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Messaggi - Phil

#1861
Citazione di: Il_Dubbio il 20 Novembre 2017, 00:03:53 AM
un uomo è resposabile di aver lanciato la pietra contro una vetrina? [...] no se ritieni l'uomo responsabile di intendere e di volere la rottura della vetrina.
Non ti seguo...
#1862
Citazione di: Il_Dubbio il 19 Novembre 2017, 23:11:07 PM
Tu hai inserito una clausola per cui la responsabilità individuale viene inserita perche altrimenti la società non funzionarebbe. Ma questa risposta non è pertinente. Un giudice ti chiederebbe: risponda alla domanda!
Vostro onore  :) , mi sono concentrato sin dal primo post sul termine "responsabilità", che, a mio giudizio, apre il discorso etico, quindi sociale, quindi politico. L'espressione "responsabilità individuale" ha infatti, almeno per me, una marcata tonalità etica o giuridica, caldamente umana. Se parliamo invece freddamente di "causazione", possiamo mettere in gioco anche le scienze e un approccio meccanicistico-deterministico, in cui un evento causa un altro evento (al di là del fatto che si tratti di eventi che coinvolgono umani, minerali o altro). Per quanto riguarda l'ambito propriamente neuroscientifico, di cui so praticamente nulla di approfondito, ho comunque il vago sentore che confermi l'ipotesi che il libero arbitrio sia un anacronistico baluardo metafisico sempre più vacillante (come già accennavo nella discussione al succitato link al topic "Siamo liberi di pensare ciò che vogliamo?").
Per cui, se dovessi rispondere alla domanda iniziale
Citazione di: Socrate78 il 18 Novembre 2017, 20:28:36 PM
Quali sono le vostre opinioni sul rapporto tra struttura genetica/chimica e libertà?
direi che la prima sembra decisamente tener in scacco la seconda (seconda che, di per sé, al netto del fascino demagogico, è una parola con un senso sempre piuttosto relativo).
Ho concluso e mi rimetto alla clemenza della corte  ;D
#1863
Non sono sicuro di aver colto appieno il senso delle tue considerazioni, per cui chiedo chiarimenti:
Citazione di: Il_Dubbio il 19 Novembre 2017, 22:22:09 PM
Se tu mi dici che tale responsabilità è necessaria per un fattore sociale non mi stai dicendo che vuoi sostenere che esista una responsabilità individuale. Stai solo sostenendo che la responsabilità individuale viene inserita solo perchè qualcuno deve pagare.
Nel momento in cui viene "inserita", non inizia dunque ad esistere socialmente, di fatto e di diritto, dando adito a conseguenze sociali ed individuali piuttosto rilevanti?

Citazione di: Il_Dubbio il 19 Novembre 2017, 22:22:09 PM
Se io commetto un reato ma nessuno ne subisce un danno sono imputabile o no? Secondo la giustizia si, perche la giustizia si basa sulla responsabilità.
La giustizia ti punisce se riscontra la tua volontà-dolo di compiere il reato, e se non sei in grado di intendere e di volere o il danno eccede le tue intenzioni, prende comunque provvedimenti, in virtù della tua "responsabilità materiale" nel causare danni... o no?

Citazione di: Il_Dubbio il 19 Novembre 2017, 22:22:09 PM
Non è il dolo che viene punito ma l'azione arbitraria ed irresponsabile. Il dolo viene punito magari con una pena risarcitoria, ma è un'altra storia.
Il dolo non viene considerato anche in caso di omicidio, non limitandosi a causare una mera pena risarcitoria?

P.s.
Credo resti importante distinguere l'ambito legale-giuridico, quello filosofico e quello neurologico; sicuramente ci sono delle influenze reciproche, ma anche differenti campi di applicazione (la filosofia può prescindere dalla giurisdizione, che può prescindere dalla neurologia, che può prescindere dalla filosofia, etc.).
#1864
Citazione di: Apeiron il 19 Novembre 2017, 19:29:15 PM
Citazione di: Phil il 19 Novembre 2017, 18:20:13 PMIl cielo di sera non è buio per convenzione sociale, mentre il giusto e lo sbagliato lo sono  
Invece questa affermazione è sbagliata considerando proprio la scienza stessa. Il "giusto" e lo "sbagliato" hanno anche fondamenti "biologici" ed evoluzionistici.
Per quel poco che so in merito, la biologia e l'evoluzionismo, non hanno una morale intrinseca (semmai siamo noi a vedercela, "antropomorfizzandole" ;) ), ovvero non possono fare il bene o il male, piuttosto hanno regole che tendono ad escludere/sopprimere il disfunzionale in favore del funzionale. Non è una questione meramente linguistica (funzionale/giusto vs disfunzionale/sbagliato): il sistema immunitario non prova ad uccidere i virus perché lo ritiene "giusto", ma solo perché è nella sua natura farlo, natura orientata a ciò che è più funzionale (non "giusto") per l'organismo di cui è parte. Il globuli bianchi possono avere dubbi morali/etici? ;D

Citazione di: Apeiron il 19 Novembre 2017, 19:29:15 PM
Il fatto stesso che creiamo convenzioni sociali la dice lunga sul fatto che il "giusto" e lo "sbagliato" derivano dalla nostra natura.
Secondo me, le convenzioni sociali si sono storicamente affermate poiché funzionali alle rispettive società (funzionali e artificiali/convenzionali, non funzionali e innate come il comportamento reattivo del sistema immunitario ;) ), non in quanto giuste o sbagliate in sé: è infatti proprio ogni convenzione a rendere possibile a posteriori tale discrimine... in fondo, se ci fosse un'etica fondata ontologicamente sulla natura e sulla scienza, avremmo quasi risolto i diverbi etici di tutto il mondo. Se tutte le tradizioni morali ritengono sbagliato uccidere a caso, rubare a chiunque e mentire all'autorità, non è perché sono oggettivamente azioni immorali, ma perché, se consentite e legittimate, destabilizzerebbero qualunque società umana. Provare per credere  ;D

Citazione di: Apeiron il 19 Novembre 2017, 19:29:15 PM
Quindi anche considerando la scienza non è possibile affermare che l'etica sia qualcosa di totalmente convenzionale. A meno che non si consideri anche il nostro DNA, il nostro cervello ecc come qualcosa di "convenzionale".
D'altronde, il DNA funziona secondo giustizia divina, secondo una sua "morale desossiribonucleica", o secondo regole biologiche? Se, in un matrimonio "misto", i tratti somatici "scuri" prevalgono su quelli "chiari" del nascituro (se non ricordo male), non è perché "è moralmente giusto sia così", ma perché così è "programmato" dal codice genetico, che non è certo gen-etico in quanto operi sul piano morale (le genetica non è in sé etica, è il nostro manipolarla a porrci quesiti di quel tipo... quesiti che hanno risposte a seconda delle differenti prospettive, etc. non farmi ricominciare con la predica sulla "debolezza" e il pluralismo prospettico ;D ).

Citazione di: Socrate78 il 19 Novembre 2017, 20:45:31 PM
Il giusto e lo sbagliato derivano innazitutto dalla natura, infatti fondano la loro ragion d'essere nell'istinto di conservazione, che fa sì che ogni persona (o anche animale in maniera più primitiva...) voglia e desideri ciò che la conserva in vita e rifiuti ciò che può danneggiarla, ucciderla o anche solo privarla di beni importanti.
Ovviamente se quest'istinto non ci fosse, non ci sarebbe nemmeno l'etica, che deriva solo dall'intervento della ragione su qualcosa che è già innato, connaturato alla persona.
Non fonderei l'etica sull'istinto biologico, altrimenti picchiare selvaggiamente chi mi guarda in modo minaccioso o mi dà una spinta, sarebbe moralmente giusto in quanto rivolto all'auto-difesa  ;D 
D'altronde l'uomo può anche ritenere etico scegliere di suicidarsi, con buona pace dell'autoconservazione  ;)
#1865
Citazione di: Il_Dubbio il 19 Novembre 2017, 17:52:21 PM
Indirettamente però ti ho dimostrato che se fosse vero ciò che dice la scienza allora non vi è responsabilità. Tu mi rispondi che le pene corrisposte sono necessarie per un fatto sociale. Ovvero la tua risposta secondo me è simile alla risposta a questa domanda: perchè il cielo di sera è buio? La risposta che daresti tu è perchè abbiamo bisogno socialmente del buio per andare a dormire.  :-*
Il cielo di sera non è buio per convenzione sociale, mentre il giusto e lo sbagliato lo sono  ;)

Non fraintendermi, ho sottolineato l'imprescindibilità della responsabilità individuale di fronte alla legge (a prescindere dal contributo che può dare la neuroscienza), ma non ho affermato che le leggi vigenti siano funzionali alla correzione o reinserimento dei colpevoli in società, anzi, quello è proprio il problema cruciale della giustizia:
Citazione di: Phil il 19 Novembre 2017, 14:32:03 PM
la vita sociale (da cui si può anche fuggire ;) ) esige, per la sua auto-tutela, che vengano disinnescati i soggetti che possano ledere alla comunità (e sulle modalità di tale disinnesco si apre il problematico scenario "bioeticopolitico" a cui accennavo).
Ovviamente "regole e sanzioni non bastano"(cit.), ma senza di esse è davvero possibile una società popolosa organizzata?
#1866
Citazione di: Il_Dubbio il 19 Novembre 2017, 10:32:14 AM
Per questo ho risposto nel modo come ho risposto a Phil. E' una scusa bella e buona, prima mi dici che sono una macchina e dentro di me agiscono solo forze conseguenti a delle azioni che non posso controllare, poi mi dici che comunque sei responsabile?
Non a caso avevo preventivamente precisato
Citazione di: Phil il 18 Novembre 2017, 22:34:35 PM
non mi può esonerare dall'esserne pubblicamente responsabile (standone le condizioni previste dalla legge)
"pubblicamente", ovvero è un'esigenza sociale che sia possibile imputare una responsabilità individuale delle proprie azioni (sempre secondo le differenti norme vigenti), altrimenti si gode di una "immunità" socialmente destabilizzante, garantita dall'"alibi neurologico". Il che non toglie che ci possa essere un forte determinismo a monte delle nostre scelte e azioni, ma la vita sociale (da cui si può anche fuggire ;) ) esige, per la sua auto-tutela, che vengano disinnescati i soggetti che possano ledere alla comunità (e sulle modalità di tale disinnesco si apre il problematico scenario "bioeticopolitico" a cui accennavo).
Ovviamente "regole e sanzioni non bastano"(cit.), ma senza di esse è davvero possibile una società popolosa organizzata? La causa del mio infrangere una legge è il fatto che ci sia una legge da poter infrangere (?!) oppure è una mia scelta di cui la legge non può che ritenermi responsabile (altrimenti siamo tutti innocenti di default)?
Anche se la mia scelta non è libera dai meccanismi che la determinano (mi sono dilungato altrove sul libero arbitrio: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/siamo-liberi-di-pensare-cio-che-vogliamo/30/ post #37 e seguenti, anche quelli degli altri utenti meritano la lettura  :) ), la comunità, per il suo "bene", non può darmi una pacca sulla spalla e dirmi "briccone, stavolta l'hai fatta grossa, ma in fondo se ti comporti come un virus rispetto all'ambiente sociale che ti circonda, è solo perché (e)segui il software di conflitto che hai in testa... non ti riteniamo responsabile, continua pure a far danni, è così che deve andare!" ;D .
Secondo me, in una società (ribadisco: privatamente, neurologicamente, religiosamente, la questione cambia molto) non ci può essere dualismo pubblico fra il nostro "sistema operativo" (causa del comportamento) e noi in quanto individui membri della società (che attuiamo il comportamento-causato, causando conseguenze sociali).
#1867
Citazione di: Socrate78 il 18 Novembre 2017, 20:28:36 PM
la responsabilità individuale sia molto meno forte di quanto si pensi e prevalga un notevole condizionamento genetico e biologico nella nostra condotta.
Le neuroscienze, così intese, sembrano poter aggiungere un altro capitolo all'"encomio di Elena" di Gorgia  ;)  stabilendo un interlocutorio dualismo fra l'individuo e il suo corredo genetico-neurologico (come se quest'ultimo non facesse parte dell'individuo...).
Credo che sul piano della responsabilità (civile/penale, etica/morale o altro) il soggetto non si possa assolvere per "manifesto malfunzionamento di neurotrasmettitore x" (anche in caso di "incapacità di intendere e di volere" ci sono conseguenze di tutela per la società, se non erro).
Il motivo di un mio comportamento nocivo (o potenzialmente tale), se inteso in termini esclusivamente chimico-biologico-altro,  non mi può esonerare dall'esserne pubblicamente responsabile (standone le condizioni previste dalla legge), altrimenti viene meno l'imputabilità di qualunque azione, perché il soggetto sarà sempre tutelato dall'"alibi neurologico" (lascio volutamente in disparte la "responsabilità privata" di stampo religioso, che suggerisce tutt'altro paradigma di lettura anche per l'eredità genetica e il corpo che abbiamo ricevuto in sorte...).

Scoprire una causa fisiologica di un comportamento pericolosamente anti-sociale ricondurrebbe la colpa, anzi, il dolo, ad una dimensione sanitaria: "non faccio questo perché sono cattivo, ma perché ho carenza di un enzima (o altro); dunque curatemi, riprogrammatemi e sarò un buon cittadino" (similmente a quanto accade nel "mentale": se ho avuto un'infanzia infelice o ho subito un trauma, resto comunque individualmente responsabile in caso commetta nefandezze).
Scenario distopico che solleva molte spinose questioni "bioeticopolitiche"(si può dire? ;D ), eugenetiche, etc.

P.s. Come accennato da Jacopus, sul libero arbitrio si è già discusso molto altrove, non scendo nel merito per non ripetermi  :)
#1868
Tematiche Filosofiche / Re:Il valore
14 Novembre 2017, 23:41:01 PM
Non voglio fare l'avvocato di Kobayashi (non ne ha bisogno; e se ne ha bisogno, io non sono in grado di farlo ;D ), ma al massimo l'avvocato del diavolo, o meglio, di quel diavolo di "pensiero debole" (sperando di non rendertelo indigesto  :) ).

Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
La società occidentale (almeno quella seria) è arrivata a riconoscere che "l'essere umano ha una dignità intrinseca"
"Riconoscere" o "stabilire"? C'è stata una scoperta oggettiva o un accordo convenzionale condiviso (e il fatto che sia basato su un denominatore comune a molte culture, non lo rende più oggettivo: quando tutte le popolazioni pensavano che il cielo stellato fosse pieno di dei, non per questo era davvero così)?

Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
evidente aporia per la quale il relativismo è nichilismo - ossia "ogni azione è giusta".
E perché non "ogni azione è ingiusta"?
Se non ci sono valori (che il nichilismo si riduca a ciò, resta, a parer mio, da indagare un po' meglio) non comporta che tutto sia giusto o ingiusto, ma l'impossibilità stessa di tale dicotomia (in assenza di criteri demarcanti i due ambiti).
Sostenere che "ogni azione non è giusta e non-giusta e nemmeno né giusta né non giusta" ha un certo retrogusto di catuskoti, no? ;)

Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
L'etica (e anche l'estetica  ;) ) non è solo educazione.
Eppure il peso o, per restare in tema, il valore dell'educazione nei due ambiti resta comunque ben differente, non trovi?

Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
a mio giudizio il relativismo in sé contiene il nichilismo [...] Il problema del relativismo è che appunto finisce per mettere sullo stesso piano ogni prospettiva (e se non lo fa non è più relativismo) in quanto non c'è nessuna gerarchia di valori condivisa che fa preferire una determinata azione rispetto ad un'altra.
Motto (che mi pare un po' stereotipato) di difficile applicazione concreta che lascerebbe pensare, se assunto come assioma di un "x-ismo" (qualunque esso sia), che non esistano persone praticanti tale "x-ismo" e quindi, a conti fatti, non abbia troppo senso parlare di tale "x-ismo". Se un'azione vale l'altra, allora per un soggetto "x-ista", baciare la propria compagna/moglie/etc. o ucciderla è indifferente; tuttavia, supponiamo, finisce con il baciarla sempre senza ucciderla mai (oppure abbiamo appena scoperto che tutti gli "x-isti" sono femminicidi, arrestiamoli preventivamente! ;D ). Allora si impone l'aut-aut: o non è affatto un "x-ista" (e l'"x-ismo" è una leggenda metropolitana o un'utopia impraticabile), oppure anche nell'"x-ismo" c'è una sorta di gerarchia, basata comunque su criteri "x-isti" che rendono possibile la vita pratica e le inevitabili scelte di un "x-ista" (come il non uccidere la propria compagna).

Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
La paradossalità si crea se non esiste (o non esisterà) un tale "oggetto di valore massimo" perchè abbiamo che il soggetto "mira a" qualcosa che non potrà mai essere raggiunto.
Scenario di fallimentare auto-inganno in fondo plausibile: posso mirare al cielo quando tiro i sassi con la fionda, ma è poi possibile colpirlo? E se avessi una fionda più potente non potrei colpirlo lo stesso, poiché il cielo è un concetto prospettico che non ha una sua sostanza che possa essere colpita (sarebbe come voler colpire il cosmo  ;D ). Eppure continuo a mirare e scagliare sassi più forte che posso...

Citazione di: Apeiron il 14 Novembre 2017, 13:01:45 PM
Motivo per cui ritengo che questo "valore massimo" descrive qualcosa di reale (o almeno che è potenzialmente reale) anche se non posso dimostrare tale esistenza in modo razionale. Posso però dedurre che descrive qualcosa che è perlomeno possibile. (Secondo me è reale...)
Non sono totalmente convinto (o forse non ho capito bene :) ): una gerarchia non necessità di un valore massimo, anzi, spesso lo esclude a priori... proprio parlando di valore: qual'è il valore massimo di un numero? E qual'è il valore massimo di un conto in banca? E qual'è il valore massimo di un'azione morale?
La risposta assoluta a queste domande, se non erro, non può esserci né in teoria (troppo comodo dire "infinito", non è un valore umano!), né soprattutto in pratica (sarà sempre possibile concettualmente pensare di poter aggiungere un valore di "+1", e quindi considerare il valore massimo sempre asintoticamente non ancora raggiunto).
Nella prassi diventa talvolta persino irrilevante il valore massimo (ovvero il massimo è pur sempre relativo al contesto): il valore massimo della mia bontà sarà sempre inevitabilmente individuale, e (scommetto!) resterà sempre al di sotto di quello di un santo (che magari non è nemmeno il valore massimo concepibile), per cui, quale sia il massimo possibile assoluto, è per me irrilevante perché è già difficile capire quale sia il mio massimo possibile (e se lo capisco, magari ci riesco pur ignorando il valore esatto del massimo assoluto).
#1869
Tematiche Filosofiche / Re:La realtà è illusione?
11 Novembre 2017, 19:28:52 PM
"Illusione" deriva da "illudere", ovvero (l'ho appena scoperto!) "il-ludere": scherzare, giocare su qualcosa; mentre "reale" deriverebbe da "res", "cosa", ovvero il reale riguarda le cose sostanziali/materiali.
Chiedersi se la realtà sia illusione è dunque chiedersi se si possano intendere le cose giocosamente; la risposta è... ovviamente si, e non solo stando alla assonante teoria dei giochi linguistici di Wittgenstein.
Capire la realtà (proprio come percepirla) significa innescare una rielaborazione mentale, fatta di concetti astratti (come numeri, leggi ed ogni altra identità logica) e tali concetti non sono la realtà (v. topic sulla "mappa non è il territorio" ;) ), ma una sua funzionale (si spera) descrizione/spiegazione/interpretazione... quindi, secondo me, direi che costruiamo logicamente la realtà (con le nostre astrazioni) più di quanto la scopriamo, e forse il gioco della scienza è proprio dare senso ai "piani" di realtà che essa stessa produce partendo dai suoi assiomi vincolanti-ma-non-immutabili (idem per le filosofie, orientali e non, ed ogni altra visione del mondo).
#1870
Tematiche Filosofiche / Re:Sari il barbiere
09 Novembre 2017, 17:26:41 PM
Secondo me, scusate se mi ripeto, è l'ennesimo caso di paradosso basato su un'ambiguità linguistica: il barbiere, logicamente e verosimilmente, non può essere cliente di se stesso, quindi quando definiamo l'insieme dei "clienti del barbiere", il barbiere deve restare fuori; per questo può radersi da solo ed essere sempre sbarbato... proviamo infatti a calare questo apparente paradosso nella realtà: un barbiere potrebbe ben dire "faccio la barba a tutti quelli che non si radono da soli" e farsi a sua volta la barba; chi di noi gli rimprovererebbe la falsità o la contraddittorietà della sua affermazione?

Un altro caso di paradosso apparentemente "concreto e tangibile", potrebbe essere quello (a cui, essendo il mio preferito, accennai in un post lontano nel tempo) del bibliotecario... Sari, ci pensi tu a raccontarlo?  ;)  Facciamo finta che il barbiere, avendo creato troppi grattacapi con il mistero della sua rasatura, sia stato boicottato dalla sua perplessa clientela (solidale con il povero Frege), e abbia dovuto così ripiegare su un altro lavoro, finendo a fare il bibliotecario... ma anche stavolta in modo paradossale  ;D  
#1871
Tematiche Filosofiche / Re:Sari il barbiere
07 Novembre 2017, 18:26:26 PM
Anch'io conoscevo questo paradosso come esemplificazione dell'aporia dell'auto-inclusione insiemistica, e credevo che il dilemma fosse risolvibile (escludendo, come accennavo, la falsità delle premesse) disambiguando la confusione linguistica (anfibolia) fra Sari-barbiere-che-rade e Sari-uomo-rasato (ovvero: quando si rade non lo fa in quanto Sari-barbiere, ma da Sari-paesano...).
In alternativa: Sari lavora in quel paese ma vive/è di un altro paese, quindi che si faccia la barba da solo o meno è irrilevante, perché entrambi gli insiemi degli "sbarbati" (auto-radenti / clienti di Sari) sono pertinenti soltanto agli abitanti del paese? Tuttavia ciò è solo velatamente implicito nella descrizione delle premesse...
#1872
Tematiche Filosofiche / Re:Sari il barbiere
06 Novembre 2017, 23:37:27 PM
Prendendo per vere tutte le premesse (e non è detto che lo siano ;) ), Sari non va dal barbiere né il barbiere va da Sari poiché il barbiere-Sari non può essere cliente di se stesso: il barbiere di professione, per definizione, è infatti tale quando rade le barbe altrui (per compenso, solitamente...). Se dunque Sari è ben sbarbato, è perché si limita a farsi la barba da solo, non in quanto barbiere di se stesso (il cliente-Sari non può sedersi sulla sedia del barbiere e guardare la tv mentre il barbiere-Sari lo rade guardando la sua barba ;D ), ma in quanto uomo del paese che si rade (e non credo si auto-paghi  ;D ).
#1873
In generale, per quello che posso intuire, il linguaggio "rigoroso e razionale" può risultare un freno (e non solo per la scienza) solo se resta chiuso alla novità, al cambio di prospettiva o allo slittamento semantico che talvolta è reso necessario dal mutare delle conoscenze e dei paradigmi. Secondo me, usare rigorosamente il linguaggio in processi razionali non dovrebbe impedire al linguaggio di continuare ad essere plastico, calzante e fertile (com'è fertile il terreno della ricerca a cui viene applicato); la perizia nel suo utilizzo sta proprio nel non farsi prendere la mano (o la lingua ;D ) da licenze poetiche e inesattezze quando il linguaggio è chiamato a parlare di qualcosa di nuovo o diverso dal solito, senza per questo risultare incapaci di dare voce ad un ulteriore sviluppo dell'indagine. 
"Aprire" il linguaggio a nuovi orizzonti di senso richiede un'"ingegneria linguistica" rigorosa, che usa il linguaggio sul linguaggio stesso, e molti autori ne hanno già (di)mostrato le difficoltà, talvolta ripiegando su un tono poetico pur di forzare i limiti architettonici del linguaggio (perdendo qualcosa in termini di comprensibilità...).
#1874
Se escludiamo i bisogni primari, utile/inutile, importante/non-importante, sensato/insensato, etc.. non sono categorie assolute, ma arbitrarie e personali, almeno finché si resta dentro l'ottica della vita individuale... in termini "trascendenti" la propria esistenza, di fronte alla caducità e all'imprevedibilità della vita, la ricerca di qualcosa di assolutamente utile/importante/sensato/etc. a prescindere dal contesto contingente, è (quasi) sempre fallimentare (anche, se non erro, stando al già citato Sartre, o l'affine Camus etc. ).
L'importante per qualcuno è il non-importante per qualcun'altro: una palla che entra o meno in una rete, può muovere milioni di euro, far sussultare di gioia o dolore migliaia di persone, condizionare centinaia di vite con un eccentrico "effetto farfalla"... eppure è solo una palla che è entrata in una rete, un'informazione che io e te dimenticheremo in due minuti, poiché per noi non conta, ma per molti altri, decisamente si... il suo valore è assoluto? No, dipende sempre da quanto "metti a fuoco" la situazione: se pensiamo all'universo e ai suoi milioni di anni, quel goal (pur con tutti i suoi effetti collaterali) è insignificante, ma se pensiamo a chi ha segnato quel goal o scommesso sul risultato di quella partita, ebbene quel goal può essere un evento che cambia irreversibilmente il corso di una vita. 
Ha senso dedicare la propria vita allo studio del comportamento degli orango? Per qualcuno si, per altri no... è utile? Per qualcuno si, per altri no... ;)
Spesso c'è poi una potenziale utilità "indiretta": imparare una poesia a memoria la "uccide" e sembra non servire a niente, eppure esercitare la memoria è comunque allenare un'abilità importante... importante per tutti? Dipende... ;D
#1875
Citazione di: davintro il 03 Novembre 2017, 17:01:46 PM
il senso del mio discorso riguardo la localizzazione spaziale dei sentimenti sensibili come appunto il dolore, che il meccanismo comprenda come medium necessario il cervello, non cambia il fatto che il dolore viene avvertito nel punto in cui il corpo subisce un'azione causale di un oggetto, in un rapporto di causalità prettamente fisico, e che dunque la spazializzazione di un vissuto sia una ragione sufficiente per ammettere un dualismo tra vissuti caratterizzati da tale spazializzazione, e quelli che non lo sono, e che dunque dovrebbero essere ricondotti ad un'origine distinta da quella corporea, seppur mai separata da essa, cioè l'Io inteso come soggetto di atti intenzionali regolati da una causalità non di tipo fisico, ma motivazionale, spirituale, una causalità che non consiste nel "mi dai un calcio alla gamba ergo provo dolore", ma nel "mi stai a cuore ergo mi preoccupo per te".
Non è il tema centrale, ma vorrei capire meglio questa dualità fra vissuti spazializzati e non-spazializzati. Nel mio piccolo, mi pare che anche i vissuti psichici-emotivi abbiano una "spazializzazione": il mio "preoccuparmi per te"(riprendo il tuo esempio, non dico sul serio ;D ) ha un suo posto nella mia coscienza/spirito/anima/psiche/etc. che, almeno in questo caso, mi sembra localizzata stabilmente nel mio cervello. Lo dimostra la variazione dei parametri fisiologici gestiti dal cervello (se sono in ansia per te avrò battiti alti e altri sintomi fisici tutti regolati, se non erro, proprio dal cervello), inoltre tale ansia sfumerà quando il mio cervello sarà distratto da altro (supponiamo l'incontro improvviso con un vecchio amico che mi riporta alla memoria episodi passati emotivamente rilevanti). Reazioni fisiche (vissute emotivamente) e attività di pensiero condizionante: il ruolo del cervello non è quindi marginale nel mio all'essere preoccupato per te; come/perché supporre che tuttavia ci sia dell'altro?

Indubbiamente non ho una percezione sensibile del mio cervello e della sua attività, come non ho una percezione sensibile di un mio rene e della sua funzione (salvo sia ammaccato o dolorante); infatti se mi chiedi esattamente dov'è, non so indicartelo per sensazione percettiva, ma solo per cognizione di (carenti) studi del corpo umano, ma ciò non toglie che il mio rene funzioni (almeno spero!). Ugualmente i fenomeni di coscienza psichica-emotiva, suppongo ma non sono affatto erudito in materia, siano plausibilmente localizzati nel cervello, poiché neurotrasmettitori e altre "strutture biologiche" producono, rispondendo a stimoli esterni, una reazione fisica che io vivo (rieccoci a "spiegazione vs vissuto") come ansia, gioia, perplessità, etc.
Forse mi dirai che la gioia non ha solo il suo aspetto fisiologico, ma ciò comporterebbe, radicalizzando, che si possa provare gioia anche senza secrezione di endorfina, serotonina o non so quale altra sostanza, perché in fondo è l'anima/psiche/spirito a gioire in sé... siamo sicuri sia possibile un qualche forma di verifica di ciò?
Oppure alludi forse a una catena di reazioni di questo tipo: tu mi dici una bella notizia / la percepisco con l'udito / il mio cervello decodifica il senso di quei suoni / il senso piace alla mia anima-psiche-spirito / l'anima-psiche-spirito innesca un meccanismo cerebrale / il cervello attiva la secrezione di serotonina o altro / provo gioia e annesse reazioni fisiologiche (sorrido, etc.)?
Non si ritorna sempre all'atavica questione aporetica di spiegare come l'immateriale (spirito o altra postulazione) condizioni il materiale (corpo)?