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Messaggi - sgiombo

#1831
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 17:02:22 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Luglio 2018, 17:49:19 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 20:35:33 PMFrancamente Sgiombo ho capito ben poco di quel che vuoi dire.
Perchè mai tirare in ballo questa cosa della distinzione fra "res cogitans" e "res extensa"? Sembra quasi
tu voglia dire, alla maniera di Carlo Pierini, che il fenomeno è una cosa fisica (res extensa) e il
noumeno un concetto (res cogitans)...
Quel magnifico Cedro del Libano che vedi nel giardino del tuo vicino è "fenomeno" nel tuo vederlo magnifico,
nel tuo nominarlo "Cedro del Libano" etc. Ma esso è ANCHE noumeno, nel senso che è un qualcosa di
indipendente dalle tue sensazioni (ad esempio, da appassionato di giardini ti potrei dire che i Giapponesi
hanno un senso estetico delle piante assai diverso dal nostro - per cui, che so, magari non lo vedrebbero poi
tanto magnifico) e dalle tue denominazioni.
Cioè voglio dire, non è che il fenomeno "magnifico Cedro del Libano" sia una cosa fisica mentre il
noumeno (intuibile solo nella sua presenza - la semiotica parla addirittura di assenza) non lo è.
Insomma, questo ho capito ma può darsi io abbia capito male...
saluti
PS
In altre parole il noumeno kantiano non è altro che una straordinaria anticipazione di quel concetto
di "relativo" a noi ormai tanto familiare.
E' da tener ben presente che fino a Kant il mondo era un mondo di oggetti "dati". Per cui, che so, un
quadro era bello "in sè", e non in relazione a chi lo osservava.
Kant, per primo, disse che non l'oggetto era "in sè", ma piuttosto lo era il soggetto, il quale
interpretava l'oggetto che A LUI si "dava" in un certo modo, secondo quelle che erano le sue
sensazioni, le sue idee e i suoi gusti particolari.

Sia la res extensa che la res cogitans, sia la materia che il pensiero, sono fenomeni dei quali l' "esse est percipi": sono reali unicamente in quanto e fintanto che accadono come insiemi e successioni di sensazioni coscienti, di dati di coscienza.
Infatti pretendere che il solito cedro del Libano o io stesso siano reali in quanto tali (insiemi-successioni di sensazioni rispettivamente materiali e mentali) anche in quando tali sensazioni realmente non accadono (= il cedro del Libano e io non siamo reali) sarebbe una patente contraddizione; se qualcosa di reale é/accade anche quando tali fenomeni (sensazioni) non sono reali così da spiegare il puntuale ri-essere reale del cedro e di me stesso allorché compio le opportune osservazioni, esso (per non contraddirsi) deve essere inteso come qualcosa di non fenomenico-apparente alla coscienza (non un insieme-successione di sensazioni, che altrimenti sarebbero/accadrebbero realmente anche quando non sono/non accadono realmente -!- ma invece come qualcosa di congetturabile: noumeno o cose in sé). 

Dunque la cosa fisica "magnifico Cedro del Libano" é un fenomeno (o insieme-successone di fenomeni) mentre il noumeno (intuibile solo nella sua presenza) non lo è; ma anche la cosa mentale "miei pensieri, sentimenti ecc." sono fenomeni (però mentali e non fisici - materiali), mentre il noumeno che esiste anche quando non sento pensieri o sentimenti (l' "io"; me stesso) non é fenomeno (apparenza sensibile cosciente (mentale in quest' ultimo caso): se pretendessi che lo fosse, cioé che esistesse in quando pensieri, sentimenti ecc., anche quando pensieri, sentimenti, ecc. non ci sono, mi contraddirei platealmente!
#1832
Citazione di: Carlo Pierini il 06 Luglio 2018, 12:23:46 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 10:27:37 AM
Per cui, tanto per: "andare al concreto senza impiccarci con circonvoluzioni verbali", l'oggetto X
NON E' AFFATTO "totalmente ed assolutamente inconoscibile"; MA LO E' nella sua "veste" di oggetto
"ab-soluto", cioè che si pone "saldamente fuori" dall'interpretazione di un soggetto/osservatore
(chiaramente qui il termine "ab-soluto" è usato come aggettivo, non come sostantivo).

Citazione...Quindi, se "l'oggetto" è, per esempio, il moto dei corpi all'interno del Sistema Solare, l'interpretazione del "soggetto Tolomeo" e quella dei "soggetti Keplero-Newton", essendo entrambe "interpretazioni soggettive", hanno lo stesso valore epistemico? 
- Non è decidibile se sia la Terra a girare intorno al Sole, o se sia il Sole a girare intorno alla Terra?
- Il suddetto moto è "in sé" inconoscibile?
- E se la "cosa in sé" (l'"oggetto assoluto") è COMUNQUE inconoscibile, perché la Scienza rappresenta un salto evolutivo immenso rispetto alla conoscenza pre-scientifica? Le "cose in sé" della Scienza sono forse più conoscibili di quelle della conoscenza prescientifica?
La mia risposta (triviale) è: perché la "cosa in sé", l'"oggetto assoluto" (kantianamente intesi) sono pippe mentali allo stato puro, flatus vocis, fantasmi concettuali <<...con i quali e senza i quali il mondo rimane tale e quale>>, come dicevano un tempo gli studenti delle facoltà scientifiche a proposito dei concetti della filosofia. Infatti, la "cosa in sé" è inosservabile e inconoscibile semplicemente perché NON ESISTE. Esistono solo "cose" o "oggetti" virtualmente conoscibili e concetti costruiti sulle loro proprietà osservabili; e tutto ciò che è inconoscibile NON PUO' essere né una "cosa" né un "oggetto", ma solo un fonema privo di significato. <<Ciò di cui non si può parlare si deve tacere>> diceva il logico Wittgenstein.

La conoscenza umana è per definizione UMANA, cioè, PER NOI, non "in sé".
Non ci sono ragioni per credere che un muro fatto di mattoni PER NOI, sia fatto di ghiaccio per i pipistrelli e, nel caso, che siano loro ad avere ragione e noi torto. Le leggi della fisica, SE SONO TALI, valgono per noi, per i pipistrelli, per i lamellibranchi e per i batteri. Quindi, fino a prova contraria, "per noi" significa "per tutti". Se "per noi" è certo che la Terra gira intorno al Sole, non vedo che importanza possa avere il fatto che dei coleotteri o dei licheni la pensino diversamente. E anche soltanto porsi questo problema dimostra l'oziosità e l'insipienza del pensiero di Kant e di chi gli dà credito.
Faccio mie le parole di Oxdeadbeef:

Quanto agli studenti delle facoltà scientifiche, che parlano di pippe mentali, flatus vocis, fantasmi
concettuali etc, io non so che farci se non posseggono profondità di pensiero a sufficienza per
comprendere certi concetti.
Del resto, lo stesso Wittgenstein che da giovane diceva quella cosa lì da più maturo si accorse che
"ciò di cui non si può parlare" era l'unica cosa che veramente contava...

Quei segaioli mentali (per lo meno...) di studenti delle facoltà scientifiche, essendo molto scarsi in filosofia, non si rendevano conto che della realtà materiale naturale studiata e conosciuta dalle scienze naturali (e anche di quella mentale non studiabile scientificamente) l' "esse est percipi" (Berkeley e "soprattutto" Hume), e dunque essa é reale unicamente in quanto e fintanto che esiste come meri insiemi e successioni di sensazioni.
E che é postulabile ma non dimostrabile (credibile per mera fede; anche se i segaioli di cui sopra non se ne rendevano conto, essendo scarsi in filosofia) che le sensazioni fenomeniche materiali siano intersoggettive e che divengano secondo modalità o leggi universali e costanti (e queste sono le due conditiones sine qua non -indimostrabili né mostrabili empiricamente o constatabili della conoscibilità scientifica del mondo fenomenico fisico-materiale-naturale stesso- e non, per lo meno nel senso stretto di "conoscenza scientifica, del mondo fenomenico mentale).

La conoscenza umana (di "senso comune" o anche, limitatamente alla materia, scientifica, é unicamente limitata al mondo fenomenico, alle sensazioni coscienti che proviamo).
Ma ciò non significa che necessariamente non sia/accada realmente nient' altro che esse; e l' ipotetica realtà di un mondo in sè, congetturabile ma non sensibile, non apparente ai sensi (esterni ed interno) in divenire biunivocamente correlato ai fenomeni (ma questa é farina del mio modestissimo sacco, non di Kant) é un' ottima spiegazione de:

l' intersoggettività della realtà fenomenica materiale naturale (indimostrabile ma inelubibile conditio sine qua non della sua conoscibilità scinetifica);

il puntuale "ri-" accadere ell' esistenza di certi aspetti (enti od eventi) relativamente costanti dei fenomeni materiali e mentali allorché si osserva nella maniera "appropriata" (cedro del Libano del mio vicino di casa, me stesso come mi autosento in quanto "miei pensieri e sentimenti");

la corrispondenza biunivoca (e non affatto l' identità, né la sopravvenienza a o l' emergenza da, qualsiasi cosa questi concetti possano significare) dimostrata dalle moderne neuroscienza fra determinati eventi neurofisiologici in determinati cervelli (attualmente o per lo meno potenzialmente nell' ambito delle coscienze* di osservatori) e determinati eventi di coscienza** (di un' altra diversa coscienza**, quella** del titolare del cervello osservato e non quelle altre* degli osservatori nelle quali si trova il cervello in questione).
#1833
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Luglio 2018, 10:27:37 AM


E' chiarissimo che Kant, con la teoria della "cosa in sè", anticipa la teoria della relatività, ed in
particolare quel principio di indeterminazione, di Heisemberg, che così in sostanza recita: "l'osservato
dipende dall'osservatore".
E' cioè chiarissimo che quell'"osservato", senza l'interpretazione che ad esso dà l'osservatore, non
può che rimanere un concetto meramente "intuibile", ovvero una "cosa in sè".
E allora ripeto: il concetto della cosa in sè, come del resto tutta la filosofia di Kant, può essere
discusso e criticato sotto vari aspetti; ma di esso NON SI POTRA' MAI DIRE che rappresenta la "fusione"
di una cosa fisica (il fenomeno) e di una metafisica (la cosa in sè).
"Conoscere" la cosa in sè vorrebbe semplicemente dire che l'osservato è conoscibile da un punto di vista
privilegiato, "oggettivo" nel senso che a questo termine veniva dato prima della "rivoluzione copernicana"
operata da Kant, che pone "al centro" non più l'oggetto ma il soggetto.
Con questo, la pretesa di tale conoscenza si porrebbe, essa, in un piano metafisico, non il contrario.
Per cui, tanto per: "andare al concreto senza impiccarci con circonvoluzioni verbali", l'oggetto X
NON E' AFFATTO "totalmente ed assolutamente inconoscibile"; MA LO E' nella sua "veste" di oggetto
"ab-soluto", cioè che si pone "saldamente fuori" dall'interpretazione di un soggetto/osservatore
(chiaramente qui il termine "ab-soluto" è usato come aggettivo, non come sostantivo).
Non comprendere questo, prima ancora della filosofia di Kant, vuol innanzitutto dire non comprendere
la fisica relativistica (come acutamente evidenziava Carnap).
saluti

Veramente il pr. di indeterminazione di Haisenberg recita che nelle particelle-onde subatomiche vi sono coppie di caratteristiche reciprocamente correlate (misure) conoscibili con approssimazione limitata in modo tale che il loro prodotto é costante (la costante di Plank) (cosicché la loro precisione é inversamente proporzionale), e dunque se si conosce (misura) l' una con elevata precisione la conoscenza (per misurazione diretta) che può aversi dell' altra é pessima (praticamente come dire che se di una una palla da tennis si sa che ha in un certo istante una velocità compresa fra 10 e 10,00000001 Km all' ora -"ottima" misura, precisissima!- allora si può rilevare che si trova in punto indeterminato della via lattea e oltre, cioé in pratica non si sa proprio dove sia -misura "pessima", imprecisissima- e viceversa; tanto per dare un' idea. L' interpretazione conformistica, corrente fra la maggioranza "bulgara" degli scienziati, spesso detta "di Copenhagen", pretende irrazionalmente di dedurne che effettivamente, realmente la pallina da tennis, o meglio la particella-onda subatomica di cui la pallina é metafora -e non solo la sua conoscenza da parte nostra- sarebbe in qualche insensato modo "spalmata in tutta la via lattea e oltre", cosa a mio modesto parere definitivamente confutata fin dai tempi del grande Erwin Schroedinger, col suo celebre esperimento mentale "del gatto"; ma questo é un altro discorso).

Ma la conoscenza fisica, prima e dopo Kant, prima e dopo la relatività e la meccanica quantistica é sempre e comunque conoscenza dei fenomeni, di ciò che ci appare alla coscienza (reale solo in quanto e fintanto che appare alla coscienza) e non della realtà in sé, esistenteindipendentemente dalle sensazioni fenomeniche che se ne possono avere o meno (se effettivamente esiste, come Kant ricava -a mio modesto parere pretende erroneamente di ricavare- dalla ragion pratica; infatti non é dimostrabile razionalmente -ragion pura- né tantomeno, per definizione, constatabile empiricamente).

Per me dunque la kantiana cosa in sé o noumeno (se c' é) é letteralmente metafisica (reale oltre la, al di là della, realtà fisica materiale fenomenica, della quale é l' oggetto; ma anche metapsichica, reale oltre la realtà mentale altrettanto fenomenica, della quale é l' oggetto e riflessivamente il soggetto, come lo é ma irriflessivamente -soggetto diverso dall' oggetto- anche di quella materiale).

Ciao!
#1834
Secondo me non bisogna confondere la conoscenza sempre insuperabilmente limitata che possiamo avere dei fenomeni, cioé di ciò che possiamo esperire, sentire coscientemente (conoscenza limitata da distinguere rispetto alla loro conoscenza integrale, completa quale "potenzialità limite" cui asintoticamente la nostra conoscenza reale di fatto tende ad avvicinarsi senza mai raggiungerla) da una parte; e dall' altra il carattere, apparente, irriducibilmente appartenente alla nostra coscienza, reale unicamente in quanto insieme-successione di sensazioni in atto ed esclusivmente in quanto tale della realtà fenomenica da noi conoscibile ("esse est percipi", Berkeley e "soprattutto" Hume), da distinguere dalla realtà in sé, da ciò che é reale (se lo é; cosa indimostrabile né tantomeno empiricamente constatabile, mostrabile) anche indipendentemente dalle nostre sensazioni; per esempio ciò che é reale anche mentre non lo é (la visione de-) il magnifico cedro del Libano nel giardino del mio vicino di casa, ragion per cui puntualmente ogni volta che compio le opportune osservazioni lo (ri-) vedo (-la visione de- il magnifico cedro del Libano é -nuovamente- reale).
Quest' ultima "parte della realtà" (se esiste come tale) é solo congetturabile (dal greco: noumeno), mai sensibilmente, coscientemente apparente, empiricamente constatabile (dal greco: fenomeno); mentre la "parte fenomenica", i contenuti della nostra coscienza, oltre che pensabili, predicabili (più o meno veracemente) accadere realmente (o meno), sono anche apparenti, empiricamente constatabili.
L' altra é oggetto di conoscenza da "senso comune" e limitatamente alla sua componente materiale (res extensa), misurabile e postulabile essere intersoggettiva, anche di conoscenza scientifica: una conoscenza caratterizzata da un livello di maggiore sofisticazione ma senza differenza "qualitative sostanziali" (sia il senso comune che la scienza conoscono, sia pure con ben diversa "profondità", "le stesse cose" fenomeniche); invece il noumeno, se reale, può essere oggetto di (eventuale) conoscenza non scientifica ma filosofica (metafisica; letteralmente, cioé conoscenza di ciò che sta oltre la fisicità materiale coscientemente apparente; e pure oltre quella mentale -res cogitans-, altrettanto coscientemente apparente della res extensa, ed al mondo fenomenico materiale stesso non riducibile, non sopravveniente, da esso non emergente, qualsiasi cosa questi concetti possano significare).
#1835
Mi considero (e cerco di essere quanto più conseguentemente) razionalista.

Ma ritengo razionalità ed emotività (sentimenti) complementari e non reciprocamente contraddittori.

Quindi ritengo eccessivo (e dunque fra l' altro non conseguentemente razionalistico) pretendere che la parte emotiva vada progressivamente superata per avere come obiettivo l' ideale della pura ragione, in modo da avere pieno controllo del reale per il nostro utile.
Ma il nostro utile cos' é?
La ragione può farci comprendere se e come, con quali mezzi, un desidero o aspirazione può essere soddisfatto, ma non può dirci che cosa desiderare o a cosa aspirare. Casomai può (e secondo me deve) cercare di soppesare i vari desideri e aspirazioni che irrazionalmente proviamo, onde cercare di stabilire, posto che non tutti sono reciprocamente compatibili ma la insoddisfazione degli uni é condizione della soddisfazione degli altri (non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca) a quali sia preferibile rinunciare allo scopo di soddisfare quali altri (pratica estremamente difficile posto che la res cogitans -sentimenti, aspirazioni, desideri- contrariamente alla res extensa non é misurabile tramite rapporti quantitativi esprimibili mediante numeri: al massimo posso stabilire che il desiderio di essere onesto é molto -?- più forte di quello di arricchirmi; ma di quanto ?!?!?! 100 volte??? 1000 volte??? Un miliardo di volte??? 10 alla 100000000 volte???).
#1836
Citazione di: sgiombo il 02 Luglio 2018, 17:49:19 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 20:35:33 PMAvevo scritto nell' ultima obiezione a Oxdeadbeef:

Ma esiste anche il concetto di "cose in sé" o "noumeno", di cui non é possibile dimostrare, né men che meno (per definizione!) mostrare empiricamente, che esistano e nemmeno che non esistano denotazioni o estensioni reali, oltre al significato nel senso di connotazione o estensione: "ciò che é reale indipendentemente dal fatto che sia pure realmente oggetto di sensazioni fenomeniche; ovvero dal fatto che siano reali anche le corrispondenti sensazioni fenomeniche".

Per esempio ciò che continua ad esistere -se realmente esiste, e non é come gli ippogrifi o gli angeli- anche allorché non vedo il magnifico cedro del Libano nel giardino del mio vicino di casa e che fa sì che ogni volta che mi colloco nella giusta posizione e guardo dalla parte giusta (oppure semplicemente riapro gli occhi dopo averli chiusi) puntualmente (ri-) vedo lo splendido albero (=torna puntualmente ad esistere quell' insieme di sensazioni fenomeniche -verde fogliame, tronco e rami marroni, stormire del vento fra la fronde, odore di resina, ecc.- che costituisce quel cedro del Libano e che quando avevo gli occhi e gli orecchi e il naso chiusi o ero altrove non esisteva punto realmente; tutt' al più potevo immaginare esistesse, ovvero poteva esistere il mero pensiero di esso: ben altra cosa!).

Aggiungo:
Oppure ciò che continua ad esistere -se realmente esiste, e non é come gli ippogrifi o gli angeli- anche allorché non avverto più pensieri, sentimenti, ricordi, ragionamenti, ecc. (res cogitans) e che fa sì che ogni volta che rivolgo nuovamente l' attenzione alla mia "interiorità", ai miei pensieri, sentimenti, ecc., essi puntualmente tornano ad esistere mentre quando non ci facevo caso non esistevano.

Dunque se é reale la cosa in sé o noumeno (se il rispettivo concetto presenta anche una denotazione o estensione reale (oltre ovviamente a una connotazione o intensione cogitativa) essa comprende gli oggetti delle sensazioni fenomeniche soggettive (eventualmente intersoggettive quelle materiali o res extensa), i loro soggetti (riflessivamente anche oggetti nel caso di quelle mentali o res cogitans).

E si può postulare (ovviamente non dimostrare logicamente né tantomeno mostrare empiricamente) che un' unica (la stessa) "situazione in sé" corrisponda alle determinate mie sensazioni mentali o materiali (fenomeni cogitantes o extensi) nell' ambito della mia esperienza fenomenica cosciente** e ai determinati processi neurofisiologici che accadono nel mio cervello  nell' ambito di altre esperienze fenomeniche coscienti* (più precisamente nell' ambito delle rispettive sensazioni materiali: fenomeni extensi): le stesse cose in sé soggetto della mia esperienza fenomenica cosciente**, oggetto di quelle* di "osservatori" (in quanto il mio cervello da loro osservato facente parte della res extensa), riflessivamente soggetto-oggetto (in quest' ultima veste in quanto pensieri, sentimenti, ecc.: res cogitans) sempre nella mia**.



Inoltre sottolineo l' importanza della differenza fra la soggettività delle sensazioni coscienti (materiali o mentali: fenomeni; e casomai intersoggettività nel caso di quelle materiali) in rapporto all' oggettività (se realmente si dà, cosa indimostrabile) della cosa in sé o noumeno (che se reale é appunto oggetto delle sensazioni fenomeniche; e anche i loro soggetti sono cosa in sé o noumeno) da una parte; e dall' altra la soggettività concettuale dei concetti circa i quali si predica (o comunque che si possono immaginare, pensare come "portatori" di, dotati di una connotazione o intensione cogitativa) in rapporto all' oggettività (se realmente si dà; cioè nei casi in cui realmente la si dà, per esempio nel caso di cavalli reali ma non di ippogrifi) dei loro denotati o estensioni reali (fenomeniche o in sé che siano: diversa differenza questa, rispetto a quella fra realtà di fatto e realtà concettuale).
#1837
CitazionePer Davintro
 
Dissento dal ritenere i contenuti del pensiero (più o meno astratti "a partire dalle" sensazioni particolari concrete, come credo di fatto avvenga; più o meno "di diritto" stabiliti arbitrariamente a priori per definizione o postulati, intesi come assiomi) qualcosa di reale (men che meno di "materiale", sia pure con le virgolette) se non nella loro mera "concettualità" (o "realtà meramente concettuale", contrapposta a "realtà effettiva, fattuale"), nel loro essere mero pensiero.
Si tratta di concetti che di per sé non é detto siano "dotati" di o "accompagnati" (anche) da un' estensione o denotazione reale (oltre ovviamente che da in intensione o connotazione "cogitativa").
Dunque ritengo che i giudizi a priori, per me necessariamente analitici, non escano dall' "ambito concettuale o di pensiero", non ci dicano nulla su ciò che realmente accade o meno (oltre ad essi; e che, se correttamente svolti, siano certi, certamente veri: certezza "pagata" con la loro ineludibile "sterilità conoscitiva" circa ciò che, esulando dal o eccedendo il concettuale, realmente é/accede o meno).
Solo i giudizi sintetici a posteriori possono essere predicazioni circa la realtà di concetti (eventualmente, non necessariamente: "fecondità conoscitiva" circa ciò che, esulando dal o eccedendo il concettuale, realmente é/accede o meno "pagata" con la loro ineludibile incertezza) "dotati" di o "accompagnati" da un' estensione o denotazione reale (e dunque circa la realtà fattuale e non meramente concettuale o cogitativa).
 
Dunque un' ipotetica critica alternativa a quella kantiana e capace di individuare la presenza nella mente delle kantiane categorie a priori e che implicasse l'ammettere all'interno del conoscibile (della realtà fattuale e non meramente concettuale conoscibile), non solo i fenomeni sensibili, ma anche quelli intelligibili, il noumeno, liberando il piano dell'ideale e dell'intelligibile (il modo d'essere dell'apriori) dall'inconoscibilità (come realtà fattuale e non meramente concettuale) e dall'indeterminazione, allargando così l'ambito delle possibilità della conoscenza scientifica, secondo me é impossibile perché costituirebbe un indebito (scorretto, falso) slittamento dalla realtà (meramente) concettuale (a priori) alla realtà effettiva, fattuale (a posteriori).
 
 
 
 
Sulla questione delle essenze nella fenomenologia i miei limiti culturali mi impediscono una piena comprensione di quanto argomenti.
Mi limito ad alcune osservazioni "naives" che onestamente non saprei dire se e quanto siano pertinenti.
 
Non saprei che cosa possa essere un' "essenza", ma mi pare di poter dire, come immediata constatazione empirica a posteriori, che i dati coscienti fenomenici (le sensazioni, materiali-esteriori e mentali-interiori), se e quanto realmente accadono (dubitabilità dei ricordi), sono reali (in quanto tali: non come cose in sé, non indipendentemente dal loro essere sensibilmente percepite): la realtà (almeno parte della realtà) coincide coi fenomeni i quali, in quanto eventualmente conosciuti, sono estensioni o denotazioni reali di concetti pensati: sono qualcosa di diverso e ulteriore rispetto a "l'idea che la coscienza ne ha (idealismo)".
 
Se l "essenza" non è la fattualità, ma il residuo della "cosa" dopo che la riduzione fenomenologica ha sospeso il giudizio riguardo l'esistenza o meno della cosa, allora mi sembra che venga a coincidere con le mere connotazioni o intensioni mentali dei concetti delle cose a prescindere da eventuali loro denotazioni o estensioni reali, e che dunque non possa coincidere proprio col darsi come fenomeno effettivamente reale, contenuto dell' esperienza cosciente.
L'idea al di là del suo esistere in un certo contesto al di fuori di me (a prescindere dall' esistenza di un suo denotato o estensione reale o meno) mi sembra semplice realtà concettuale e non fattuale.
 
E se decido metodologicamente di impostare una filosofia come descrizione essenziale dei fenomeni della mia coscienza senza ritenere che la realtà fuori di me non esista, o se esiste debba coincidere con questi fenomeni, faccio qualcosa di diverso dallo Stabilire che la realtà esista o meno come dipendente dal pensiero.
Infatti il fatto che si tratti di "fenomeni della mia coscienza" e non di cose in sé indipendentemente dal fatto di essere sensibilmente percepite (reali fuori di me) non ne fa mera realtà concettuale (posso anche pensare a un ippogrifo il quale non é reale nemmeno come mero fenomeno, ma se penso a un cavallo realmente visto, allora penso a qualcosa di reale fattualmente e non in maniera meramente concettuale).
Semplicemente limito la (o mi rendo conto della limitatezza della) mia conoscibilità della realtà fattuale (indipendente dal pensiero, non meramente concettuale) al fenomenico e non alla cosa in sé.
 
La fenomenicità é diversa dalla concettualità e la noumenicità (l' "inseità") é diversa dalla relta fattuale ("fattualità").
Possono darsi fenomeni non realmente fattuali ma meramente concettuali (ippogrifi) e fenomeni realmente fattuali (cavalli reali).
Il noumeno o casa in sé può senz' altro darsi come realtà non fattuale ma meramente concettuale (può reamente essere pensata); ma potrebbe anche (non é dimostrabile né che lo sia né che non lo sia) darsi come realtà fattuale e non meramente concettuale (una denotazione o estensione reale del concetto di "noumeno" potrebbe realmente esistere o meno).
 
 
 
Mentre se si da realmente a posteriori un dato empirico (fenomenico) su cui predicare come denotato o estensione reale di un concettosi é garantiti sul fatto di predicare circa la realtà fattuale; invece se si predica analiticamente su concetti a priori (che siano di fatto astratti da dati empirici a posteriori, comunque "di diritto" stabiliti arbitrariamente a priori e considerati unicamente in quanto tali) nulla garantisce che essi siano "dotati" di o "accompagnati" a denotazioni o estensioni reali (oltre che a connotazioni o intensioni cogitative), e dunque che si stia predicando (ed eventualmente conoscendo) circa la realtà fattuale e non solo "elucubrando concettualmente".
#1838
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 20:35:33 PM
CitazioneQuanto alla "cosa in sè" essa è l'oggetto cui il "segno" (semiotico) si riferisce. E questo è il suo
significato, che chiaramente non è un mulla come tu affermi.
Ovvero: se il "segno" (parola o altro) è segno di qualcosa, allora la "cosa in sè" è questo qualcosa.
Personalmente considero grave errore concettuale il ritenere il "noumeno", o "cosa in sè", come
un essenza metafisica (e il "fenomeno" come una sostanza fisica).
La "cosa in sè" è una "cosa" fisica, visto che è l'oggetto cui il segno semiotico si riferisce (è l'oggetto
che, nel momento in cui è "conosciuto" dal soggetto interpretante, diventa un interpretato -cioè diventa
un "fenomeno").
In altre parole, il "noumeno" e il "fenomeno" sono/è lo stesso oggetto. Prima di essere interpretato dal
soggetto è "noumeno", mentre dopo è "fenomeno" (la questione è, per così dire, tutta "linguistica" e
"temporale", e la metafisica o la fisica non c'entrano nulla).

Per poterci intendere io distinguerei fra denotazione o estensione reale (quando c'é; non sempre necessariamente, contrariamente al significato inteso come connotazione o intensione teorica, mentale) di un concetto da una parte e noumeno o cosa in sé dall' altra.

Comunemente le denotazioni o intensioni reali dei concetti sono "oggetti (enti o eventi) fenomenici".
Oggetti fenomenici materiali (res extensa) come per esempio un cavallo realmente esistente (denotazione o estensione reale del concetto di "cavallo" la cui connotazione o intensione é la definizione " grosso mammifero erbivoro con testa lunga, collo diritto rivestito di criniera coda corta con peli lunghissimi, orecchie corte e diritte, arti con un solo dito coperto dallo zoccolo"; mentre invece per esempio il concetto di "ippogrifo" non ha alcuna denotazione o estensione reale ma solo la connotazione o intensione "cavallo alato").
Oppure oggetti fenomenici mentali (res cogitans) come per esempio un sentimento (odio, amore, ecc. che realmente si provino, denotazioni o estensioni reali dei rispettivi concetti), un immaginazione (il fatto di realmente pensare a un ippogrifo, denotazione o estensione reale del concetto di "pensiero o immaginazione fantastica di un ippogrifo, ovvero di un cavallo alato"), un concetto o una qualità astratta (la denotazione o estensione reale -per quanto stratta- del concetto di "mammifero" o di quello di "intelligenza"; mentre i concetti di "mammiferi a sangue freddo" o di "cavallo alato" o di "angelo" non hanno denotazioni o estensioni reali), un predicato (l' affermazione o pensiero -reale, se accade realmente- "esiste un cavallo", denotazione o estensione reale del concetto di "predicazione dell' esistenza reale di un cavallo"), ecc.

Ma esiste anche il concetto di "cose in sé" o "noumeno", di cui non é possibile dimostrare, né men che meno (per definizione!) mostrare empiricamente, che esistano e nemmeno che non esistano denotazioni o estensioni reali, oltre al significato nel senso di connotazione o estensione: "ciò che é reale indipendentemente dal fatto che sia pure realmente oggetto di sensazioni fenomeniche; ovvero dal fatto che siano reali anche le corrispondenti sensazioni fenomeniche".
Per esempio ciò che continua ad esistere -se realmente esiste, e non é come gli ippogrifi o gli angeli- anche allorché non vedo il magnifico cedro del Libano nel giardino del mio vicino di casa e che fa sì che ogni volta che mi colloco nella giusta posizione e guardo dalla parte giusta (oppure semplicemente riapro gli occhi dopo averli chiusi) puntualmente (ri-) vedo lo splendido albero (=torna puntualmente ad esistere quell' insieme di sensazioni fenomeniche -verde fogliame, tronco e rami marroni, stormire del vento fra la fronde, odore di resina, ecc.- che costituisce quel cedro del Libano e che quando avevo gli occhi e gli orecchi e il naso chiusi o ero altrove non esisteva punto realmente; tutt' al più potevo immaginare esistesse, ovvero poteva esistere il mero pensiero di esso: ben altra cosa!).

#1839
Citazione di: Carlo Pierini il 01 Luglio 2018, 17:38:34 PM
Citazione di: sgiombo il 01 Luglio 2018, 14:56:28 PM
I teoremi della logica e della matematica essendo per l' appunto, a mio parere, giudizi analitici a priori, certamente veri (se correttamente svolti) ma del tutto sterili conoscitivamente, nel senso che non ci dicono nulla di come é o non é la realtà (di ciò che realmente é/accade o meno) ma solo di come si possa correttamente parlare ovvero "linguisticamente pensare" (riguardano ciò che -realmente, se realmente accade di pensarlo- é mero "contenuto di pensiero", mera "concettualità" a prescindere da ciò che é/accade realmente o meno").

CARLO
Certo, presi in sé isolatamente, i teoremi della logica sono SOLO teoremi della logica. Ma essi NON SONO fini a se stessi. Come dicevano Pitagora e Galilei, essi rappresentano le "lettere dell'alfabeto" del "Libro della Natura" e quindi rappresentano uno strumento insostituibile per la sua conoscenza. E I FATTI storici, cioè il grande balzo evolutivo compiuto dalla conoscenza umana dal momento in cui essi sono stati applicati metodicamente all'interpretazione del mondo fisico, dimostrano che le idee di Pitagora e Galileo sono molto più veritiere delle tue elucubrazioni campate per aria.

CitazioneLo so benissimo che le deduzioni logiche si possono applicare a ipotesi sulla realtà (e la matematica alla fisica e alle altre scienze naturali) e in quanto tali servono a estenderne la comprensione e la conoscenza; però allora trattano di conoscenza acquisite mediante giudizi sintetici a posteriori circa dati empirici, esplicitandone aspetti impliciti (e consentendo astrazioni e generalizzazioni utili anche all' induzione; la quale peraltro é applicata a conoscenze ottenute con giudizi sintetici a posteriori e, come ci ha genialmente mostrato Hume (oso sperare ti asterrai da offensive liquidazioni di questo grandissimo, dato che sei solito elargirne a piene mani a molti grandi della filosofia e che peraltro -nel caso malaugurato invece ricascassi in questo tuo vizio-non farebbero che ricoprire te di ridicolo) non é dimostrabile essere vera; il che non impedisce necessariamente di crederla tale.

Lungi da me il paragonarmi a Pitagora e a Galileo; ma non c' é bisogno di essere come loro per compiere ragionamenti interessanti e non affatto "elucubrazioni campate per aria"
#1840
Citazione di: davintro il 01 Luglio 2018, 13:58:31 PM
Citazione di: 0xdeadbeef il 01 Luglio 2018, 10:45:59 AMDavintro:
uscendo probabilmente per un attimo dal seminato del topic, mi interesserebbe chiarire che secondo me la coincidenza fenomenologica fra essenza e fenomeno non ha a che fare con un idealismo soggettivista per cui la realtà oggettiva diverrebbe una proiezione del pensiero soggettivo, nel quale "la verità per me" finirebbe col coincidere con "la verità in assoluto". Che l'essenza delle cose coincida con il suo darsi come fenomeno a una coscienza non implica che le cose siano un prodotto del pensiero, ma che il loro senso universale, al di là delle particolari determinazioni con cui si esistenziano, può essere colto nel momento in cui non sono più concepiti come "fatti reali", la cui esistenza in un determinato spazio-tempo è solo accidentale, ma come contenuti di un vivere cosciente, che è l'ambito, non nel quale le cose esistono (come sarebbe in un'ottica idealista), ma dove possono essere riconosciute ad un livello pieno di evidenza e necessarietà, facendo leva sul fatto che, mentre i giudizi sull'esistenza delle cose in un'oggettività trascendente possono sempre essere messi in dubbio in base a eventuali disfunzioni delle nostre capacità percettive, l'esperienza cosciente soggettiva delle cose resta un residuo indiscutibile indipendentemente dal fatto che al "fenomeno" nella coscienza coincida una realtà effettivamente esistente nel mondo. Cioè, va distinto il piano metodologico da quello ontologico: metodologicamente la ricerca parte considerando l'evidenza del darsi dei fenomeni a una coscienza che ne fa esperienza, ma all'interno di questa evidenza si cerca di mettere alla luce un modo d'essere degli oggetti correlati agli atti coscienziali che resta tale al di là del fatto che se ne abbia esperienza o meno.
CitazioneSgiombo:
Ma gli (i "contenuti de", ciò che costituisce gli") atti coscienziali non possono essere identificati con qualcosa che resta tale al di là del fatto che se ne abbia esperienza (= che accadano realmente in quanto tali: "atti coscienaziali") o meno.
O accadono oppure non accadono.
E se é reale qualcosa anche allorché non accadono (degli "oggetti correlati agli atti coscienziali"), ragion per cui "date le opportune circostanze gli atti coscienziali puntualmente accadono" (esempio: chiudo gli occhi e non vedo -id est: non esiste come "atti coscienziali"- il cedro del Libano nel giardino del mio vicino, ma se li riapro puntualmente lo rivedo, id est: torna d esistere come "atti coscienziali"), allora sarebbe una plateale contraddizione pretendere di affermare che tale "qualcosa" di correlato, che non é (costituito da) determinati "atti coscienziali", dal momento che é/accade realmente (anche) quando tali "atti coscienziali" non sono/non accadono, si identifichi con, sia (costituito da) tali determinati "atti coscienziali".

Se tale "qualcosa é reale, allora logica impone che sia altro, "diversa cosa" dagli atti coscienziali (fenomeni), reale anche allorché gli atti coscienziali (fenomeni) non lo sono, qualcosa di non "coscienzialmente apparente (non "atti coscienziali"), di non sensibile o apparente ai sensi (non fenomeni) ma invece di congetturabile (dal greco e a la Kant "noumeno).

Ma allora nulla ne posso conoscere: posso soltanto congetturare che "sia qualcosa di reale (e non fenomenico, non apparente, ergo: non immaginabile)".

Davintro:
Se la preservazione dell'autonomia dell'oggettivo cadesse in questa prospettiva non avrebbe senso il lavoro dell' epochè, nel quale il soggetto mira a eliminare tutta la serie di pregiudizi e filtri legata alla sua condizione storica per lasciare trasparire il senso dei fenomeni. Nella "messa tra parentesi" di tutto ciò che lascerebbe l'esperienza nell'arbitrarietà soggettiva è implicito il rispetto dell'autonomia della realtà, da recepire senza proiezioni soggettive. Il riferimento alla coscienza cioè è strumentale a guadagnare una posizione di oggettività più forte, perché è l'ambito nel quale le cose possono manifestarsi nella loro evidenza, mentre il rischio della proiezione soggettivista c'è fintanto che pretendo di associare il mio vissuto a un'esistenza trascendente. Il fenomeno che coincide con l'essenza non è il vissuto che ingenuamente penso di poter far coincidere con una realtà oggettiva, ma è il senso della cosa che lascio risaltare dopo che autocriticamente riconosco l'arbitrareità dei pregiudizi della visione del mondo dovuti alla finitezza e imperfezione del mio essere soggetto empirico
CitazioneSgiombo:
Come mai potrebbe sapersi qualcosa di definito, determinato circa questo "senso dei fenomeni", che mi pare coincidere con la cosa in sé o nuomeno?
A me sembra che al massimo se ne possa ipotizzare una corrispondenza biunivoca coi fenomeni, tale da giusìtificare l' intersoggettività (e non oggettività) dei fenomeni materiali (postulabile ma non dimostrabile): tutti possono vedere il Monte Bianco se non sono ciechi e si collocano e guardano "nei modi opportuni", gli esprimenti scientifici sono riproducibili da chiunque, sempre e dovunque e le leggi che non falsificano sono constatabili da chiunque osservi "nei modi opportuni"
#1841
Secondo me, contro Kant (e contro (@) Davintro, se bene intendo la sua critica a Kant, complessa e per me non facile da seguire;e fra l' altro non ho anora letto l' ultimo suo intervento #14) non esistono giudizi sintetici a priori ma solo giudizi sintetici a posteriori (a proposito dei quali la critica humeiana della causalità mi pare del tutto insuperata, da Kant e da chiunque altro) e giudizi analitici a priori.
I teoremi della logica e della matematica essendo per l' appunto, a mio parere, giudizi analitici a priori, certamente veri (se correttamente svolti) ma del tutto sterili conoscitivamente, nel senso che non ci dicono nulla di come é o non é la realtà (di ciò che realmente é/accade o meno) ma solo di come si possa correttamente parlare ovvero "linguisticamente pensare" (riguardano ciò che -realmente, se realmente accade di pensarlo- é mero "contenuto di pensiero", mera "concettualità" a prescindere da ciò che é/accade realmente o meno").
Invece i giudizi sintetici a posteriori ci dicono qualcosa di come é o non é la realtà (di ciò che realmente é/accade o meno) a prescindere da ciò che eventualmente (realmente, se lo si pensa di fatto realmente) se ne pensa o meno.
I giudizi sintetici a posteriori solitamente (e in particolare quelli propri delle conoscenze scientifiche) si riferiscono a (predicano circa) fenomeni o apparenze sensibili, coscienti (sia materiali sia mentali; ma solo materiali quelli delle scienze propriamente dette), sono dubbi (Hume!) e non riferiti alle "cose in sé" o noumeno (eventuali; se reale).
Ma non bisogna confondere il fatto che i giudizi analitici a priori sono certamente veri (se correttamente svolti) indipendentemente dal reale essere/accadere o meno di particolari e contingenti fenomeni (non essendo conoscenza della realtà -fenomenica o in sé che sia- ma solo di come si possa correttamente parlare ovvero "linguisticamente pensare") con una loro pretesa oggettività, ovvero con la pretesa che siano conoscenza (della realtà, di ciò che realmente é accade o meno indipendentemente dal fatto che sia eventualmente anche oggetto di pensiero o meno) come noumeno o cosa in sé indipendentemente dal reale ma soggettivo essere/accadere o meno di particolari e contingenti fenomeni.
La certezza universale e incontestabile, assoluta dei giudizi analitici a priori (conoscitivamente sterili circa la realtà quale é/accade indipendentemente dall' eventuale -reale accadere o meno del- pensiero circa la realtà stessa, essendo essi unicamente conoscenza di come si possa correttamente pensare) é ben diversa cosa da (e non va confusa con) una pretesa loro oggettività di conoscenza della realtà (pretesa in sé in quanto per l' appunto pretesa oggettiva, trascendente la insuperabile soggettività -e casomai intersoggettività- delle conoscenze dei fenomeni).
 
La conoscenza della realtà propria della "cosa in sé" come noumeno oggettivo (sintetica a posteriori, ammesso che sia possibile) contrapposta alla conoscenza (sintetica a posteriori) delle "apparenze sensibili o fenomeni soggettivi (casomai intersoggettivi, ma comunque limitati o "confinati nella loro realtà" alla-alle esperienza-e cosciente-i soggettive non confusa) non va confusa con la conoscenza analitica a priori certa (non soggettiva, non limitata alla soggettività dei fenomeni) ma comunque pur sempre conoscenza del modo corretto di pensare (indipendentemente dal fatto che eventualmente si pensi qualcosa di anche reale o meno) e non affatto conoscenza della realtà (indipendentemente dal fatto che eventualmente sia anche pensata o meno).
 
Nell' ambito della realtà il pensiero (allorché realmente accade) é qualcosa di decisamente peculiare, in quanto é predicazione (per lo meno se si tratta di pensiero linguistico) circa la realtà o meno, e dunque (per definizione) condizione (necessaria anche se non sufficiente) della conoscenza della realtà stessa.
Ai fini della (correttezza, verità della) conoscenza (della realtà) é fondamentale non confondere ciò che é in quanto "contenuto di pensiero (che sia reale/accada realmente anche una denotazione o estensione dei concetti costituenti tale contenuto di pensiero, oltre ai loro significati intrinseci "a prescindere dalla realtà" ovvero connotazioni o intensioni)" e ciò che é in quanto "ente/evento reale (che sia reale/accada realmente o meno anche il pensiero di concetti dei quali tali enti/eventi reali costituiscano la denotazione o estensione reale, oltre ai loro significati intrinseci "a prescindere dalla realtà" ovvero oltre alle loro connotazioni o intensioni)".
Secondo me dalla confusione di queste due accezioni di "essere" (in quanto concetto e in quanto realtà), da Parmenide e da Platone in poi, nascono molteplici fraintendimenti, errori, falsità metafisici.
Mi scuso per l' ennesima ripetizione, alquanto ossessiva, di questo mio "cavallo di battaglia".
#1842
Citazione di: viator il 30 Giugno 2018, 19:07:51 PM
Salve. Per Sgiombo e Maura : Ricito quanto già citato da Maura : E infatti ho affermato che ritengo che non sia giusto imporre la vita umana ad altri (fare figli) perché questo inevitabilmente li esporrebbe non per loro ibera scelta al pericolo dell' infelicità.. Personalmente credo proprio non esista il pericolo di trovarsi a dover imporre la vita ad un figlio. Come se i figli fossero nostre creature. La vita - figli nostri inclusi - non appartiene a nessuno e nessuno in particolare può evocarla od imporla. Noi possiamo essere la causa che la genera, ma è semplicemente assurdo sostenere di AVER DECISO DI AVERE DEI FIGLI. Questa è solo l'illusione di breve momento che ci viene lasciata. La vita "ci usa" attraverso il sesso per ottenere ciò che vuole. In sostanza l'avere figli ricade tra le situazioni canoniche oggetto delle diatribe sul libero arbitrio (che non esiste) e sul credere di possederlo (opzione scelta da quasi tutti coloro che si soffermano sul singoli atti e "scelte" della propria esistenza senza volere od essere capaci di generalizzare ed approfondire).
Se si fosse responsabili della eventuale infelicità di un figlio, allora si dovrebbe anche esserlo della sua eventuale felicità ! Ma per piacere !! Salutoni.
CitazioneConcordo convintamente sull' illusorietà del libero arbitrio.

Ma, come ho già ripetutamente rilevato anche nel forum, nego che dall' esserne consapevoli debba necessariamente conseguire un qualsivoglia indebolimento della volontà e delle aspirazioni di ciascuno.

Esistono anticoncezionali efficacissimi e dagli effetti collaterali minimi (nessun farmaco, nessuna terapia di alcun genere é del tutto priva di effetti collaterali, contrariamente a quanto pretenderebbero antiscientificamente certi "fondamentalisti delle vaccinazioni" e della presunta "malasanità", per il semplice fatto che la perfezione non esiste), e si può sempre scegliere di usarli (salvo improbabili costrizioni estrinseche; per esempio qualora la chiesa cattolica riuscisse a vietarne produzione e vendita); e proprio nulla di nulla cambia in questo per il fatto (di cui sono convintissimo) che si tratterebbe di una scelta deterministica e non liberoarbitraria: non per questo non la farei ugualmente o sarei più titubante nel farla, così come non per questo chi preferisse non usarli non sceglierebbe o sceglierebbe con maggior titubanza di non usarli).

Ciò che ritengo ingiusto nel generare figli non é la responsabilità circa la loro felicità o infelicità (che é questione discutibile e comunque non "manicheisticamente dicotomica", cui si possa rispondere con un "si" o un "no" secchi), ma invece l' imposizione a loro senza il loro consenso del rischio dell' infelicità (sia pure in alternativa alla possibilità della felicità).
Il padre di un figlio che si ammalasse gravemente in tenera età, che soffrisse tantissimo e morisse dopo sofferenze magari di lunga durata (come purtroppo accade) non sarebbe certo responsabile (salvo colpevoli imprudenze da parte sua che le avessero causate, ovviamente) delle mostruose sofferenze del figlio stesso (come non sarebbe responsabile di eventuali fortune e motivi di felicità).
Ma ciò non toglie che ogni genitore impone ai propri figli il rischio dell' infelicità (sia pure in alternativa alla possibilità della felicità) nell' ovvia impossibilità logica, assoluta di averne il consenso. E questo mi sembra sommamente ingiusto, quale che sia la sorte -più o meno fortunata- del figlio, (pensa alle domande con cui ho concluso il precedente intervento in risposta a Maura).
#1843
Citazione di: Maura il 30 Giugno 2018, 17:39:09 PM

Mi permetto di non essere d'accordo con ciò che affermi
Citazione di: sgiombo il 30 Giugno 2018, 09:32:48 AME infatti ho affermato che ritengo che non sia giusto imporre la vita umana ad altri (fare figli) perché questo inevitabilmente li esporrebbe non per loro ibera scelta al pericolo dell' infelicità.  

Pensa che se i tuoi genitori avessero pensato come te.....tu non ci saresti:
Davvero la tua vita è stata così infelice?
Ti toglieresti la possibilità di pensare, di dialogare con gli altri, di scambiare idee? (Cito queste attività perchè vedo che sei molto attivo sul forum, ma immagino che sono molti i tuoi interessi)
Tutta la tua vita non ha valore?
Non lo credo proprio. Tu ci sei, sei importante perchè sei tu.

Maura
P.s.: Non credere che io sia bigotta, anzi ti anticipo che non sono credente, ma sono consapevole di essere un nulla per l''universo, ma molto per chi mi vuol bene.
Per la verità ci ho pensato e ci penso molto al fatto che  se i miei genitori avessero pensato come me.....io non ci sarei.

E sono loro grato perché finora sono stato complessivamente felice e non poco (ho scritto infatti che al dio onnipotente che mi proponesse di rivivere una o più volte (al limite infinite volte) la vita che ho vissuto finora risponderei affermativamente).
Peraltro se non mi avessero generato non avrei nemmeno bisogni e aspirazioni da soddisfare e dunque non sarei infelice; e infatti, data l' incertezza circa il futuro, se (per assurdo, ammesso e non concesso) prescindessi dall' aspirazione di essere di aiuto ai miei cari (e in qualche infima misura agli altri genericamente intesi) al dio onnipotente che mi chiedesse se voglio continuare questa vita (finora felice) o iniziarne un' altra oppure cessare di esistere come soggetto cosciente (e autocosciente) risponderei che preferirei la seconda proposta.

Ma se io (e tanti altri) sono stato, almeno finora (...e speriamo bene per il futuro; ma non é detto...) non poco felice, ciò é stato (in ultima analisi) per "puro culo", mentre tanti (troppi!) altri sono infelici.
Per questo credo non sia giusto imporre ad altri (generando figli) il rischio dell' infelicità (sia pure in alternativa alla possibilità della felicità). nell' ovvia impossibilità assoluta (logica!) di chiedere il loro consenso.

Cosa diresti se qualcuno ti imponesse indipendentemente dalla tua volontà di (scusa per la banalità degli esempi, ma non conosco i tuoi desideri e aspirazioni: spero che ben comprenda il senso profondo, non letterale di quanto sto argomentando) di lanciare una moneta sapendo che se esce "testa" diventi rocca e potente con tutte le possibilità (ovviamente non. certezze!) che ne conseguirebbero di vivere bene e felicemente, mentre se esce "croce" vieni sottoposta a terribili torture e poi ammazzata (cosa orrenda che purtroppo di fatto a capita a troppe persone)?
Ma anche (ammesso che sia più probabile la felicità dell' infelicità) se ti si imponesse indipendentemente dalla tua volontà di lanciare due dadi in modo da essere torturata e uccisa se il risultato fosse "2" e diventare ricca e potente (e in ottima salute, ecc.) se il risultato fosse uno degli altri possibili (uno qualsiasi compreso fra "3" e "12" inclusi questi due estremi).
#1844
Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 23:43:40 PM
Citazione di: sgiombo il 29 Giugno 2018, 22:11:10 PM
Il problema é che abbiamo molteplici aspirazioni e desideri, e spessissimo non possiamo realizzarli tutti (molti sono di fatto reciprocamente incompatibili).

Per questo la felicità completa, integrale, assoluta non é possibile e possiamo solo aspirare a una felicità parziale, relativa.
A questo scopo sono necessarie una conoscenza che sia la migliore possibile dell' ambiente naturale e sociale in cui ci troviamo ad agire onde stabilire quali insiemi di scopi sono congiuntamente realizzabili in alternativa a quali altri insiemi di scopi e con quali mezzi (e a quali prezzi, cioè rinunciando a quali altri scopi con essi incompatibili).
E a questo scopo la guida migliore sono l' analisi razionale e la ricerca scientifica.
E inoltre un' attenta valutazione dell' importanza o dell' intensità (non quantificabile!) con la quale avvertiamo i diversi desideri e aspirazioni, onde metaforicamente "ponderare" quali insiemi di soddisfazioni di aspirazioni reciprocamente compatibili ci darebbero la soddisfazione complessiva maggiore fra tutti i reciprocamente incompatibili insiemi complessivi di soddisfazioni di aspirazioni( reciprocamente compatibili nell' ambito di ciascun insieme incompatibile con gli altri insiemi).
"Metaforicamente "ponderare" e non prpriamente misurare quantitativamente, come sarebbe per esempio il "pesare" letteralmente, cosa infatti impossibile nell' ambito della res cogitans la quale ci prospetta i fini delle nostre azioni, e contrariamente al caso della res extensa, la conoscenza la migliore possibile (auspicabilmente scientifica) della quale ci può fornire i mezzi per conseguire quelli fra di essi che sono realisticamente ottenibili nelle circostanze in cui ci veniamo a trovare e ad agire.
La cosa più difficile nella ricerca della felicità é proprio la non misurabilità quantitativa letterale, sotto forma di rapporti matematici esprimibili da numeri, dell' intensità delle diverse aspirazioni spesso non reciprocamente compatibili e dunque fra le quali scegliere quali ricercare e a quali altre rinunciare onde conseguire le prime in alternativa alle seconde così da essere il più possibile felici.
Anche perché la vicinanza spaziotemporale di possibili soddisfazioni, il fatto di "constatarle come realtà presente o per lo meno imminente, in atto o quasi" tende a farcele avvertire falsamente come più intense, mentre altre soddisfazioni incompatibili con le presenti o imminenti ma più lontane nel tempo, per il fatto che si possono soltanto "immaginare come mere potenzialità future" tendono a sembrarci falsamente meno intense (in una sorta di "illusione mentale" analoga all' illusione ottica o prospettica che ci fa sembrare più grande di quanto non sia un oggetto materiale -res extensa- allorché ci é vicino e più piccolo quando é più lontano da noi).

...Ovvero: quando il non dir niente (o quasi) diventa letteratura (o quasi)!

CitazioneNon commento ciò che si commenta già abbondantemente da sé: non saprei come mostrarne l' inconsistenza in maniera più evidente che lasciandolo sotto gli occhi di tutti tale e quale, nella sua originale "nudità".
#1845
Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 23:35:49 PM
Citazione di: sgiombo il 29 Giugno 2018, 22:15:17 PM
Penosa pretesa liquidazione di Kant senza averlo capito.

Se tu l'hai capito, spiegami dov'è che mi sbaglio.
Citazione
Citazione di: Carlo Pierini il 29 Giugno 2018, 23:35:49 PM

PAROLE DI SGIOMBO E NON DI CARLO PIERINI

Eh, caro mio, ci vorrebbe troppo tempo.
Se non capisci che cosa sia la cosa in sé kantiana e la consideri un "aborto concettuale" dovresti cominciare col rileggere (o più verosimilmente col leggere) le sue Critiche, soprattutto la prima.

Posso solo accennare al fatto che il concetto kantiano di "noumeno" é un costrutto teorico originale e non affatto una "manipolazione" delle idee platoniche", col quale ha ben poco o piuttosto nulla a che fare, che é perfettamente ovvio che qualunque pensatore (anche Platone e qualsiasi altro) ricavi consenso (con malevola metafora -decisamente ridicola e penosa nel caso di Kant, come d' altra parte le taccie di operatore di "mosse oscene", di elaboratore di una "filosofia costruita a tavolino" e di "mercante truffatore travestito da filosofo"- denominabile "lucro") dalle sua proposte teoriche; ovviamente nella misura in cui siano e presso coloro per i quali siano convincenti.
Ma, contrariamente a Kant, Platone, se é vero quanto ci racconta il solitamente attendibile Diogene Laerzio, non si limitò a "lucrare lecitamente" consenso alle sue tesi, bensì cercò anche di imporlo forzatamente e in maniera intellettualmente disonesta, attraverso il tentativo di far distruggere -irreversibilmente censurare!- le opere chi chi, come Democrito, ne dissentiva e le criticava).

Quella di Kant come presunto "iniziatore della frattura inconciliabile e cruenta -sic!- tra scienza e fede" é un' altra penosissima e tragicomicissima sciocchezza.