cui parli. Però, mi sembra più "riposante" il sonno "senza sogni" (non a caso nella fase non-REM più profonda l'attività cerebrale è minore). In effetti non ho mai capito la funzione del REM, se non come una sorta di tentativo di mantenere il sonno (ipotesi mia, molto probabilmente è una cavolata  ;D )

CitazioneSgiombo:

La regolarità del divenire deve essere presente anche nel noumeno perché si possano spiegare con le corrispondenze biunivoche i rapporti fra cervello e coscienza e l' intersoggettività dei fenomeni materiali: tutte cose che (si assume indimostrabilmente) divengono regolarmente.

Infatti per me quello della "matematica che funziona" non é assolutamente per niente affatto un problema ma qualcosa di del tutto ovvio.
Ma non per la corrispondenza biunivoca fra fenomeni e noumeno (che secondo me non c' entra per nulla), ma semplicemente perché la matematica pura é fatta di deduzioni logiche da astrazioni assiomatizzate di osservazioni concrete fisiche materiali (fenomeni materiali, quantitativamente misurabili).



Apeiron:

In realtà, non è problematico se assumi che tali regolarità siano così "bene" rappresentabili da concetti matematici astratti come numeri immaginari, spazi di Hilbert ecc  

Sgiombo:

Ma allora (anche per te) dove mai starebbe la "problematicità"?


La "problematicità" è che tale assunzione si possa fare :)
#194
Citazione di: Ipazia il 31 Ottobre 2018, 09:15:36 AM
Citazione di: Apeiron il 30 Ottobre 2018, 22:57:40 PM
P.S. nello spazio-tempo di Einstein, il tempo non è una dimensione spaziale.
Certamente, ma è una dimensione del reale così importante da avere modificato la nostra rappresentazione dell'universo fisico. Il che vale anche nella fisica classica appena si passi dalla statica alla cinetica.

Ciao Ipazia,

concordo  :) però ho fatto quella puntualizzazione perché spesso vedo che lo spazio-tempo "quadridimensionale" viene interpretato come uno "spazio" di quattro dimensioni anziché uno "spazio-tempo" 3+1 dimensionale.


Citazione di: Sariputra il 31 Ottobre 2018, 18:22:22 PMcit.Apeiron: Una cosa interessante però, secondo me, si può capire come i tre piani per questi "pezzi" non sono separati ed è molto difficile (se non impossibile) riuscire a rimanere in uno dei piani... Proprio così!Scrivevo infatti che la loro esistenza non è altro che il loro stesso agire tra i tre piani. La loro 'natura' è il mutare incessante di posizione. Finchè sono aggregati karmici non possono far altro che seguira la dinamica karmica stessa, che li costringe a variare continuamente di piano (vuoi per necessità [le regole del gioco degli scacchi], vuoi per desiderio o vuoi per avversione...) , pur rimanendo, in un certo senso, sempre sostanzialmente in movimento sul piano B, dove lottano continuamente non solo con gli altri pezzi/aggregati kammici/persone ma anche con se stessi... Lottano con se stessi perché non consapevoli di essere solamente pezzi del gioco, che presto saranno 'mangiati' e tolti dalla scacchiera, per ricomparire alla prossima partita...magari come semplici pedoni...oppure?
Citazione di: Sariputra il 31 Ottobre 2018, 18:22:22 PM oppure il modello "tesi-antitesi-sintesi" dell'idealismo tedesco..."
Citazione di: Sariputra il 31 Ottobre 2018, 18:22:22 PME corpo-mente-cuore? Anche questo è un triplice mondo interessante: Corpo ( l'istinto, la necessità) mondo A Mente (il desiderio, l'attaccamento, l'avversione, la volizione, l'ideazione) mondo B Cuore (la compassione, la libertà dall'attaccamento, la benevolenza, lo spazio interiore sgombro, il 'divino', l'incontro) mondo C
Citazione di: Sariputra il 31 Ottobre 2018, 18:22:22 PMEh già!...Il 10-20% di 'real chess' cercano l'amicizia dei propri simili. Quasi ne percepiscono la presenza sul piano della scacchiera sia che si trovino per necessità in A, sia che si trovino per passione in B o che, per comunanza di cuore, s'incontrino interiormente in C..si avrà così un "pezzo amico", indipendentemente se bianco o nero... :)



E questo in un certo senso rattrista perché, poniamo, se un pezzo X diventa amico di un altro pezzo, Y, per passione se avviene che si "sposta" nel piano A finisce, di fatto, per perdere l'amicizia di Y (o almeno, di indebolire di molto il legame). Ovviamente ciò vale per tutte le permutazioni. E succede di continuo  ::)


P.S.  avevo scritto una risposta molto più dettagliata ma una parte di essa è "sparita"...:( uff! La riscriverò tra oggi e domani...
#195
"Doppio post" (visto che è un errore, si può eliminare...)