Secondo me, appurato che parliamo di assoluto con la minuscola, si fanno convergere in tale vago termine ("assoluto") tanti significati specifici, e il risultato rischia di essere incline alla confusione (per eccessiva approssimazione); per questo alludevo alla rasoiata emendatrice:
Dirò forse che la mia chiave inglese ha una "utilità assoluta" se si tratta di avvitare o svitare un bullone n.12?
In tutti questi casi mi pare che l'appellativo "assoluto" (e l'assolutezza sottintesa come "l'essere ciò che si è, come si è, senza essere ciò che non si è") sia una ragnatela: non serve, anche se non danneggia troppo...
Certo, parliamo di assouto per tradizione (indizio: citiamo autori metafisici di secoli passati...), ma ci fidiamo ciecamente del fatto che ci "sia", per passare così direttamente alla questione del "come" sia (prima di chiederci "se" sia)?
Una certa filosofia, più fresca di stampa (quindi con meno ragnatele), ci suggerisce che potrebbe essere un passo falso...
Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Giugno 2018, 14:21:50 PMassolutamente, ovvero "in ogni caso"; ma esistono, in fondo, leggi giuridiche che non sono assolute (al netto delle rispettive postille)? Dire "legge che vale assolutamente" non è ridondante ed equivalente rispetto a semplicemente "legge"?
io direi che se vengo condannato è sì in virtù di una convenzione stabilità da una società; ma una convenzione che
pretende di valere assolutamente, cioè per tutti i membri di quella società
Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Giugno 2018, 14:21:50 PML'assolutezza del linguaggio è quella di essere fondato su definizioni, regole sintattiche, etc. atte a descrivere e comunicare? Anche qui: esistono forse linguaggi non assoluti, nel senso che non hanno questa "funzione strutturata"?
tutto il linguaggio è fondato su una pretesa di assolutezza, senza la quale nemmeno
potremmo alzarci e dire: "guarda che bella giornata è oggi".
Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Giugno 2018, 14:21:50 PMNel senso che ogni identità logica è intesa come assoluta? Ciò è già implicito nella definizione di identità: A è diverso da non-A; allora A è assoluto? Si rischia anche qui l'abuso, o meglio, l'uso superfluo del concetto di assolutezza (già presupposto da quello di identità logica).
L'assoluto, da questo punto di vista, permea di sè
ogni aspetto della nostra vita quotidiana (Nietzsche diceva infatti che se dicìamo di qualcosa che "è" lo diciamo "così,
per vivere" - cioè legava la concezione di assoluto ad una visione convenzionale ed utilitaristica).
Dirò forse che la mia chiave inglese ha una "utilità assoluta" se si tratta di avvitare o svitare un bullone n.12?
In tutti questi casi mi pare che l'appellativo "assoluto" (e l'assolutezza sottintesa come "l'essere ciò che si è, come si è, senza essere ciò che non si è") sia una ragnatela: non serve, anche se non danneggia troppo...
Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Giugno 2018, 14:21:50 PMSe per "assoluto" non intendiamo semplicemente "autonomo" o "estendibile a tutta la sua casistica pertinente", bisogna chiedersi qual'è il piano di esistenza dell'assoluto (se non è puramente linguistico-concettuale) e, soprattutto, su cosa si fonda l'assoluto (che non sia astrazione concettuale).
io dico che invece quel termine
(esistenza-dell'assoluto) vada molto ma molto ben più ponderato e specificato.
Certo, parliamo di assouto per tradizione (indizio: citiamo autori metafisici di secoli passati...), ma ci fidiamo ciecamente del fatto che ci "sia", per passare così direttamente alla questione del "come" sia (prima di chiederci "se" sia)?
Una certa filosofia, più fresca di stampa (quindi con meno ragnatele), ci suggerisce che potrebbe essere un passo falso...
Citazione di: sgiombo il 10 Giugno 2018, 14:25:34 PMDubito (visto che si parla di Cartesio!) che la filosofia sia la disciplina più adatta a studiare la "res cogitans" (sebbene sia la più incline ad usarla) il cui "campo", non a caso, mi pare si sta riducendo e riconfigurando man mano che avanzano le neuroscienze (ad esempio, il pensiero non è una "voce immateriale" che abita la testa, come magari pensava Cartesio); tuttavia non voglio deviare il discorso off topic.
Soprattutto dissento dalla tesi che nell' ontologia ormai bastino (o comunque "siano meglio") le scienze (in senso stretto o forte ovvero le "scienze naturali"; che ovviamente ritengo comunque necessario conoscere; [...]
E questo principalmente per due motivi.
Il Primo è che ritengo che le scienze naturali si occupino ottimamente della ricerca della conoscenza vera nell' ambito naturale - materiale della realtà (più o meno la cartesiana res extensa), ma anche che la realtà non sia limitata ad essa ma invece comprenda anche la cartesiana res cogitans
Citazione di: sgiombo il 10 Giugno 2018, 14:25:34 PMConcordo con l'istanza della "supervisione filosofica", ma l'ontologia filosofica è a un vicolo cieco da molto tempo (almeno dalla nascita delle scienze fisiche moderne), vicolo cieco che termina con una porta di cui solo le scienze naturali che citi hanno la chiave (ad esempio, la "causa formale" dell'uomo, di cui si parlava in filosofia antica. è, banalizzo per ignoranza, nella "programmazione" del Dna: da qui in poi la scienza può indagare sulla "forma" degli uomini, e alla filosofia non resta che osservare i passi della ricerca scientifica...).
Il secondo é che la verità delle conoscenze scientifiche necessita di una "critica filosofica" che ne analizzi limiti, significato, condizioni; una severa critica razionale che implica anche importanti "considerazioni ed elementi di ontologia"

), ma solo per una convenzione stabilità da una comunità e applicata da alcuni dei suoi membri fiduciari (tutto molto immanente e contingente...).
), invitandoci piuttosto alla profondità ermeneutica (profondità del senso, non dell'Essere, anche se i due sono stati ben saldati, con-fusi assieme dalla metafisica occidentale, e a separarli forse non basta la decostruzione del postmoderno...).