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Messaggi - Sariputra

#1831
La causa deve contenere in sè l'effetto. Il seme contiene in sè la pianta che sarà. Ma quando la pianta si sviluppa dov'è il seme? La pianta poi sarà causa di altri semi, invecchierà, cadrà , sarà causa di buon humus. Si può dire che la pianta è il seme? Possiamo considerare l'effetto come auto-espressione della causa, come causato da fattori diversi da se stesso, come entrambi, o come nessuno dei due. L'ultima alternativa comporta l'abbandono della nozione di causazione, perchè significa che le cose sono prodotte attraverso l'azione del semplice caso. La terza alternativa  è in realtà un'amalgama delle prime due. Le prime due sono le alternative principali da prendere in considerazione. Non vi è senso nella semplice auto-duplicazione; produzione deve significare mutamento, l'emergere di un ulteriore fattore utile non ancora presente. Nel processo di auto-duplicazione non c'è inoltre termine; cosa impedisce al seme di duplicarsi in eterno senza produrre il germoglio, le foglie, i fiori, i frutti, ecc., uno dopo l'altro?
Si potrebbe affermare che un'entità è potenziale all'inizio, e poi diviene attuale e che non c'è differenza di stato o di sostanza tra causa ed effetto.Se la causa è interamente attuale non c'è scopo nella sua riproduzione. Inoltre l'entità che viene prodotta, essendo altra , non può essere identica alla causa. Se la causa fosse parzialmente attuale e parzialmente potenziale,la cosa non sarebbe una perchè conterrebbe due nature opposte. Se la causa fosse interamente potenziale non potrebbe manifestarsi, diventare attuale per azione propria; il fattore attraverso cui la materia informe diviene attuale dev'essere diverso da essa. Se invece contenesse dentro di sé la causa efficiente del mutamento, non ci sarebbe alcun stato in cui rimarrebbe puramente potenziale.Avendo infatti in sé tutte le condizioni necessarie e sufficienti per la sua produzione, se cioè la causa fosse auto-contenuta e auto-sufficiente essa continuerebbe a trovarsi nello stato potenziale per un periodo di tempo valutabile e poi non si produrrebbe, oppure dipenderebbe da un fattore esterno. Questo implicherebbe la caduta dell'auto-causazione.
Se la causa e l'effetto fossero identici, in che modo una agisce come causa e l'altro come effetto? Le loro nature sono diverse. Le proposizioni vere per l'una non lo sono per l'altro. la distinzione non può essere compiuta se non in base a nozioni diverse; altrimenti ci sarebbe distinzione senza differenza. Come dice Nagarjuna:"L'identità tra causa ed effetto è del tutto insostenibile; se così fosse, non vi sarebbe differenza tra l'agente e l'azione". In effetti l'accettazione di questa identità condurrebbe logicamente all'abolizione di ogni differenza. L'intero universo cadrebbe in una massa priva di colore e di diversità.
Se prendiamo dell'acqua che scorre e riempiamo un secchio, possiamo pretendere che scorra ancora all'interno del secchio?
#1832
Citazione di: acquario69 il 24 Maggio 2016, 12:46:19 PM
Citazione di: Sariputra il 24 Maggio 2016, 11:49:10 AMInsoddisfacente perchè transitoria, impermanente, soggetta a mutare, trasformarsi, dissolversi. Non è l'osservare il fiore, o la natura, che desta in noi beatitudine. E' la beatitudine che è in noi che si meraviglia della bellezza del puro fiore. La mente non discriminante non trova differenze tra l'ammirare un fiore o pulire le latrine. Il frutto della concentrazione è la beatitudine (samadhi). Ma la beatitudine non è il risveglio. E' un frutto da cogliere, per me, sul sentiero per il risveglio. Il satori ( o chiamiamolo Nirvana, illuminazione, risveglio, ecc.) non è uno stato estatico. E' uno stato di liberazione da...di estinzione della sofferenza interiore...La differenza fondamentale tra la beatitudine e il "satori" è che la prima è temporanea mentre il secondo è uno stato continuo e definitivo. Non è uno stato ordinario l'illuminazione, nonostante molte tradizioni orientali vedano "illuminati" dappertutto, andando incontro alle istanze fideistiche delle masse. Pochi esseri sono in grado di raggiungere questo stato duraturo , veramente pochi, mentre molti hanno come dei flash d'intuizione che però, non sorretti dalla pratica e dalla moralità ("Ecco la virtù, ecco la meditazione, ecco la sapienza" Siddharta) producono effetti positivi (entrati nella corrente) che potranno portare a questa meta, ma che al momento appaiono passeggeri. I legami del mondo sono molto forti in noi...
certo e' transitorio ma non per questo e' motivo di insoddisfazione... perché (almeno per me) e' un esperienza che ti ricollega a qualcosa che non e' al contempo transitorio e ne hai la certezza nonostante come e' ovvio che sia siamo legati al mondo..finche siamo nel mondo.

Nella concezione buddhista una soddisfazione temporanea è vista come insoddisfacente, in più viene addirittura equiparata a sofferenza in formazione. La mente cercherà di ripetere l'esperienza, ne avrà nostalgia, soffrirà per non riuscire a riviverla, ecc. Ma questo non è un "male" come viene inteso nella tradizione giudaico-cristiana. La beatitudine è uno stato positivo, uno stato di crescita e sviluppo interiore. L'importante è non aggrapparsi a questi stati, altrimenti diventano un altro ostacolo sulla via. In particolar modo quando si identificano questi stati con il concetto mentale di Vero o Santo. Può essere una trappola insidiosissima se non viene vista come un ristoro, un'oasi serena nel mare del divenire. Comunque, nemmeno fare esperienza di vera beatitudine è una cosa comune nel mondo attuale...
Per legami intendo tutto ciò che ci vincola, che ci tiene in suo potere. Legami interiori ed esteriori.
#1833
Citazione di: acquario69 il 24 Maggio 2016, 10:16:04 AM
Citazione di: Sariputra il 24 Maggio 2016, 09:36:46 AMNel caso del maestro che mostra il fiore, i monaci , osservandolo, con consapevolezza dovrebbero vedere il sorgere e lo svanire del "fiore", il suo carattere insoddisfacente in quanto impossibilitato a soddisfare il loro desiderio di possederlo, l'assenza di un Sè nel fiore, ossia il suo essere vuoto dal concetto di "fiore". Senza comprensione della natura dei fenomeni , la pura attenzione o concentrazione o consapevolezza che dir si voglia non porta al risveglio. Il problema non è il pensiero, ma la sua degenerazione, il suo prolificare incontrollato, il suo diventare come una scimmia che si aggrappa ad ogni ramo della foresta. Nella sua purezza, che nasce dalla consapevolezza, il pensiero è un'arma affilata che taglia le radici dell'illusione in cui viviamo.
e perché mai dovrebbe essere insoddisfacente la contemplazione di un fiore (io direi della natura in generale) a me ad esempio quando mi e' capitato mi ha ispirato ad una beatitudine che e' per l'appunto ineffabile e indescrivibile :) e in quei momenti posso dire che ero al massimo della concentrazione..che chiaramente non va intesa come sforzo

Insoddisfacente perchè transitoria,  impermanente, soggetta a mutare, trasformarsi, dissolversi. Non è l'osservare il fiore, o la natura, che desta in noi beatitudine. E' la beatitudine che è in noi che si meraviglia della bellezza del puro fiore.  La mente non discriminante non trova differenze tra l'ammirare un fiore o pulire le latrine. Il frutto della concentrazione è la beatitudine (samadhi). Ma la beatitudine non è il risveglio. E' un frutto da cogliere, per me, sul sentiero per il risveglio. Il satori ( o chiamiamolo Nirvana, illuminazione, risveglio, ecc.) non è uno stato estatico. E' uno stato di liberazione da...di estinzione della sofferenza interiore...La differenza fondamentale tra la beatitudine e il "satori" è che la prima è temporanea mentre il secondo è uno stato continuo e definitivo. Non è uno stato ordinario l'illuminazione, nonostante molte tradizioni orientali vedano "illuminati" dappertutto, andando incontro alle istanze fideistiche delle masse. Pochi esseri sono in grado di raggiungere questo stato duraturo , veramente pochi, mentre molti hanno come dei flash d'intuizione che però, non sorretti dalla pratica e dalla moralità ("Ecco la virtù, ecco la meditazione, ecco la sapienza" Siddharta) producono effetti positivi (entrati nella corrente) che potranno portare a questa meta, ma che al momento appaiono passeggeri. I legami del mondo sono molto forti in noi...
#1834
Citazione di: acquario69 il 24 Maggio 2016, 03:25:21 AM
Citazione di: Phil il 23 Maggio 2016, 18:34:10 PMConcordo; le mie perplessità erano principalmente linguistiche, soprattutto nell'uso della parola "trascendenza", molto (troppo, direi) impregnata di metafisica occidentale... il "trascendere la mente" potrebbe essere inteso da qualcuno come un gesto mistico (quasi alchemico) che ci solleva dal Reale; invece, credo che lo zen alluda piuttosto ad uno "scendere dalla mente", dalle sue discriminanti elucubrazioni, dai suoi falsi problemi sofistici, proprio per restare con i piedi (e la mente) per terra... già, la parola chiave credo sia quella che proponi: "intuizione", che intenderei come forma di "comprensione non-verbalizzata" (né verbalizzabile), e proprio per questo al riparo dai dualismi cognitivi che ci fanno salire sulla mongolfiera della speculazione (con tutte le aporie che ne conseguono...)
secondo me questa riflessione può portare ad un ulteriore considerazione,ossia del fatto che quando intendiamo "mondo" come sopra,questo non sia qualcosa di separato rispetto ad un ipotetico "altro mondo". la trascendenza allora diventa più semplicemente consapevolezza penso che,come dici tu,la parola intuizione sia stata da molto tempo fraintesa,concepita appunto come qualcosa di misticheggiante e fuori dal mondo,invece io credo che sia vero proprio il contrario e che sia appunto un aderenza effettiva e più che mai concreta del reale,mondo compreso. la dicotomia nasce a mio avviso proprio attraverso la ragione e diventa alienante nel momento stesso che se ne fa un uso esclusivo. chiaro che non sto dicendo affatto che non bisogna pensare o ragionare ma di non cadere nella sua trappola la sola ragione allora finisce per considerare le cose solo in vista di qualcos'altro,ma che questo altro diventa fittizio,inesistente in realtà,quindi si estranea e direi pure nella maniera più riduttiva e utilitaristica e dimentica cosi (non visualizza più) cio che (di reale) ha davanti a se  un giorno il maestro, atteso dalla comunità dei monaci per un discorso, non fece altro che sollevare un fiore e mostrarlo, senza dire una parola. Tutti si interrogavano sul significato di quel gesto. Ma esso non aveva alcun significato. "Amici, perdervi nei pensieri vi impedisce di entrare in contatto con la vita" in tutto questo non ce assolutamente niente di strano ed appunto non e' necessario ne ambire a diventare un buddha,o isolarsi come un eremita a fare o non fare chissa che,questi sono soltanto pregiudizi tra l'altro secondo me molto radicati,ogni momento,ogni gesto,anche il più ordinario il più semplice e banale,(apparentemente banale) ,soli o in mezzo alla gente,del nostro vissuto diventa (e') trascendentale,e' consapevolezza...sta qui,non chissa dove certo il contesto in cui viviamo non facilita affatto le cose,ce la fretta,le distrazioni che si sono nel frattempo pure moltiplicate in maniera esponenziale,e che per molti sono pure considerati dei valori!..e che vanno in direzione contraria alla quiete e alla concentrazione (che come al solito vengono considerati anch'essi in maniera pregiudiziale) non siamo più centrati ma decentrati,votati così all'esterno e non all'interno...per me questo significa solo essere alienati,oggi stiamo tutti vivendo in un grave stato di allucinazione..questo penso! quindi non un aggiungere,un accumulare ma un togliere...e' il "vuoto" che allora diventa pieno

Imbrigliare la mente è come voler legare una scimmia. La consapevolezza , se costante, il che è tutt'altro che facile, è consapevolezza proprio di questa natura della nostra mente. Attenzione poi a vedere l'intuizione e la consapevolezza come estranei a questo flusso , a questo affanno continuo della mente. Esercitandosi nella pratica dell'attenzione si diventa sempre più consapevoli di questo flusso continuo, ma non lo si arresta, se non per brevi, brevissimi momenti. In quegli attimi  si sperimenta lo stato prima del pensiero, la "sorgente" per così dire, se non fosse pure questo un concetto mentale.
Il maestro zen mostra il fiore e sta in silenzio. Se solo avesse chiesto:"Cos'è questo ?" il suo sarebbe stato un gesto che avrebbe dato vita ad un intero mondo di concetti, di speculazioni, di definizioni. Il maestro vuole che i monaci vedano il fiore con la mente che non discrimina. Il satori dello zen è uno stato indicibile, ineffabile. Si può vivere il satori, ma non descriverlo. Se io dico :"Il satori è questo!"  non lo è più, se ne è andato, perduto. Il satori visto da noi occidentali, ritenuto un puro esser-ci, manca però di un elemento fondamentale, che è la saggezza inerente a questo puro esserci. L'attenzione priva di saggezza non ha un grande significato. E' la saggezza che nasce dall'attenzione il vero satori. Pertanto, visto lo zen come centrato sull'insegnamento del Buddha, è saggezza riguardo alle tre caratteristiche fondamentali, le tre "stigmate" dell'esistenza nella sua totalità: l'impermanenza di tutti i fenomeni, il loro carattere insoddisfacente, l'assenza di un Sè nelle cose. Nel caso del maestro che mostra il fiore, i monaci , osservandolo, con consapevolezza dovrebbero vedere il sorgere e lo svanire del "fiore", il suo carattere insoddisfacente in quanto impossibilitato a soddisfare il loro desiderio di possederlo, l'assenza di un Sè nel fiore, ossia il suo essere vuoto dal concetto di "fiore". Senza comprensione della natura dei fenomeni , la pura attenzione o concentrazione o consapevolezza che dir si voglia non porta al risveglio. Il problema non è il pensiero, ma la sua degenerazione, il suo prolificare incontrollato, il suo diventare come una scimmia che si aggrappa ad ogni ramo della foresta. Nella sua purezza, che nasce dalla consapevolezza, il pensiero è un'arma affilata che taglia le radici dell'illusione in cui viviamo.
#1835
Citazione di: HollyFabius il 22 Maggio 2016, 15:53:12 PM
Citazione di: Sariputra il 22 Maggio 2016, 14:03:23 PM
Citazione di: HollyFabius il 22 Maggio 2016, 10:49:09 AM
Citazione di: Sariputra il 22 Maggio 2016, 00:14:19 AMSoggetto e oggetto appaiono come due, ma sono uno. Sono interdipendenti. Si compenetrano. Non c'è oggetto senza soggetto; non c'è soggetto senza oggetto. L'osservatore è l'osservato. Quando il dritto e l'obliquo si incontrano e si serrano (come le gambe in loto) meravigliosamente ci sono Domanda e Risposta mescolate. Come contemplandoci nello specchio: la forma e il riflesso si guardano. Non siamo il riflesso, ma il riflesso è noi.
Io credo che queste siano simmetrie imperfette. Oggetto e soggetto, osservatore e osservato si compenetrano solo nel soggetto e nell'osservatore. Per arrivare ad una simmetria perfetta occorre presupporre una volontà, una forza vitale, una capacità di farsi soggetto e osservatore che pervade il tutto, cosa non scontata.
La simmetria appare imperfetta, ma non lo è secondo me, perchè noi abbracciamo giocoforza il punto di vita del soggetto e , identificandoci erroneamente con esso, creiamo la separazione, La conseguenza logica è assolutizzare il soggetto, che invece è sempre relativo all'oggetto. E' nell'identificazione con il soggetto che sorge la volontà di potenza, altrimenti detta "sete d'esistere" (tanha).
Quello che intendo è che vi sono oggetti osservati della realtà, le pietre per esempio, per le quali è negata la possibilità di essere soggetto, osservatore. A meno di non permeare tutto (anche le pietre) di capacità di osservare, di possibilità essere soggetto. Mi piace la visione di Schopenhauer che penso simile a quella espressa da tanha, credo che la sua rappresentazione della realtà come permeata dalla volontà e dalla realtà rappresentata sia sotto molti aspetti corretta. Bisogna però avere una visione della realtà simile a queste per accettare una simmetria perfetta tra oggetto e soggetto, tra osservatore e osservato. Questo intendevo dicendo che questa accettazione non fosse scontata.

Penso che stiamo dicendo la stessa cosa...con parole diverse. La filosofia di Schopenauer è molto vicina a quella buddhista ( hinayana ) ma ci sono anche delle differenze sostanziali. Non c'è, per es., nel buddhismo alcuna volontà di mortificazione del corpo, nessun disprezzo; come altresì nessuna volontà di esaltarlo. Per Shakyamuni entrambe sarebbero forme di attaccamento e pertanto cause di sofferenza (necessità di tagliare le radici della sofferenza come direzione generale, senso unico del buddhismo, che non va mai perso di vista). Poi ci sono differenze profonde sul significato della compassione ( Karuna nel buddhismo, Mitleid in Schopenauer se non ricordo male...). Però è un altro discorso...
#1836
Tematiche Filosofiche / Re:L'altruismo
22 Maggio 2016, 15:26:26 PM
L'altruismo eleva moralmente l'individuo, se disinteressato ma...è un atto che si può definire "spirituale"? O è anch'eso un meccanismo biologico utile al mantenimento della specie? L'essre umano , se non avesse praticato "anche" l'altruismo, sarebbe stato in grado di prevalere e trasformare il pianeta in un gigantesco formicaio di esseri affamati di ogni cosa e di ogni soddisfazione?
#1837
Citazione di: HollyFabius il 22 Maggio 2016, 10:49:09 AM
Citazione di: Sariputra il 22 Maggio 2016, 00:14:19 AMSoggetto e oggetto appaiono come due, ma sono uno. Sono interdipendenti. Si compenetrano. Non c'è oggetto senza soggetto; non c'è soggetto senza oggetto. L'osservatore è l'osservato. Quando il dritto e l'obliquo si incontrano e si serrano (come le gambe in loto) meravigliosamente ci sono Domanda e Risposta mescolate. Come contemplandoci nello specchio: la forma e il riflesso si guardano. Non siamo il riflesso, ma il riflesso è noi.
Io credo che queste siano simmetrie imperfette. Oggetto e soggetto, osservatore e osservato si compenetrano solo nel soggetto e nell'osservatore. Per arrivare ad una simmetria perfetta occorre presupporre una volontà, una forza vitale, una capacità di farsi soggetto e osservatore che pervade il tutto, cosa non scontata.

La simmetria appare imperfetta, ma non lo è secondo me, perchè noi abbracciamo giocoforza il punto di vita del soggetto e , identificandoci erroneamente con esso, creiamo la separazione, La conseguenza logica è assolutizzare il soggetto, che invece è sempre relativo all'oggetto. E' nell'identificazione con il soggetto che sorge la volontà di potenza, altrimenti detta "sete d'esistere" (tanha).
#1838
Citazione di: maral il 21 Maggio 2016, 23:42:03 PMTrovo più convincente una posizione che riconosce l'esistenza di materia e coscienza, ma le vede una espressione dell'altra, in un rapporto reciproco che le presenta come originaria unità. In tal modo il dualismo si risolve nel monismo, poiché né l'una né l'altra possono essere prese originarie e separate.

Soggetto e oggetto appaiono come due, ma sono uno. Sono interdipendenti. Si compenetrano. Non c'è oggetto senza soggetto; non c'è soggetto senza oggetto. L'osservatore è l'osservato. Quando il dritto e l'obliquo si incontrano e si serrano (come le gambe in loto) meravigliosamente ci sono Domanda e Risposta mescolate.
Come contemplandoci nello specchio: la forma e il riflesso si guardano. Non siamo il riflesso, ma il riflesso è noi.
#1839
Tematiche Filosofiche / Re:L'altruismo
20 Maggio 2016, 11:36:03 AM
Praticare l'altruismo è pesantissimo. Le soddisfazioni sono poche, a volte nulle, qualche grazie e qualche sorriso. Troppo poco per soddisfare la sete di riconoscimento della propria bontà che l'altruista si aspetta e alla quale anela con tutto il suo essere. L'altruismo richiede tempo da dedicare agli altri, sottraendolo al tempo occupato alla propria soddisfazione ( anche se l'altruista ritiene in parte che si possa provare soddisfazione completa nel donarsi agli altri) e quindi va contro la natura profonda dell'ego che cerca in primis la propria soddisfazione. Praticare l'altruismo significa usare le proprie risorse economiche per donarle agli altri e questo va contro il bisogno di sicurezza che noi cerchiamo nelle proprietà. Praticare l'altruismo significa anche dare agli altri , parliamoci chiaro, quel denaro che preferiremmo istintivamente dare , per es., ai nostri figli. E' vero che, se il mondo fosse fatto di soli altruisti, non ci sarebbe alcun bisogno di accantonare risorse per la nostra vecchiaia o per aiutare i figli. Non ci sarebbe addirittura bisogno del denaro e delle proprietà. Ma questo ideale va contro la natura profonda dell'ego umano, che vuole sopra ogni cosa aggrapparsi alle cose e sentirle proprie, perchè questo è fondante la sua identità. Paradossalmente mi sembra che un mondo di soli altruisti sarebbe un mondo senza identità personali. L'uomo sarebbe un semplice veicolo per il passare di mano in mano tutte le cose. Una sorta di car sharing universale. Un orrore insomma. Non è resistito nemmeno nelle prime comunità cristiane. Si mettevano tutti i beni insieme, nella collettività, ma poi...c'erano quelli che mangiavano il doppio degli altri, poveracci avevano fame; quelli che dormivano più degli altri e lavoravano meno, poveracci erano un pò pigri...Insomma , la natura umana ha preso il sopravvento e...addio comunità cristiane primitive. Anche gli animali difendono il territorio, con senso di possesso, e praticano sì l'altruismo ma solo all'interno del branco o del formicaio...In definitiva mi sembra che sia proprio la nostra natura l'egoismo e l'altruismo...un'elevazione, una disciplina morale che vorrebbe staccare i nostri piedi dal fango in cui sguazzano...inutilmente direi.
Immaginiamoci solo che, al mattino, ci fosse un via vai di gente che entra ed esce da casa "nostra", che apre la dispensa e usa il nostro bagno mentre noi...usciamo per entrare e usare il bagno della casa di fronte e farci il caffè con la moka del vicino...nel frattempo che lui si ingroppa la nostra compagna e noi ci proviamo con la sua... :)
Mi sa che alla fine finiremmo per ammazzarci peggio di adesso...
#1840
Citazione di: Duc in altum! il 19 Maggio 2016, 07:10:13 AM@Sariputra Sono d'accordo con quel che tu dici, ma se non tutti hanno ben compreso ( e accettato) che nessuno è esente dal doversi schierare per fede, come puoi parlargli dell'amore di Dio? Solo dopo aver riflettuto che volenti o nolenti tutti "scommettiamo" su una probabile divinità, è possibile il processo di distinguere il pensiero: ma la mia fede è il riflesso del vero amore? Qual è il modello che io adoro con la mia fede per apprendere ad amare per davvero? Dio o l'Io? Con affetto.

Si dovrebbe porre la domanda in questi termini, per me: "Amare o non-amare hanno le stesse probabilità di essere la scelta giusta?". Qui ci poniamo su un livello superiore, cominciamo a ragionare di spiritualità e non di fedi cieche. Di un Dio-persona non abbiamo esperienza diretta; dell'amore possiamo avere esperienza diretta. Sta poi al cammino personale di ognuno identificare o meno questo amore con una particolare devozione ad un'entità sovrannaturale.  Si può rimanere semplicemente sul piano dell'esperienza o avvertire la necessità di strutturare questa esperienza in una fede nel  trascendente. Si può ragionare se l'amore sia un assoluto o sia anch'esso relativo e soggetto all'impermanenza, ecc.
#1841
Citazione di: Duc in altum! il 18 Maggio 2016, 23:47:36 PM** scritto da HollyFabius:
CitazioneEcco qui hai espresso un'altra ambiguità tipica. Ogni atto è una scommessa, esco di casa in scooter, cado e muoio. Respiro e un gas letale mi uccide. Mangio e un cibo avariato mi uccide. Vado a dormire e il cuore si ferma e muoio. Possiamo andare avanti per pagine e pagine
No, semplicemente, e non banalmente, va avanti l'esistenza di ogni singolo individuo. Hai colto nel segno: bingo!! Siamo immersi costantemente in atti di fede. Tutta la nostra esistenza è Fede (non nel senso dell'oggetto a credere, ma di decidere o scegliere senza certezza). E' da sempre che sostengo che è la fede, e non la ragione, a dirigere, controllare e determinare il "chi sono", e non il "chi vorrei essere". Altro che ambiguità, noi non siamo ciò che pensiamo, ma quello in cui crediamo per fiducia senza nessuna prova.
CitazioneMi spiace per te che scommetti su queste cose, che vivi nel terrore che ciò che hai finisca, e che una volta finito tu debba scomparire.
Anche tu scommetti su tutte queste cose, solo che la differenza tra te e me è che tu t'illudi che le tue decisioni sono basate sulla ragione e non sulla fede. Se hai deciso di lavorare o meno, il tipo di attività che hai preferito anziché l'altra, lo stile dell'abbigliamento che indossi, i libri che leggi, la relazione intima con il prossimo, la corrente politica che ti appassiona, tutte le tue scelte seguono una corrente che se analizzata francamente dal tuo sincero Io, ti conducono a scoprire un fondamento personale (e obbligatorio) di fede irrazionale e senza nessuna certezza, se non la quotidiana corrispondenza dell'essergli complice nell'alimentarla con le opere.
CitazioneIo assorbo tranquillo ma consapevole, respiro tranquillo ma consapevole, mangio tranquillo ma consapevole. Vado a dormire tranquillo ma consapevole. E si! Faccio tutto ciò consapevole che prima o poi, sperando sia in un attimo e non in un lungo e prolungato dolore, tutto il mio mondo finirà.
Consapevole?!?! ...e de che??!!! Il tuo mondo finirà?!?! ...questo è ciò che alimenta la tua fede, ma sei tornato punto e accapo, stai scommettendo, ti piaccia o no, su che il tuo mondo finirà, ma non possiedi nessuna certezza logica che questa è la verità oggettiva. Quindi, ripeto, consapevole de che?!?! Che sei obbligato a scommettere? Benvenuto nel pianeta dove le ipotesi sul che il mondo finirà o sarà eterno hanno uguale probabilità.
CitazioneLa contentezza, la felicità mio caro è vivere la vita non scommettere sulla sopravvivenza.
Quindi, secondo questo teorema, basta vivere la vita e, senza dargli un senso, oplà, si diventa contenti, felici ...e allora mi domando, come mai se ci guardiamo intorno non si percepisce tutta questa gioia, eppure ognuno afferma di vivere come meglio desidera la propria vita, o sarà perché tu sei l'unico che ha incontrato il senso vero, quello giusto per ottenere tutto ciò? Come vedi, sei di nuovo contento per fede, così come colui che scarabocchia il gratta e vinci all'ingresso del tabaccaio. La tua è una formula senza ragione oggettiva, valida per tutti, quindi, posso benissimo confutare che al contrario, senza dare un senso oggettivo alla vita si può solo esistere o sopravvivere come tu dicevi.

Ma...Duc...tu trasformi l'intera esistenza in una cieca scommessa. Il mondo sotto forma di gigantesco gratta-e-vinci. Paradossalmente il tentativo di dimostrare l'obbligatorietà della fede cieca in ogni scelta, anche la più infima, priva proprio la scelta fatta di qualunque valore. Che merito c'è nel pigliare l'asso? Credi forse che l'eventuale Onnipotente, al riceverti nei verdi pascoli, si preoccupi se avevi scelto ciecamente che Lui esisteva? Ti domanderà: "Caro Duc...figlio mio...cosa mi hai combinato ? Ti avevo chiesto di parlare del mio amore ai tuoi fratelli e tu...li hai invitati a scommettere su di Me, dentro una bisca!... Giù, nella Gehenna, dove è pianto e stridor di denti, a far compagnia a quel bischero del diavolaccio che...anche lui...aveva scommesso che non l'avrei preso a calci in c..o!  :) :) 
Con simpatia..eh...Duc!
#1842
Mi sembra che il mercato abbia sempre influenzato la dimensione artistica. Non credo si siano dipinti molti quadri nel rinascimento che non fossero commissionati da qualche nobile, da qualche scuola,  da qualche prelato o vescovo. Paesaggi pochi e come sfondo di ritratti e sostanzialmente produzione di arte sacra o affine hanno caratterizzato l'epoca. L'Impressionismo segna quasi una svolta "laica" nella produzione artistica. L'artista lavora per se stesso e non più per il mecenate di turno. Questa libertà la trovo positiva e negativa nello stesso tempo. Positiva in quanto permette l'espressione propria, negativa perchè a volta il lavorare su commissione impone una salutare "briglia" alla fantasia, che necessita allora di metodo,  di tecnica ( chi parla più della tecnica pittorica oggigiorno?) e di limiti che, parlo per esperienza, se ben interpretati diventano fecondi al sorgere di un'opera vera, compiuta. Un'opera che non è più strettamente personale, ma un concorso di idee che trova piena realizzazione nella tecnica e nell'esperienza dell'artista.
#1843
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
18 Maggio 2016, 10:13:49 AM
Signori...ascoltate...se vi ronzo fastidiosamente attorno non è per confondere le vostre riflessioni. Non voglio crearvi disagi. So bene quanto siete impegnati e quanto poco tempo avete per le mie stupidaggini e le mie fantasie. ..ma è come un bisogno, una necessità di conforto. Un essere inadeguato cerca sempre l'approvazione, la rassicurazione degli uomini di mondo. E quanto gioisce quando, distrattamente, volgono per un attimo il loro sguardo sulle sue buffonate, sulle sue smorfie...Oggi , questa mattina, sono solo perchè le mie donne si sono date appuntamento per cercarmi un regalo, dicono,  per allietarmi e tirarmi un pò su il morale...il mio compleanno è lontano...non voglio nemmeno pensarci...non capisco il senso di donarmi qualcosa. Così devo bermi il caffè da solo. Ogni mattina loro passano per bere il caffè insieme. Dicono che lo so fare in maniera divina. Non capisco cosa ci trovino di magico, sono così inadeguato che uso ancora una vecchia moka napoletana, credo si chiami...forse la conoscete...è quella cosa che, quando l'acqua bolle...devi capovolgere!! E devi pure stare attento a non scottarti. Ho fatto una certa pratica con questo strumento di piacere e, con un gesto che mi viene ormai naturale, il caffè gorgoglia e un soave profumo riempie l'aria. Come è inebriante l'aroma del caffè al mattino presto, quando il mondo degli esseri adeguati ancora riposa e la terra  sembra un luogo vivibile...
Perchè vi parlo di questa inezia, di questa buffa moka? Ecco...mi ha fatto riflettere, mi ha...fatto capovolgere il senso delle cose! E ho iniziato a pensare che...ma devo raccontarvi tutto perchè possiate capire, per non prendermi per il solito pedante buffone. Ora...voi forse non sapete che passo molto tempo a cercar di imboccare vecchi che non ci stanno più con le rotelle, ricoverati in quegli edifici orribili, con quelle luci artificiali, asettiche...una pena mi fanno e pure tanta paura...alcuni sono anche cattivi e ti prendono a male parole...alcuni arrivano a sputarti in faccia. Non apprezzo molto questa cosa e vi confesso...lo so che non dovrei dirlo...che mi vien da vomitare. Vorrei vedere voi , così forti  e sicuri, a imboccare questi malati, sareste sicuramente in grado di farlo meglio del povero Sari...sì...non spazientitevi, ora vi racconto...C'è una donna che assiste la madre e con la quale scambio qualche convenevole,qualche cortesia, una battuta per sollevare la pesantezza del luogo. Ha degli occhi molto stanchi e tristi e...non si dovrebbe dire di una signora ancora piacente...molte rughe, una ragnatela sottile, una mappa degli anni vissuti. Trovo sempre affascinanti i volti dipinti dalle rughe; mi sembrano così reali, lontani dalle illusioni. Questa donna...si è trasformata in madre e la madre...si è trasformata in figlia! Lei vezzeggia la vecchia ammalata, completamente andata, perduta...la chiama per nome, le dà i bacini, la chiama "La mia bambina"...le dice di non aver paura che la sua mamma è lì con lei...e io rimango sconcertato... affascinato da questa cosa strana, da questa dolcezza capovolta. E la figlia che adesso è madre mi sorride e mi dice che le viene proprio naturale , d'istinto, che non ci ha mai pensato...è venuto da sé. Per questo vi parlo di moke capovolte e di esseri inadeguati che sono amati e...di esseri adeguati che sono odiati, ma...era forse adeguato quel nazareno che hanno appeso ad una croce?...Non so...spero che le mie giovani donne non spendano troppi soldi per farmi il regalino. Preferirei che passassero a salutarmi, a raccontarmi i loro sogni come fanno sempre. Ho bisogno di bere la loro giovinezza, la loro tenerezza...
Ho raccontato anche a loro questa piccola storia e la più giovane...non smetterò mai di cantare la bellezza della gioventù...con candore ultraterreno mi ha spiegato l'arcano: " Sari, ingenuo e meraviglioso Sari...il Signore Krshna, per poter essere amato, si fa figlio pur essendo padre, si fa misero pur essendo ricco, si fa padre pur essendo figlio..."
Al che, vedendo il mio sguardo inebetito e inadeguato, mi ha messo in mano quel libro che mi ha regalato e, ridendo come solo lei sa fare...come amo quel ridere che sa di primavera...mi ha ordinato ( e io obbedisco sempre agli ordini delle mie donne...): "Ecco qua...studia!".
Anche Maddalena rideva mentre si gustava il caffè napoletano e, per un attimo,,,quasi mi vergogno a dirlo...ero felice!
#1844
Citazione di: Duc in altum! il 17 Maggio 2016, 00:13:46 AMAvverto un certo politichese (gli italiani sono maestri) nell'affrontare il concetto così evidente della discussione. Forse se si pone un punto di domanda al titolo originale si evitano le sensazioni sdrucciolevoli che @Freedom sagacemente fa notare. Credere è un bisogno dell'essere umano? Si, certamente, così come il mangiare ed il respirare! Tutta la speculazione posteriore sull'accezione del credere, dell'avere fiducia, se la fede , se non la fede, è tergiversare sull'oggettività, fastidiosa forse per alcuni, di questa perfetta realtà. Anzi, aggiungo che, secondo me, è sbagliato dire 86% e 14%, la percentuale dell'essere umano che crede, che ha bisogno di credere, è 100%. Che poi si decida fare uno studio approfondito per verificare chi crede nel rosso e chi crede nella costituzione è già un secondo passaggio, un ulteriore livello di specificazione di questa necessità ontologica obbligatoria.

Secondo me invece , per chiarire meglio, si doveva porre la questione in questi termini: "Credere IN DIO è un bisogno dell'essere umano?". La necessità obbligatoria di cui tu parli è generica. Credere che domani possa piovere non è la stessa cosa di credere in un'entità trascendente. Credere che piova o che la sedia possa reggere il mio peso è una valutazione che poggia sull'esperienza diretta . Credere in un'entità trascendente è un'astrazione e una valutazione che poggia sul pensiero,sul sentimento, sulla paura e sul bisogno di un rifugio dal fluire incessante di tutte le nostre giornate. Di un'entità trascendente non abbiamo un'esperienza diretta, ma solo mediata, quindi il credere diventa "Credere nella verità dell'esperienza mediata" ossia "Credere in coloro che sostengono di conoscere la Verità". Ogni esperienza diretta del trascendente (mistica) non avrà mai i connotati disegnati da "Coloro che sostengono di conoscere la Verità". L'esperienza sarà così pura da trascendere ogni tipo di connotato, al di là di ogni domanda e di ogni fede.
#1845
Citazione di: sgiombo il 16 Maggio 2016, 11:53:29 AM
Citazione di: davintro il 16 Maggio 2016, 00:46:57 AMNon credo che coscienza ed autocoscienza possano sussistere una senza l'altra. Sono certamente distinguibili dal punto di vista concettuale, ma co-implicate nell'attualità concreta del loro porsi in atto. La coscienza che ho di questa penna, il sapere di avere di fronte a me una penna per stare all'esempio di Maral, presuppone il darle una forma percettiva, cioè un'attività ordinatrice che unisce i vari stimoli sensitivi in una forma (la forma della penna che ha per me un senso riconoscibile), una forma che corrisponde al concetto di penna, senza la quale non avrei alcuna coscienza della penna, ma solo di un caotico miscuglio di parti della penna impossibile da ricondurre all'unità del "concetto penna". Ma questo "concetto penna" deve essere presente alla mia mente come idea regolativa della sintesi percettiva, schema ordinatore che io ho in mente ancor prima di iniziare la sintesi. Io ce l'ho già in mente perchè ne ho un'esperienza mnemonica. Per me il concetto di penna ha un senso perchè già in passato l'ho riconosciuto, perchè, ad esempio, quella penna mi è servita da piccolo per cominciare a scrivere, dunque il collegamento tra le sensazioni della penna unifica tali sensazioni nell'unità del concetto-penna perchè tale concetto ha un senso che riconosco perchè nel passato ho avuto esperienze di penne che per me hanno avuto un valore e un senso. E la continuità temporale passato-presente che determina la memoria implica l'autocoscienza, la coscienza presente si serve della coscienza passato per dare un senso al proprio mondo, e può farlo perchè il mondo presente che ha di fronte viene riconosciuto come lo stesso mondo che aveva di fronte nel passato, il passato mi offre gli schemi e i modelli concettuali per interpretare i fenomeni e ordinarli in forme percettive. E quando ricordo non posso fare a meno di riconoscermi come Io, l'Io è l'elemento che unifica il mio presente e il mio passato, tutto ciò è "autocoscienza". Senza autocoscienza il mio passato sarebbe solo un'immagine sbiadita senza nessun legame col presente, impossibilitato a dare un senso a quest'ultimo, invece il mio passato agisce sul presente perchè io lo riconosco come il MIO passato, il mio passato mi porta ad interpretare il mondo attuale perchè riconosco qualcosa che unifica passato e presente, cioè il mio permanere come soggetto cosciente di questo mondo, testimone del suo divenire. Senza autocoscienza, non si sarebbe continuità mnomenica passato-presente, senza questa continuità non potrei compiere associazioni percettive dei fenomeni sensibili, senza percezione non c'è coscienza. La coscienza "nasce" nel passaggio dalla sensazione alla percezione. Con la percezione per me il mondo comincia ad avere un senso, io divengo soggetto dotato di intenzionalità.
Obiezione: Però si può concettualmente distinguere (prendere separatamente in considerazione) la coscienza in generale dalla coscienza (in particolare) della coscienza (autocoscienza). Inltre si danno momenti nei quali si hanno sensazioni coscienti senza pensare alle proprie esperienze coscienti passate (né alle presenti). E credo sia ragionevole pensare che gli animali non umani siano dotati solo coscienza e non di autocoscienza (se non forse di "barlumi molto limitati", ben diversamente da quanto può accadere e di fatto spesso accade all' uomo.

E se la differenza tra la coscienza animale e quella umana fosse solo di quantità e non di qualità? La complessità del ragionare e delle possibilità umane molto superiori "analizzano" il proprio sentimento di essere coscienti. L'autocoscienza come "pensare di essere coscienti" ?