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Messaggi - paul11

#1831
Attualità / Re:Voglio una pistola
22 Settembre 2016, 10:19:04 AM
Quando in un quartiere, lasci degradare una casa, lasci una finestra rotta, i vetri per terra, l'immondizia, in giro, i drogoati che si fanno, certe compagnie che si riuniscono, le forze dell'ordine che girano al largo, quella degradazione diventa comportamento e giorno dopo giorno diventa abitudine, fino alla convenzione, fino all'impunità, fino alla legge che regola un qualcosa ,ma che comportamenti contro la regola vengono lasciati fare,
Saltano fuori poi i retorici della regola, sempre dopo, sempre tardi, coloro che dovevano controllare ,ma come le tre scimmiette(non vedo,non sento, non parlo) giravano al largo.

Il primo degrado è il lasciar fare,
il secondo degrado è veder e fingere
Ma il paradosso sarebbe stato che l'onesto avrebbe mandato all'ospedale uno dei delinquenti e per eccesso di difesa sarbbe stato inquisito.

Se prendi una pistola e spari in casa tua a  un delinquente  che è riuscito ad entrare nella tua casa, si rischia grosso sul piano penale.

Il discorso è profondo arriva fino alla giurisprudenza per toccare la filosofia del diritto.
Si contrappongono la proprietà privata che attenzione è un principio cardine nelle repubblliche liberali, e la vita come concetto astratto che diventa disagio sociale ,nelle degradazioni familiari diseducative ,di cattive compagnie.
Ad esempio lo sfratto di una casa, fa cozzare contraddittoriamente il problema del diritto ad un'abitazione con la proprietà privata.
Se si va a fondo su queste problematiche dalle sentenze dei giudici che fanno giurisprudenza, grazie alla bravura di avvocati superiore a quella del pubblico ministero, i cavilli legali, leggi contraddittorie di un sistema regolativo ridondante che prima crea la regola e poi costruisce le eccezioni , rendono persino difficoltoso il come comportarsi da parte di persone oneste, probe e tranquille, d  i fronte ad eventi improvvisi
#1832
Negli ultimi post ci sono spunti interessanti.
Sono d'accordo che il bambino impara per astrazione dell'empirico e utilizza in quella fase il tatto, prima ncora il bebè utilizza la bocca, le labbra per istinto.
Ma infatti il modello di insegnamento per i bambini è costruirgli la propedeutica con esempi fisici, empirico-sensoriali perchè ritengo fondamentale la correlazione cervello/mente, ovvero così come i neuroni e le sinapsi costruiscono fisicamente una rete nel cervello così la mente prepara una sintassi, cioè comincia a preparare una rete di relazioni  in cui riceverà i concetti, la semantica- Il bambino quindi prima prepara mentalmente con il passaggio emprico/astrazione quella sintassi che gli permetterà di ricevere le nozioni matematiche.
la sintassi è una sistematizzazione di regole, il concetto poggerà su quella rete dove ogni singolo filo di uqella rete lo relaziona ad altri concetti ( stò metaforizzando in immagini).
Ma è proprio questo che la forma/sostanza a sua volta si correlaziona in analogia alla sintassi/semantica, come alla mente/ cervello. E' la forma ad essere universale, la sintassi, perchè i concetti possono mutare, quello che la scienza chiama modello di rappresentazione.Sono quindi le regole che istituiscono la logica, la matematica, i numeri come contenuto e significazione arrivano se la sintassi che ha le regole ,le accetta come "vere".
Ma io comprendo la matematica se sintatticamente  ho preparato la mente in maniera sintattica a ricevere quei contenuti che si relazionano ad altri precedenti contenuti astratto/empirici
A questo punto mi manca di capire come e cosa preordina la sintassi, quali innatismi od ontoolgie permettono che il cervello acquisica informazioni sensoriali-empirico-astratte costituite da neuroni e sinapsi e quindi permetta alla mente in analogia di formare quella sintassi indispensabile a ricevere i contenuti semantici.

Penso che la nostra mente apprenda in totalità con tutte le sue forme di domini: logico/matematico, psichico/emozionale, spirituale/religioso, solo che è l'intenzione a determinare la gerarchia delle forme,
Ogni semantica, ogni concetto ha più significazioni, se dico mela posso assumere mentalmente il concetto come fisico, come emotivo/psichico  come religioso simbolico, per questo il linguaggio è sfuggente.
Il punto di vista quindi potrebbe essere interpretato il modo in cui intenzionalmente vogliamo utilizzare i domini, se sono empirico la mela avrà più significazione come fisictà, ecc. E' altrettanto chiaro che la sopravvivenza spinge comunque l'uomo a dare al dominio fisico/materiale un'importanza fondamentale.
Infatti il bambino è più astratto e fantastico e meno realista/fisico, Il gioco  è la fantasia della metafora della vita.
Si impara a vivere quando quella sintassi è matura ,il linguaggio si è appiattito nella convenzione e la realtà diventa priorità come necessità di sopravvivere.
#1833
Citazione di: Socrate78 il 18 Settembre 2016, 13:49:30 PM
Salve, avevo già scritto nel vecchio forum (nel 2014), adesso vorrei proporre questo thread sul rapporto tra la natura e l'uomo, un tema su cui amo riflettere spesso in quanto appassionato di filosofia e di letteratura.
A me sembra che la natura, in quanto tale, non sia affatto orientata al bene dell'individuo, ma anzi lo asservisce ad un sistema in cui il singolo è soltanto una mera pedina, un robot che viene usato e poi gettato quando diventa di intralcio al sistema stesso: il ciclo della nascita, crescita e morte obbedisce sostanzialmente a questa logica che però, per l'uomo dotato di consapevolezza razionale, appare fortemente inumana.
Infatti filosofi come Schopenhauer e poeti come Leopardi (che riprende in parte Schopenhauer) hanno appunto notato il carattere profondamente inumano del sistema-mondo, che non tiene conto dell'aspirazione dell'individuo alla felicità e alla libertà, ma al contrario sembra andare contro questi valori, poiché la "natura" sembra non farsi scrupolo di provocare calamità naturali, malattie e anche una passione apparentemente positiva come l'amore sembra limitare fortemente la libertà dell'uomo, poiché nella passione amorosa la persona appare come una specie di pedina nelle mani dell'altro, pronta ad assecondare l'altro in troppe cose e quindi condizionata al massimo. Tutto ciò provoca comunque illusione e dolore.
Ma c'è dell'altro: il sistema conoscitivo dell'uomo mi sembra molto fallace, poiché tante cose che vengono percepite attraverso i sensi (i colori, i suoni, i sapori) in realtà non esistono concretamente nel mondo esterno, ma sono solo il frutto dell'interpretazione del nostro cervello, ma in definitiva quest'interpretazione è una "menzogna", poiché non corrisponde ad un qualcosa di obiettivo. Ne consegue quindi il carattere relativo e del tutto aleatorio della conoscenza, un cane ad esempio ha una visione del mondo diversa dalla nostra, ma non si può affatto dire che sia sbagliata, semplicemente è differente. Quindi la natura sembra frustrarci anche nel nostro legittimo desiderio di obiettività e verità.
Secondo voi la mia analisi è corretta?

La tua visione è tipica dell'uomo occidentale che conflittualizza  da millenni i il rapporto uomo natura, perchè ha nettamente separato i domini, acquisendo in potenza quella conoscenza rubata agli dei nei miti, quella consapevolezza di poter modificare e trasformare la natura piegandola alla propri volontà di dominio, dimenticando di esserne invece anche parte.
La natura è morte oltre che vita, è violenza oltre che armonia e l'uomo è potente e interpreta la natura come materia  e come conoscenza da carpire per predire i fenomeni per costruire gli artefatti dove la civiltà come tipica espressione di volontà di potenza umana è l'imbrigliare la potenza della natura per non temerla, per vincere la morte, per allungare il tempo di vita
La natura è quindi evento che rompe , che scompiglia gli equilibri umani, dove il progetto umano si scontra con il destino che può perdere le battaglie ,ma alla fine vince la guerra con la morte.
La felicità e la libertà potrebbero essere visti come togliere i vincoli, le condizioni stesse che la natura crea fin dalla nascita.
Se una persona nasce con dei problemi fisici o mentali e ne è cosciente è chiaro che vedendo i propri simili chiede alla natura il perchè della "sfortuna",ma ribadisco è soprattutto perchè noi occidentali vogliamo essere onnipotenti sopra la natura.
Per noi non esiste l'accontentarsi, la moderazione, il pellerossa americano non stermina tutti i bisonti perchè conosce le regole della natura non vi si contrppone non li piega a sè, poichè troppo più potenti e sa che dopo l'abbondanza viene la sterilità, come dopo i il secco la pioggia.le altre culture hanno assecondato le nature , vi ci sono "accomodate", noi invece la vogliamo dominare perchè non accettiamo il destino, tolto agli dei,tolto a Dio l'uomo si illude ora di essere Dio e spesso perisce di propria mano, nei suoi artefatti, e alimenta così quell'egoismo come espressione disarmonica dell'ignorante che non conosce i propri limiti di potenza e vede la natura e i propri simili come energia da sfruttare che è diverso dal far fruttare.

 Nessuna cultura ha costruito prima il  concetto di possesso e poi di  proprietà come l'uomo occidentale, l'amore per noi è possesso,
persino una negoziazione, un contratto; noi non sappiamo abbandonarci e lasciarci ,non siamo "allenati" al distacco
Il dolore umano è l'illusione di poter piegare a sè la natura che è una contraddizione in termini essendone parte.

La verità è da tutt'altra parte dell'attuale umano occidentale,
#1834
Phil,
Einstein avrebbe anche potuto avere un intuizione in bagno o in sogno, spesso non è l'attenzione o la concetrazione che danno soluzioni logiche, chissà perchè ci sono pensieri laterali, "meditare gente meditare".

Non è così banale il passaggio dallì'empirico alla 'astratto metafisico, nelle categorie che purtroppo si sono contrapposte.
nel momento in cui hai in tasca un pezzo di carta che ha valore convenzionale che sia chiama carta moneta ,hai assegnato un'astrazione, quel pezzo di carta ora ha un'altro significato.
Probabilmente le misure lineari, di capacità erano rapporti.
Se prendo un pezzo di legno e con questo mi metto a misurare un tavolo, quel pezzo di legno non è più solo empirco è diventato unità di misura ,come un righello
Ma fu soprattutto la geometria a spiccare il salto, tanto oda diventare sacra ed ermetica.
Se mi accorgo che indipendentemente dalla grandezza di una figura geometrica regolare, questa ha sempre dei rapporti costanti fra i lati, le diagonali ,gli angoli e l'area, e quella figura la utilizzo per misurare un tavolo, un appezzamento di terreno fino addirittura i corpi celesti , ho stabilito dei principi universali che valgono in cielo e in terra.
La geometria euclidea è una prima forma universale costruita su dei postulati che permette di costruire, disegnare con compasso e squadre (proprio come ci hanno insegnato a scuola) le prime figure geometriche regolari.

La nostra cultura ha nettamente separato quell'empirico e metafisico, ma furono proprio quelle possibilità di dare continuità biunivoca alle geometrie e matematiche che"rompevano" il muro fra dei e umani, fra cielo e terra quegli universali che in quanto tali attraversavano trasversalmente i saperi
#1835
Sgiiombo,
a mio modesto parere il come la scienza determina l'affidabilità della realtà  giustificandola come vera  ,riflette di conseguenza quel metodo il metodo stesso di come mentalmente siamo: un insieme di scatole mentali .
Per me la conoscenza è unica, mentalmente c'è solo un sistema, mutano solo i linguaggi 

Maral,
scusa.... sò come la pensi, ma il tuo post era inserito in successione  con Phil e Sgiombo che sono sono posizioni diverse.

Perfetto, direi che la pensi come il sottoscritto 
..................
Ne segue che la realtà come un universo di entità indipendenti delle quali possiamo parlare è necessariamente una finzione del dominio puramente descrittivo, e che noi dovremmo infatti applicare la nozione di realtà proprio a questo dominio di descrizioni col quale noi, il sistema descrivente, interagiamo con le nostre descrizioni come se fossero entità indipendenti, dunque la domanda su cosa sia l'oggetto della conoscenza" perde di ogni significato: non vi è alcun oggetto di conoscenza, fondamentalmente conoscere è essere capace di operare adeguatamente in una situazione individuale o cooperativa (p.104). ......................

E' esattamente quello che stò tentando di definire negli ultimi post.
Grazie
#1836
Citazione di: sgiombo il 19 Settembre 2016, 08:19:09 AM
Citazione di: paul11 il 19 Settembre 2016, 00:13:39 AMQuello che emerge è che noi filosoficamente, scientificamente comunichiamo convenzionalmente, ovvero cerchiamo di comunicare solo la parte della conoscenza che "emerge" come oggettività, o che pensiamo sia solo oggettiva. Poi prendiamo un libro d'arte o di poesia, ed entriamo in un linguaggio che non è per niente convenzionale, perchè il rapporto è fra soggetti non gli importa dell'oggetto, lo strumento linguistico ,il colore, la parola, il disegno diventano "evocativi".Adatto che anche questa è una forma, che cosa significa quell'evocare se non andare oltre quella pretesa di dividere il soggetto e l'oggetto nella conoscenza? Sò già la risposta: ma quella non è la stessa conoscenza scientifica, ma daccapo se è la stessa mente che linguisticamente pensa di oggettivare la conoscenza e dall'altra invece conosce l'arte o c'è un cortocircuito logico e siamo schizofrenici oppure c'è un unica forma di conoscenza Andare oltre la convenzione ,perchè nella convenzione è vincente lo scettico o l'empirista affidabilista . Cosa ne pensate?
CitazioneMa perché mai? Conoscenza razionale (che cerca di essere quanto più oggettiva e realistica possibile) e fruizione artistica sono due diverse attitudini umane che si pongono per così dire su piani diversi: non sono né integrabili in un unico atteggiamento (se non compiendo un' astrazione alquanto "spericolata"), né reciprocamente escludentisi o contraddittori bensì complementari. Non trovo acuna problematticità nel loro coesistere come distinte e reciprocamente non contrarie.

Sgiombo,
... e come no?
Prima di tutto è un'unica mente che fa scienza e arte   e non lavora per compartimenti stagni.
Chi ti dice che ad esempio ad Einstein l'intuizione non gli sia scaturita mentre suonava il violino di alcuni passi della teoria della relatività. Siamo sicuri che l'intuizione sia a sè, che induzione e deduzione ognuna sia a sè,  che fare scienza escluda l'arte e fare arte escluda scienza? E'vero che noi utilizziamo forme diverse, nella scienza utilizziamo  di più la logica ma non esclude l'intuizione ad esempio. la nostra  mente a mio modesto parere è più euristica che algoritmica. Se così non fosse l'umanità non avrebbe mai potuto acquisire scoperte e invenzioni, andare oltre l'osservato ritenuto oggettivo, è quell'atomos di Democrito, l'intuizione metafisica  descritto da Popper. ma è propria questa la differenza fra un calcolatore elettronico e la mente umana.
La conoscenza non è semplice acquisizione di dati, ma quei dati mi cambiano   in qualche modo ,diversamente cosa sarebbe l'esperienza, di nuovo un altro vuoto contenitore da riempire? Ecco perchè i significati e i sensi sono essenze, che per la logica e matematica sono formule, equazioni rappresentative di un fenomeno, son la legge di gravità, la rappresentazione attuale standard dell'atomo, ma vuoi che anche culturalmente noi come mente come coscienza non compiamo la stessa funzione nella filosofia, nelle arti ,nelle scienze umane?
#1837
Phi,
sono d'accordo con te, ma sono tutte categorie della conoscenza convenzionale quello di dire è esatto in matematica, plausibile come verità o falsità nel dominio del linguaggio della parola e se andiamo in fisica è abolito il termine certezza poichè è entrato il concetto di probabilità.Questo è il mondo attuale dopo le analisi  sui domini logici della matematica, della parola rivisitati e assiomatizzati, non sono veri se non autoreferenti.. Ma dobbiamo allora essere relativisti, perchè questa sarebbe la conclusione?
Il problema è a monte.

Maral,
quindi riconosci che c'è qualcosa di ontologico nella matematica?

A phil, maral e tutto il forum.....

Siamo sicuri che la conoscenza signifca dividere ,costruire la conoscenza dividendo nettamente il soggetto dall'oggetto? La premessa scientifica del metodo, la premessa di Frege come antesignano della filosofia analitica, la premessa di Carnap come positivista, la premessa del primo Wittgenstein del Tractatus è togliere la psicologia.
Ma quella psicologia va estesa alla mente umana non solo alla disciplina propriamente psicologica o psicanalitica
dei Freud e Jung che nei primi decenni del Novecento esistevano. Secondo il mio parere è a cavallo del Novecento e nei primi decenni successivi che si è determinato il percorso storico fino alla nostra contemporaneità.Ovviamente i concetti culturali vengono da molto più lontano, ma in quel periodo c'è stata una contrapposizione e infine una scelta se non teorica, pratica, di fatto insomma.
Il conoscere è "fare mio"(com-prendere) un qualcosa che può essere fuori di me oppure se sono concetti riflessivi ,dentro di me stesso. Non so come la pensate voi, ma è risultata vincente la linea dello scetticismo sposato all'empirismo, una sorta di equilibrio pratico.
Ma Popper se la prende con Carnap, quando dice che la metafisica del concetto, ha portato ad esempio Democrito a teorizzare l'atomos che non esisteva empircamente al suo tempo se non come puro concetto astratto deduttivo. Popper che non è certo un metafisico riconosce che senza quella "intuizione" Maxwell e le sue teorie non sarebbero nemmeno potute esistere.
Husserl è uno scienziato di formazione  La sua fenomenologia ha due anime, quella di Brentano è sull'intenzionalità degli atti mentali, l'altra è sull'oggettivismo rappresentazionale di Bolzano.
Ecco il soggettivo, e l'oggettivo, l'intenzionale, l'intuitivo.

A mio modesto parere il processo della conoscenza   non è ancora stata per nulla definita.
Quello che emerge è che noi filosoficamente, scientificamente comunichiamo convenzionalmente, ovvero cerchiamo di comunicare  solo la parte della conoscenza che "emerge" come oggettività, o che pensiamo sia solo oggettiva. Poi prendiamo un libro d'arte o di poesia, ed entriamo in un linguaggio che non è per niente convenzionale, perchè  il rapporto è fra soggetti non gli importa dell'oggetto, lo strumento linguistico ,il colore, la parola, il disegno diventano "evocativi".Adatto che anche questa è una forma, che cosa significa quell'evocare se non andare oltre quella pretesa di dividere il soggetto e l'oggetto nella conoscenza? 
Sò già la risposta: ma quella non è la stessa conoscenza scientifica, ma daccapo se è la stessa mente che linguisticamente pensa di oggettivare la conoscenza e dall'altra invece conosce l'arte  o c'è un cortocircuito logico e siamo schizofrenici oppure c'è un unica forma di conoscenza 
Andare oltre la convenzione ,perchè nella convenzione è vincente lo scettico o l'empirista affidabilista .
Cosa ne pensate?
#1838
Sgiombo,
capisco quello che scrivi e ho fatto un rapido "giro" sulle nozioni che avevo di Popper: mondo1, mondo2, mondo3
1. il mondo degli oggetti fisici o degli stati fisici;
2. il mondo degli stati di coscienza o degli stati mentali, o forse delle disposizioni del comportamento ad agire;
3. il mondo dei "contenuti oggettivi di pensiero", specialmente dei pensieri scientifici e poetici e delle opere d'arte.
E lo scritto di Nicla Vassallo " Teoria della conoscenza".
Sono tutti orientati su quello che avevo definito "fiducia o non fiducia", ma non sui presupposti che la nostra mente/autocoscienza ha aprioristicamente.
Lo scetticismo ad esempio è combattuto dal naturalismo con l'"affidabilismo".Significa che è possible costruire teorie  e quindi conoscenza dove il riscontro oggettivo della realtà risulti relato alla teoria stessa: in fondo è il metodo sperimentale scientifico.
E' vero che la forma in sè ,quella che chiami verità1, non ci direbbe significazione del mondo se non fosse relato a sotanze, fenomeni, cose.
Infatti mi accorgo che la grande problematica è l'incontro/scontro fra gnoseologia(o epistemologia come la si definisce modernamnete) e ontologia.
Ma soprattutto mi pare che manchi proprio quello che inizialmente Davintro avesse posto, quali sono i presupposti umani della conoscenza, che cosa abbiamo "in testa" che ci permette di costruire concetti?
Quando possiamo dire di avere effettivamente costruito, dedotto, una conoscenza?
#1839
Phil,
la matematica è numero che si applica a cose, diversamente non esisterebbero algoritmi che agiscono fuori dal suo diretto ambito.Ma è proprio questo accompagnarsi e applicarsi che è legato alla sola esperienza.
Insomma io penso che la prassi oggi è più forte della teoria, e forse è sempre stato così, l'uomo si fida di più dell'esperienza quotidiana anche se fosse data da comportamenti irrazionali che sono i nostri primitivi mentali, poi viene il resto che impariamo e che in qualche modo "ci inquadrano" mentalmente, ci disciplinano in un ordine.

La filosofia ha accompagnato questa cultura, forse e soprattutto inconsapevolmente,, perchè utopicamente si è illusa che la parola fossero come i numeri, che nelle parole ci potesse essere quella esattezza matematica.
Ma poi non solo ha distrutto la sua utopia, ma ha capito che postulati, enunciati che si sono creduti per secoli veri invece erano falsificabili.Noi viviamo il tempo della regola della decostruzione e del falsificabile, ma allora quale credibilità avrebbero le teorie scientifiche senza la prassi?Daccapo ,allora ci fidiamo delle pratiche essendo le teorie falsificabili.

Prendiamo allora atto che nulla è esatto tranne la metafisica di un sistema matematico, e  perchè mai è più veritiero l'empirico del metafisico? Il cortocircuito logico è che se quella ragione nasce da quell'inferenza innata, per  cui impariamo a distinguere le cose astraendole dal mondo e ordinandole mentalmente, perchè si continua  invece  credere più nella percezione dei sensi che schiavizza la ragione alla cosa invece che al concetto che crea la ragione che permette di conoscere anche, ma non solo quella cosa empirica nel mondo fattuale?
E' ovvio, che l'autocoscienza, come la chiamo io, ma chiunque può nominare quello che vuole, ha a sua volta un cortocircuito logico, perchè la ragione razionalizzata nel processo formale, la matematica stessa partorita dalla ragione, non basta   a sè, si chiede l'origine  tende ad oltre quell'empirico.
#1840
Phil, 
Come mai la matematica se applicata al mondo empirico ci credi che è vera e se invece applicata ai concetti non ci credi? Quì sta la contraddizione. E' inutile girarci  in giro c'è uno scetticismo di fondo sulla ragione e fiducia al sensibile, ma daccapo è contraddetta dalla pratica che determina anche senza una teoretica vera e di cui si ha fiducia. Non riesco a farvi capire questo passaggio.

Cosa  vuol dire che la matematica conta?Prima di contare ci vogliono proprietà e relazioni che distinguono ogni numero la relazione fra ogni numero la suddivisione fra naturali, reali, razionali ecc, la proprietà commutativa, distributiva, ecc.. La matematica è un vero e proprio dominio a sè.Anche la proposizione è "calcolo", nella misura in cui dice che le relazioni sono vere o false, come nelle tavole della verità di Wittgenstein. Come lavorerebbe diversamente la logica boleana sugli operatori logici?Un algoritmo cosa sarebbe, una formulazione euristica cosa altrettanto sarebbe?

Lo scoglio a mio parere è pregiudiziale sul perchè riteniamo vero il ragionamento fattuale, legato a cose fisiche e all'esperienza fisica e se viene spostato al dominio dei solo concetti, ovvero mantenendo la razionalità formale invece quella stessa ragione e quello stesso ragionamento diventa irrazionale in quanto inaffidabile. 
Perchè
#1841
Maral,
offri talmente tanti spunti interessanti che mi vorrebbe un libro per risponderti.
Sò abbastanza di Severino, ho letto e riflettuto parecchio come Berto descrive la logica dialettica di Severino 
e ho scritto  fino ad ora circa venti pagine protocollo di appunti su "Fenomenologia dello spirito"di Hegel,che non ho ancora finito, poi passerò  ad "Essere e tempo"di Heidegger.
Ho deciso di studiarmi direttamente i testi perchè mi sono accorto che chi riporta i loro pensieri spesso "dicono quello che loro vedono", e tralasciano troppo spesso dei passaggi fondamentali che sono le loro chiavi di lettura.
Fenomenologia dello spirito di Hegel inizia dove finisce Kant. E' un procedimento gnoseologico, non metafisco perchè Kant non è metafisico  vuole scientificizzare la filosofia e "Critica della ragion pura" è la critica della conoscenza proprio come il titolo di questa discussione e da filosofo/scienziato fa quello che un empirista coerente come il nostro Sgiombo, fa, la metafisica si apre e chiude con il noumeno.Non trascende la conoscenza oltre l'evidenza empirica. Hegel se  non ricordo male non utilizza mai in "fenomenologia dello spirito" il termine Essere, ente, utilizza l'essente.Le parole sono importanti per capire le categorie del pensiero di un filosofo.
Utilizza moltissimo l'autocoscienza e la forma dialettica del procedimento conoscitivo, dove utilizza il momento astratto e concreto, suddividendo le forme della conoscenza in "in sè", "per sè" "in sè e per sè".
Ti dico subito che è criticabile come descrive la metodologia della conoscenza, è ovviamente stata molto più discussa e tutt'ora continua, in linguistica, teoria della conoscenza, persino la psicanalisi è una metodologia(Galimberti docet) Quello spirito che utilizza Hegel non è spirtuale o religioso, è l'idea.
L'autocoscienza ad esempio non è ben analizzata come agente conoscitivo "in sè", ontologicamente e descrive, come troppi pensatori scrivono, in modo autoreferenziale, ovvero alla fine è un sistema retorico che cerca di convincere reiterando la ua chiave di lettura gnoseologica. Ma la sua originalità è l'utilizzo dialettico della conoscenza.Severino è a mio parere uno dei pochissimi che ha capito davvero Hegel, prende la filosfia dialettica,  e la trasforma in logica dialettica che comprende quella formale,. Avrai letto qualche hanno fa il contenzioso  fra  Severino con ordinari di filosofia in logica.
La metafisica che considero obsoleta dopo Heidegger, e adesso non prendermi per heideggeriano :),
è quella delle descrizioni ontologiche degli enti che non procede come agente conscitivo.
Io vedo un cielo stellato e lo fotografo e descrivo ogni corpo.Ma non mi dice del movimento della volta celeste,non dice che è un essere umano esistente che è gente conoscitivo che utilizza la ragione per descriverlo.
Purtroppo alla metafisica si oppone l'antropologia, O essere ed enti, essenti, oppure il linguaggio muta completamente sulle strutture antropologiche che ovviamente hanno origini e finalità diverse che indicano quindi il momento analitico descrittivo.


Nel mio pensiero è centrale Paul, Maral, l'agente conoscitivo. L'Essere è lì non per ontologia in sè e per sè, ma perchè qualcuno lo ha descritto, gli ha dato un significato e gli ha dato un grafema oltre un fonema, da questo mi distacco da Hegel, come dalle metafisiche obsolete.
L'autocoscienza di Hegel a mio parere è geniale, ma non come oggetto ontologico metafisico, ma come il luogo da cui tutto nasce come conoscenza, linguaggio.
Perchè il problema è il motivo per cui un umano fra gli umani decide di avere fiducia o meno in un certo sistema di relazione che vede lui come agente conoscitivo, la ragione come strumento intelligibile e fenomeni fisici, eventi oppure concetti.
La conoscenza presuppone: un agente conoscitivo, uno strumento relazionale, un oggetto da conoscere.
Il mio pensiero non è basato sull'Essere come costruzione conoscitiva, ecco perchè tace, ma è l'autocoscienza il fulcro di tutto perchè da una parte l'agente conoscito, l'autocoscienza, l'uomo, applica la ragione nel mondo empirico, ma dall'altra parte potrebbe o non potrebbe proseguire a ragionare SOLO concettualmente(poichè non vi sono più oggetti fenomenici dadescrivere del mondo fisico) per arrivare all'Essere.
Ha poca importanza in questa discussione se per me lìEssere corrisponde allo Spirito, per qualcuno l'Essere non esite nemmeno, non si pone il problema, oppure arriva all'Essere e lo descriverebbe in maniera diversa dal mio.
Il focus a cui volevo arrivare, quindi non è l'Essere, ma semmai perchè c'è chi si ferma al mondo empirico e perchè invece c'è chi prosegue oltre al concetto formale dell'empirico e alo applica oltre, diciamo nel metafisco-

Nella riposta a Phil, sollevo una riflessione. Perchè la matematica che è pura ragione non viene riconosciuta come concetto metafisico.Viene invece interpretato come strumento.Ma dove salta fuori?
Davintro a sua volta ritiene che i principi di universale e tempo siano metafisici, e capisco quello che vorrebe dire ,perchè è simile alla mia posizione sulla matematica, anzi forse il suo è più essenziale, presupposto a sua volta per arrivare a formulare un sistema matematico.
Non so se sono riuscito a spiegarmi Maral, Chiudo per ora, dicendo che in effetti l'aspetto volitivo, l'anelito alla spinta a rivolgere l'autocoscienza verso la metafisica è la ragione non sufficiente a spiegare la ragione stessa SOLO nel dominio empirico del divenire.La ragione starebbe in piedi da sola come momento puramente riflessivo, contemplativo di se stesso.Ma così come la coscienza è relazionata al cervello, ma non corrisponde, si pone un momento trascendente, c'è un qualcosa di apriroristico,delle regole, dei principi che sono ontologicamente e quindi metafiscamente in noi stessi come umani esistenti, come agenti che diventano conoscitivi.
#1842
phil,
sì, Diogene è un cinico, è Pirrone lo scettico.Ma guarda caso è proprio Diogene che ci racconta di Pirrone oltre al discepolo di quest'ultimo Timone.

Tutte e tre le figure, lo scettico, empirico, metafisico ( ovviamente sono stereotipate come figure appunto esemplificative) applicano un processo conoscitivo.La verità è una deduzione come si esplica da un procedimento risolutivo matematico e che tende a semplificare il complesso a trovarne essenza.
Il problema è che tutti accettano la matematica,  la logica ma ognuno interpreta in maniera diversa l'applicazione degli strumenti formali .Wittgenstein nelle riflessioni sulla matematica essendo stato anche insegnante di questa materia si pone il problema.
Lo scettico dubito degli strumenti conoscitivi, non si fida dei sensi e nemmeno della ragione Pirrone.Ciò che bello o brutto, vero o falso è solo convenzione.
Non penso sia esattamente la posizione dei relativisti nostri contemporanei.
Penso che la matematica sia un sistema perfetto poichè sta esattamente al centro fra l'empirico  e il metafisico.
Il mio ragionamento esemplificativo che avevo posto è che la matematica "sta in piedi da sola", non ha necessità neppure di un'applicazione.ha proprietà formali ,regole interne pur non essendo per nulla appartenete al mondo empirico.La sua applicazione al mondo empirico lo fa sembrare all'interno di questa dimensione,
Invece il linguaggio della parola ha necessità di espressione ,di denotazione.Ogni parola , inteso come nome, come predicazione è sempre riferito a qualcosa. Il segno è indispensabile sia legato a qualcosa.la matematica invece può essere solo segnica, come avevo scritto 2 mele denota un segno e un nome, ma il 2 da solo può applicarsi agli altri segni fra loro.totalmente avulso dall'empirico e quindi è il linguaggio per antonomasia universale. Possiamo interpretare la parola, ma non il numero.
Per me il sistema matematico è esemplificativo che il sistema empirico non basta, la ragione non può fermarsi a cercare verità solo lì.E se la ragione umana è riuscita a partorire un simile sistema, la stessa ragione tende ad andare oltre la dimensione fattuale del mondo fisico.
Si tratta di capire dove si ritiene che la ragione debba arrestarsi, dove si pensa possa arrivare il processo conoscitivo.Lo scettico dubita persino di se stesso, non ha fiducia di sensi e ragione,L'empirico ha fiducia nella ragione, ma solo se applicata al mondo fattuale dove i sensi governano.Il metafisico va oltre il mondo fattuale perchè sostiene che la forma è più importante della sostanza per cui mollta metafisica si fida più di dove lo porta il raziocinio del procedimento formale piuttosto che la dimensione del sensibile.
Per questo Kant ferma il suo processo gnoseologico e costruisce il noumeno, come d'altra parte farà Wittgenstein  nel linguaggio. Ma come si spiega che la matematica sta in piedi in sè e per sè?
la logica formale è anch'essa segnica nelle sue formulazioni, ma il suo problema è il rapporto con la parola.
Il mio parere,come  ho appena scritto che ogni parola denota per cui è interpretabile oltre che più ambigua e sfuggente.La matematica invece è pura astrazione segnica ed è paradossale che funzioni proprio per questo bene nelle applicazioni empiriche, ovvero quando si attribuisce ,si accompagna al segno matematico e le sue proprietà al mondo fisico. 
Questo dovrebbe far riflettere, quanto la forma è potente e universale in quanto applicabile al tutto e quindi ha un ordinamento, ha proprietà interne
#1843
Citazione di: cvc il 15 Settembre 2016, 17:34:16 PM
Citazione di: anthonyi il 13 Settembre 2016, 16:45:53 PM
Citazione di: cvc il 12 Settembre 2016, 13:38:12 PM
Citazione di: paul11 il 12 Settembre 2016, 13:08:56 PMCvc, l'ho letto parecchi anni fa il Principe di Machiavelli, ma non l'ho trovato cinico, ha ragione Rousseau a parer mio, asseconda la natura umana .In effetti è stato scritto da Machiavelli per rientrare nelle grazie del potere fiorentino. L'Arte della guerra di Sun Tzu è più cinico, ma sono scritti in maniera saggia. Sono due grandi autori di epoche diverse che insegnano l'arte del governo degli uomini. Il problema fra realpolitik ed etica non è solo il mezzo che dovrebbe essere coerente con lo scopo, (lo scopo giustifica il mezzo è il famoso detto machiavellico) ma dove chi governa dovrebbe avere come scopo non la conservazione del suo potere, ma la crescita del popolo in senso materiale ed etico.L'utopia quindi si scontra con la realpolitik. Anche perchè, "è poi davvero vero che il popolo ambisca una crescita morale, oppure gli interessa il vil denaro, ricchezza e potere?"
Anch'io penso sia uno straordinario spaccato sulla realtà della natura umana, come trovo interessante rileggerlo nell'otica attuale, dove le decisioni istituzionali vengono prese in base ai dati macroeconomici e statistici nonché a quelli degli ideali libertari, mutuati perlopiù dal cristianesimo e dalla rivoluzione francese o dell'illuminismo in generale, ma si avverte lo spettro del vuoto di potere. Vuoto dato dalla mancanza di leader carismatici, dove l'incubo dei vari culti delle personalità novecentesche ci ha lasciato in eredità la fobia dei caratteri forti. Da questo potrebbe dipendere, in parte o molto, la mancanza di personalità che si lamenta nella classe politica e dirigente, in Italia e all'estero. Si cerca di risolvere tutto con la tecnocrazia e non si pensa più a coltivare l'arte della gestione del potere.
Sono d'accordo con le argomentazioni, che ripropongono l'idea che volevo rappresentare, per la politica i valori, gli ideali si pesano e assumono un significato relativo. Giustamente questo lascia un senso di vuoto rispetto a tempi nei quali un singolo valore diventava un assoluto, ma è meglio così, meglio il relativismo che l'assolutismo. Che poi questo implichi l'assenza di leader carismatici non lo so, comunque il governo non si improvvisa e la tecnocrazia è necessaria, per me una figura emblematica è Mario Draghi, un gran tecnocrate ma anche un bravo politico che ha saputo trascinare le opinioni dei vertici finanziari europei a favore delle sue tesi radicalmente opposte rispetto alle politiche monetarie europee che lo hanno preceduto.
I tecnici in quanto tali agiscono in base a dei modelli che sono semplificazioni della realtà, La realtà contiene sempre qualcosa che sfugge al modello e il tecnico non può fare niente se non studiare un nuovo modello. Ma resta il problema della discrezionalità, del che fare quando sorge una difficoltà non prevista dal modello e riguardo alla quale occorre prendere una decisione immediata. La politica, come tutte le attività dove l'animo ha altrettanta importanza del pensiero, resta un'arte e non una scienza. Altrimenti come si spiegherebbe che un coso come Trump rischia di diventare presidente?

Profondamente vero.Le situazioni sono complesse, e non sono mai identiche a precedenti.
In fondo nel nostro piccolo, nelle nostre esperienze cerchiamo di mediare con il "buon senso".
Si ha a che fare con persone e con problematiche oggettive e spesso se non quasi sempre la soluzione non è mai perfettamente razionale, proprio perchè non è scienza o perlomeno non è solo scienza.è l'arte di governare persone, situazioni, ambienti,momenti.
#1844
Maral,
non ha capito quello che penso, e lo leggo dalle critiche,
E' paradossale ,ma la tua critica è giusta per Severino che ha la presunzione che con delle formulette logiche di aver risolto il dilemma.
Non posso  ripetermi continuamente, dovresti rileggerti non gli ultimi post, anche perchè uscirei dal tema della discussione che non è discutere di quello che penso io.
Non hai capito che io domino proprio niente e me ne vado dal mondo senza la verità?
Il mio compito come vivente è raccogliere significazioni, cosa che  ovviamente  Severino e metafisiche vecchie non
pensano nemmeno nelle fredde e algide ontologie in cui l'uomo è una comparsata come ente.Come se gli enti fossero descritti chissà da chi.
Non hai capito nemmeno Hegel che presumo non hai mai letto da quello che scrivi , ma non per difenderlo, non sono nè mi sento idealista,ma pone un 'autocoscienza che nessuna metafisica  ( Hegel non è metafisico in termini classici del termine se non nella trascendenza del momento contraddittorio quando diventa universale nel concetto)compreso Severino pone e in quanto tale un agente attivo che relazione universali e particolari: tutto quì.
Quello che non riesci a capire è che Severino non potrà mai influire su una cultura, Hegel invece sì.
Perchè applica la teoretica alla pratica, la dialettica alla conoscenza alla storia, all'etica. perchè il punto centrale è l'autocoscienza. ma ribadisco, non mi interessa far apologetica hegeliana.
Mi spiaae solo di non essere stato capito, ma capisco anche i perchè.

Ma rientrando nella discussione sulla conoscenza voglio vedere se qualcuno ha il coraggio di entrare con coerenza e onestà intellettuale su come lo scettico, l'empirico e il metafisico costruiscono il lor mondo modellandosi dentro la propria conoscenza, ovvero come la propria coscienza utilizza la verità empirica e fin dove quindi l'agente conoscitivo decide che finisce il vero e inizia la fallacia. 

Il linguaggio , Maral.................
sto studiandomi Maometto e il Corano per capire quali motivazioni avesse l'ultimo profeta quello del sigillo secondo l'islam, quali influssi culturali avesse alla base.
Bene la calligrafia, penso si sappia, è l'arte secondo l'Islam ma anche una certa cultura orientale, in cui il segno è addirittura divino più della parola. L'arabesco è la ripetizione di una forma all'infinito.La scrittura per queste culture non riflette la realtà della parola,bensì  l'espressione  visibile dell'arte spirtiuale. In Occidente l'abbiamo ridotta a perizia forense,come al solito guardiamo il basso senza capire che alto e basso coincidono.Il mandala indiano ha questa significazione,La cultura araba per quanto controversa ,per posizione geografica applica i sincretismi di antiche culture che gli arrivano dalle tradizioni.Noi le abbiamo obliate, come molte cose, rincorrendo la realtà dell'utile e funzionale e trattiamo ormai il linguaggio come fredda analisi logica, del periodo, ortografica, semantica, sintattica.Come se un testo sia possibilitato nella sua estrema complessità ad essere ridotto ai particolari formali delle singole infinite proposizioni che lo compongono-
Qundi certo che l'essere è tutto, ma non è la sommatoria dei particolari , è quello che noi abbiamo capito di un intero testo che chiudiamo dopo aver finito...e andiamo a dormire.
#1845
Il problema della critica della conoscenza è come si formano i concetti e come li relazioniamo.
Si è discusso sui presussposti della conoscenza, universale, particolare, o di una ontologia preesistente come universalità, temporalità.
L'altro grosso problema che emerge dalle critiche che ho avuto è nel limite dellaconoscenza stessa nei cuoi concetti. Dove vogliamo che la ragione arrivi ? Perchè è quì che constato incoerenza.
Lo scettico, l'empirista e il metafisico applicano la propria conoscenza rispetto a dove sostenfono che vi sia la verità, oltre il limite non è possible andare.
Lo scettico è Diogene che coerentemente abita nudo in una botte e defeca sulla piazza come un cane.
Quindi limita fortmente dove la ragione possa andare, per lui la verità è ciò che abita in prima persona, in ciò che vede, sente e percepisce come un animale. Impossibile e non praticabile andare oltre.
L'empirsta è il tipico scienziato contemporaneo (lo so che non è proprio così, ma utilizzo lo stereotipo),
che si fida della realtà anche se applica le regole formali della logica/matematica ( e per me questo è già incoerenza perchè la utilizza dove gli conviene e non secondo ragione).Negli empiristi vi sono scienziati e pensatori riduttivisti che ad esempio negano la coscienza.
Ora se nego la coscienza coerentemente nego tutte le  etiche e morali che sarebbero semplice estensione percettiva psichica di un animale sociale per convenienza. Non hanno nessun fondamento logico di esistere, per cui la regola è quella naturale ,non vince la ragione vince il più forte.
L'empirista spirtuale è la tipica contraddizione in termini.
Il metafisico, anche quì esistono varie versioni, nega una realtà naturale come principio veritativo e la rivolge alla propria ragione.(anche questo è uno stereotipo, ma è par far capire succintamente)

Quindi  il finalismo fra conoscenza-ragione- posizione filosofica è dove si pensa sia la verità e il compito se si dà o meno alla ragione di limitarsi al punto in cui la verità è ancora riconoscibile, deducibile .

La filosofia che da secoli ormai ha sposato una linea scientificizzata, ha di fatto accettato che le crisi dei primitivi, dei fondamentali sui sistemi, i paradigmi stessi scientifici, sia applicabile a sè, quindi si è relativizzata confondendosi con la stessa scineza sperimentale.
Il problema oggi è talmente riduttivo che l'Essere è obnulato del tutto, il problema è addirittura se abbiamo una coscienza o se siamo solo stimoli neurofisiologici.