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Messaggi - Phil

#1801
Citazione di: Kobayashi il 10 Febbraio 2018, 14:42:37 PM
direi che la più grave malattia dell'uomo è la sua megalomania e non c'è niente di più megalomane della filosofia, la quale, in fondo, non è che l'esibizione, nello stesso tempo, della capacità di costruire e dell'abilità nell'arte della demolizione
Suggerirei "semanto-mania" (furore mentale inerente il significato): ciò che affligge l'uomo (filosofo o meno) è da sempre il dare/trovare un senso, in una schizofrenica indagine in cui il bipolarismo invenzione/scoperta sembra tanto inestricabile quanto paradossale... non a caso, se non erro, molte dinamiche paranoiche (tipiche della nostra epoca) riguardano proprio l'attribuzione di un senso (esistenziale, oltre che semantico).
Penso inoltre all'arte visiva (specchio dell'emotività della cultura che la produce): com'è noto, si è passati, nei secoli, dall'arte riproduttiva-raffigurativa all'arte semantica (astratta e non), ovvero un'arte in cui il "presentarsi estetico" è giustificato dal "comunicare semantico" (se non sbaglio, i moderni artisti si affermano anche, e forse soprattutto, per quale "concetto" comunicano, non tanto per le intrinseche qualità tecnico-espressive, che potrebbero essere ampiamente eguagliate).

Nelle dinamiche di potere sociale, di edonismo, di speculazione filosofica, di attività immaginifica, di fede religiosa, e persino nel suicidio a cui accennavi, credo si possa rintracciare il denominatore comune della problematizzazione di un senso che si presuppone come necessario (e che è l'ombra di ogni tipo di relazione: appena focalizziamo una relazione, materiale o concettuale, abbiamo l'impulso di doverle dare un senso... o no?).
Indagando e decostruendo questo tacito presupposto (usando dunque una certa filosofia) della necessità di un senso (latente o meno), si può sbriciolare (individualmente) quella (s)mania del senso che è anzitutto mania di "topologizzare": centro/periferia, prossimità/distanza, convergenza/divergenza, etc. sono tutte strutture di senso, le cui conseguenze socio-politiche, ma anche esistenziali, pongono più problemi di quanti ne risolvano...

Alcuni approcci orientali, in cui l'uomo non è al centro dell'orto del "giardiniere divino", propongono una visione decentrata dell'uomo nel cosmo (v. taoismo), talvolta persino così concentrata sull'esserci da (dis)perderne addirittura il centro (v. buddismo con la dottrina del non-sé). Tali approcci risultano comunque fruibili, seppur quasi inquietanti, nell'attuale società, in cui il brulicare della iper-comunicazione nell'"infosfera" che ci avviluppa, traccia dedalici orizzonti di senso, in cui macro e micro si rispecchiano, consolidando l'idea, così diffusa da risultare indiscussa, che la domanda sul "quale senso?" sia centrale, così com'è apparentemente centrale (nel cosmo) l'uomo che se la pone.
#1802
Il titolo del topic parla di "antropocentrismo" e "malattia", così mi è tornato in mente questo breve monologo cinematografico:
https://www.youtube.com/watch?v=DoANmDxZFO0

Usando (inevitabilmente) categorie umane, diremmo che "ognuno segue la sua natura", ovvero il virus fa il virus, il gatto fa il gatto e l'uomo fa... l'antropocentrico  ;D
#1803
Tematiche Filosofiche / Re:oggetto e soggetto
04 Febbraio 2018, 17:01:10 PM
Non a caso distinguevo il piano logico da quello grammaticale: la necessità del soggetto è logica (e filosofica) a prescindere dalla grammatica, dove "impersonale" non significa privo di soggetto logico, bensì con un soggetto indefinito (ma logicamente presente, seppur implicito).
Quando dico "sbagliando, si impara" il soggetto logico c'è: è come dire "quando qualcuno sbaglia, impara". 
Altrimenti, domando: chi sbaglia, se non un presunto soggetto generico? 
Lo sbagliare, come il camminare, presuppone un soggetto logico che sbagli, anche se la grammatica non lo esplicita. D'altronde, che significano "sbagliare" e "camminare", se non sono associati ad un possibile agente logico (sia esso umano, animale o cibernetico)? Riusciamo davvero a pensare ad un camminare-senza-un-camminatore, per quanto indefinito? 
#1804
Tematiche Filosofiche / Re:oggetto e soggetto
04 Febbraio 2018, 14:20:27 PM
Senza offesa per Hobbes, ma "penso, quindi sono una sostanza pensante" equivale piuttosto a "cammino, quindi sono una sostanza camminante", non "una camminata"  ;) 
Meglio ancora, direi sono un "camminente", un ente che cammina (e non posso essere un "passeggiare" perché il verbo richiede sempre un soggetto logico, anche quando è grammaticalmente impersonale: il "passeggiare" presuppone un soggetto indefinito, ma non assente... il camminare è sempre camminare-di-qualcuno, altrimenti chi cammina? ;D ).
#1805
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
03 Febbraio 2018, 22:53:19 PM
Citazione di: davintro il 03 Febbraio 2018, 19:42:33 PM
Dunque l'idea che la metafisica possa solo limitarsi a "fornire ipotesi di spiegazioni per ciò che non ha ancora una spiegazione scientifica" presuppone erroneamente che essa non abbia un proprio spazio autonomo, cioè distinte questioni da risolvere rispetto ai saperi fondati sull'esperienza sensibile.
Credo che l'autonomia della metafisica possa essere proprio il muoversi dove non arriva la scienza... se la meta-fisica si occupa anche del fisico, difficilmente potrà muovere argute obiezioni alla fisica (come disciplina).
Secondo me, i principi universali sovrasensibili (se ci sono) o parlano il linguaggio della metafisica (appercezione, trascendenza, essenze, l'Essere, etc.) o quello della scienza (teorizzato su basi compatibili con ciò che è attualmente scienza). Banalizzando molto: se l'origine della nostra galassia è un big bang o l'atto di un Demiurgo, non mi sembrano due ipotesi che possano coesistere nello stesso discorso: direi che o si è dentro il discorso fisico (senza Demiurghi) o in quello metafisico (senza big bang).

Citazione di: davintro il 03 Febbraio 2018, 19:42:33 PM
Ma l'esperienza sensibile è impossibilitata a fondare una conoscenza dei princìpi primi e universali del sapere, in quanto è delimitata dalla particolarità spazio-temporale degli oggetti fisici con cui entra in contatto, mentre il sapere dei princìpi presupporrebbe una visione totalizzante dell'essere, è l'idea di totalità ha un significato intelligibile, quindi irrimediabilmente al di fuori della portata dei sensi.
Nelle scienze. al contatto sensibile segue l'astrazione induttiva e formulazione di leggi che aspirano ad essere (non dico "sono") universali: nel mio piccolo, penso ad esempio alla forza di gravità che, fino a prova contraria, non è "delimitata dalla particolarità spazio-temporale degli oggetti fisici con cui entra in contatto" (cit.).

Citazione di: davintro il 03 Febbraio 2018, 19:42:33 PM
Negare ciò vorrebbe dire ammettere che la totalità della realtà coincide con la totalità degli oggetti dell'esperienza sensibile, cioè gli oggetti materiali,
Propendo per questa posizione (calandola però in un relativismo antropologico: non possiamo uscire dal piano prospettico dell'umano, eppure scommetto che non è l'unico possibile  ;) ); come minimo esiste quello che chiamiamo materialità contingente; che esista anche altro non spiegabile meterialmente (la famigerata questione della mente vs cervello, ad esempio) non so se possa essere dimostrato con adeguata attendibilità... per cui per ora mi accontento prudenzialmente di quel "come minimo" (sono di poche pretese ;D ).

Citazione di: davintro il 03 Febbraio 2018, 19:42:33 PM
ma questo, essendo a tutti gli effetti un discorso sulla "totalità" è un discorso metafisico, un modello metafisico materialista che si oppone ad altri modelli, indipendentemente dal riconoscersi esplicitamente come tale.
"Modello metafisico materialista" suona un po' ossimorico, ma credo di coglierne il senso (per inciso: è annesso ad una posizione materialista molto più "forte" e convinta di quanto sia la mia...).

Citazione di: davintro il 03 Febbraio 2018, 19:42:33 PM
Ricordiamo sempre che il positivismo era una corrente filosofica, non scientifica (nel senso dell'accezione di "scienza" naturalistica).
... seguì poi il neopositivismo che ammiccò con maggiore complicità alle scienze, fino all'epistemologia contemporanea che di puramente filosofico ha (quasi) solo l'antica malinconia dell'indecidibile quando gioca con la (bio)etica.
#1806
Mea culpa! Avevo capito che tu intendessi che la pornografia offendesse la sessualità, invece, come giustamente osservi, offende il riserbo sociale sulla sessualità (non la sessualità in sé), infatti lo viola esponendo esplicitamente atti sessuali, il corpo nudo, etc. risultando per questo, come già ricordavo, oggetto di limitazione di età per la fruizione. Non avevo inteso che tu parlassi del piano pubblico-sociale; fraintendimento chiarito! :)
#1807
Citazione di: viator il 30 Gennaio 2018, 22:52:25 PM
Circa l'indifferenza, non mi riferivo al paragone tra la presenza o l'assenza della possibilità di fruire della pornografia o divorziare, bensì al peso complessivo delle conseguenze sociali dello scegliere tali opzioni una volta che esse siano (ed oggi lo sono) disponibili per chiunque.
Si, avevo colto  :)  ho voluto comunque cogliere l'occasione per sottolineare che la presenza di un elemento indifferente non è sempre essa stessa indifferente.

Citazione di: viator il 30 Gennaio 2018, 22:52:25 PM
Secondo me lo sfruttamento all'interno della pornografia è presente quanto lo è nella prostituzione organizzata
Non saprei, ma se dovessi scommettere, direi che lo sfruttamento nella seconda è nettamente più rilevante (quantitativamente) che nella prima (la tratta delle schiave sessuali non credo riguardi la pornografia  ;) ).

Citazione di: Angelo Cannata il 31 Gennaio 2018, 08:40:44 AM
Il criterio per stabilire se una persona viene sfruttata, denigrata, avvilita nella sua dignità, non può essere quello della percezione soggettiva da parte dell'interessato. Sappiamo tutti che è perfettamente possibile plagiare una persona in modo da farle perdere la concezione di sé stessa come essere che esige certe forme di rispetto.
Secondo me (ma non ho dati alla mano) credo siano solo una minoranza gli attori plagiati e circuiti nell'industria del porno; magari sbaglio clamorosamente.

Citazione di: Angelo Cannata il 31 Gennaio 2018, 08:40:44 AM
In merito alla pornografia, sfido chiunque ad indicarmi un filmato pornografico il quale esalti con chiarezza la sessualità come pratica che esprime le più grandi profondità umane, le più grandi ricchezze d'animo, i più grandi aspetti di nobiltà del corpo umano. La sessualità in sé contiene ed esprime tutte queste cose
Eppure, "ricchezze d'animo" e "nobiltà del corpo" vengono forse percepite dai partecipanti dell'amplesso? Capisco farlo con sentimento e amore, ma forse qui rischiamo di parlare di una visione poetica decontestualizzata dagli eventi carnali a cui si riferisce (il che non toglie che se ne possa comunque discutere  :) ).
La pornografia non si fa per fornire educazione emotivo-sessuale, né tantomeno per elogiare "le profondità umane" (e qui niente battute, please!), chi cerca questi stimoli culturali dovrebbe rivolgersi altrove, altrimenti è come rimproverare al fruttivendolo di non vendere la carne  ;D

Citazione di: Angelo Cannata il 31 Gennaio 2018, 08:40:44 AM
La pornografia si caratterizza proprio per essere socialmente percepita come offensiva del rispetto che la sessualità richiede. Se non viene percepita come offensiva, allora non è pornografia. Voler dichiarare indifferente la pornografia significa semplicemente voler modificare la sua definizione.
Non sono affatto sicuro che la sua definizione sia basata sul voler essere offensivo per la sessualità (qual'è la fonte di tale definizione?). Di certo può risultarlo, per qualcuno, ma non credo che sia tale offensività a identificarla ("se non offende la sessualità, non è pornografia"? Non mi sembra un criterio efficace per riconoscerla). La pornografia strumentalizza l'appetito sessuale (non si esce dal biologico); la cultura sentimentalista che l'uomo ha edificato su un istinto primordiale (Schopenhauer docet) non è certo il fulcro della pornografia, perché, come si suol dire, si rivolge ad un altro tipo di "target".

Come ci ricorda InVerno, il "porno" può essere inteso anche come "osceno" morale, estetico o altro, ma se parliamo di porno-grafia in senso stretto, ci sono canoni piuttosto condivisi per identificarla, basta trovare il denominatore comune del settore: rappresentare esplicitamente e soprattutto rapporti sessuali (recitati), meritandosi il divieto di essere mostrato a minori di 18 anni (suppongo ci siano leggi chiare in merito, con criteri specifici, ma non le conosco).
D'altronde, anche alcuni mosaici di Pompei (se non erro) e le raffigurazioni induiste (pur contestualizzate nella visione tantrica), adesso vengono chiamate "arte", in virtù della patina storica che le copre, ma all'epoca sicuramente le vedevano con ben altri occhi (e con pupille ben dilatate ;D ).
#1808
@Angelo
Non confonderei la pornografia con la prostituzione: la seconda può nascondere sfruttamento, criminalità e svalutazione della dignità corporea del più debole, mentre la prima presuppone "protagonisti" consenzienti, che probabilmente non si sentono affatto svalutati e umiliati dal guadagnare soldi usando il proprio corpo.
Simulare situazioni inerenti la sessualità, secondo me, non sempre la sminuisce e la banalizza, sebbene la tramuti in una forma di "recitazione" (con annessi pro e contro): difficile non distinguere il "valore" della sessualità vissuta in prima persona da quella solo osservata in terza persona... un film sul calcio, per quanto romanzato e ricco di effetti speciali, non svaluta il calcio in sé, finché le persone (la maggioranza, suppongo) sanno distinguere il calcio reale da quello cinematografico. Che differenza c'è? Basta dare due calci al pallone per capirlo (io ad esempio ci inciampo! ;D ).
Di certo, come ricorda doverosamente viator, la sessualità è una sfera personale psicologicamente delicata (sicuramente più dello sport) per cui vanno tutelati dalla pornografia coloro che non saprebbero interpretarla o comprenderla, coloro che finirebbero appunto per confondere la finzione con la realtà, magari perdendo il controllo... 

La pornografia in sé, in quanto "genere" di film, romanzi (quando l'erotismo sconfina), fumetti, etc., non credo debba/possa piacere a tutti (come non a tutti piacciono i film di fantascienza o i romanzi gialli o i fumetti di Topolino), ma l'interpretazione che propone non mi sembra una svalutazione degli istinti (ricordiamoci che la sessualità non è solo poesia, amore, "dono di anima-e-corpo", ma soprattutto ormoni, sudore e... gaffes!), la vedo piuttosto come una trasfigurazione "teatrale" che spesso incarna desideri e fantasie, più o meno latenti in molti di noi (oltre a suggerircene qualcuna in più  :) ).


Citazione di: viator il 30 Gennaio 2018, 18:26:26 PMConsidero la diffusione della pornografia come la possibilità di divorziare. Si tratta di due diverse facoltà personali che si riflettono sulla società aggiungendosi alle altre facoltà già presenti. A ciascuno la scelta (restando certo, in entrrmbi i casi, il problema della tutela di chi non dovrebbe venirne coinvolto). Ma, secondo me, ripeto, tanti sono i problemi individuali che pornografia o divorzio possono creare, quanti sono quelli che possono risolvere.
In linea di massima, concordo... ma non sul fatto che divorzio e pornografia siano indifferenti: averli a disposizione o meno, fa una grande differenza!  ;)
#1809
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
29 Gennaio 2018, 22:25:22 PM
Citazione di: Apeiron il 29 Gennaio 2018, 12:37:15 PM
L'unica possibilità che rimane è riconoscere che "qui e ora" siamo "convinti" che le "cose" esistano. La "mappa migliore" è quella che porta alla "liberazione" da tale convinzione. Il problema è che, chiaramente, come ben fai notare non c'è né identità, non c'è opionione, non c'è "peggiore/migliore" a livello ultimo. A livello "convenzionale" sì, però. E per tutti gli esseri "non risvegliati" la vita "di fatto" è nella "realtà convenzionale", non ultima: ovvero per noi esistono "cose".
Le due realtà, convenzionale e "ultima" (che sarebbe poi "prima", sia onto-logicamente che crono-logicamente), sono due prospettive che comportano uno strabismo quasi schizofrenico (il rischio c'è  ;D ), ma che, in fondo, secondo me, non si escludono necessariamente: pur avendo intuito la realtà ultima, posso attenermi alle regole del "gioco di società" che mi circonda, secondo il quale esistono cose, identità, valori, il mio "io", etc.
Non sono convinto che intravvedere la realtà ultima sia un punto di non ritorno, anzi... non scommetterei che una volta compresa la realtà ultima, il mio corpo debba sublimarsi in un raggio di luce o ascendere nel paradiso dei Budda  ;D  e anche le presunte verità assolute (non parlo da buddista!) risultano plausibilmente tali solo nella realtà convenzionale, poiché in quella "ultima" la categoria di verità o di contraddizione non potrebbero (im)porsi; il karma, i piani dell'esistenza, etc. fanno parte della narrazione convenzionale che invita ad orientarsi verso l'altra realtà, tuttavia costituiscono, sempre secondo me, l'ultimo bordo della zattera da lasciarsi alle spalle quando si tratta di scendere...

Per mediare fra le due realtà. si tratterebbe piuttosto di (re)installarsi nel "mondo" da cui si è partiti (vedi "parabola del bue"), seppur con una consapevolezza profondamente differente, che ci faccia tenere a mente che la convenzionalità per cui ci affaccendiamo, è una sovrastruttura artificiale che si erige a picco sulla realtà ultima (forse non c'è altra alternativa all'affaccendarsi... anche in un monastero avremmo faccende convenzionali da sbrigare, seppur con serafica serenità  :) ).


Citazione di: Il_Dubbio il 29 Gennaio 2018, 19:38:12 PM
Che domanda ci stiamo ponendo? Ma ancora, di cosa vogliamo parlare? Se il punto di partenza è l'esperienza che noi abbiamo del mondo, cioè se partiamo gia dal considerare la relazione tra la nostra mente e il mondo, sembra che ce la siamo gia data una risposta. [...] Ma posso dire, cosi allegramente, che il mondo esiste solo perchè ha una relazione con me?
Non ho confuso il "mondo-in-sé" con il "mio mondo": ho affermato che il mio mondo (in quanto pensato da me) si fonda nella mia relazione prospettica con il mondo(-in-sé), non che "il mondo(-in-sé) esiste perché ha una relazione con me" (non sono così idealista  ;D ).
Il mondo-in-sé è un presupposto onto-logico, il mio mondo è un vissuto come minimo neuro-logico, che mi spinge ad essere "ventriloquo" del mondo-in-sé che interrogo, facendogli parlare la mia lingua secondo le mie categorie mentali, trasformandolo in mio mondo (e magari anche della comunità culturale in cui vivo).

Citazione di: Il_Dubbio il 29 Gennaio 2018, 19:38:12 PM
Per cui questa relazione può essere di due tipi, simmetrica o a-simmetrica. Ora il punto di partenza per poter parlare di assoluti o relativi è (credo) decidere se la relazione tra le nostre menti e il mondo è di tipo simmetrico o viceversa è a-simmetrico.[...] Ma non credo che si possa dire che queste due idee (simmetria o assimetria) siano relative. Relative a cosa? O vale una o l'altra...per cui il tipo di relazione (come ho tentato di dire due post prima di questo) è di tipo assoluto.
Secondo me, simmetria e asimmetria fra mente e mondo, sono inevitabilmente relative (immanenti e contingenti) alla stessa mente umana che pensa il problema della relazione mente-mondo...
Per decidere su asimmetria o simmetria, dovremmo infatti rispondere alla meta-domanda: come verificare che tale relazione sia simmetrica o asimmetrica, se non prescindendo/uscendo dalla relazione mente-mondo? Davvero è possibile andare oltre tale relazione, oppure ogni congettura sulla relazione mente-mondo partirà viziosamente dall'interno della stessa relazione mente-mondo (e quindi non potrà essere "oggettivamente attendibile" nel discriminare asimmetria e simmetria)?

Restando nella relazione mente-mondo (ammesso e non concesso che sia possibile uscirne, almeno da vivi  ;) ), forse il modo più innocuo di pensare al mondo (inteso come realtà), salvaguardandolo dalla deformazione della mente individuale, è cercare quella visione della realtà "ultima" a cui si riferiva Apeiron coinvolgendo il buddismo: più sospendiamo i meccanismi razionali gnoseologici, più il nostro punto di vista perde di "mentalità umana" e diventa quasi, asintoticamente, esperienza del mondo in sé, per quanto umanamente possa essere compreso (ma non scientificamente "spiegato").
#1810
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
28 Gennaio 2018, 21:30:59 PM
Citazione di: davintro il 28 Gennaio 2018, 19:04:07 PM
La metafisica si occupa di individuare un complesso di princìpi e relazioni fondative, aventi valenza universale, riconoscibili su base speculativa, e non sulla base dell'esperienza sensibile
Qui inizia il conflitto-competizione con la scienza: la scienza non bada solo a problemi tecnico-operativi, ma ricerca anche quegli stessi principi fondativi e universali che la metafisica rincorre (e volerli fondare sull'esperienza sensibile non mi sembra un difetto  ;D ). Quando si parla di principi universali e fondanti, la postilla di metterli a fuoco con due approcci differenti, diventa inaffidabile: secondo me, un principio universale e fondante non può essere "bilingue" e parlare sia il linguaggio della metafisica che quello della scienza.

Citazione di: davintro il 28 Gennaio 2018, 19:04:07 PM
Nel momento in cui invece forma e materia vengono considerante come componenti entrambe necessarie nella loro complementarietà alla costituzione dell'ente, allora è sufficiente il loro considerarsi all'interno dell'unità della sostanza per rendere ragione delle loro interazioni, e del loro contribuire all'autocoscienza individuale
Proprio tale interazione, a mio avviso, è il problema: la postuliamo pacificamente, o ci chiediamo come funziona (sempre partendo dal presupposto, indimostrato, che ci sia davvero tale interazione)?
Per quanto riguarda forma e materia: il loro "considerarsi all'interno dell'unità della sostanza" davvero è sufficiente a "rendere ragione delle loro interazioni"? Le pensiamo assieme nella sostanza e ciò basta a farci capire come la forma informi la materia e la materia si sempre necessariamente formata? A mio modesto parere, la domanda sul "come" le due interagiscono, resta piuttosto aperta (e, intanto, la scienza ci suggerisce che il "come" potrebbe essere plausibilmente nella genetica...).

Citazione di: davintro il 28 Gennaio 2018, 19:04:07 PM
In realtà la metafisica è sempre un discorso razionale, [...] Ovviamente ogni sistema metafisico sorto storicamente comprende elementi di irrazionalità, ma ciò dipende dalle doti, dalle capacità intellettive personali di chi teorizza, non da un limite costitutivo epistemico della disciplina, allo stesso modo con cui può fare errori uno scienziato naturalista. Si può fare buona o cattiva metafisica, così come buona o cattiva scienza, ma è sufficiente l'intenzionalità di operare un discorso metafisico su base razionale, a permettere a questi discorsi di poter essere eventualmente discussi e confutati: possono esserlo sulla base di una razionalità più rigorosa che valuta le contraddizioni e le imprecisioni di un'altra razionalità, e che dunque nella verifica resta nel suo terreno, basta solo riconoscere che la "verifica" delle tesi metafisiche abbia qualità peculiari che la differenzino dal modello di verificazione delle scienze naturali, sulla base della distinzioni della natura delle questioni che le diverse discipline mirano a risolvere.
Come può una metafisica confutare un'altra metafisica? Una scienza può farlo (come è accaduto), ma un'altra metafisica può solo fornire una chiave di lettura alternativa, partendo da presupposti differenti o mettendo l'accento su ciò che invece l'altra metafisica lasciava fra parentesi.
Le metafisiche possono essere razionali nei discorsi, ma non nelle premesse; se fossero razionali sia nelle premesse che nei ragionamenti, sarebbero (una) scienza  :)
Proiettare sulla metafisica categorie epistemologiche (pur essendo l'epistemologia una "figlia emancipata" della/dalla metafisica) come "verifica", "analisi", "rigore", etc. significa, per me, alienare la metafisica in pseudo-scienza capricciosa... la funzione della metafisica può essere piuttosto fornire ipotesi di spiegazioni per ciò che non ha ancora una spiegazione scientifica (e qui la sua credibilità si allaccia all'individuale affinità teoretica-esistenziale a cui accennavo...).
#1811
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
28 Gennaio 2018, 16:28:20 PM
Citazione di: Il_Dubbio il 27 Gennaio 2018, 01:24:11 AM
Qualcuno diceva che le cose nascono per un qualche tipo di relazione e non c'è nulla di assoluto. Ma le relazioni causano dei relativi. [...] il meccanismo di relazione deve pur essere un assoluto (altrimenti non avremmo alcuna relazione) 
Secondo me, il meccanismo di relazione in-solubile (più che as-soluto) è la relazione mente/mondo: i problemi della fondazione dell'identità, della relazione fra le identità, dell'identità della presunta verità, etc. originano tutti dalla relazione (biologica, anzitutto) mente-mondo. Relazione che è di per sé relativa (immanente) a ogni mente che si relaziona al mondo, secondo quel prospettivismo inaggirabile del vivere coscientemente in prima persona (e quindi il mondo è sempre, di base, il "mio" mondo, il mondo-per-me, relativo alla mia relazione con esso... ed ecco perché gli altri potrebbero essere zombie, potrei essere una farfalla che sogna, etc.).

Citazione di: Apeiron il 28 Gennaio 2018, 12:55:44 PM
Il fatto che la "vacuità" sia vuota secondo me singifica semplicemente che anche il relativismo ontologico è una mappa, ovvero è un modello ontologico. Ma se ogni cosa in fin dei conti è priva di una identità proprio (perchè non può esseere pensata separata dal resto) allora segue chiaramente che in un certo senso "non esiste". In sostanza a livello "fondamentale" non c'è nessun "ente" e la vacuità stessa è una semplice mappa.
Direi che è tuttavia una mappa in cui non sono tracciate frontiere (che separano le identità), senza nomi di città, mari o monti (che identificano), senza nemmeno le linee delle coordinate topografiche (che sono una meta-mappa arbitraria, assente nel territorio tangibile).
A questo punto, più che una mappa, otteniamo un ritratto, una foto in scala, che magari non ci dice molto, proprio perché in fondo nemmeno la realtà ci dice molto spontaneamente, siamo piuttosto noi a farla "parlare" dal nostro ventre (scienziati e filosofi sono ventriloqui! ;D ), estorcendole informazioni basate sulle identità che noi stessi circoscriviamo convenzionalmente.
Intendiamoci: ciò è estremamente utile, ormai inevitabile, ci serve a muoverci nel mondo, a impostare il gioco della vita razionalizzata in società (anche se talvolta significa fantasticare su un'ontologia che possa guidarci oltre l'orizzonte umano, fino all'agognata cosa-in-sè).

Citazione di: Apeiron il 28 Gennaio 2018, 12:55:44 PM
Ma è anche vero che forse Nagarjuna aveva intenzione di "trascendere" anche la posizione del "no-thingness", andando oltre ogni opinione. Trascendendo quindi ogni "opinione" si sarebbe raggiunta l'imperturbabilità (ma ciò significa che la "realtà" non può essere concettualizzata... ma ciò non toglie che la "vacuità" sia la migliore mappa).
La presunta realtà può essere concettualizzata (e infatti lo è), ma farlo significa imporre una sovrastruttura alla realtà, un filtro razionalizzato che, in un certo senso, adombrandola tramite identità arbitrarie, ce la rende più oscura...
Se non c'è "qualcosa" (no-thingness), allora non c'è identità; se non c'è identità, non c'è opinione; se non c'è opinione, non c'è migliore/peggiore; se non c'è migliore/peggiore, resta solo una realtà che non è "qualcosa"  ;)

Citazione di: Apeiron il 28 Gennaio 2018, 12:55:44 PM
Quindi mentre l'ontologia riguarda la creazione di modelli sulla realtà, l'epistemologia riguarda il rapporto tra modelli e realtà. Dire che però nessun modello riesce ad "afferrare" la realtà-così-com'è è ben diverso da dire che non esistono modelli migliori di altri, che non esiste un modello migliore di tutti ecc.
Eppure, per dire che nessun modello afferra la realtà così com'è, dovremmo poter (ri)conoscere la realtà così com'è (o almeno fondare la sua possibilità): per dire che nessuno ha dato la risposta giusta, dovrei prima sapere qual'è, o almeno se c'è... la fisica newtoniana è stata la riposta giusta per molto tempo e, nella banale vita quotidiana, lo è ancora.
Uscendo dal quotidiano, per me, c'è invece una saggezza "gustosamente insipida" nel pensare che una non-mappa, sotto sotto, è la mappa migliore  :)
#1812
Accostando scienza e spiritualità si rischia di confondere "lo studio scientifico del linguaggio di x" con "lo studio scientifico di x" (per quanto uno studio sul linguaggio possa dirsi scientifico); ad esempio, se studio "scientificamente" il linguaggio della politica, non studio "scientificamente" la politica, ma solo uno dei suoi aspetti (e nemmeno quello più peculiare: l'uso del linguaggio in politica assomiglia infatti molto a quello in altri settori). Se parliamo di psicologia/psicometria applicata alla spiritualità, è il tipo di modello analitico a essere "scientifico" (per quanto si possa parlare di scientificità in psicologia/psicometria), ma non lo è necessariamente l'ambito a cui si applica. Differenza sottile, ma non trascurabile. Ad esempio, se applico "scientificamente" la psicologia/psicometria allo sport, lo sport non diventa per ciò una scienza... idem per la spiritualità.

Se la spiritualità è stata qui definita come "vita interiore" (se non ricordo male), il titolo del topic diventa: la vita interiore può essere una scienza? Ovvero, se non fraintendo, ci sono scienze sulla vita interiore? Si potrebbe rispondere con tutto l'elenco delle scienze (e simili) che si occupano dell'uomo in quanto protagonista della sua vita, ma così facendo si perderebbe la messa a fuoco specifica sulla spiritualità (non entro troppo nel merito, ma, en passant, la trovo una parola ambigua, troppo vaga per essere fruibile, troppo sovraccarica di eredità metafisica per essere "epistemologizzabile"). 

Di certo, una volta definita esattamente la spiritualità ("vita interiore" mi suggerisce una commistione ibrida fra "vita psichica" e "vita neurologica", con la criticità di essere priva di parametri oggettivabili e quindi poco studiabile scientificamente) si può indagare come le differenti discipline vi si applicano, pur non rendendola automaticamente una scienza, bensì un oggetto di scienze (umane e non).
#1813
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
10 Gennaio 2018, 22:38:50 PM
Citazione di: davintro il 10 Gennaio 2018, 15:37:15 PM
una volta ammessa l'autonomia e l'irriducibilità di un piano metafisico a quello fisico, non ha senso pensare a una sovrapposizione o contrapposizione di visioni, dunque ciò che metafisica e ontologia individuano nel nesso fra forma e materia e nella trattazione del concetto di "anima" non viene toccato da ciò che le scienze naturali, su un altro livello della realtà scoprono
Il nodo problematico del dualismo fra fisico e metafisico mi pare essere come il secondo possa condizionare concretamente il primo: affinché la forma conformi la materia, ci dovrebbe essere un punto di contatto o almeno comunicazione (fra il fisico e il metafisico) in cui avviene il passaggio dell'in-formazione, ovvero in cui il "progetto potenziale" diventa "ingegneria applicata performante". Come indagare attendibilmente questa interazione fra metafisico e fisico?
Il "sinolo" aristotelico è un concetto indimostrato: la forma è nella realtà o è solo nell'occhio-mente/cervello che la interpreta? La pseudo-soluzione della ghiandola pineale cartesiana è dietro l'angolo... e questo porta ad un'altra considerazione:
Citazione di: davintro il 10 Gennaio 2018, 15:37:15 PM
dunque non ha senso pensare che le scoperte della biologia possano rendere inattuale un discorso metafisico
La ghiandola pineale esiste davvero, tuttavia (fino a prova contraria) non svolge la funzione che le attribuiva Cartesio, ovvero quella di "sede" dell'anima.
La meta-fisica spesso intuisce a priori, precorrendo di secoli ciò che la scienza dimostra a posteriori; tuttavia, almeno finora, la scienza ha confutato-rettificato spesso la metafisica, almeno sulle questioni confutabili-verificabili; la metafisica non ha ancora fatto altrettanto... anche se si è dimostrata il meglio che l'intuito umano potesse offrire. La scienza può rendere inattuale parte della metafisica, ma solo altra scienza può rendere inattuale la scienza; concordo infatti sulla constatazione che:
Citazione di: davintro il 10 Gennaio 2018, 15:37:15 PM
Solo una metafisica può sostituirsi a un'altra metafisica.
Sulle questioni inconfutabili, in quanto tali, la scienza non ha molto da dire e non ci resta che affidarci a quella metafisica che sentiamo più affine alla nostra visione del mondo (sia essa aristotelica, induista o altro...).
#1814
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
10 Gennaio 2018, 17:30:19 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 10 Gennaio 2018, 01:56:00 AM
Bisogna vedere in che modo viene trattato.
Esatto, e (mal)trattarlo è il contrario di ignorarlo... secondo me, non c'è un solo modo possibile e legittimo di pensare al soggetto, coinvolgendolo nel filosofare, ma ce ne sono molti (questo può essere relativismo... affermare invece che chi non inquadra in un certo modo il soggetto, ignora il soggetto, è una posizione piuttosto forte, non trovi? ;) ).

Se "rimproveriamo" ai non-relativisti di aver pensato al soggetto in modo non-relativista (tautologicamente!), significa che non riusciamo a "vedere" la loro prospettiva dall'interno, ma la giudichiamo dall'esterno con i nostri criteri vincolanti... che non mi pare sia un gesto distintivo del relativismo  :)

Citazione di: Angelo Cannata il 10 Gennaio 2018, 01:56:00 AM
Ne parlo in maniera non oggettivizzata quando comincio a parlare di me stesso in quanto qui, ora, nelle cose che sto scrivendo, mentre le sto scrivendo, sono coinvolto e le sto condizionando con tutto il mio essere.
Se tu vuoi pensare a te come soggetto non oggettivizzato devi pensare a te che in questo momento, mentre stai leggendo queste parole, le stai condizionando con la tua mentalità, le caratteristiche del tuo cervello, tutto il tuo essere.
Quel "mentre", se preso alla lettera, propone uno sdoppiamento forse impossibile: riesci a pensare a te che scrivi la risposta e contemporaneamente pensare a ciò che stai scrivendo, oppure per riflettere seriamente sui condizionamenti interiori ed esteriori del tuo scrivere, devi smettere per un attimo di scrivere?
Se invece è un "mentre" più duraturo, che contempla fasi alterne di scrittura e auto-riflessione, non è necessariamente l'innesco tipico del relativismo: pensa all'introspezione degli esistenzialisti, ad esempio a Kierkegaard; era ben presente soggettivamente ("anima e core" ;D ) in ciò che scriveva, pur non essendo affatto relativista.

Citazione di: Angelo Cannata il 10 Gennaio 2018, 01:56:00 AM
Se qualcuno vuole rispondere a questo messaggio e vuole considerare il soggetto in maniera non oggettivizzata, dovrà pensare a sé stesso nel suo presente, mentre sta scrivendo la risposta e la condizionando attraverso il proprio essere.
[Riecco quell'ambiguo "mentre" :) ]
Eppure quando "penso a x", "x" diventa oggetto del mio pensare; se penso a me, alla mia mentalità, al mio essere qui ed ora, tutti questi elementi sono comunque oggetti del mio pensare a loro.
C'è il mio pensare, l'io-penso (attività) e c'è ciò che il pensiero tematizza (oggetto dell'attività): si pensa sempre a qualcosa, anche quando dirigo l'attività pensante verso aspetti che mi caratterizzano, li oggettivizzo inevitabilmente, pur riflettendo(mi)ci.

Citazione di: Angelo Cannata il 10 Gennaio 2018, 01:56:00 AM
È questa la scintilla che fa nascere il relativismo, non è il considerare il soggetto come qualcosa di diverso dal sé del proprio presente e in quanto condizionante l'azione del proprio presente.
Qui, più che il relativismo, affiora tra le righe quel "solipsismo epistemologico" a cui, se non ricordo male, si riferiva Apeiron...
#1815
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
09 Gennaio 2018, 23:03:58 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 09 Gennaio 2018, 16:04:16 PM
Aspetto di conoscere qualche metafisico che affronti di petto, senza evasioni, senza mezzi termini, senza cambiare discorso, l'accusa che la metafisica ignora il soggetto.
Non sono un metafisico (fino a prova contraria  ;D ), né esperto di metafisica, ma sostenere che la metafisica ignora il soggetto potrebbe far pensare che la metafisica non se ne sia mai occupata o lo abbia snobbato, il che mi pare storicamente falso (almeno stando alla storia della filosofia, all'antropologia filosofica e ai suoi manuali...  ;) ). 
Sui modi in cui la metafisica ha tematizzato e problematizzato il soggetto, si può certamente non concordare, tuttavia, se non erro, il soggetto è un tema trattato esplicitamente della metafisica (da S. Agostino a Pascal, da Cartesio a Fichte, etc.).