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Messaggi - Phil

#1831
Citazione di: Angelo Cannata il 06 Dicembre 2017, 00:08:11 AM
Non trascuriamo che la trasformazione antropologica in corso contiene anche approfondimenti e strumenti per l'umanesimo, ma su questo mi sembra che non sia difficile osservare nel presente un aumento di massificazione e potenza massificatrice rispetto al passato.
Rispetto all'epoca dei nostri nonni (ma non parlo dei nonni dei pochi rampanti ventenni del forum ;D ), dobbiamo anche riconoscere che la "massificazione" comprende anche l'alfabetizzazione di massa e l'informatizzazione-informazione di massa, per cui, se da un lato, i mass media raggiungono tutti e tutti comunicano con tutti (vedi la babele dei social), mentre prima era più facile essere "fuori dal mondo" pur vivendo in società, dall'altro lato è parimenti vero che la massa ha oggi a disposizione molti strumenti (cognitivi, culturali, etc.) per acquisire consapevolezza critica, strumenti che prima le erano preclusi per numerosi fattori (quindi "massificazione" è pur sempre sorellastra della benemerita "democratizzazione").
Parliamo spesso di massificazione con connotazione negativa di appiattimento, conformismo, assenza di riflessione; in fondo, non è sempre stato così per ogni massa, proprio in quanto tale? Ciò non significa certo che sia un bene (né un male  ;) ), ma nemmeno che stiamo rilevando una peculiarità emergente della situazione contemporanea, che dovrebbe spingerci con crucciata operosità a correre ai ripari. Non confonderei la nuova risonanza pubblica-mediatica di tale massificazione, con la sua antica presenza che ha da sempre accompagnato le società (non scommetterei che nel romanticismo o nell'antica Grecia la massa fosse particolarmente profonda e riflessiva, né che non ci fosse una massa piuttosto uniforme per "forma mentis"...).

Quello che non colgo è l'istanza di urgenza, di svolta epocale (in negativo), di allarme per la condizione umana, come se l'uomo si stesse improvvisamente smarrendo dopo un'epoca d'oro e d'idillio... La trasformazione antropologica della società oggi è certamente cacofonica e ad ampia scala, e in una società vasta, dinamica e "chiacchierona", l'interesse, ad esempio, per la cura spirituale e per il conseguimento di una saggezza pratica, non può essere condivisa volontariamente da tutti: ciò valeva ai tempi di Aristotele, nel medioevo e, a quanto pare, persino oggi, che non c'è più l'alibi del "non so leggere" o del "vorrei informarmi, ma devo spaccarmi la schiena per il feudatario" oppure "non posso che fidarmi di quello che dicono gli eruditi e i saggi vestiti bene".

Partendo da questa constatazione, si può forse calcolare una portata realistica delle eventuali correzioni alla trasformazione antropologica, senza demonizzare troppo i vizi (atavici) della società in cui essa accade, perché, proprio come ci insegna la sapienza antica, cambiano le epoche, le lingue, i confini degli stati e i libri di scienza, ma non il comportamento dell'uomo e della massa (parola che, beninteso, non uso con tono dispregiativo, perché ci sono di casa  :) ).

Citazione di: Angelo Cannata il 06 Dicembre 2017, 00:08:11 AM
Alla fine hai usato la parola "alienante". Ma quale alienazione è più dannosa, quella della massa che non capisce niente di arti, o quella dell'artista che vive isolato dalla massa?
L'alienazione di per sé non è dannosa: come tu stesso ricordavi, il danno o il vantaggio sono sempre relativi alla prospettiva di chi vive l'alienazione (se sceglie autonomamente di viverla, se la ritiene un bene, se invece vorrebbe uscirne, etc.). Dal mio punto di vista, non so se una coscienza artistica più solida sarebbe necessariamente un bene per la massa, né se l'alienazione dell'artista sia poi necessaria per renderlo tale...



Citazione di: Kobayashi il 06 Dicembre 2017, 15:05:03 PM
Tra gli effetti di questa trasformazione antropologica c'è una certa tendenza alla semplificazione, ad un pensiero semplicistico. Se ci si imbatte nella complessità si tratta di una complessità orizzontale, come l'enorme quantità di dati che le tecnologie digitale riescono a memorizzare e ad analizzare. Non si tratta di profondità.
Sulla semplificazione vale quanto osservato sopra riguardo la massificazione: che la massa prediliga il semplice è una certezza storica, probabilmente coessenziale alle dinamiche comunitarie umane. Forse è ingiusto imputare alla nostra epoca una semplificazione eccessiva, soprattutto rispetto al passato: l'attuale complessità della vita del singolo, delle interazioni sociali e del panorama culturale globale (non scordiamolo) e informatizzato (overdose di input, nel bene e nel male), mi sembra non abbia precedenti simili nella storia.
Secondo me, la complessità oggi disponibile è stordente e inestricabile, per questo si sente l'esigenza di provare a semplificare (per cogenze e urgenze pragmatiche), ma la semplicità ottenuta è tale solo in rapporto all'epica complessità potenziale del contesto, non è una semplicità assoluta. Non è da sottovalutare, ad esempio, che la profondità del pensiero (e dell'arte, etc.) del passato non è stata rinnegata o eliminata, ma anzi tutelata (e talvolta rielaborata), risultando disponibile e consultabile "in un click"; fermo restando che ogni metabolizzazione del proprio passato produce scarti, nuove energie e cambiamenti (quindi, potenzialmente, anche nostalgia, timore r svalutazione del nuovo, destabilizzazione, etc.)

Citazione di: Kobayashi il 06 Dicembre 2017, 15:05:03 PM
A questa deriva della semplificazione non vedo come ci si possa difendere se non attraverso l'imposizione di una distanza (che va poi continuamente riprodotta perché il sistema tende a riassorbire ogni elemento refrattario).
Forse il migliore antidoto alla semplificazione orizzontale (anche se non sottovaluterei la qualità, tutta postmoderna, della profondità orizzontale) è già quello di tematizzarla, anzi problematizzarla, dall'interno, magari più con "distacco" che con "distanza", ovvero restandoci immersi ma con una "postura autonoma" (non pedissequamente accondiscendente).
#1832
Citazione di: Il_Dubbio il 07 Dicembre 2017, 00:53:19 AM
Se avessimo seguito soltanto la tua proposta ora non avremmo alcun assassinio; quindi a che pro chiedersi se io sto presumendo un colpevole o accusando un assassino?
Mi sembra che il problema che tu poni non sia sul chi sia l'assassino ma se ci sia stato un morto.
Esatto; se non accertiamo l'effettiva presenza di un morto, che senso ha cercarne l'assassino?
Ovvero, prima di dibattere sul come e dove si "attiva" una forma di libertà, bisognerebbe essere certi, epistemologicamente (non "romanticamente"  ;) ), che essa ci sia davvero...

Citazione di: Il_Dubbio il 07 Dicembre 2017, 00:53:19 AM
Ti avevo chiesto di seguire il ragionamento, ma mi sembra che tu non lo stia seguendo e ciò crea un muro di incomprensione insanabile.
Finora credo di capire come procedono le indagini; tuttavia, se non c'è un morto certo, oppure se sono addirittura proprio le indagini a "crearlo" (fantasmaticamente), mi è solo venuto spontaneo chiedere spiegazioni in merito (un po' come il giornalista curioso che, per far luce su alcune questioni collaterali, finisce con l'intralciare le indagini  ;D ).
#1833
Citazione di: Il_Dubbio il 06 Dicembre 2017, 01:32:48 AM
Quando si presume che una certa sequenza sia deterministica lo si fa in base a cosa?
Direi in base alla categoria di causa/effetto, che è un a priori della nostra comprensione del mondo (come lo spazio, il tempo, etc.).

Citazione di: Il_Dubbio il 06 Dicembre 2017, 01:32:48 AM
Anche se la nostra conoscenza sulla nuvola di Livorno è indeterminata, cosa ci fa pensare che invece la sua formazione sia determinata?
Sempre la suddetta categoria di causa/effetto... oppure possiamo ritenere che la nuvola sia senza causa (ma dimostrarlo epistemologicamente non mi pare facile  ;D ).

Citazione di: Il_Dubbio il 06 Dicembre 2017, 01:32:48 AM
ti propongo questo gioco fantasioso:
assembliamo l'automobile con la coscienza e la nuvola (ammettiamo che l'automobile possa anche volare come una nuvola).
Ora abbiamo sicuramente un pezzo, di questo assemblaggio stano, di cui conosciamo praticamente tutto, un'altro pezzo che conosciamo solo una parte, ed un pezzo che non conosciamo per niente.
Se non lo conosciamo per niente, come possiamo individuarlo esattamente e parlarne adeguatamente? Potrebbe essere solo una congettura che ha valore esplicativo, o un concetto ereditato da metafisiche passate, o una metafora della nostra incapacità di darci un senso?

Citazione di: Il_Dubbio il 06 Dicembre 2017, 01:32:48 AM
Quindi abbiamo una macchina, un insieme di particelle di acqua e una coscienza. Se a Livorno avevamo solo l'1% di probabilità di pioggia e piove a chi daremo la colpa di questa discrepanza tra la bassa percentuale di previsione di pioggia e il fatto che in realtà poi stia piovendo? Sicuramente alla nostra ignoranza delle condizioni a contorno.
Mi sembra estremamente ragionevole.

Citazione di: Il_Dubbio il 06 Dicembre 2017, 01:32:48 AM
Io invece sto cercando di dire che la coscienza aumenta le variabili in gioco, e le probabilità di stabilire un dato evento aumentano enormemente in presenza di una coscienza. Queste variabili non sono deterministiche, perche non sono strettamente la somma dei pezzi che assemblano la macchina.
Non ho ben capito se stai scrivendo un giallo in cui hai deciso che l'assassino è il maggiordomo, oppure se stai leggendo un giallo e presupponi che l'assassino sia il maggiordomo...
Forse lo scoprirò nelle prossime puntate  :)
#1834
Citazione di: Kobayashi il 30 Novembre 2017, 07:57:06 AM
Vi chiedo: è possibile immaginare un ritorno della filosofia alla sua saggezza antica, alla fondazione per esempio di vere e proprie scuole filosofiche o cose di questo tipo?

È immaginabile secondo voi una filosofia che abbandonando la sua ossessione per la conoscenza teorica inizi a costruire concretamente nuovi "custodi interiori", guardiani di un io sempre più smarrito?
Queste due domande, in prima battuta, mi sono sembrate una "strana coppia": da un lato, il ritorno alla saggezza antica, che non trascurava la tecnica del lavoro su se stessi; dall'altro l'abbandono dell'ossessione per la conoscenza teorica proprio nell'attuale epoca della tecnica... la tecnica della solitudine come rimedio (pharmakos platonico inteso à la Derrida?) alla smarrita solitudine nella tecnica...

Il ritorno che comporta abbandono, restauro (da "antiquario", direbbe Nietzsche) del vecchio stile per sfiducia (assenza di fede  ;) ) verso gli stilemi della contemporaneità; eppure, può essere intesa anche come domanda, l'affermazione:
Citazione di: Kobayashi il 04 Dicembre 2017, 13:04:53 PM
urge mobilitare tutta la forza della filosofia se ci si vuole opporre alla trasformazione antropologica in atto
Costeggiando questo presupposto, che non suona scontato a tutti (almeno non a me  ;D ), chiedo: una filosofia che si oppone ad una trasformazione antropologica in atto, è davvero l'auspicata filosofia della saggezza antica?
Ovvero, una tecnica dell'auto-educazione del proprio Io, si oppone spontaneamente alla trasformazione antropologica o, per "funzionare", deve installarsi proprio nella trasformazione antropologica che la circonda (e a cui essa partecipa), senza necessariamente essere destabilizzante, anacronistica o alienante?
#1835
Citazione di: Il_Dubbio il 03 Dicembre 2017, 20:35:35 PM
Se tu credi che sia in questo punto che vada affrontato il problema di quarto livello evidentemente il problema che ho sollevato come anticamera a questo, non lo hai valutato attentamente.
Da quel che ho capito, usi il terzo livello per preimpostare (deterministicamente  ;D ) la risposta alla domanda portante del quarto; nella mia prospettiva, il terzo è invece una postilla marginale la cui spiegazione è compresa nel quarto (come ho cercato di argomentare parlando dell'osservatore...).

Citazione di: Il_Dubbio il 03 Dicembre 2017, 20:35:35 PM
Il fatto che dica che non sia corretto dividere la catena deterministica in esterna e interna è una tua decisione.
Decisione fra l'altro assai opinabile, tuttavia, a mio giudizio, distinguere fra contrastanti catene deterministiche senza relazionarle, significa escludere il determinismo da una visione meccanicistica d'insieme (quella del determinismo risultante da ciò che, ai nostri occhi giudicanti, sembra contrastante), con il rischio di scivolare in un umanesimo (antropocentrico) poco epistemico.

Citazione di: Il_Dubbio il 03 Dicembre 2017, 20:35:35 PM
nemmeno è pensabile arrivare gia a delle conclusioni senza passare attraverso dei passaggi chiave come quello della coscienza e del suo ruolo. [...] se [...]  non siamo disposti a seguire un certo ragionamento tesa a conferire alla coscienza invece un ruolo strategico, è inutile continuare.
Che è come leggere un libro giallo aspettandosi che l'assassino sia il maggiordomo; aspettativa legittima... almeno se fra i personaggi il maggiordomo c'è  ;)
Fuor di metafora, la definizione stessa di coscienza è spesso plurivoca (a seconda del proprio approccio), e ciò può indurci nella tentazione di mettere in tale definizione quello che ci serve a far quadrare il cerchio per come vorremmo fosse (v. discorso sulla disponibilità a contemplare la possibilità che non ci sia l'assassino, perché non c'è nemmeno il morto  ;D ).

Citazione di: Il_Dubbio il 03 Dicembre 2017, 20:35:35 PM
Io la vedo diversamente. L'ho spiegata ed ero pronto a dibatterla... però devo trovare un interlocutore che sia disposto a seguire passo passo il ragionamento.
Al di là delle divergenze che hai rilevato, non lascerei che un solo interlocutore indisciplinato, impedisca ad altri di leggere la tua visione del tema (e tanto meno a te di esporla), sarebbe un peccato... :)
#1836
Citazione di: Il_Dubbio il 03 Dicembre 2017, 16:44:46 PM
Ho detto infatti che se hai una malattia ora che sei cosciente della malattia oltre a subirla, come farebbe qualsiasi essere (animato o meno), puoi anche combatterla in modo alternativo o anche parallelo ai vari automatismi gia presenti. Tu questa strada non ce l'avevi prima. La coscienza quindi interrompe la sequenza deterministica dovuta all''evoluzione da uno stato precedente e può anche andare a modificarlo, modificando quindi anche la sua evoluzione nel futuro.  

Il fatto che questa nuova scelta possa essere intesa anch'essa in modo deterministico è un'affare che possiamo vedere dopo.
Secondo me è invece un'istanza da valutare proprio a questo punto, altrimenti si spezza il determinismo fra esterno all'uomo (supponiamo, l'agente patogeno che ci attacca) e interno all'uomo (i meccanismi di scelta che, plausibilmente, non agiscono a caso). Non credo sia infatti corretto dividere la catena deterministica in esterna e interna: il determinismo, se lo consideriamo tale, è interazione di molteplici cause, passaggio da "in potenza" a "in atto", indifferentemente dalla nostra discriminazione fra il piano umano e quello non-umano.
Altrimenti ci ritroviamo imbrigliati in infinite sotto-catene deterministiche: quella della malattia, quella delle difese immunitarie, quella del dottore, quella del traffico mentre andiamo in farmacia, quella dello spiffero che ci fa starnutire, quella che ha portato i fazzoletti di carta nelle nostre tasche, etc. l'interazione fra loro è casuale o deterministica? Sono un'unica catena o mille catene "rizomatiche"?

La consapevolezza umana di una malattia, non è necessariamente estranea al determinismo: le cause di tale consapevolezza possono ben essere deterministiche, così come le conseguenze di tale consapevolezza (reazioni, scelte, etc.). Non intenderei (come ci consiglia anche sgiombo) il determinismo solo come una forma di rassegnata passività rispetto agli eventi, per cui se arriva una malattia il determinismo comporta subirla fino a morire perché un fattore (l'agente patogeno) spinge in quella direzione. La difficoltà insormontabile sta proprio nel districarsi fra le interazioni di tutti i fattori coinvolti dal determinismo, anche quelli contrastanti (come nel calcolo della risultante dell'interazione fra forze): l'agente patogeno, il sistema immunitario (che reagisce deterministicamente), le decisioni del soggetto coinvolto (causate deterministicamente dalla sua volontà, esperienze pregresse, etc.) e così via...


Citazione di: Il_Dubbio il 03 Dicembre 2017, 16:44:46 PM
Secondo me comunque con risposta secca (come piace a me  :P ) nn lo è piu per una ragione relativa alla conoscenza che ne avrebbe un osservatore che deve stabilire quali sono le strade che può seguire un essere cosciente in alternativa a quelle tracciate dallo studio esclusivo degli oggetti che in esso si muovono.
Quindi il determinismo è tale solo se osservabile adeguatamente da un'agente esterno? Concettualmente mi pare un requisito non confutatorio: se qualcosa non può essere osservato da terzi non è forse plausibile?
Se sono da solo nel bosco, le tonalità emotivo-esistenziali dei miei vissuti non sono osservabili da un osservatore esterno, eppure non ne dubito, essi "accadono" in me...

Citazione di: Il_Dubbio il 03 Dicembre 2017, 16:44:46 PM
In altre parole la coscienza aumenta le variabili in gioco in modo che tali variabili siano nascoste dall'osservazione esterna. Questo è il terzo livello della discussione.
Senza scomodare la coscienza, direi che le variabili in gioco sono sempre eccedenti le concrete possibilità di calcolo, sia dell'osservatore esterno che del diretto interessato: si può approssimare, intuire, supporre, ma la certezza assoluta del determinismo che guida le azioni di una persona non credo sia mai ottenibile (basta ciò per confutare l'ipotesi del determinismo radicale? Io voto "no" :) ).
Se conosco davvero bene una persona, potrò intuire che in una determinata situazione reagirà in un determinato modo, e magari indovino, ma un minimo margine di errore di valutazione è ineludibile; e ciò può accadere anche con me stesso, ovvero l'essere di cui sono più cosciente (non ti è mai capitato di stupirti per come hai reagito ad una situazione, pur conoscendoti dalla nascita? ;D ).

Citazione di: Il_Dubbio il 03 Dicembre 2017, 16:44:46 PM
Nel quarto dovremmo afforntare se queste alternative siano o meno libere in senso assoluto. Al momento io sto dicendo che essere sembrano libere relativamente all'osservazione esterna (di un neurologo tanto per fare un nome di uno specialista).
Non per "bruciare le tappe", ma circa la libertà assoluta di tali alternative ho già motivato le mie perplessità nei post precedenti  :)  Sulla libertà relativa dall'osservazione altrui, mi sembra poco rilevante ai fini del discorso puramente teorico sul determinismo, anche se rende decisamente problematico restare in binari epistemologici  :)
#1837
Citazione di: Il_Dubbio il 03 Dicembre 2017, 10:19:28 AM
Il fatto che tu hai stabilito di avere un inconscio e dopo aver preso coscienza che l'incoscio ti porta a fare alcune azioni che magari non vorresti fare, ti porta ad esempio a farti seguire da un terapeuta. L'azione conseguente: mi faccio seguire da un terapeuta, rompe la sequenza causale deterministica del tuo inconscio. Senza l'aiuto del terapeuta il tuo inconscio avrebbe continuato a determinare le tue azioni.
Siamo proprio sicuri che la catena causale si rompa così facilmente? Se avessi un'avversione inconscia per la medicina e le terapie, ciò sarebbe la causa della mia scelta coerente di non andare dal terapeuta  ;)  Se invece decido di andarci è magari perché sono (ma non ho scelto di esserlo!) una persona che si fida delle terapie, o del consiglio di un amico, o a causa di altri fattori... dov'è la rottura della catena causale? :)

Il determinismo dell'inconscio (o di altri fattori) non comporta che siano disabilitate le possibilità di cambiamento (la vita è mutamento  :) ), ma che tali cambiamenti non siano totalmente liberi, in quanto sempre vincolati al contesto da cui si originano (appunto, deterministicamente). Probabilmente è impossibile conoscere tutti i fattori (neurologici, psicologici, etc.) che determinano una nostra scelta, e anche conoscendoli, come accennavo, non significa poterli disinnescare liberamente (ovvero in qualunque modo si voglia... e già ciò significherebbe che non si è liberi dalla propria volontà, che non è libera dai soliti fattori, etc.  ;) ).

Citazione di: Il_Dubbio il 03 Dicembre 2017, 10:19:28 AM
La domanda secondo me piu interessante è: la modifica (eventuale) è deterministica o libera?
Credo anch'io che la questione centrale sia questa, anche se la ponevo in altri termini:
Citazione di: Phil il 02 Dicembre 2017, 22:22:34 PM
Questa stessa consapevolezza e la possibilità di applicarla causando modifiche, non è a sua volta causata da limiti intrinseci e parametri predeterminati proprio da ciò che essa stessa vuole cambiare?  ;)
Per considerazioni, vedi in seguito.

Citazione di: Il_Dubbio il 03 Dicembre 2017, 10:19:28 AM
il sol fatto di avere acquisito una libertà in piu [...] ci rende piu liberi.
Tautologia che non ci aiuta però a dimostrare l'eventuale influsso di una fantomatica libertà sul determinismo...

Citazione di: Il_Dubbio il 03 Dicembre 2017, 10:19:28 AM
Sicuramente con la coscienza si aprono strade nuove e quindi il linea di principio queste strade sono sintomo di libertà (un conto è dover andare per forza dritto, un conto e trovare sulla strada maestra un bivio).
Questa ipotetica libertà è proprio il problema della domanda di cui sopra, e ancor più il nodo della meta-domanda che ponevo a te e ad Apeiron: "se la libertà non fosse possibile, saremmo davvero disposti ad ammetterlo, e a "rimappare" il nostro mondo di conseguenza?" (autocit.).
Ma restiamo sulla domanda principale: possiamo certo convogliare la nostra "nostalgia di libertà e trascendenza" sulla coscienza, ma si tratterebbe poi di darle uno statuto valido epistemologicamente, e (ne discutevo con sgiombo) è una velleità molto impegnativa che rischia di approdare ad un dogmatismo "circolare".

Quando ci troviamo ad un bivio, la libertà della scelta è, secondo me, solo apparente: nel momento in cui scegliamo (scusa se mi ripeto) la nostra scelta di quale strada prendere è comunque deterministicamente causata da fattori da cui non siamo liberi: la nostra volontà anzitutto, poi le condizioni psico-fisiche del momento, l'eredità dei vissuti in situazioni simili o pertinenti, etc. tutti fattori che convergono in ciò che chiamiamo individuo (una risultante dinamica di interazioni fisiologiche, ambientali-culturali, etc.).
Si ritorna dunque alla domanda "riflessiva":
Citazione di: Phil il 01 Dicembre 2017, 22:48:26 PM
anche in questo mio post, dov'è la libertà?!
la cui risposta (so che ami le "risposte secche" ;D ), secondo me (se intendiamo "libertà assoluta"), è: "non c'è".
#1838
Non a caso, avevo specificato che (corsivo mio):
Citazione di: Phil il 02 Dicembre 2017, 18:53:35 PMSecondo me, non sempre la conoscenza/consapevolezza è autentica possibilità di controllo.
il che non significa che non lo sia mai, ma che, restando in tema, essere consapevoli di una catena causale (determinismo), o di una singola causa che ci determina (esempio del colore degli occhi), o che determina le nostre scelte (esempio del carattere), non comporta, per me, poter agire retroattivamente sulla stessa causa o essere più liberi da essa, uscendo dai paletti che tali condizionamenti pongono.
Ad esempio, la consapevolezza che ci sia un inconscio in generale, non mia aiuta ad individuare il ruolo del mio inconscio; se riuscirò a metterlo un po' a fuoco sarà a causa del fatto che il mio inconscio non è particolarmente "chiuso e imperscrutabile", oppure a causa dell'aiuto di un buon terapeuta, oppure a causa di ore di meditazione yoga, oppure... ma mai solamente a causa della consapevolezza che, in generale, ho un inconscio.
Per questo dicevo che la sola consapevolezza del nostro determinismo non implica un aumento di libertà, né può emanciparci da esso (a meno che esso stesso non predetermini le cause di tale emancipazione, il che sarebbe apparentemente contraddittorio...).

Ovvero, se sono consapevole che la mia educazione, il mio contesto di crescita e quello attuale, il mio Dna, etc. mi condizionano, questa consapevolezza, da sola, non mi consente di modificare il loro influsso sulla mia attuale visione del mondo. Questa stessa consapevolezza e la possibilità di applicarla causando modifiche, non è a sua volta causata da limiti intrinseci e parametri predeterminati proprio da ciò che essa stessa vuole cambiare?  ;)
#1839
Citazione di: Il_Dubbio il 02 Dicembre 2017, 10:15:16 AM
La conclusione è secondo me giusta, ed infatti non possiamo recriminare una responsabilità ove non ci fosse una libertà.

Questa conclusione non ci rende però meno liberi nel cercare una alternativa o un pertugio ove infilarci la libertà. Siamo liberi di cercarla o no?
Forse una domanda collaterale è "vogliamo cercarla, o no?" e, soprattutto, se lo vogliamo, "perché?" (vedi considerazioni all'ultimo paragrafo).

Citazione di: Il_Dubbio il 02 Dicembre 2017, 10:15:16 AM
Conoscere, ovvero essere consapevoli di un impulso, non ci rende meno determinati dall'impulso, ma ovviamente il fatto di essere consapevoli (quindi coscienti) almeno ci fa agire con consapevolezza e quindi responsabilità. Io però immagino che la consapevolezza sia anche una specie di forza contraria all'impulso. Se l'impulso è molto forte la forza di volontà per respingere l'impulso deve essere altrettanto forte.
Magari ci saranno impulsi contrari, ma pur sempre impulsi/pulsioni/motiv-azioni (che rimandano ad un motivo/causa)  ;)  L'impulso alla ricerca della consapevolezza può essere tanto "istintivo" o con "movente inconscio" quanto altri impulsi. Abbiamo deciso liberamente di innescare tale impulso o esso si innesca nella nostra volontà, non per nostra volontà?

Su questo:
Citazione di: Il_Dubbio il 02 Dicembre 2017, 10:15:16 AM
cercare di rendere conscio ciò che è inconscio in una certo senso ci rende piu liberi, o per lo meno saremmo "consapevoli" (per cui responsabili) che i nostri atti siano dovuti a un tale impulso
che trova riflessi in questo:
Citazione di: Apeiron il 02 Dicembre 2017, 12:45:39 PM
Tuttavia quando sono consapevole sono "libero" di fare qualcosa o qualcos'altro.
ho le mie perplessità. Ad esempio, quante persone sono ben consapevoli di un loro vizio/difetto ma non riescono ad affrancarsene (voi direte "liberarsene")? Oppure, scendendo banalmente nel fisico, sapere perché ho gli occhi blu (non è vero! ;D ) non me ne rende responsabile e nemmeno mi consente di cambiarli.
Secondo me, non sempre la conoscenza/consapevolezza è autentica possibilità di controllo.


Citazione di: Apeiron il 02 Dicembre 2017, 12:45:39 PM
La scienza secondo me non può dimostrare l'esistenza del "libero arbitrio" perchè non è possibile definire un esperimento che riesca a "rilevarlo".
Il che pone il libero arbitrio su un piano non epistemologico, non scientifico. D'altronde la tradizione che ci tramanda il libero arbitrio è metafisica (che non è sempre sinonimo di teologica ;) ), trascendentale.


Citazione di: Apeiron il 02 Dicembre 2017, 12:45:39 PM
Secondo me è essenziale la libertà per la morale, per l'etica. Se tutto fosse fuori dal nostro controllo allora meriti, ricompense ecc sono concetti completamente privi di senso.
Questa mi pare un'osservazione molto profonda e da approfondire.
Deve essere il libero arbitrio a fondare l'etica, oppure l'etica a rendere inconfutabile, presupponendolo, il libero arbitrio?

La spontanea necessità di tutelare la libertà che spesso avvertiamo e il connesso rifiuto/disagio nel contemplare la sola possibilità che essa non ci sia; questa necessità e questo rifiuto sono su un piano ontologico, culturale o psicologico?
Quando ci ritroviamo ad ammettere candidamente che vogliamo/desideriamo salvaguardare a priori la libertà (che "altrimenti l'etica si sfalderebbe" può essere anche solo un'argomentazione surrettizia), non pecchiamo, seppur in buona fede, di una certa "fragilità di paradigma" che innesca meccanismi di spaventata e caparbia difesa dei propri fondamenti?
Ci hanno/siamo cresciuti considerando la libertà come una condizione essenziale, un valore da difendere, qualcosa di bello e potente, per cui è normale che (un po' come quando abbiamo scoperto che non c'era un Padre, ma solo padri, nonni, bisnonni, australopitechi, etc. ;D ) la sola ipotesi che la libertà non esista possa causare vertigine esistenziale. Eppure, sul piano epistemologico, tale spaesamento è un sintomo che va affrontato per proseguire, non dovrebbe essere inteso come un inibitore del ragionamento.

Un'ulteriore domanda sulla questione potrebbe dunque essere: se la libertà non fosse possibile, saremmo davvero disposti ad ammetterlo, e a "rimappare" il nostro mondo di conseguenza?
In un'ottica deterministica la domanda sembra perdere di senso, poiché la riposta sarebbe deterministicamente causata; tuttavia, anche meccanismi come la resilienza, il dubbio, il cambio paradigmatico, etc. mantengono comunque una pulsante tonalità esistenziale, proprio in quanto vissuti, al di là del fatto che non potesse andare diversamente (considerata la catena causale da cui scaturiscono).
#1840
Citazione di: Il_Dubbio il 01 Dicembre 2017, 00:14:11 AM
In questa sede il termine responsabilità è determinata dalla domanda di socrate78 il quale si chiede: siamo liberi almeno in qualche misura?

La risposta è si o no.
Chiarire il concetto di "responsabilità" appellandosi a "libertà", non ristringe il campo semantico, anzi... è una parola ancora più ambigua  ;)

Siamo liberi dalla nostra stessa volontà? C'è una meta-volontà che ci fa decidere cosa volere?
Siamo liberi dalle pulsioni inconsce, da tutto ciò che ci "anima" senza che nemmeno ne abbiamo consapevolezza conscia?
Siamo liberi dalla sedimentazione dei vissuti ed esperienze biografiche che hanno strutturato (e strutturano) la nostra "visione del mondo"?
Siamo liberi dai condizionamenti del nostro corpo (percezioni, sinapsi, funzioni neurologiche, etc.)?
Secondo me, la risposta comune a tutte queste domande è "no", per cui anche le scelte che compirò in futuro saranno condizionate da tutti questi fattori, ovvero saranno non-assolutamente-libere... e, d'altronde, anche in questo mio post, dov'è la libertà?! ;D
#1841
Citazione di: davintro il 29 Novembre 2017, 17:36:40 PM
Attraverso la riflessione possiamo sempre collegare il sorgere di un certo vissuto con delle motivazioni correlate ad esse. I vissuti spirituali, paura, gioia, malinconia sono intenzionali, dotati di un senso, attività di un Io che si dirige intenzionalmente verso un mondo di cose, a cui noi attribuiamo una valenza positiva o negativa sulla base di una sensibilità assiologica che ci costituisce nella nostra singolarità. La mia paura ha un senso, è motivata perché sempre intenzionata dal valore che l'Io attribuisce a un oggetto o stato di cose del mondo, se non ci fosse tale attribuzione assiologica, non avrebbe alcun senso o ragion d'essere provare paura o di qualunque altro sentimento. Qui sta lo scarto tra la causalità fisica [...] e la motivazionalità [...] vale a dire una certa intenzionalità valoriale per la quale la paura è sempre collegata al mio orientamento di valore, in gran parte assunto liberamente dalla personalità.
Se non erro (chi ne sa più di me mi correggerà!), le emozioni primarie (rabbia, paura, gioia, sorpresa, etc.) hanno una matrice istintiva-fisiologica, che prescinde dal contesto sociale e della visione del mondo (credo antropologi e altre categorie di studiosi abbiano fatto ricerche in merito); forse si potrebbe persino dire che "materialmente" sono nel nostro DNA. Fermo restando che poi (anche evolvendosi in emozioni secondarie) si contestualizzano e mutano coerentemente con la personalità, i vissuti, etc. ma gli "ingranaggi di base" che denotano quei tipi di emozioni-vissuti dovrebbero essere, se non erro, "in dotazione" sin dalla nascita (proprio come sono in dotazione, al netto dello stadio di sviluppo fisico, i meccanismi del dolore, il sistema limbico, le aree cerebrali del linguaggio, etc.).

Citazione di: davintro il 29 Novembre 2017, 17:36:40 PM
L'osservazione esteriore è metodologicamente valida nella misura in cui l'oggetto di indagine è passivo, qualcosa di morto, che si presta docilmente a essere studiato da una mente che lo studia manipolandolo, mentre nella misura in cui l'Io si pone come soggetto libero, che produce un vissuto sulla base di un altro prima prodotto, in un flusso temporale unitario di coscienza, allora non può essere osservato dall'esterno, ma lascia che sia un approccio autocoscienziale e introspettivo, per il quale il soggetto dell'osservazione coincide con il "tema" osservato, ad essere il più attinente, cioè l'approccio in cui il dinamismo coscienziale si rispecchia nel soggetto stesso che lo percepisce interiormente, proprio in quanto avverte in sé tale dinamismo, un approccio in cui il soggetto viene considerato maggiormente in quanto tale, cioè come soggetto dinamico, senza essere frainteso nello sguardo reificante delle scienze naturali (pur fondamentali per quanto riguarda lo studio dell'ambito materiale-passivo dell'uomo, ma che si arrestano di fronte a quello intenzionale-attuale).
Al di là della questione della "libertà" (sul libero arbitrio trovi molto in altri topic recenti, evito di ripetermi o fare copia e incolla  :) ), concordo appieno sul fatto che la posizione privilegiata per studiare il "funzionamento" della propria interiorità sia... viverla in prima persona. Ritengo ci sia inoltre un margine di manovra (non illimitato, secondo me) entro cui possiamo modificarci, indirizzarci, "educarci" agendo su noi stessi, in concomitanza a quanto eventi/persone esterne ci influenzano dall'esterno. Oltre quel margine (dai limiti ignoti) non credo si possa andare (non tutto è possibile), ma ciò che si trova al suo interno è spesso sufficiente per cambiamenti notevoli e imprevedibili (probabilmente alcune esperienze, anche indirette, vissute da ognuno di noi, ce l'hanno già insegnato...).
#1842
Citazione di: Il_Dubbio il 29 Novembre 2017, 23:02:54 PM
Quello che cercavo di capire erano le motivazioni (tipo quelle di Phil) a metà strada fra una responsabilità secca ed una ammorbidita.
Dispiego una responsabilità "a ventaglio", cercando di assecondare il ventaglio semantico della parola responsabilità  :)   finché non viene definita nettamente, almeno per come la si vuole intendere in questa sede, diventa difficile, per me, fare chiarezza.

Ad esempio: se compio una scelta ragionata, secondo alcuni miei motivi, poi uno psicologo mi suggerisce che probabilmente ho agito per una motivazione inconscia (che mi sfuggiva al momento della valutazione cosciente), in che misura sono responsabile della mia scelta (se lo sono)?
- si potrebbe dire che l'inconscio è comunque una parte essenziale di me, quindi sono comunque totalmente responsabile (in quanto "causa efficiente" delle conseguenze della scelta). In quest'ottica la responsabilità è legata all'individuo nel suo complesso psico-fisico (come secondo la legge);
- si potrebbe sostenere che, non essendo consapevole dell'ingerenza determinante dell'inconscio (che, da dietro le quinte, ha dettato la mia scelta) e non avendo quindi potuto ragionare e decidere in piena coscienza e "libertà"(prendiamola per buona ;) ) sulla scelta, la mia responsabilità è attenuata ("scaricando" parte della responsabilità al famigerato inconscio). In quest'ottica la responsabilità è (de)legata sopratutto alla volontà, ovvero non sono responsabile di azioni e scelte che esulano dalla mia volontà cosciente (il resto rientra nella categoria "alibi"...).
- si potrebbe pensare che io non sia altro che il risultato di una congerie di fattori e condizionamenti esterni-ambientali e interni-neurofisiologici, per cui la mia imputabilità individuale è mera convenzione per utilità sociale, ma deterministicamente, non potevo scegliere altrimenti. In quest'ottica la responsabilità è elemento artificiale ed arbitrario, quasi un non-senso dal punto di vista logico-razionale (ovvero non è possibile scelta ma solo esecuzione della direzione indicata da ciascuna causa... a sua volta derivata deterministicamente da una causa precedente, etc.).
- in ottica compatibilista (grazie Jacopus, non la conoscevo!) non so come potrebbe essere interpretata la responsabilità, forse avendo agito come ho voluto (ma è forse possibile il contrario, salvo casi di costrizione esterna?), sarei ritenuto responsabile.
"Fate il vostro gioco!" come si direbbe se fossimo al tavolo verde  ;D


P.s.
Nel mio primo post ho citato l' "encomio di Elena" di Gorgia, alludendo a come sia oggi possibile rivisitarlo, ampliandolo; per chi non lo conoscesse, mi permetto di allegarlo (copio e incollo da Wikipedia; corsivo mio):
"L'Encomio di Elena è un testo del filosofo sofista Gorgia da Lentini.
In esso l'autore si pone l'obiettivo di scagionare Elena, moglie di Menelao, dalla terribile colpa di aver provocato, abbandonando il marito per seguire Paride a Troia, la sanguinosa guerra di Troia.[...]
Elena è innocente, poiché il movente del suo gesto è esterno alla sua responsabilità. Schematizzando, Elena può aver agito per questi motivi:

1. Per decreto degli dèi: non si era potuta opporre al fato;
2. Era stata rapita con la forza;
3. Era stata persuasa dalle parole di Paride;
4. Era stata vinta dalla passione amorosa;
5. Per volere della sorte;
6. Decreto di necessità (destino)".

A ciò, oggi potremmo aggiungere:
7. una pulsione del suo inconscio l'aveva spinta a farlo
8. la situazione deterministica (versione disincantata del punto 6) che aveva preceduto quell'evento non poteva che produrre esattamente quel risultato.

A questo punto, sembra quasi più difficile imputare la responsabilità che non imputarla... allora, in fondo (come chiedevo all'inizio), prima di chiederci se lo siamo dovremmo chiederci: che significa "essere responsabili"?
#1843
Citazione di: Il_Dubbio il 29 Novembre 2017, 00:22:27 AM
Posso chiedere ad ogni etente che è intervenuto una risposta secca con a seguito una sua brevissima opinione sulla domanda: siamo responsabili delle nostre azioni?
Per rispondere con una "risposta secca" (come da richiesta), preferirei "affrontare" una parola meno ambigua di "responsabilità"; nell'ambiguità, le risposte sono inevitabilmente molteplici:
- se per "responsabilità" intendiamo "causa efficiente", scommetterei sul "si" (altrimenti saremmo burattini  ;D ). Le nostre azioni sono causate da qualcosa (definibile in molti modi: mente, volontà, anima, coscienza, karma...) che ci costituisce (senza di essa non saremmo chi/cosa siamo), che ci identifica in quanto "noi", quindi "noi" siamo responsabili di ciò che facciamo (ne siamo la causa).
- se per "responsabilità" intendiamo, "imputabilità di fronte alla legge (umana o divina)", ovviamente la risposta è "si" (almeno finché si vive in una società che ha leggi che prevedono responsabilità giuridica individuale, o si crede in un culto che prevede responsabilità morale individuale).
- se per "responsabilità" intendiamo "controllo totale" (non solo causale), allora ne deriva un dualismo fra "noi" e le "nostre azioni", con la volontà chiamata a fare da intermediario; la questione diventa allora "siamo arbitri/autori della nostra volontà?"; la risposta secondo me, è "no", poiché non possiamo scegliere cosa volere (semmai, vogliamo ciò che scegliamo), ovvero non possiamo volere ciò che non vogliamo.
#1844
Citazione di: sgiombo il 28 Novembre 2017, 18:15:17 PM
Pertanto, con tutto il dovuto rispetto, la discussione con te per quanto mi riguarda finisce qui; mi aspetto una risposta con le solite pretese e malposte ironie, battute che vorrebbero essere divertenti e con la solita abbondanza di faccine che ridono (forse la tua mamma ti fa sempre gli gnocchi...), ma per non cadere in tentazione di perdere altro tempo (ho un carattere polemico), non la leggerò nemmeno.
Secondo me, le considerazioni e i commenti non sono dovuti, sono un regalo (Natale si avvicina ;) ) che facciamo agli altri, e talvolta a noi stessi (perché consentono agli altri di darci qualcosa). Se nel mio ultimo messaggio non hai trovato spunti degni di tue considerazioni, ma solo noiosi "dejà vu", è più che condivisibile il tuo voler porre fine alla discussione (io invece avevo trovato spunti nel tuo ultimo post e per questo ho commentato, alimentandola).

Per quanto riguarda l'uso delle faccine, non le uso per schernire (spero davvero tu non le abbia interpretate così), ma per suggerire semmai un tono sereno (e talvolta persino autoironico), magari quando cerco di non appesantire troppo la seriosità dell'argomento ricorrendo a qualche metafora (che indubbiamente possono non piacere a tutti), oppure quando muovo un'obiezione, per indicare che la muovo con leggerezza, con il sorriso, senza ostile antagonismo (non è mica una competizione, no?  :) ).

Le pretese e le illogicità che mi imputi, non sono riuscito a trovarle (almeno c'ho provato, pazienza!), comunque grazie per avermele segnalate; ho invece trovato che il nostro confronto mi sia servito a riflettere su questo tema, soprattutto in virtù delle nostre discordanze (altrimenti tutto si sarebbe ridotto ad uno sterile e laconico "sono d'accordo!").

Non ci crederai (eppure lo scrivo lo stesso  ;D ), ma mi aspettavo che avresti prima o poi scritto un "post di congedo" (in cui avresti detto, come hai fatto altre volte, "da ora in poi taccio, ma non acconsento"), per cui ho cercato di sfruttare subito al meglio i miei post (e mi ritengo abbastanza soddisfatto, non avevo altre domande in faretra). Grazie quindi per la pazienza e per gli spunti!


P.s.
Ovviamente non ho scritto questo post solo per farti riflettere un po' sulla tua aspettativa del "mi aspetto una risposta con le solite pretese e malposte ironie" (cit.), né per farti notare che, se lo hai letto, non hai rispettato la tua profezia del "non la leggerò nemmeno". Semplicemente, se mi credi, credo in ciò che ho scritto (faccine comprese  ;D ).
#1845
Citazione di: sgiombo il 27 Novembre 2017, 19:53:50 PM
Dunque la bellezza, caratteristica sia di Monica Bellucci sia di maia Grazia Cucinotta, non essendo in nessun luogo, in quanto concetto astratto, per te non ci sarebbe?
La bellezza, secondo me, è un concetto astratto (non trascendente) e se proprio devo scommettere (ma senza pretesa ;) ) dove sia, direi... nel cervello (che me la fa individuare, riconoscere e vivere... alzandomi la pressione! ;D )

Citazione di: sgiombo il 27 Novembre 2017, 19:53:50 PM
Anche perché la realtà in toto non é limitata alla sola materia (res extensa, spazialmente "dispiegata" e ubicata), al solo oggetto di studio della scienza fisica.
Dal '900 in poi questo assioma è meno solido che in passato, ma resta ancora attualismo e siamo ben lontani da dimostrare il contrario (anche perché la trascendenza è sempre un passo più in là di noi, nell'indimostrabilità  ;)  )


Citazione di: sgiombo il 27 Novembre 2017, 19:53:50 PM
Ma infatti ho sempre sostenuto che la mia coscienza* trascende (= é trascendente; e non trascendentale) il mio cervello [...]
Non esiste il trascendere in assoluto, non ha senso, ma solo trascendenza come rapporto fra due parti distinte della realtà
"Due parti distinte della realtà" che si "trascendono"? Stiamo ancora usando un linguaggio filosofico, oppure per "trascendere" intendiamo banalmente essere distinte e separate? Se è così, ecco spiegato il motivo per cui non ti capivo  ;D

Citazione di: sgiombo il 27 Novembre 2017, 19:53:50 PM
E' determinatissimo: a parte quello che ne scrivo personalmente nel forum, ti invito a cercarne il significato su qualsiasi dizionario.
Sul dizionario si parla anche di "trascendenza" fra cervello e coscienza? Oppure quello è uno dei mille usi della generica definizione di trascendenza (vero "coltellino svizzero" della metafisica, che, riconoscerai, non è stato individuato e usato da tutti allo stesso modo, e questo è davvero eloquente  ;) )?

Citazione di: sgiombo il 27 Novembre 2017, 19:53:50 PM
Jolly, deus ex machina, circolo vizioso, petitio principi non hanno nulla a che vedere con le mie argomentazioni perfettamente logiche, coerenti e metafisicamente sobrie (fino a eventuale prova contraria).
La "quasi prova contraria", da quel che ho capito (ma probabilmente ho frainteso :) ), è che presupponi la trascendenza della coscienza, non la dimostri; poi la usi e tutto funziona, ma non hai forse tu stesso detto che tale trascendenza richiede "fede" (ovvero non dimostrazione, figuriamoci "prova contraria")?
Partendo dalla non falsificiabilità della trascendenza, fai seguire argomentazioni perfettamente logiche, ma se viene messa in dubbio tale trascendenza, si svela il circolo vizioso; del tipo: la trascendenza è la causa della non reperibilità fisica della coscienza nel cervello - la coscienza non è stata fisicamente reperita - allora la trascendenza è davvero la causa della non reperibilità della coscienza. Che è come dire (parafrasando una vecchia puntata dei Simpson): ho in mano un sasso che tiene lontane da me le tigri - intorno a me non vedo tigri - allora è davvero il sasso che tiene lontane le tigri  ;D

Citazione di: sgiombo il 27 Novembre 2017, 19:53:50 PM
A essere precisi bellezza, cattiveria, ecc, hanno proprio denotati reali astratti.
La Bellucci non é astratta (per fortuna!) ma la bellezza (la sua in particolare e la bellezza in generale in grado ancor maggiore sì, eccome!
Userei il linguaggio differentemente: la bellezza-della-Bellucci non è astratta, è concreta in quanto imminente alla Bellucci (infatti, se non esistesse la Bellucci, neppure in foto o altro, non esisterebbe nemmeno la sua bellezza). La bellezza astratta, in quanto tale, è quella che esiste a prescindere da un ente individuale di riferimento. La bellezza-della-Bellucci non è bellezza astratta (astratta da che?) ;)

Citazione di: sgiombo il 27 Novembre 2017, 19:53:50 PM
Dogmatico sarebbe dire: é vero perché "ipse dixit" (e dunque non può non essere vero) , non argomentare la verità di un assunto (e dunque invitare chi voglia a cercare di dimostrarlo falso).
Quindi il mio é limpidissimo e inequivocissimo (credo il superlativo sia consentito) razionalismo.
Secondo me, argomentare la verità di ciò che si presuppone (vedi sopra) è dogmatismo, da cui può certo conseguire ottimo razionalismo che, tuttavia, gira in questo caso su un circolo vizioso imperniato sulla indimostrabile trascendenza (intesa filosoficamente), a differenza del razionalismo epistemologico.