Citazione di: Kobayashi il 10 Febbraio 2018, 14:42:37 PMSuggerirei "semanto-mania" (furore mentale inerente il significato): ciò che affligge l'uomo (filosofo o meno) è da sempre il dare/trovare un senso, in una schizofrenica indagine in cui il bipolarismo invenzione/scoperta sembra tanto inestricabile quanto paradossale... non a caso, se non erro, molte dinamiche paranoiche (tipiche della nostra epoca) riguardano proprio l'attribuzione di un senso (esistenziale, oltre che semantico).
direi che la più grave malattia dell'uomo è la sua megalomania e non c'è niente di più megalomane della filosofia, la quale, in fondo, non è che l'esibizione, nello stesso tempo, della capacità di costruire e dell'abilità nell'arte della demolizione
Penso inoltre all'arte visiva (specchio dell'emotività della cultura che la produce): com'è noto, si è passati, nei secoli, dall'arte riproduttiva-raffigurativa all'arte semantica (astratta e non), ovvero un'arte in cui il "presentarsi estetico" è giustificato dal "comunicare semantico" (se non sbaglio, i moderni artisti si affermano anche, e forse soprattutto, per quale "concetto" comunicano, non tanto per le intrinseche qualità tecnico-espressive, che potrebbero essere ampiamente eguagliate).
Nelle dinamiche di potere sociale, di edonismo, di speculazione filosofica, di attività immaginifica, di fede religiosa, e persino nel suicidio a cui accennavi, credo si possa rintracciare il denominatore comune della problematizzazione di un senso che si presuppone come necessario (e che è l'ombra di ogni tipo di relazione: appena focalizziamo una relazione, materiale o concettuale, abbiamo l'impulso di doverle dare un senso... o no?).
Indagando e decostruendo questo tacito presupposto (usando dunque una certa filosofia) della necessità di un senso (latente o meno), si può sbriciolare (individualmente) quella (s)mania del senso che è anzitutto mania di "topologizzare": centro/periferia, prossimità/distanza, convergenza/divergenza, etc. sono tutte strutture di senso, le cui conseguenze socio-politiche, ma anche esistenziali, pongono più problemi di quanti ne risolvano...
Alcuni approcci orientali, in cui l'uomo non è al centro dell'orto del "giardiniere divino", propongono una visione decentrata dell'uomo nel cosmo (v. taoismo), talvolta persino così concentrata sull'esserci da (dis)perderne addirittura il centro (v. buddismo con la dottrina del non-sé). Tali approcci risultano comunque fruibili, seppur quasi inquietanti, nell'attuale società, in cui il brulicare della iper-comunicazione nell'"infosfera" che ci avviluppa, traccia dedalici orizzonti di senso, in cui macro e micro si rispecchiano, consolidando l'idea, così diffusa da risultare indiscussa, che la domanda sul "quale senso?" sia centrale, così com'è apparentemente centrale (nel cosmo) l'uomo che se la pone.