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Messaggi - sgiombo

#1816
Citazione di: Carlo Pierini il 09 Luglio 2018, 14:45:17 PM
Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 21:31:19 PM
X Carlo Pierini (in particolare in riferimento all' intervento #58 della presente discussione)

C' é una bella differenza fra "scetticismo", cioé dubbio ritenuto razionalmente insuperabile -e conseguente sospensione del giudizio (per lo meno in teoria, prescindendo da quanto eventualmente sottinteso nella pratica)- circa qualsiasi (eventuale, per l' appunto) conoscenza di come é/diviene la realtà effettiva, indipendentemente dal fatto che sia eventualmente anche (realmente) oggetto di pensiero, giudizio, eventualmente conoscenza o meno da una parte, e "relativismo" (per lo meno quel che correntemente oggi si intende per "relativismo", credo di poter dire "a là Angelo Cannata"; il quale purtroppo si é autoimposto di non potermi più replicare qui nel forum), cioé la pretesa che ogni e qualsiasi predicato o giudizio (compresi quelli reciprocamente contraddittori) che si desse circa la realtà effettiva sia ugualmente vero.

Il primo secondo me é la massima espressione del razionalismo, il secondo dell' irrazionalismo.

CARLO
Un <<dubbio ritenuto razionalmente insuperabile>> sulla verità di una certa affermazione, non è più un dubbio, ma un ritenere non-vera (o relativa) quella affermazione.
Citazione
Ma, caro Carlo Pierini, capiterà mai che tu capisca quello che scrivo???

Innanzitutto non é affatto vero che dubitare di qualcosa == ritenere non vera tale cosa, ma casomai non sapere se sia vera oppure non vera, non ritenerla sicuramente vera né sicuramente falsa: c' é una bella differenza ! ! !

Inoltre Non vero == falso =/= relativo.

Ma soprattutto con tutta evidenza non ho parlato di un determinato dubbio (ritenuto razionalmente insuperabile) circa una certa particolare verità o affermazione, ma invece del "dubbio" (scettico) "circa qualsiasi (eventuale, per l' appunto) conoscenza" (solo le evidenziazioni in grassetto non erano nelle mie parole da te platealmente travisate); essendo riferito a qualsiasi eventuale verità o conoscenza, con tutta evidenzia si applica anche alla (eventuale, per l' appunto) particolare conoscenza costituita da quella stessa affermazione (e infatti si configura come sospensione del giudizio e non come affermazione dell' autocontraddittoria, paradossale affermazione per cui "tutto é falso" (compresa questa affermazione stessa).
Lo scetticismo non é predicazione che tutto é falso, ma dubbio  (sospensione del giudizio) su tutto (compreso lo scetticismo stesso).
Lo scettico dubita di tutto, anche del suo dubitare stesso e del dubitare del suo dubitare, e se hai tempo da perdere puoi continuare fin che credi in questo regresso all' infinito...
#1817
Citazione di: 0xdeadbeef il 09 Luglio 2018, 11:01:54 AM
Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 22:46:09 PM
"Morte di Dio" come metafora, perchè l'autentico significato di tale espressione è "morte del valore", così
come assunto, e cioè "assolutamente".
Del resto, la cosiddetta "Nietzsche reinassance" francese parla, e a mio parere giustamente, della filosofia
di Nietzsche come "genealogia del valore".
"Se Dio non esiste bisognerebbe inventarlo", fa dire Dostoevskij al piccolo Kolja (mi pare lui, se ben ricordo).
Ora, inventato o esistente realmente (non è qui che ci interessa), Dio come metafora dell'assoluto, quindi di
un valore morale assunto assolutamente (non in maniera relativa, cioè).
Può forse essere diversamente? Tu se ben più di me avvezzo alle cose della scienza, quindi saprai meglio di
me quanto la scienza sostiene a proposito del valore morale e di giustizia. Però ti chiedo: può la scienza
imporci come assoluto un qualcosa che è senz'altro relativo?
La "Legge" (che per sua stessa definizione è assoluta in quanto "uguale per tutti") ci impone delle cose, ad
esempio di non uccidere o di non rubare, e ce le impone assolutamente, cioè in una maniera che è la perfetta
e speculare immagine di Dio (non a caso è Dio che dà le Tavole a Mosè). Beh, con quale diritto potrà
continuare ad imporre nel momento in cui non, semplicemente, "Dio", ma lo stesso concetto di valore come "assoluto"
viene demolito dal "sottosuolo filosofico degli ultimi 200 anni"?
Certo, le imporrà, magari, sulla base di un "consenso democraticamente stabilito", ma dove risiede l'"autorità" di
quella base? Insomma, quale fondamento di sabbia, per usare ancora una metafora religiosa...
saluti Giulio.


Secondo me non é questione di assolutezza, cioé di "universalità di diritto" o meno, per così dire, ma dell' "universalità di fatto" di un "nucleo profondo" di doveri morali a tutti gli uomini comune (che tutti sentono di fatto, anche se vi si può dar retta in diversa misura, e che la scienza non può certo dimostrare, come già ben rilevava il grandissimo David Hume; e però la scienza può per lo meno (e "chi si contenta gode", sia pure "così così", come giustamente precisa Ligabue; il cantautore, non il pittore) spiegare, di cui può consentire una comprensione naturalistica attraverso l' evoluzione biologica per mutazioni genetiche casuali e selezione naturale (correttamente intesa).
"Nucleo profondo" non integralmente assoluto e immutabile, ma che in parte "si declina" storicamente essendo relativamente condizionato in ultima istanza (attraverso molteplici e complesse mediazioni, anche in qualche misura reciproche), dall' interazione dialettica fra lo sviluppo delle forze produttive sociali e i rapporti di produzione e fra tutto questo e ciò che ne consegue circa le sovrastrutture culturali, ideologiche, filosofiche, politiche, giuridiche, ecc. della società umana in continua trasformazione "relativamente strutturata" (la storia umana).

Mi rendo conto di fare abbondante uso di aggettivi e avverbi e circonlocuzioni "limitanti", "relativizzanti" (come "non integralmente", "in parte", "relativamente", "in ultima istanza", "attraverso molteplici e complesse mediazioni", "in qualche misura", ecc).
Malgrado questo mi sembra una visone atea dell' etica (posto che come garante di essa Dio é morto, e dunque di religiose non se ne trovano) tutto sommato (a-ri-ecco una relativizzazione-limitazione!) soddisfacente, tale da consentire al modesto Leopardi in sedicesimo che potrei considerarmi una serena riconciliazione con la sua esistenza (in questo essendo anche aiutato dal fatto che per me la vita é anche gioia, soddisfazioni, felicità, appagamento di aspirazioni che sanno autolimitarsi e non esclusivamente dolore e infelicità per l' impossibilità di soddisfare aspirazioni e desideri illimitati).
#1818
Citazione di: Phil il 08 Luglio 2018, 23:13:49 PM
Citazione di: sgiombo il 08 Luglio 2018, 16:06:38 PM
Fenomeno == (contenuto di) percezione.
[...]
fenomeno == oggetto empirico.
C'è qualcosa che non mi quadra: ne risulterebbe che oggetto empirico = (contenuto di) percezione... l'oggetto (esterno al soggetto) non dovrebbe piuttosto essere causa della percezione (e del suo contenuto) del soggetto?
Nel fenomeno, l'empiria è "lato oggetto", la percezione "lato soggetto", no?
CitazioneMi scuso per avere usato ambiguamente il termine "oggetto" in due diversi significati.
Nel senso di "cosa" qualsiasi (percepita sensibilmente), cioé di insieme-successione di sensazioni coscienti, ovvero di enti/eventi fenomenici, di "fenomeno".

E nel senso di "oggetto di sensazione fenomenica" distinto dal "soggetto" della stessa" e dalla sensazione fenomenica medesima (distinto dal fenomeno stesso).
Limiterei il termine di "causa" all' ambito fenomenico materiale della realtà, nel quale si possono chiaramente stabilire e quantificare, calcolare relazioni di coesistenza-successione di eventi per induzione (giudizi sintetici a posteriori; dubitabili, non certi: Hume).
Comunque soggetto e oggetto delle sensazioni fenomeniche non possono essere (costituiti da) sensazioni fenomeniche, dal momento che si assumono esistere realmente anche quando le sensazioni fenomeniche stesse non accadono, non esistono realmente (sarebbe una palese contraddizione il pretendere che lo fossero). Non possono dunque che essere "cose in sé" non percepibili sensibilmente, non apparenti ai sensi (= non fenomeni) ma solo congetturabili (noumeno).

Fenomeno, sensazione, percezione (empiriche) secondo me sono sinonimi.

Quelle parentesi su "contenuto di", secondo me, rischiano di risultare un po' ambigue: la percezione non è il contenuto di percezione (la vista non è il visto, ciò che si vede).
CitazionePer "vista" (percezione visiva), nelle considerazioni di cui stiamo parlando, intendo ciò che si vede astrattamente considerato, per "visto" (contenuto di percezione visiva) ciò che concretamente si vede (lo stesso ovviamente vale per la percezione in generale, per qualsiasi tipo, anche diverso da quelle visive, di percezione o sensazione fenomenica cosciente.

Non vorrei farne solo una questione di linguaggio, ma (Kant a parte) distinguerei fra percezione, fenomeno e cosa in sé. Se tu leggi un giornale su una panchina e io arrivo camminando verso di te, il contenuto della mia percezione del giornale non sarà identico al tuo (questione di prospettiva ottica), pur essendo entrambi relativi allo stesso fenomeno (il manifestarsi del giornale). C'è poi ciò che è causa del fenomeno-giornale, ovvero il supposto "giornale in sé" (che si manifesta tramite il "fenomeno giornale", che viene percepito dai miei sensi in modo differente dai tuoi).
CitazioneNon riesco a "vedere" differenze fra "percezione" o "sensazione" (cosciente, sensibilmente apparente alla coscienza) e "fenomeno".

Invece ne vedo fra "fenomeno" (ovvero sinonimi) e "cosa in sé" o "noumeno" (se esiste realmente, cosa indimostrabile e tantomeno -per definizione!- empiricamente constatabile) quali sarebbero i soggetti e gli oggetti delle sensazioni fenomeniche ipotizzati continuare ad esistere realmente anche in assenza delle sensazioni fenomeniche stesse (ciò che c' é anche quando non vedo il cedro del Libano, me stesso che lo vede e che percepisco come miei pensieri anche quando non penso).
Non ha senso cercare di stabilire se le sensazioni (materiali, non mentali) assunte essere intersoggettive mie e tue siano uguali o meno, dal momento che ciascuno di noi non può "sbirciare nella coscienza dell' altro" per verificarlo o falsificarlo; assumere (indimostrabilmente) che siano intersoggettive (ma si può solo di quelle materiali, non di quelle mentali) significa postulare che vi sia una corrispondenza biunivoca fra di esse, cosicchè si possono descrivere verbalmente allo stesso modo: quando tu descrivi il giornale che vedi e io descrivo il giornale che vedo, nell' esempio da te proposto, usiamo le stesse parole.


#1819
X Mauro (Oxdeadbeef)

Ma la consapevolezza dell' inesistenza di Dio, Provvidenza, giusti premi e castighi per l' operato di ognuno (che peraltro si ritrova ad essere come é e conseguentemente ad agire come agisce non per propria libera scelta!) non impediscono la ricerca (sia pur certamente non facile quanto il coltivare, con Tolstoj, l' illusione della provvidenza) di scopi e finalità del tutto appaganti nella vita (questa mi sembra la convinzione anche di Sartre, di cui anch' io ho letto La nausea e altro in gioventù: letture che credo molto mi abbiano giovato).

Nè impediscono il riconoscimento di valori morali e di giustizia che, pur non essendo dettati da alcun Dio su alcuna pietra, né essendo dimostrabili razionalmente (Hume), pur non essendo "universalmente veri di diritto" tuttavia sono di fatto (e secondo me per ben comprensibili ragioni naturali, ben chiarite dalla moderna biologia "di origine darwiniana"; se correttamente intesa, e non "a là Dawkuins, "darwinismo soicale, "sociobiologia" e così via farneticando antiscientificamente) per lo meno in parte universalmente avvertiti (e in parte socialmente condizionati, come dimostrato da Engels e da Marx).
#1820
Citazione di: Jacopus il 08 Luglio 2018, 13:36:44 PM
La vita e' dolore. La conoscenza puo' arrecare piu'dolore di quanto ve ne sarebbe senza conoscenza? Credo di no. Con tutto il rispetto per Leopardi il " venite parvulos" e' solo un tentativo di lasciare l'uomo nel suo stato di minorita' imputabile a se' stesso.


Per me, contrariamente al grandissimo filosofo (oltre che poeta: concordo con Oxdeadbeef) Leopardi, la vita non é necessariamente solo dolore (credo che mi sarei già suicidato se lo pensassi ...sperando che siano false le teorie della metempsicosi).
Anche perché, contrariamente a quanto afferma Camus più sotto citato da Oxdeadbeef non tendo affatto all' infinito , ma con gli antichi Stoici ed Epicurei (e probabilmente con Buddisti e quant' altri a me sconosciuti) cerco di autolimitarmi, nelle mie aspirazioni.

Ma Leopardi per "filosofia" e "conoscenza" intendeva l' autocoscienza, la consapevolezza del nostro proprio stato di insignificanti, meschinissimi accidenti nell' ambito della natura, non affatto "centrali" in essa in alcun senso, né oggetto di alcun disegno finalistico o "provvidenziale": la Natura é del tutto indifferente all' Islandese!
#1821
Tematiche Filosofiche / Re:L'elettrone "in sé".
08 Luglio 2018, 22:25:54 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 08 Luglio 2018, 17:57:17 PM
Cit. CARLO
Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant.

Cit. SGIOMBO
Bel gioco della minchia davvero (il tuo) !
Infatti apparente, sensibile =/= conoscibile

CARLO
Bravo! Io ho fatto lo stesso gioco della minchia che ha fatto Kant, proprio per mostrarne la stupidità.

CitazioneBalle!

Non hai capito proprio nulla di Kant: anche se Kant ritiene conoscibile razionalmente (e scientificamente), dalla ragion pura, solo i fenomeni e non il noumeno, non confonde i fenomeni stessi con ciò che é conoscibile (in generale), il che non é limitato per lui a ciò che é conoscibile empiricamente - razionalmente (dalla ragion pura), ma invece comprende per l' appunto anche il noumeno (Dio, anima immortale... secondo Kant; infatti conosciuti mediante la ragion pratica).
Invece a confondere "fenomenico" con "conoscibile" é proprio la tua estremamente sobria e fine persona.

Ma tagliamo la testa al ...topo e torniamo al mio esempio iniziale dell'elettrone.

Nella realtà fisica chiamiamo "cosa" (p. es.: "elettrone") una bella "X" incognita che desumiamo sia la causa di un insieme di fenomeni la cui osservazione sperimentale ci obbliga a ricondurre ad essa (alla X chiamata elettrone) come sue proprietà.

- Possiamo chiamare "assolutamente incognita" quella "X", cioè, quella "cosa"? No, perché, per definizione, una X è assolutamente incognita quando non conosciamo di essa assolutamente NULLA, cioè, quando non è possibile attribuirle alcuna proprietà.

- Possiamo chiamarla "assolutamente conosciuta"? No, perché noi conosciamo solo una piccola parte delle sue proprietà e disconosciamo il resto, cioè, perché noi conosciamo non l'elettrone in sé corredato di TUTTE le sue proprietà e di TUTTE le relazioni che lo legano a TUTTO il resto del mondo, ma solo l'elettrone definito dalle sole proprietà conosciute.

- Possiamo affermare con sicurezza che il numero delle sue proprietà e delle relazioni che lo legano al resto del mondo è infinito e, pertanto, dichiarare inconoscibile l'elettrone in sé? No, non esiste alcuna ragione che ci dia questa certezza (persino il numero di atomi dell'universo è considerato finito)

...E allora qualcuno sa spiegarmi da cosa deriva il dogma kantiano sull'inconoscibilità dell'elettrone in sé?

CitazioneContinui a non capire ...una mazza (non sono volgare come te).
A parte il fatto che ai tempi di Kant nemmeno esisteva il concetto di "elettrone", e dunque il grandissimo konigsberghese (o kaliningradese, come preferisco chiamarlo per ragioni che Oxdeadbeef può bene intuire) non poteva parlarne in alcun modo, l' elettrone é un ente teorico proposto dalla scienza per conoscere i fenomeni materiali, facente parte (fino ad eventuale falsificazione, cosa che in linea di principio non si può escludere) dei fenomeni materiali così come sono descritti e conosciuti dalle scienze fisiche.

Il noumeno (kantiano) o "cosa in sé c' entra come i cavoli a merenda.

Qualcuno sa spiegarmi perché anche la sola conoscenza di quelle poche proprietà (fenomeni) dell'elettrone da noi osservate è stata sufficiente per costruire centrali elettriche, computers, navicelle spaziali, stazioni radio-televisive, telefoni cellulari, ecc., senza sapere una beneamata ceppa dell'elettrone in sé?

CitazioneSemplicissimo:

perché le teorie scientifiche comprendenti l' elettrone sono ottime conoscenze vere (per lo meno in larga misura; comunque limitata; e un' eventuale, non escludibile, falsificazione ne evidenzierebbe ed "enfatizzerebbe" fortemente i limiti) della realtà fenomenica materiale - naturale, dei fenomeni materiali naturali.

A nessuno viene il sospetto che "la cosa in sé" è inosservabile, inconoscibile e indefinible (se non come idea pura, cioè, vuota) proprio perché è solo una fantasia oziosa di un "filosofo" incapace di cercare nel mondo della conoscenza REALE la conferma dei suoi "giudizi-a-priori"?
CitazioneCertamente a nessuno ...che non sia in grado di comprendere la differenza fra fenomeni (comprendenti -per lo meno fino ad eventuale falsificazione- gli elettroni come loro parte integrante) e noumeno o cosa in sé.

Non sarà che l'essenziale della conoscenza sta semplicemente nella corretta interpretazione dei fenomeni e che essa - come disse Laplace a proposito di Dio - non ha alcun bisogno dell'ipotesi della "cosa in sé"?
CitazioneSolo per chi sia (anche se lo nega) scientista.

E non seondo un' ontologia corretta (a mio modesto parere: ovvia, pleonastica precisazione).
#1822
X Carlo Pierini (in particolare in riferimento all' intervento #58 della presente discussione)

C' é una bella differenza fra "scetticismo", cioé dubbio ritenuto razionalmente insuperabile -e conseguente sospensione del giudizio (per lo meno in teoria, prescindendo da quanto eventualmente sottinteso nella pratica)- circa qualsiasi (eventuale, per l' appunto) conoscenza di come é/diviene la realtà effettiva, indipendentemente dal fatto che sia eventualmente anche (realmente) oggetto di pensiero, giudizio, eventualmente conoscenza o meno da una parte, e "relativismo" (per lo meno quel che correntemente oggi si intende per "relativismo", credo di poter dire "a là Angelo Cannata"; il quale purtroppo si é autoimposto di non potermi più replicare qui nel forum), cioé la pretesa che ogni e qualsiasi predicato o giudizio (compresi quelli reciprocamente contraddittori) che si desse circa la realtà effettiva sia ugualmente vero.

Il primo secondo me é la massima espressione del razionalismo, il secondo dell' irrazionalismo.
#1823
Citazione di: davintro il 07 Luglio 2018, 20:36:10 PM
Carlo Pierini scrive:

"Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant."

"Se si avesse UN MINIMO di buon senso, si capirebbe che, se è impossibile conoscere "l'oggetto in sé", sarà A MAGGIOR RAGIONE impossibile conoscere "in sé" <<il nostro modo di conoscere gli oggetti>>.
Solo delle seghe di filosofi come Kant non si rendono conto che predicando dei limiti DI PRINCIPIO alla conoscenza e alla verità si pongono GLI STESSI limiti alla verità di ciò che si predica, cioè, che si taglia il ramo su cui si è seduti. "





Al di là dell'uso di alcuni toni, mi pare di poter condividere il senso fondamentale di questi passi, che sembrano avvicinarsi a quelle che sono anche le mie perplessità sulla gnoseologia kantiana. Il dualismo, gnoseologicamente impostato, tra una sfera di fenomeni (conoscibili) e una noumenica (inconoscibile), rende impossibile qualunque tipo di scienza, compresa la scienza della critica stessa, perché ciò che differenzia la scienza dalla mera opinione consiste proprio nella garanzia razionale della corrispondenza tra la tesi soggettiva e la realtà oggettiva, indipendentemente dal nostro pensiero, garanzia che caratterizza la scienza, in contrasto con la mera opinione, che non ha argomenti per garantire tale corrispondenza, e la presunzione di verità resta puramente arbitraria.

CitazioneDissento dalla tesi che ciò che differenzia la scienza dalla mera opinione consiste proprio nella garanzia razionale della corrispondenza tra la tesi soggettiva e la realtà oggettiva, indipendentemente dal nostro pensiero, garanzia che caratterizza la scienza, in contrasto con la mera opinione, che non ha argomenti per garantire tale corrispondenza.

Infatti David Hume ci ha mostrato che anche al scienza inevitabilmente richiede di fondarsi si postulati indimostrabili, in linea teorica, di principio degni di dubbio.

Inoltre lo studio filosofico (razionalmente critico, ontologico - gnoseologico) della realtà in generale e delle condizioni, limiti, significato della sua conoscibilità non é la stessa cosa della "scienza" in senso stretto (le scienze naturali) e non é detto sia impossibile senza presupporre (aprioristicamente, acriticamente!) i criteri della verità scientifica.


Ora, ridurre il piano della conoscibilità e della scienza ai "fenomeni" vuol dire negarsi le basi per la possibilità di qualunque scienza, in quanto i fenomeni, in quanto tali, sono sempre manifestazioni ad una certa coscienza individuale, apparenze che non necessariamente corrispondono a una realtà oggettiva, e la mancata garanzia razionale della corrispondenza fra apparenze soggettive e realtà oggettive, non può che condurre a esiti teoretici solipsisti o scettici in quanto manca la possibilità di notare come i fenomeni coscienziali soggettivi rimandino a una realtà oggettiva trascendente rispetto a noi stessi, proprio perché il complesso dei fenomeni sarebbe intrascendibile dal punto di vista della ragione (al massimo solo per un atto di fede o in virtù di alcune esigenze morali).

Citazione
Essere consapevoli del fatto che i fenomeni, in quanto tali, sono sempre manifestazioni ad una certa coscienza individuale, apparenze che non necessariamente corrispondono a una realtà oggettiva, e la mancata garanzia razionale della corrispondenza fra apparenze soggettive e realtà oggettive non necessariamente conduce a esiti teoretici solipsisti o scettici in quanto che i fenomeni coscienziali soggettivi rimandino a una realtà oggettiva trascendente rispetto a noi stessi, proprio perché il complesso dei fenomeni sarebbe intrascendibile dal punto di vista della ragione si può, per quanto solo per un atto di fede (ed esserne consapevoli significa essere più conseguentemente razionalisti che ignorarlo coltivando beate illusioni in proposito).
Ma di fatto le sceinze naturali studiano e conoscono la realtà fenomenica materiale naturale (o divenire dei fenomeni materiali naturali).
Davintro:
Eppure la critica kantiana è un impegno teoretico che si è presentato a tutti gli effetti come "scienza", costituita da una serie di affermazioni il cui portato di verità è stato presentato come oggettivo e razionale, cioè indipendente dall'arbitrarietà delle opinioni soggettive. 

CitazioneSgiombo:
Credo (nei limiti della mia scadente conoscenza di Kant) che ciò sia effettivamente ciò che sostiene Kant stesso; ma mi permetto in tutta modestia da dissentirne.


Davintro:
Kant ha potuto sostenere le sue tesi perché convinto di aver oggettivamente ragione, che le sue idee non fossero solo apparenze, ma adeguate alla realtà delle cose, quindi le sue pretese implicano necessariamente un trascendimento dei fenomeni , cioè delle apparenze, come unico riferimento della scienza, ed è qui la sua implicita contraddizione. 

CitazioneSgiombo:
Per quel poco che ne so, qui credo di poter dissentire: solo attraverso la critica della ragion pratica (l' analisi del dovere morale), dunque non razionalmente, non dimostrandolo o empiricamente rilevandolo attraverso la (critica della) ragion pura, Kant crede di attingere alla conoscenza del noumeno trascendendo (quella de-) i fenomeni.

 Davintro:
Trovo in fondo un'ovvietà che ogni conoscenza non possa evitare di basarsi su fenomeni, che necessiti che le cose si manifestino a una coscienza, il problema da porsi è se questi fenomeni restino fermi in se stessi o siano in grado di rispecchiare qualcosa che "fenomeno" non è, ossia le cose nella loro oggettività, il cui manifestarsi a una certa coscienza non è un tratto essenziale del loro essere. Insomma, se la premessa da cui partire è " non possiamo conoscere che fenomeni" allora nessuna scienza, compresa la scienza della critica, è possibile, perché avrebbe a che fare solo con apparenze soggettive, senza la possibilità di individuare una corrispondenza fra tali apparenze soggettive "fenomeni" e le cose stesse,  cioè di formulare un qualsivoglia giudizio vero , vero non solo per me. 


CitazioneSgiombo:
Qui secondo me, come ho cercato di argomentare in risposta ad Oxdeadbeef (risposta #66), bisogna distinguere fra "inseità" degli oggetti di giudizio (eventualmente di conoscenza vera), fenomenici o neumenici che siano, da una parte e "inseità" del noumeno inteso come oggetti (e soggetto) delle sensazioni fenomeniche (e non della conoscenza, di essi o meno), reali anche indipendentemente dalla realtà o meno delle sensazioni stessi (anche allorché, se e quando queste non sono reali).

E la conoscenza dei fenomeni materiali, da parte del senso comune e a un livello di "profondità" o sofisticazione ben maggiore da parte della scienze naturali, é ben possibile a certe condizioni indimostrabili (Hume, a mio parere per niente superato da Kant).


Davintro:
Infatti dei due termini del confronto fra fenomeni o apparenze soggettive e cose stesse o realtà oggettive, potremmo conoscere solo il primo, e dunque il raffronto, la verifica della corrispondenza sarebbe impossibile.
L'esito inevitabile è lo scetticismo più estremo 
CitazioneSgiombo:
Sì, ma non impossibile é invece postulare l' intersoggettività (e non: l' oggettività, che potrebbe essere propria unicamente dalla cosa in sé) dei fenomeni materiali; e alla condizione (indimostrabile) che la fosse, la conoscenza scientifica (e comunque intersoggettiva, anche quella del "senso comune") dei fenomeni materiali stessi sarebbe possibile.

In questo senso l' esito dello scetticismo più estremo effettivamente é razionalisticamente inevitabile (ma non fideisticamente... Ed esserne consapevoli significa essere più conseguentemente razionalisti e sapere, capire di più della "realtà delle cose" che ignorarlo).


Davintro:
Se invece la premessa è "non possiamo conoscere che TRAMITE i fenomeni" allora la possibilità di una scienza, quindi anche della legittimazione razionale della critica kantiana, si riapre. La sfera dei fenomeni non esaurirebbe in sé il complesso del "conoscibile", chiusa in se stessa, ma presenterebbe un certo carattere di dinamicità, nella capacità di rimandare a qualcosa di altro da sé, cioè la realtà oggettiva, che i fenomeni potrebbero adeguatamente a rispecchiare. 

CitazioneSgiombo:

Ma come ? ? ?

Attraverso quali processi gnoseologici?


Davintro:
Quel "TRAMITE" da un lato rende ragione di una relazione fra fenomeno e cosa oggettiva, che eviti ogni dogmatismo che pretenda di fare affermazioni sulla realtà oggettiva senza rendere conto delle forme con cui tale realtà si manifesterebbe alla sua esperienza, rendendosi, appunto, fenomeni, ma dall'altro rompe l'identità fra "fenomeno" e conoscibile", preservando un certo margine di distanza fra i due ambiti, che la razionalità può attraversare passando dall'uno all'altro (questo attraversamento della razionalità è penso ciò che la fenomenologia definirà come "intenzionalità", questa spinta dinamica della coscienza ad andare al di là della propria immanenza attribuendo senso a un mondo oggettivo, aprendosi così ad esso), partendo dalla ricezione dei fenomeni, ma non più fermandosi ad una pura ricezione passiva e indifferenziata, ma attivandosi cercando di interpretandoli, mirando a valutarne il livello di rispecchiamento con le cose stesse, sulla base dei propri criteri fondamentali logici di verità. I fenomeni resterebbero l'indispensabile punto di partenza della conoscenza, ma non più il suo necessario sbocco conclusivo


CitazioneSgiombo:

Ma dov' é, che cos' é quel "TRAMITE" (al di là di una "intenzionalità" intendibile unicamente -a mio parere- come una mera aspirazione soggettiva, una del tutto soggettiva e velleitaria (senza alcun dimostrabile o empiricamente constatabile fondamento oggettivo) spinta dinamica della coscienza ad andare al di là della propria immanenza attribuendo senso a un mondo oggettivo, aprendosi così ad esso?

In questo modo a mio parere non si supera affattio Kant e il suo irrazionale, fideistico ricorso alla ragion pratica.
#1824
Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 17:38:36 PM

Certo, nel processo della conoscenza il soggetto non è da solo, c'è anche il supporto fondamentale di un "oggetto", un'alterità, che ispira la conoscenza e che innesca i fenomeni percepiti dal soggetto. Per quanto il soggetto si (auto)condizioni nel suo cercare di comprendere l'oggetto, ciò non può comportare l'assoluta indipendenza dall'esser-altro dell'oggetto.

Secondo me, la convenzione è "totale arbitrarietà" non nel senso di puro caso o imprevedibilità o assenza di regole possibili, ma di arbitrarietà degli assiomi (o delle definizioni) da cui deriva la non-arbitrarierà della loro applicazione e della loro coerenza; per questo la scienza funziona, si corregge e si "perfeziona".
Come dire, l'alfabeto e la grammatica di una lingua sono arbitrarie, puramente convenzionali, ma una volta accettate, ogni lingua funziona a meraviglia sul piano intersoggettivo e in modo niente affatto casuale (oppure si potrebbe far l'esempio dei differenti sistemi di misurazione, "centimetri" vs "pollici", ma credo che ci siamo intesi  ;) ).

Concordo con l' esempio delle diverse unità di misura, non con quello delle diverse lingue.

Infatti nel caso delle lingue le definizioni dei vocaboli sono integralmente arbitrarie, si potrebbe chiamare "male" il "bene", "bianco" il "nero", ecc. e viceversa e ci si potrebbe benissimo intendere ugualmente); invece nel caso delle misure arbitraria é solo la scelta dell' unità di misura, non arbitrari ma "intersoggettivamente vincolati" i rapporti quantitativi fra le cose misurate (qualunque unità convenzionalmente, soggettivamente, arbitrariamente si usi, indipendentemente da esse), id es: le misure stesse delle cose (qualsiasi unità di misura si usi per stabilirlo, non si potrebbe mai dire che il Cervino -per quanto molto più qualitativamente bello!- sia più alto del monte Bianco ...a meno di non cambiare arbitrariamente il significato del vocabolo "alto" per attribuirgli quello attualmente di fatto arbitrariamente attribuito al vocabolo "basso").
#1825
Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 15:30:50 PMla percezione del fenomeno, non è il fenomeno, e il fenomeno della cosa, non è la cosa.

CitazioneDissento:

Fenomeno == (contenuto di) percezione.

Cosa può mai essere il fenomeno (materiale o mentale) di diverso da percezioni (le percezioni, per l' appunto, del fenomeno stesso)?

E cosa mai può essere una cosa, se il fenomeno é il fenomeno della cosa stessa, se non la cosa in sé o noumeno?

Il fenomeno non è oggetto empirico (ma percettivo), l'oggetto in sé invece si suppone lo sia (empirico). Entrambi sono elementi della conoscenza, ma con modalità nettamente differenti: il secondo è, come dicevo, solo postulabile, il primo è studiabile.
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 13:39:42 PMDissento: per me fenomeno == oggetto empirico.

E oggetto in sé (per definizione) =/=  oggetto empirico (oggetto empirico == fenomeno =/= oggetto in sé ovvero noumeno).

Per definizione solo i fenomeni (etimologicamente, dal greco, ciò che appare, di cui si ha consapevlezza) sono oggetti della coscienza e non le cose (od oggetti) in sé.

E infatti proprio per questo le cose in sé sono postulabili, mentre i fenomeni (empirici) sono empiricamente (per l' appunto) evidenti e conseguentemente studiabili.


#1826
Citazione di: Phil il 07 Luglio 2018, 12:06:52 PM
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 09:33:53 AM
ma le tue sono, invece, solo parole il cui significato "in sé" è inconoscibile. ....Parole al vento...!
Sicuramente per alcuni... tuttavia resto ottimista e, spero, non per tutti! :)

Per esempio non per me (per quel poco che la cosa possa contare), malgrado i nostri reciproci dissensi non da poco.
#1827
Citazione di: Carlo Pierini il 07 Luglio 2018, 11:00:59 AM


CARLO
Un oggetto inconoscibile è un non-oggetto, cioè, è un "significante" privo del suo "significato". Affermare che l' "oggetto in sé" è inconoscibile e che, invece, il "fenomeno" è conoscibile significa giocare con le parole, perché anche il fenomeno è un oggetto della conoscenza, quindi, con lo stesso gioco della minchia, potremmo dire che <<è conoscibile il fenomeno, ma non il "fenomeno in sé">>, infilandoci così in un circolo vizioso nel quale alla fine scopriamo che NULLA è conoscibile e che NULLA può essere considerato "verità", nemmeno la filosofia di Kant.
CitazioneBel gioco della minchia davvero (il tuo) !

Infatti apparente, sensibile =/= conoscibile



A me invece fa pensare alla Scienza, laddove il concetto di "legge della fisica" (ordo et connexio rerum ac ordo et connexio ...numerorum) rappresenta un grado superiore di conoscenza (rispetto alla conoscenza pre-scientifica) dal momento che la scoperta di alcune (poche) leggi riguardanti il mondo fisico ci ha permesso di realizzare cose che solo quattro o cinque secoli fa si sarebbero chiamate "magìe" (volare, andare sulla luna, comunicare in tempo reale da distanze enormi, guarire quasi tutte le malattie che affliggono gli uomini e gli animali, ...e le altre migliaia di conquiste della conoscenza).
Di fronte a tutto ciò, l'inconoscibilità della "cosa in sé" di Kant fa ridere i polli.
CitazioneA parte il fatto che le applicazioni tecniche della conoscenza scientifica hanno anche conseguenze dannosissime, oltre che utilissime, all' umanità, fino a farle correre il serio rischio di "estinguersi prematuramente e di sua propria mano" (ma questa é un' altra questione...), sarebbe come dire che, poiché Eddy Merckx é stato un supercampionissimo di ciclismo che é difficile pensare possa essere superato, allora Mark Marquez, o Ayrton Senna, o Pietro Mennea o Szlatan Ibrahimovic fanno ridere i polli (pretesa, questa sì, che fa sbellicare dalle risa qualsiasi gallinaceo e non solo).

Gli straordinari successi delle scienze naturali non scalfiscono minimamente la corposità e l' importanza delle questioni metafisiche (ed etiche, ed estetiche, e gnoseologiche, ecc.) né la genialità delle sue espressioni più elevate (al di là di qualsiasi eventuale dissenso, come da parte mia accade di fatto rispetto a Kant).


CARLO
Se si avesse UN MINIMO di buon senso, si capirebbe che, se è impossibile conoscere "l'oggetto in sé", sarà A MAGGIOR RAGIONE impossibile conoscere "in sé" <<il nostro modo di conoscere gli oggetti>>.
Solo delle seghe di filosofi come Kant non si rendono conto che predicando dei limiti DI PRINCIPIO alla conoscenza e alla verità si pongono GLI STESSI limiti alla verità di ciò che si predica, cioè, che si taglia il ramo su cui si è seduti.
CitazioneCaricaturale fraintendimento di Kant semplicemente osceno.
#1828
Citazione di: 0xdeadbeef il 07 Luglio 2018, 10:31:03 AM
Citazione di: sgiombo il 06 Luglio 2018, 18:49:48 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 17:02:22 PMPerdonami Sgiombo ma ancora credo di non ever capito (capirai bene che l'età avanza...)
Stai dicendo che anche il concetto di "noumeno" è un fenomeno? Certo che lo è, ci mancherebbe.
Il "noumeno", in quanto espresso dal soggetto interpretante Immanuel Kant, è indubitabilmente un fenomeno.
Aggiungerei anzi che persino il pensare (un certo oggetto o un certo concetto), prima ancora che il nominare,
"inserisce" quell'oggetto (con il termine "oggetto" ci si può riferire sia alla "res cogitans" che a quella
"extensa") all'interno di una precisa catena segnica, come afferma acutamente C.S.Peirce.
Questo vuol dire che QUALSIASI pensiero è fenomeno, quindi lo è anche il pensiero del noumeno.
Tuttavia, dice Kant, il noumeno come, diciamo, non-fenomeno è "intuibile" (ed ecco il perchè egli chiama
"noumeno" la cosa in sè).
Trovo che la semiotica abbia in seguito spiegato perfettamente il motivo di questa "intuibilità".
Se pensare è già "segnare", cioè è inserire l'oggetto pensato in un preciso riferimento interpretativo,
deve comunque esistere un "qualcosa" originario cui quel pensiero si è riferito.
La semiotica chiama in vari modi questo "qualcosa originario" ("evento", "primum" etc.). Ed esso è
solo e soltanto "intuibile" (come "assenza" dice la semiotica non del tutto a sproposito - anche se personalmente non sono del tutto d'accordo) appunto perchè già il solo pensarlo ne cambia radicalmente il riferimento.
Boh, spero di averci preso...
saluti

Caro Mauro, anche la mia di età (malgrado la bicicletta, che credo entrambi continuiamo a praticare) avanza, e l' Alzheimer incombe: anzi, nel mio personale caso temo proprio inizi a imperversare...
Ma tant' é: teniamo duro!

A me non interessa tanto un' esegesi di Kant, che per parte mia conosco ben poco, avendolo studiato indirettamente (salvo l' unica lettura originale dei Prolegomeni) nei tempi ahimé ormai lontanissimi del liceo, mentre tu ne sei evidentemente un forte (e appassionato) conoscitore (per lo meno come io lo sono di Hume), quanto piuttosto un' originale riflessione sui problemi della conoscenza e della realtà in generale (gnoseologia e ontologia), anche attraverso "spunti kantiani liberamente -e magari alquanto sgangheratamente e poco o punto fedelmente- intesi e sviluppati".
Quindi il mio uso di concetti come "cosa in sé e "noumeno" potrebbe essere approssimativo e impreciso (quantomeno) e richiederci uno "sforzo di reciproca traduzione" onde intenderci.

Io distinguerei due ordini di questioni circa le quali é facile la confusione.
Il primo é quello generalissimo del "pensiero della realtà (intesa assolutamente in generale, fenomenica, in sé ovvero noumeno, o quant' altro)": la realtà in quanto pensata ed eventualmente conosciuta da parte del soggetto di pensiero (ed eventualmente di conoscenza: predicato o giudizio vero) di essa, la "realtà per il soggetto" di pensiero ed auspicabilmente di conoscenza, e della "realtà effettiva" (realtà sempre intesa assolutamente in generale: fenomenica, in sé ovvero noumeno, o quant' altro), tale indipendentemente dall' eventuale accadere realmente o meno, inoltre, anche del pensiero (ed eventualmente della conoscenza o pensiero vero, verità del pensiero) di essa.
A questo proposito mi permetto, in tutta modestia e con tutto il dovuto rispetto (esattamente al contrario di Carlo Pierini, per intenderci), di dissentire da Kant (fra l' altro, che in gran parte probabilmente nemmeno comprendo) circa la possibilità di giudizi sintetici a posteriori.
Per me si danno solo giudizi analitici a priori, certi ma conoscitivamente sterili (circa ciò che realmente é/accade o meno) e giudizi sintetici a poseriori, conoscitivamente fecondi (forse!) ma insuperabilmente incerti, dubbi (per l' appunto, forse conoscitivamente fecondi).

Il secondo ordine di questioni é quello dei rapporti fra fenomeni, soggetto e oggetti dei fenomeni ovvero sensazioni (e non, in questo secondo caso, di pensiero, predicato o giudizio meramente concettuali, mentali circa la realtà di fatto, ciò che realmente accade o meno indipendentemente dal fatto che inoltre, eventualmente, lo si pensi o meno), e cose in sé.
Secondo me di ciò che sentiamo (della realtà, sia materiale sia mentale, cui abbiamo "accesso" sensibile o fenomenico) l' "esse est percipi": accade realmente solo in quanto insiemi e/o successioni di sensazioni fenomeniche coscienti e fintanto che (e non "oltre" tutto ciò) sensazioni fenomeniche coscienti sono presentemente in atto.
Ciò significa che se c' é un soggetto (nota bene: in questo secondo caso non di pensiero -ed eventualmente di conoscenza- circa la realtà di fatto, ma invece di sensazione) e se ci sono oggetti (pure di sensazione), reali anche indipendentemente dall' accadere delle sensazioni fenomeniche stesse, anche se e quando esse non accadono (quando non vedo il solito splendido cedro del libano, che ormai avrete capito invidio al mio vicino di casa; in tutta benevolenza, però... O quando non sono cosciente anche di me stesso, oltre che di altro, come nel sonno senza sogni), allora esso é altro da esse (sarebbe una colossale contraddizione il pretendere che con esse si identifichi, essendo reale anche se e quando esse non sono reali!); e allora é invece qualcosa di "in sé", congetturabile (noumeno) e non sensibilmente (=ai sensi esterni ed interno, alla coscienza) apparente (non fenomeni).

Quindi concordo che qualsiasi pensiero (anche il pensiero del noumeno; ma non il noumeno suo denotato o estensione reale, se effettivamente c' é, cosa indimostrabile e tantomeno -per definizione!- empiricamente ovvero fenomenicamente constatabile) é fenomeno, cioé insieme di sensazioni coscienti, di tipo mentale (e non materiale).
Per me il noumeno é pensabile (e non sensibile, non percepibile coscientemente, al contrario del pensiero -ovviamente fenomenico- del noumeno), "intuibile", certo (in questo credo di concordare con Kant).

Personalmente in fatto di semantica seguo soprattutto Frege (che trovo geniale quasi quanto Hume, che é tutto dire!).
Dunque credo che Se pensare è già "segnare", cioè è inserire l'oggetto pensato in un preciso riferimento interpretativo, non necessariamente deve comunque esistere realmente (indipendentemente dall' eventuale realtà pure del pensiero di esso) un "qualcosa" originario cui quel pensiero si è riferito.
Necessariamente, per definizione, deve esistere una connotazione o intensione (meramente concettuale, "cogitativa") del concetto pensato (la sua arbitraria, di fatto più o meno convenzionale definizione), ma non una sua estensione o denotazione reale (può esistere per esempio nel caso del pensiero di un cavallo, non in quello del pensiero di un da me amatissimo ippogrifo (ma che nostalgia delle discussioni con l' ottimo Maral in proposito!).

Salutoni!
#1829
Phil:
La relazione cosìddetta "oggettiva" è comunque posta dal soggetto: le grandezze fisiche in questione sono state definite e identificate convenzionalmente dal soggetto, quindi sono soggettive (non nel senso di "opinabili", ma letteralmente: prodotte dal soggetto).
Anche la misurazione di tali grandezze (v. matematica applicata) è in tal senso soggettiva: è un'attività del soggetto secondo idee, strumenti logici e regole da lui formulate. Tali idee sono del soggetto, non dell'oggetto su cui vengono proiettate.
Il che non significa che la scienza più "manifesta" non funzioni in modo regolare e attendibile (è innegabile), ma soltanto che, esempio banale, quando misuro qualcosa in centimetri, tale unità di misura non è oggettiva (dell'oggetto), non appartiene alla "natura" o all'"essere" dell'oggetto, ma è soggettiva, ovvero è del soggetto che "sovrappone" le sua idea di "centimetro" (la sua "griglia") all'oggetto che misura. 

Detto altrimenti, l'oggetto misurato, in quanto tale, non è fatto in/di centimetri, bensì è il soggetto che lo inquadra secondo l'idea astratta di centrimetro, che dà un senso al centrimetro come misura fisica, "leggendo" quindi l'oggetto secondo quella (convenzionale, dunque soggettiva) unità di misura.


Sgiombo:
Di soggettivo e arbitrario vi é solo la scelta dell' unità di misura, non le misure (i rapporti ra grandezze) reali di enti ed eventi fenomenici materiali, le quali invece possono benissimo essere postulate (anche se non dimostrate) essere intersoggettive; e a questa condizione non dimostrabile (ma postulabile: non é dimostrabile nemmeno il contrario, la sua negazione) la realtà fenomenica materiale é conoscibile scientificamente.
Puoi arbitrariamente, soggettivamente decidere di misurare l' altezza del Monte Bianco in pollici, in spanne, in braccia, in anni luce (numero decimale con molti "zero" dopo la virgola), ma il rapporto reale, (ammissibile essere) intersoggettivo fra di esso e la 40 000 parte del meridiano terrestre non può che risultare "sempre" (fino a colossali sconvolgimenti geologici) e per chiunque con buona approssimazione di 4810/1, e non affatto variare ad libitum secondo le soggettive preferenze di chichessia.



Phil:
Per cui, secondo me, descrive una idilliaca (e utopica) simmetria che ignora l'impossibilità di conoscere l'"ordo et connexio rerum" senza l'inevitabile mediazione delle idee: non è possibile conoscere "in sé" qualcosa di empirico se non tramite le nostre idee, le nostre categorie (e la nostra intenzionalità, per dirla con Husserl).


Sgiombo:
Che la conoscenza sia sempre inevitabilmente -per definizione- descrizione almeno limitatamente, relativamente, parzialmente "conforme" o verace della realtà da parte di un soggetto 
(tramite concetti o "idee" suoi propri) é a mio parere un fatto del tutto ovvio e alquanto banale che non toglie la postulabile intersoggettività della realtà fenomenica materiale.




Phil:
Lo stesso concetto di "ordine" è un'astrazione: non possiamo dire sia "reale", poiché è piuttosto una categoria con cui interpretare la realtà; parlare di "ordo rerum" significa dunque utilizzare già l'"ordo idearum" (idea di ordine), che ri
sulta quindi dominante e logicamente primario rispetto all'altro (supposto) "ordo", inglobandolo.

Sgiombo:
Il divenire naturale ordinato della natura (fenomenica) materiale é indimostrabile (Hume).
Ma ciò non toglie che sia postulabile realmente accadere consentendone la conoscenza scientifica (che a quanto pare dalle sue applicazioni tecniche funziona egregiamente, sia nel bene che nel male).




Phil:
Inoltre, possono ovviamente esserci idee che non corrispondono a qualcosa di empirico (ma, in teoria, non può essere il contrario), ed ecco che non c'è quindi quella gaia simmetria fra apporto del soggetto e supporto dell'oggetto   

Questo misterioso "qualcosa di empirico" che sfuggirebbe inevitabilmente al nostro "sguardo" conformante (non possiamo "guardarlo" senza usare i nostri occhi come strumento, e ogni strumento è sempre condizionante) è il (postulato) noumeno kantiano, la cosa-in-sé.


Sgiombo:
Per come la intendo io, la cosa in sé o noumeno kantiano é un' altra cosa: ciò che é reale "oltre" la realtà fenomenica materiale (e secondo me anche mentale), la realtà del quale (del noumeno), contrariamente a qaulla dei fenomeni, non si esaurisce nell' atto dell' apparire alla coscienza.
E infatti Kant ne considera giustamente impossibile una conoscenza da parte della ragion pura (una constatazione empirica), ma solo da parte della ragion pratica (in sostanza, a mio parere, per fede; come comprendente Dio e l' immortalità delle anime umane, a mio modestissimo parere erroneamente).



#1830
Citazione di: davintro il 06 Luglio 2018, 17:56:17 PM
Per Sgiombo



Sono d'accordo sul fatto di non dover considerare le categorie a priori nella mente come reali di fatto, ciò che sostengo è che, anche se consistenti in enti non fattuali ma concettuali, sono comunque, evidentemente, oggetto di una conoscenza (altrimenti come potrebbe la critica kantiana accorgersi della loro presenza come strutture costitutive e necessarie della mente umana?), ma dovrà essere di un tipo di conoscenza diverso da quello sufficiente a ricevere i fenomeni degli oggetti sensibili, cioè dovrà fondarsi su un'intuizione intellettuale, appropriata a cogliere delle strutture e giudizi riconoscibili come validi aprioristicamente e universali. E questo tipo di conoscenza dovrà essere considerata "scienza" a tutti gli effetti, altrimenti la critica stessa, oggettivante questo nucleo aprioristico, dovrebbe negarsi come "scienza", per legittimare se stessa dunque dovrà allargare il campo della "scienza" al di là del campo ristretto del materiale consistente solo in fenomeni sensibili, riconducibili alle categorie estetiche di "spazio" e "tempo", cioè empirici. Insomma nel momento in cui Kant parla di "apriori", "trascendentale" questi concetti non possono più solo essere "forme", "funzioni", ma a tutti gli effetti "materia", "oggetto" di una specifica scienza, cioè la scienza critica, senza per forza bisogno di associarli a realtà fattuali o sostanziali. Del resto se si condivide l'assunto che qualunque cosa per essere conosciuta debba essere oggetto immanente di vissuti coscienti, indipendentemente dall'associarli a fatti reali (ed è per questo che dell'ippogrifo possiamo averne una conoscenza, cioè possiamo averne una rappresentazione e porlo come soggetto di giudizi anche consapevoli della non corrispondenza del concetto con un'esistenza fattuale), allora non vedo il problema di sostenere l'idea di una conoscenza, una scienza, oggettivante una sfera intelligibile, noumenica, identificabile con il complesso delle strutture necessarie, trascendentali della mente umana, senza per forza pretendere che tale sfera sia proiettabile come esistenza fuori dalla nostra mente, considerata come "realtà" o "sostanza"
Citazione
Ma una cosa é la conoscenza*** di un racconto inventato, con una trama arbitrariamente stabilita indipendentemente da ciò che realmente é/accade o meno (per esempio l' Orlando Furioso, nell' ambito del quale esistono gli ippogrifi), oppure la conoscenza** di ciò che analiticamente a priori può essere ricavato da un insieme di definizioni, postulati, assiomi arbitrariamente stabiliti indipendentemente da ciò che realmente é/accade o meno (per esempio le vaie geometrie, a cominciare da quelle euclidea), un' altra ben diversa cosa é la conoscenza* (necessariamente attraverso giudizi sintetici a posteriori) di ciò che realmente é/accade o meno anche indipendentemente dall' eventuale essere pure pensato, predicato accadere o meno.

La conoscenza** logica-matematica (giudizi analitici a priori) é sì un tipo di conoscenza diverso da quello sufficiente a ricevere i fenomeni de- (più correttamente: i fenomeni, id est) -gli oggetti sensibili (i quali sono enti e/o eventi reali indipendentemente dal fatto che li si pensi, che li si predichi o giudichi sinteticamente a posteriori o meno), che dovrà fondarsi su ragionamenti appropriati a cogliere delle strutture e giudizi riconoscibili come validi aprioristicamente e universali ma che comunque nulla ci dicono di ciò che realmente é/accade o meno anche indipendentemente dal fatto eventuale che lo si pensi o meno.
E che si chiami anche questo tipo di conoscenza (logica o logico-matematica) "scienza" o meno é solo una questione terminologica arbitraria, convenzionale, sulla quale in linea di principio ci si può sempre accordare, ma che non inficia minimamente il fatto a mio parere estremamente importante che essa, al contrario delle scienze naturali costituite da giudizi sintetici a posteriori (constatazioni empiriche e induzioni e ipotesi teoriche empiricamente testate e induttivamente estese) gravati da un' insuperabile incertezza nulla ci dice di ciò che realmente é/accade o meno anche indipendentemente dal fatto eventuale che lo si pensi o meno.
Questo che scrivo in grassetto é per me "il problema" di una conoscenza, una scienza, oggettivante (?) una sfera intelligibile, noumenica (ma solo nel senso di non esserefenomenicamente percepita e non nel senso di essere qualcosa di reale -di proiettabile come esistenza fuori dalla nostra mente, di considerabile come "realtà"- anche indipendentemente dal fatto eventuale di essere pure oggetto di considerazione teorica, di pensiero o meno.





I fenomeni intesi come "essenza" vanno visti come il residuo della messa tra parentesi di tutti gli aspetti del fenomeno, contingenti, cioè relativi alla condizione individuale del singolo soggetto che ne fa esperienza. Ciò che resta dopo la riduzione è ciò che del fenomeno resta tale indipendentemente dalle circostanze particolari, il nucleo costantemente e necessariamente presente in ogni sua possibile manifestazione empirica che accade in una certa coscienza individuale, un nucleo che vale per ogni individualità possibile. Così si passa dal soggetto empirico, questo singolo Io individuale con certe particolari proprietà, al soggetto trascendentale, il complesso delle strutture necessarie e fondamentali di ogni coscienza, del resto lo stesso ambito che Kant, a suo modo, ha provato a individuare nella sua critica. Questo "fenomeno-essenza", certamente, è un'astrazione, un concetto, non esistono autonomamente nella nostra realtà psichica, ma solo come comprendenti le determinazioni particolari inerenti le individualità, cioè nessuno concretamente ricorda il "ricordo in sé", l'essenza del ricordo, ma i SUOI ricordi, legati alla propria storia individuale. Eppure per un altro aspetto queste essenze non sono in assoluto astrazioni, ma possono essere considerate come "concrete" perché consistono nel senso generale che specifica una certa serie di fenomeni distinguendola dalle altre, un senso che riconosciamo come qualità dell'esperienza vissuta, che se non fosse esperita non potrebbe permettere di distinguere una specie di fenomeni dalle altre, e conseguentemente anche poterla definire in un certo modo. Nessuno ricorda il "ricordo in sé" in forma pura e autonoma, ma ci rendiamo conto di un senso, che ci consente di riconoscere il nostro particolare ricordo come appunto un "ricordo", e non una percezione presente o un aspettativa futura, dunque abbiamo un'intuizione intellettuale dell'essenza del fenomeno "ricordo", non realmente psichica a tutti gli effetti, perché psichicamente abbiamo esperienza di un particolare ricordo, ma comunque come qualità esperibile, quindi a suo modo concreta, in base a cui possiamo avere una nozione dell'idea di ricordo in generale.
Citazione
Allora mi pare che tu semplicemente intenda per "essenza" gli aspetti generali e astratti (considerabili come tali da parte del pensiero che li distingue dal resto particolare e concreto) della realtà fenomenica.
Ma non comprendo come in ciò (che riguarda i fenomeni e non l' eventuale loro soggetto e gli eventuali loro oggetti in sé) si possa passare dal soggetto empirico, questo singolo Io individuale con certe particolari proprietà, al soggetto trascendentale, il complesso delle strutture necessarie e fondamentali di ogni coscienza (che non capisco che cosa possano essere).
I fenomeni sono integralmente appartenenti alla coscienza "individuale" in cui accadono (ovvero vengono esperiti, sentiti) e così pure i loro aspetti generali astratti considerabili dal pensiero, anche se i fenomeni materiali possono essere postulati (non dimostrati) essere intersoggettivi (cioè biunivocamente corrispondenti fra le diverse esperienze fenomeniche coscienti, pure postulabili e non dimostrabili essere reali, salvo la "propria" immediatamente sentita, apparente); e ciò é anzi necessario da postularsi perché se ne possa dare conoscenza scientifica.
 
Nessuno concretamente ricorda il "ricordo in sé", l'essenza del ricordo, ma i SUOI ricordi, legati alla propria storia individuale e tuttavia tutti possono avere la nozione astratta di che cosa sono i ricordi, di che cosa é ciascun ricordo, pensarci sopra, predicarne sensatamente e più o meno veracemente.
 
E non vedo proprio come queste astrazioni (nell' ambito dei fenomeni) possano non essere in assoluto astrazioni, ma possano essere considerate come "concrete" per il fatto che consistono nel senso generale che specifica una certa serie di fenomeni distinguendola dalle altre, un senso(unicamente nell' ambito dell' esperienza cosciente di chi le pensa e i rispettivi sensi ne stabilisce arbitrariamente) che riconosciamo come qualità dell'esperienza vissuta, che se non fosse esperita non potrebbe permettere di distinguere una specie di fenomeni dalle altre, e conseguentemente anche poterla definire in un certo modo: il fatto che i concetti astratti, arbitrariamente definiti in un certo medo per convenzione, consentano di distinguere le varie specie di fenomeni non vedo come possa renderli in un qualche modo sensato "concreti" (per esempio come possa rendere "concreto" il concetto astratto di "ricordo").