Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - Phil

#1861
Secondo me, appurato che parliamo di assoluto con la minuscola, si fanno convergere in tale vago termine ("assoluto") tanti significati specifici, e il risultato rischia di essere incline alla confusione (per eccessiva approssimazione); per questo alludevo alla rasoiata emendatrice:
Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Giugno 2018, 14:21:50 PM
io direi che se vengo condannato è sì in virtù di una convenzione stabilità da una società; ma una convenzione che
pretende di valere assolutamente, cioè per tutti i membri di quella società
assolutamente, ovvero "in ogni caso"; ma esistono, in fondo, leggi giuridiche che non sono assolute (al netto delle rispettive postille)? Dire "legge che vale assolutamente" non è ridondante ed equivalente rispetto a semplicemente "legge"?
Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Giugno 2018, 14:21:50 PM
tutto il linguaggio è fondato su una pretesa di assolutezza, senza la quale nemmeno
potremmo alzarci e dire: "guarda che bella giornata è oggi".
L'assolutezza del linguaggio è quella di essere fondato su definizioni, regole sintattiche, etc. atte a descrivere e comunicare? Anche qui: esistono forse linguaggi non assoluti, nel senso che non hanno questa "funzione strutturata"?
Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Giugno 2018, 14:21:50 PM
L'assoluto, da questo punto di vista, permea di sè
ogni aspetto della nostra vita quotidiana (Nietzsche diceva infatti che se dicìamo di qualcosa che "è" lo diciamo "così,
per vivere" - cioè legava la concezione di assoluto ad una visione convenzionale ed utilitaristica).
Nel senso che ogni identità logica è intesa come assoluta? Ciò è già implicito nella definizione di identità: A è diverso da non-A; allora A è assoluto? Si rischia anche qui l'abuso, o meglio, l'uso superfluo del concetto di assolutezza (già presupposto da quello di identità logica).

Dirò forse che la mia chiave inglese ha una "utilità assoluta" se si tratta di avvitare o svitare un bullone n.12?
In tutti questi casi mi pare che l'appellativo "assoluto" (e l'assolutezza sottintesa come "l'essere ciò che si è, come si è, senza essere ciò che non si è") sia una ragnatela: non serve, anche se non danneggia troppo...

Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Giugno 2018, 14:21:50 PM
io dico che invece quel termine
(esistenza-dell'assoluto) vada molto ma molto ben più ponderato e specificato.
Se per "assoluto" non intendiamo semplicemente "autonomo" o "estendibile a tutta la sua casistica pertinente", bisogna chiedersi qual'è il piano di esistenza dell'assoluto (se non è puramente linguistico-concettuale) e, soprattutto, su cosa si fonda l'assoluto (che non sia astrazione concettuale).
Certo, parliamo di assouto per tradizione (indizio: citiamo autori metafisici di secoli passati...), ma ci fidiamo ciecamente del fatto che ci "sia", per passare così direttamente alla questione del "come" sia (prima di chiederci "se" sia)?
Una certa filosofia, più fresca di stampa (quindi con meno ragnatele), ci suggerisce che potrebbe essere un passo falso...


Citazione di: sgiombo il 10 Giugno 2018, 14:25:34 PM
Soprattutto dissento dalla tesi che nell' ontologia ormai bastino (o comunque "siano meglio") le scienze (in senso stretto o forte ovvero le "scienze naturali"; che ovviamente ritengo comunque necessario conoscere; [...]
E questo principalmente per due motivi.
Il Primo è che ritengo che le scienze naturali si occupino ottimamente della ricerca della conoscenza vera nell' ambito naturale - materiale della realtà (più o meno la cartesiana res extensa), ma anche che la realtà non sia limitata ad essa ma invece comprenda anche la cartesiana res cogitans
Dubito (visto che si parla di Cartesio!) che la filosofia sia la disciplina più adatta a studiare la "res cogitans" (sebbene sia la più incline ad usarla) il cui "campo", non a caso, mi pare si sta riducendo e riconfigurando man mano che avanzano le neuroscienze (ad esempio, il pensiero non è una "voce immateriale" che abita la testa, come magari pensava Cartesio); tuttavia non voglio deviare il discorso off topic.

Citazione di: sgiombo il 10 Giugno 2018, 14:25:34 PM
Il secondo é che la verità delle conoscenze scientifiche necessita di una "critica filosofica" che ne analizzi limiti, significato, condizioni; una severa critica razionale che implica anche importanti "considerazioni ed elementi di ontologia"
Concordo con l'istanza della "supervisione filosofica", ma l'ontologia filosofica è a un vicolo cieco da molto tempo (almeno dalla nascita delle scienze fisiche moderne), vicolo cieco che termina con una porta di cui solo le scienze naturali che citi hanno la chiave (ad esempio, la "causa formale" dell'uomo, di cui si parlava in filosofia antica. è, banalizzo per ignoranza, nella "programmazione" del Dna: da qui in poi la scienza può indagare sulla "forma" degli uomini, e alla filosofia non resta che osservare i passi della ricerca scientifica...).
#1862
L'assoluto della legge è... relativo: le leggi cambiano sia nel tempo (storia del diritto), che nello spazio (oggi le leggi italiane non sono quelle americane), sia talvolta persino nell'interpretazione (i casi anomali che costituiscono un "precedente" e condizionano la casistica di riferimento, v. corte di cassazione etc.). 
La legge, come concetto astratto, è assoluta, ovvero "sciolta, indipendente, incondizionata", solo dalla contaminazione di ciò che le si oppone (l'illegale); quindi in questo arbitrario "gioco delle parti" (e dei contrari), l'assolutezza non è, concedetemelo, filosofica, proprio perché è soltanto un "assoluto" relativo ad una coppia dicotomica (vero/falso, giusto/sbagliato, etc.). Restando all'esempio, se vengo condannato, non è in virtù dell'assoluto (come direbbe l'inquisizione  ;D ), ma solo per una convenzione stabilità da una comunità e applicata da alcuni dei suoi membri fiduciari (tutto molto immanente e contingente...).

Ritorna allora ad essere una questione meramente linguistica: assoluto è semplicemente ciò che è indipendente dal suo contrario? Si tratta dunque di una funzione logica identitaria (x è assoluto rispetto a non-x)? 
L'Assoluto dei filosofi antichi forse era di altra pasta... riservata agli "iniziati", come hai giustamente osservato, poiché richiedeva il "salto nella fede" (intesa come fiducia nel dogma, inverificabile, che l'Assoluto ci sia, e se ne possa persino predicare qualcosa, foss'anche "negativamente").

Citazione di: 0xdeadbeef il 10 Giugno 2018, 09:28:40 AMVisto che, personalmente, ritengo la filosofia non esercizio astratto e sterile, ma ricerca dei fondamenti più profondi di tutto ciò che risulta, poi, terribilmente immanente e concreto
Concordo, tuttavia la storia della filosofia recente sembra metterci in guardia dal cercare tale "profondità" nell'ontologico (ormai lo fanno meglio le scienze ;) ), invitandoci piuttosto alla profondità ermeneutica (profondità del senso, non dell'Essere, anche se i due sono stati ben saldati, con-fusi assieme dalla metafisica occidentale, e a separarli forse non basta la decostruzione del postmoderno...).
#1863
Per me ci sono concetti che hanno una storia antica e funzionano a meraviglia nel loro contesto originario, tuttavia fuori da quella metafisica, o da quella "poetica", o da quel dizionario "canonico", meriterebbero una sana rasoiata di Ockham, poiché, sornioni, creano più falsi problemi (irrisolvibili) di quanti ne risolvano... chiaramente, non per tutti i concetti è così: fare a meno dei concetti di coerenza logica, di percezione, di causa/effetto, di casistica, di scrittura, etc. mutilerebbe drasticamente la fruibilità della ragione umana.

I tre termini in oggetto al topic, secondo me, rientrano in quelli da usare (con cautela) solo una volta che ci si è ben inquadrati in determinati contesti settoriali, accettandone dunque le regole del gioco (semantico). Al netto di ogni sofismo o retorica, il senso di ogni concetto è inscindibile dal contesto di senso (quindi culturale, storico, ma anche individuale, etc.) in cui si innesta, a cui si relaziona, a cui cioè è relativo (re-latus, "che riporta a", al contesto che lo identifica).
Anche il concetto stesso di "relativo" è sempre pensato da qualcuno che lo intende in una determinata accezione (più o meno soggettiva), e quindi è inevitabilmente a sua volta relativo al chi/quando/come viene pensato, definito, argomentato, etc. 
Questo meccanismo di senso dell'essere relativo ad altro da sé è così inaggirabile che è forse superfluo evidenziarlo (come uomo sono biologicamente relativo alla specie umana ad un determinato stadio evolutivo, come votante sono relativo alla società attuale e alla legislazione vigente, come parlante uso una lingua con una relativa grafia, fonetica, etc.).

"Assoluto" e "Totalità" sono, in filosofia, parole ambigue (così "aperte" da risultare quasi vuote) di matrice metafisica, mentre in matematica, se non erro, hanno significati spendibili schiettamente nel calcolo (valore assoluto) e nell'insiemistica (totalità degli elementi dell'insieme), senza creare troppi dilemmi ed antinomie. Forse converrebbe lasciarli dove funzionano meglio  ;)
Anche se affermo qualcosa stimandola come assoluta, tale assolutezza è solo prospetticamente mia, ma per la comunità a cui mi rivolgo (e persino in caso di soliluquio intellettualmente onesto) è sempre una costatazione relativa a un parlante, a un tempo, a un luogo, a un contesto, etc. tuttavia se invece per "assolutezza" intendiamo "certezza", tutto il discorso slitta un bel po', perchè l'"assoluto" diventa allora l'"assolutamente certo" e dunque spalanchiamo le porte tanto all'epistemologia quanto allo psicologismo (e quell'"assolutamente" viene degradato a mero avverbio "rafforzativo", nulla di troppo possentemente filosofico  ;D ).

Resta indubbiamente possibile continuare a "flirtare" con le maiuscole: l'Assoluto, il Tutto, etc. stabilendo ("inventando" e non "scoprendo") una definizione roboante (ed autoreferenziale) di concetti estremi, proprio come capita con altre, guarda caso affini, definizioni in negativo (il Nulla, il Vuoto, etc.), eppure più la definizione è impervia (tirando in ballo tempi e modi inverificabili e "poetanti") più diventa una questione di avere senso solo all'interno di una scelta di "fede" (e non mi riferisco solo al dogmatismo religioso), che rischia di restare assoggettata ad una parola senza radici (ovvero annaffiata con amore dall'alto, ma non alimentata dal basso, la sua linfa vitale scarseggia...)
Ad esempio, prima di interrogarmi su come funziona e come si relaziona ad altro da sé, sono certo che l'Assoluto esista? Se esiste solo come concetto, astratto per "sublimazione" da ciò che assoluto non è, è lecito usarlo come fosse più di una bella metafora? In matematica si usa l'infinito (astratto via negationis dal finito) come "tappo", come limite; che in filosofia sia necessario fare altrettanto con l'assoluto? Certo, si può farlo e lo si è anche fatto, ma è davvero necessario, oggi, o conviene usare il suddetto rasoio per rastrellare le piante senza radici?
#1864
Citazione di: green demetr il 07 Giugno 2018, 21:42:09 PM
Questa decisione per Severino è la Filosofia. L'unica che possa dar conto degli eterni.
Forse, più che "dar conto degli eterni", la filosofia può "dar (rac)conto degli eterni", ovvero è l'unica che possa raccontare l'eternità, intendendola non come semplice "mythos" epico, ma piuttosto come filosofema portante del pensare metafisico. Eppure, il poter-fare ha sempre la cogenza di un dover-fare?

Citazione di: green demetr il 07 Giugno 2018, 21:42:09 PM
Proprio perchè è l'unica a smascherarne la pretesa estetica.  ;)
Eppure è uno smascheramento da sotto la medesima maschera: cosa c'è di più estetico di "usare" l'eternità, di manipolarla come fosse un docile concetto, quasi banale, per darle un posto di ingranaggio in un meccanismo metafisico?
Dall'innamorato che spergiura "ti amerò in eterno!" a Severino che parla di "eterni", passando per le religioni che delimitano la caduca parentesi umana fra due eternità divine, l'eternità è sempre una carta vincente e (per definizione) inconfutabile. Forse è ora di toglierla dal mazzo e giocare da adulti, senza jolly  ;)

Gli eterni di Severino sono forse figli di un incidente di percorso, nel senso che piuttosto di essere
Citazione di: 0xdeadbeef il 06 Giugno 2018, 10:25:42 AM
proprio la mancanza del tempo, trovo, che permette a Severino di affermare, nella struttura originaria, l'eternità
dell'essente.
mi pare si tratti di un'immissione surrettizia del tempo nella logica (di per sé tendenzialmente atemporale): al posto di affermare "A=A fuori da un tempo determinato" (non essendo precisato), Severino balza ad "A=A in eterno" (che è comunque una forma di temporalità, la più inespugnabile e inverificabile; tuttavia, qui mi pare abbia giocato male il jolly perché non potenzia le altre carte, anzi: se accettiamo la sua teoria degli eterni su cosa fondiamo l'etica, la politica, la stessa biasimata tecnica? C'è una morale per gli essenti eterni? La sua ontologia è così logica da essere un anti-umanesimo o ci salviamo "in corner" con un arbitrario gesto di fede che innesta un senso religioso in alcuni essenti, quelli antropomorfi? Gesti estetici non teoretici...).

Fra le piaghe del suo "eternalismo ontologico", il monito che Severino ci offre (che mi suona disincantatamente sarcastico e parodistico, anche se queste non erano certo le sue intenzioni), potrebbe essere quello di ricordarci che la logica mal si presta a seguire il fluire degli eventi, al punto che (applicando la logica agli essenti) gli essenti o sono fuori dal tempo o sono eterni; essendo la nostra percezione di essi temporale, cioè nel tempo, allora non possono che essere eterni. Salvo poi rigettare che tale percezione di essi sia davvero temporale poiché A non può diventare B (il che mi sembra segare il ramo su cui è stata meticolosamente appesa la teoria degli eterni: mentre parlo di A che non diventa B, io stesso divento altro da me...).

La "contraddizione C" (non la conoscevo, ho ascoltato solo una sua lezione in merito su youtube) mi si presenta come un effetto collaterale del rifiuto del divenire, o meglio, è una contraddizione finché si sta dentro l'orizzonte del rigido ontologismo logicistico severiniano, ma dall'esterno è qualcosa che invece lo falsifica: non è contraddittorio che la totalità non riesca ad essere espressa dalla sua stessa parzialità (che così rimanda ad una totalità sempre deferita, differita e asintoticamente incolmabile), si tratterebbe piuttosto di riconoscere che la totalità non è granitica ed eterna, ma mutevole e "riparametrata".
Come dire, con un esempio banale (mi affido al vostro intuito): il sopraggiungere di un neonato non contraddice che la popolazione del villaggio x fosse di 120 persone prima di lui; con la sua nascita la nuova totalità di abitanti è di 121 (se nessuno muore, e anche di questo Severino non sembra voler rendere conto quando dice che il destino glorioso è l'approssimarsi al compimento, come se ci fosse solo aumento e mai diminuzione, o meglio, solo sopraggiungere e mai congedarsi...). Tuttavia, direbbe Severino, la totalità non può essere equivalente sia a 120 abitanti che a 121 (ne va del principio di identità!) ed ecco allora la contraddizione... oppure tale contraddizione falsifica l'idea che la totalità vada intesa in modo eternamente immutabile poiché, come tutti i concetti, ha un senso "diacronico" in un contesto semantico dinamico.

Il pensiero severiniano mi sembra (e sicuramente non l'ho capito!  ;D ) una "dimostrazione per assurdo" di come sia malfunzionante (al di là del suo valore "estetico") una metafisica che prova a scardinare il senso comune proprio in ciò che lo accomuna alla scienza (il divenire di identità cangianti nella pura contingenza).
#1865
@Oxdeadbeef
La mia perplessità riguarda, come accennavo, il tema dell'identità dell'ente: per parlare della sua (auto)evidenza logica (A=A) e addirittura della sua eternità (che è una "parolaccia filosofica", nel mio modesto vocabolario) dobbiamo dare per scontato cosa sia "A", saltando gaiamente a piè pari l'arbitrarietà, su cui invece inciampa ogni definizione che si presenti come assoluta.
Ad esempio, vorrei chiedere al filosofo, il Severino-bambino non è diventato il Severino-adulto? Stando alla sua proposta (se non l'ho fraintesa), direi di no: ci sono tanti "Severini" eterni per ogni stadio della sua crescita; o meglio, per ciò che dall'esterno viene erroneamente inteso come cambiamento costante, divenire, dell'ente Severino-uomo.
Tuttavia il punto è: come identificare tali "Severini" eterni e non mutevoli? Ce n'è uno per ogni anno o per ogni secondo o per ogni settimana... il Severino che si è laureato non è lo stesso di quello che ha scritto il suo primo libro? Quanti Severini eternamente tali ci sono? Lui che ha vissuto in prima persona, in un unico flusso di coscienza (suppongo), tutti questi Severini ("attraversandoli"?) è dunque la risultante "trasversale" di una vita che interseca tutte quelle eternità o solo un "trompe l'oeil" prospettico di noi che lo osserviamo da fuori?
La sua ontologia, cercando un logicismo granitico, forse diventa impraticabile; un'opera d'arte museale: bella a prescindere dalla sua funzionalità (personalmente, preferisco la "filosofia design", bella ma anche minimamente fruibile).


@green demetr
L'estetica è una forma di semantica, ovvero solo un uso peculiare di un linguaggio che si affranca da certi tipi di condizionamento (v. le famigerate "licenze poetiche" in barba all'uso della lingua standard) per indugiare su altri lidi (l'onirico, il sinestetico, il simbolico-surreale, l'emozionale etc.). Per cui, secondo me, nel "doppio fondo" di ogni filosofia teoretica c'è sempre, clandestinamente, un'estetica...

L'ancoraggio al "reale" (non a caso lo scrissi già fra virgolette) è un falso problema: è il gettare l'ancora che (con)ferma il "reale", non il "reale" a (con)fermare l'ancora... ogni sguardo rivolto al supposto "reale" lo informa secondo le modalità proprie dello sguardo medesimo (ecco l'aporeticità dell'analitica dell'esistenza). 
Quindi, certo, la scienza per qualcuno può essere la migliore àncora (l'ancòra della ripetizione sperimentabile e verificabile); per altri l'ancoraggio sarà quello della religione (l'ancora non ha per caso anche la forma di una croce?); per altri l'ancoraggio è quello aptico dei sensi, per altri quello del senso esistenziale, e così via in altri orizzonti...

Ciò nonostante, affermando che l'estetica "non è tenuta a dar conto dell'ancoraggio al cosiddetto "reale""(autocit.), intendo che, come nel caso di Severino, si possono tratteggiare anche scenari contro-intuitivi contro-esperenziali e persino disfunzionali, senza che la loro legittimità estetica venga meno (come nel caso di una realtà fatta dal muto fiancheggiarsi di enti immobili ed eterni... muto perché il suono è vibrazione, e la vibrazione è flusso, divenire...).


P.s.
Penso che l'ancoraggio sia comunque un gesto tanto inevitabile quanto "intimo"; come diceva Canguilhem: "Cosa sia il mondo effettivamente - questa questione che meno di ogni altra può essere risolta è tuttavia anche quella che non può mai essere lasciata irrisolta e perciò sempre decisa".
#1866
Ti segnalo che se ne discusse anche con altri utenti, nel topic "conoscenza e critica della conoscenza", pagina 13 e seguenti (https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/conoscenza-e-critica-della-conoscenza/180/?PHPSESSID=dgd8arde5aqppu5j4iaaniklt7).

In breve, per quel che ho compreso, mi pare che Severino "giochi" a fare lo zenoniano, riducendo l'insidiosa tematica dell'identità dell'ente ad una questione esclusivamente temporale (aggirando l'ostacolo di tematizzare l'essere-dell'-ente, forse giovandosi del connubio fra la "copertura" heideggeriana e un nichilismo nostalgico della sua stessa matrice metafisica), rovesciando la gerarchia logica fra il fisico impermanente e l'anelito "classico" all'assoluto (eterno, etc.).
Il risultato è che il nulla viene esorcizzato, addomesticato e strumentalizzato per sostenere un'"ontologia dell'eterno" che, per come la vedo, è in fondo un'"estetica dell'analitica esistenziale" come rimedio dissimulato dell'aporeticità del pensare l'esistere ("estetica" nel senso che non è tenuta a dar conto dell'ancoraggio al cosiddetto "reale", ma può cavalcare uno stilema interpretativo, quello ontologico, la cui semantica può eccedere serenamente la pragmaticità degli eventi a cui si riferisce, sotto l'egida di un fondazionalismo teoretico).

P.s.
Come direbbe la "generazione social", Severino ha "trollato" tutto il pensiero postmoderno  ;D
#1867
Provo a proporre delle definizioni a partire dal titolo del topic:
- essere: "avere un'identità (spaziale e/o temporale)". Per spiegare un verbo ("essere", in forma sostantivata o meno) mi sembra lecito ricorrere ad un altro verbo, parimenti versatile. D'altronde quando chiediamo "che cos'è", chiediamo di definire un'identità (sensoriale, concettuale, linguistica o altro) di qualcosa; quando diciamo "è giusto" o "è caldo" o "è lo zio Sam", descriviamo l'identità di qualcosa. L'essere è ciò che, con più o meno vaghezza, possiamo identificare (sorvolando su tutte le spinose problematiche connesse al prospettivismo, al soggettivismo e all'arbitrarietà di tale identificazione...). Inversamente, ciò che non è, non ha un'identità (parlare del nulla sembra paradossale proprio poiché comporta comunque l'identificarlo, come concetto, come negazione dell'essere, etc.).

- esistenza: caratteristica basilare posseduta da ciò di cui si può predicare l'essere (vedi sopra); l'esistenza è classificabile in differenti "piani" che spaziano dal sensoriale al linguistico (nel momento in cui scrivo "trimosundo" tale parola, a suo modo, nell'essere letta-scritta, esiste, pur restando oscuro se essa rimandi a qualcosa di materiale, storico, concettuale, emotivo, puramente linguistico/fonetico, etc.).

- realtà: insieme estensionale di ciò che ha esistenza (come minimo) per qualcuno, in un dato luogo e tempo o (al massimo, ma resta da dimostrare) a prescindere dal soggetto che la identifica.
#1868
Buona idea... e sarebbe un esperimento sociale ancora più interessante: vedere quanti si espongono al giudizio altrui, quanti giudicano ma non accettano di essere giudicati, quanti accettano il giudizio ma non lo praticano, quanti smettono di accettare il giudizio, quanto vengono criticati gli "influencer" (coloro con "buona reputazione"), quanto risultano divergenti (o persino contraddittori) i parametri di giudizio usati da ciascuno, etc. sarebbero dati utili per una mini-ricerca sulla comunicazione!
#1869
Sulla possibilità di valutare i post altrui, sono piuttosto perplesso: dai programmi tv a Tripadvisor e affini, passando per Facebook a altri social, siete (voi che li usate ;) sempre più chiamati ad essere divisi in giudici e/o giudicati, quantificando voti equivalenti (come allo spoglio delle elezioni), senza che ci si interroghi sulle cognizioni di causa (qualitative) con cui tali voti vengono assegnati... 
Quello del valutare i post è un elemento presente in altri forum, e non ho mai colto appieno la sua utilità/costruttività, ad eccetto del solleticare l'autocompiacimento (e, nei casi peggiori, il mobbing) o il fomentare sostegno reciproco fra i membri di ognuna delle fazioni di una diatriba. Nulla di qualitativo, perché (per me) il valore di un giudizio è direttamente proporzionale alle competenze del giudicante (soppesabili solo molto parzialmente in un forum...). 
Non sono affatto sicuro che i benefici sarebbero più degli effetti collaterali (in un forum a bassa "frequentazione attiva", si rischia di perdere utenti che mal sopporterebbero vedersi assegnati "in piazza" giudizi negativi: come per le critiche, c'è chi le incassa bene, c'è chi si "destabilizza" e se ne va...).

Da un lato, non credo che mi metterei a dare i voti ai post altrui, valutandone l'argomentazione, la chiarezza, la creatività o altro (come se fossi un professore che corregge i temi dei suoi studenti ;D ); dall'altro se i miei post ricevessero dei voti positivi o negativi, passato l'iniziale inorgoglimento o disappunto, mi chiederei quanto vale davvero quel giudizio firmato da un (quasi)sconosciuto.
Ovviamente se il sistema verrà implementato, non diserterò certo il forum, mi limiterò a non compilare "la pagella" altrui (e sarò anzi curioso di osservare le dinamiche che ne nasceranno), ma volevo comunque fornire un contributo critico in merito.
#1870
Citazione di: Eutidemo il 08 Aprile 2018, 07:32:16 AM
è uno strumento così raffinato e sottile, che, scientificamente, riesce persino a "capire" gli stessi meccanismi che lo predispongono a cadere in errore, e, quindi, ad evitare il più possibile di caderci.
Infatti la svolta epistemologica più fertile del '900 è stata, secondo me, proprio iniziare a valutare che per raffinare la conoscenza non bisogna rivolgersi con maggior cura ed efficacia verso l'oggetto, usando tecnologie "estroflesse" sempre più avanzate, quanto piuttosto indagare i processi cognitivi, con un'analisi "introflessa" del soggetto: il "cosa" si conosce dipende dal "chi" prova a conoscerlo (per cui la conoscenza è inserita in una autoreferenziale ed ineludibile dialettica con il conoscitore).
Il che non significa (@green demetr) ridurre la conoscenza a processi cerebrali individuali chiusi (come quelli di un robot-calcolatore), lasciando fra parentesi l'imponente influenza (strutturante) della vita sociale dell'uomo; si tratta, piuttosto, proprio di coniugare le riflessioni su tale interazione socio-antropologica anche con l'aspetto psico-biologico dell'essere umano attuale.
Purtroppo (o per fortuna?) per noi, le neuroscienze non rimpiazzano le scienze sociali o la filosofia... semmai le complicano!  ;D
#1871
Citazione di: Eutidemo il 07 Aprile 2018, 07:50:11 AM
Per esempio, vi è mai capitato, guardando la foto di un criminale su un quotidiano, di pensare "che ha proprio la faccia da poco di buono?"
Tutto dipende dal nostro cervello o, meglio, dal "meccanisimo classificatorio" del "giro fusiforme" allocato sotto l'Ippocampo,  e che determina il modo in cui percepiamo il volto degli altri (e non solo quello); è la conclusione di un recente studio pubblicato su Nature Neuroscience da Ryan M Stolier e Jonathan B Freeman, ricercatori presso il dipartimento di Psicologia dell'Università di New York.
Tale "fisiognomica istintiva" credo possa essere imparentata a ciò che ci fa decifriare le espressioni facciali altrui; lo scopo è sempre quello, atavico, di saper riconoscere un pericolo o, più filosoficamente, dare un "senso" alla relazione in cui ci si trova faccia-a-faccia con qualcuno.
Questo legame fra percezione visiva e interpretazione semantica del reale, mi ha fatto tornare in mente la pareidolia (http://www.didatticarte.it/Blog/?p=400) che credo sia un caso eloquente di come il nostro cervello sia predisposto ad antropomorfizzare le percezioni (e non sia quindi uno strumento "neutro" di analisi del mondo).

Citazione di: iano il 07 Aprile 2018, 10:55:56 AM
i preconcetti sono anche soggettivi , è vero.
Ma sono molto più interessanti quelli comuni , che hanno avuto il,tempo di diventare parte di noi , cosa rilevabile anche a livello fisiologico.
Quelli che possediamo senza sapere di possedere.
Quelli che ci danno l'illusione dell'essere in se' , quando invece sono in noi.
Questione (secondo me) estremamente spinosa: quanto c'è davvero di "reale" nelle nostre categorie (spazio, tempo, causa/effetto, vero/falso, etc.) e, soprattutto, è possibile pensare senza categorie che deformino-conformino i dati percepiti, oppure ragionare significa proprio configurare un'astrazione "semantica" della realtà, codificandola in un paradigma convenzionale che (essendo "prospettico", umano) le è essenzialmente avulso?
#1872
Ecco una semplice spiegazione tratta da un film
https://www.youtube.com/watch?v=PJWmi7Ovaag
#1873
In questo giorno festivo, colgo l'occasione (fra il serio e il faceto ;) ) per alimentare la geneaologia congiunta fra fede e capitalismo:
Citazione di: paul11 il 31 Marzo 2018, 19:40:37 PM
Questo processo di SMATERIALIZZAZIONE svuoterò il denaro da ogni valore
( stranamente anche valore è sinonimo di un termine morale) divenendo puramente autoreferenziale.
Proprio come la spiritualità cristiana ha svuotato il corpo carnale di ogni valore, rendendolo guscio dell'anima e dello spirito che sono ciò che vale davvero, ciò che la divinità, "virtuosa virtualità"(impalpabile) ha "investito" in noi...

Citazione di: paul11 il 31 Marzo 2018, 19:40:37 PM
L'interesse economico nasce concettualmente dall'argomentazione che chi ha un capitale e lo presta compie UN SACRIFICIO, per cui l'ìnteresse è il compenso del sacrificio
Così come ogni gesto altruistico produce interessi-crediti per la vita in paradiso... il sacrificio di Gesù, valore miracolosamente materializzato-incarnato, moneta d'oro che è al contempo garante del Valore (riserva aurea) e pezzo di scambio (mercato dell'oro, baratto con Barabba, tradimento del "broker"-mediatore Giuda, etc.) è il sacrificio economico per eccellenza, che non può non concludersi con un ritorno all'origine (al Padre di tutti i valori), un'ascensione nei cieli del conio (inteso come "matrice", ciò che ha dato forma al mondo, generato all'uomo e stabilito i sacri comandamenti del mercato).

Citazione di: paul11 il 31 Marzo 2018, 19:40:37 PM
Il culto capitalistico non è diretto alla REDENZIONE ,ma alla COLPA.
La colpa ereditaria del peccato originale: appena si entra nel mondo-mercato, appena si nasce come homo economicus, si è già in debito per ciò che si ha...

Citazione di: paul11 il 31 Marzo 2018, 19:40:37 PM
Nè Nietzsche, nè Freud, nè Marx sono riusciti a vincere questo concetto del dispositivo culturale,paradossalmente ne sono solidali.Il SUPERUOMO. IL RIMOSSO e il SOCIALISMO hanno con sè ancora la colpa del rimosso peccaminoso
Poichè il mercato non può che risorgere (buona Pasqua!), trasfigurato, immortale: l'economia dell'eterno ritorno e il superuomo ripercorrono la ciclicità del mercato e l'ideale dell'imprenditore che domina il mercato senza esserne assoggettato; l'inconscio e il rimosso spiegano l'anima mistica che ci spinge inconsapevolmente ad essere acquirenti e investitori; il socialismo è una forma di monachesimo laico che cerca di inquisire l'eresia dell'alienazione nel lavoro...

Citazione di: paul11 il 31 Marzo 2018, 19:40:37 PM
L'antica PISTIS ,la FEDE era il credito di cui godiamo presso Dio.
Credito non maturato da un "debito celeste", ma concesso per amore dal Filantropo, che dona e investe non per lucro, ma per benevolenza.

Citazione di: paul11 il 31 Marzo 2018, 19:40:37 PM
La banca ha preso il posto della chiesa e governando il credito manipola LA FEDE.
La fede anche in termini di fide-iussione, "promessa di fede": genesi, parusia ed escatologia del capitalismo occidentale.
#1874
Citazione di: 0xdeadbeef il 28 Marzo 2018, 20:41:53 PM
Su Hegel sì, l'off topic è dietro l'angolo; ma è anche vero che una riflessione su Hegel (e, naturalmente, su
tutto l'Idealismo) si impone laddove da certi, diciamo, punti di vista non è possibile pensare l'"altro", cioè
pensare uno degli elementi fondamentali su cui poi costruire la "comunità" (che, secondo quanto vado esponendo su
questo post, è la sola alternativa al contrattualismo dilagante).
L'altro è pensabile in molti modi (tu stesso citavi Levinas, se non erro, che lo pensa ben differentemente da Hegel); possiamo pensarlo in modo esistenziale, in modo religioso, in base all'Isee, in base alla cultura... poi scommetto distingueremo fra l'altro-x e l'altro-y (dove "x" e "y" possono essere, a piacimento: amico/nemico, ricco/povero, buono/cattivo, familiare/ignoto, etc.). Ho il sospetto che gli altri siano sempre (almeno) due  ;)

Citazione di: 0xdeadbeef il 28 Marzo 2018, 20:41:53 PM
Uno stato siffatto (cioè minimo), salvaguarda i facoltosi privilegiati in quanto, nel contratto, la parte
contraente forte ha necessariamente la meglio su quella debole.
(Tauto)logicamente non potrebbe essere il contrario... per parlare di uno stato che non privilegia i forti, dovremmo avere quindi uno stato che elimina la differenza fra forti e deboli, abolendo radicalmente l'asimmetria della contrattazione? Scenario interessante, ma bisognerebbe allora rifondare l'economia e il mercato del lavoro praticamente da zero; operazione difficile da fare "in corsa", senza resettare tutto il meccanismo...

Citazione di: paul11 il 29 Marzo 2018, 09:54:12 AM
Faccio un esempio per eccezione.Le associazioni mafiose che costituiscono società economiche con prestanome hanno avuto necessità di una legge STRAORDINARIA affinchè i beni dei mafiosi potessero essere confiscati dallo Stato.Chiediti allora in via ordinaria cosa accade e per i beni mafiosi cosa accadeva.
Non ho capito: citi l'esempio di una legge straordinaria contro la mafia per dimostrare che lo stato tende ad ammiccare ai potenti? Un'azione correttiva del genere, almeno a livello formale-legislativo, non dimostra il contrario?
Mi sembra continuino a mancare esempi concreti per la tesi della "salvaguardia statale dei privilegiati"...

Citazione di: paul11 il 29 Marzo 2018, 09:54:12 AM
Si è spacciato con un terrmine ambiguo"libertà", il liberarsi dalle condizioni in cui il dominio umano era culturalmente immesso, fra quello universale e quello naturale. L'uomo si è illuso con l'ontologia dell'io che giustamente Oxdeadbeaf ha posto, che l'appropriazione della propria volontà di potenza finalmente liberata dalle catene relazionali in cui i domini culturali superiori lo costringevano, potesse possedere la conoscenza, non per migliorare se stesso, l'appropriazione come conquista di territori, come appropriazione dei segreti della natura, il tutto come volontà di potenza, che solo una cultura surrogata poteva spacciare come libertà.La cultura della libertà negativa(liberarsi da...) per quella positiva(liberasi per...) ha solo creato disfunzioni sociali, disgregando la comunità e creando nuove sopraffazioni.

Quindi, lo sfruttamento economico è già LEGITTIMATO E LEGALIZZATO nel nostro sistema e ordinamento giuridico.
Nessuno, nemmeno lo Stato può impedire ad una Società di capitali la sua volontà di eliminare una sua PROPRIETA'  da un luogo di lavoro per spostarla e crearne un'altra agli antipodi del mondo: nessuno e ribadisco, nemmeno lo Stato.
Le pantomime dei sindacati e dei partiti  politici, sono sceneggiate .
Non mi pare che quel "quindi"(giuridico) abbia un forte legame logico con l'interessante excursus storico-filosofico che lo precede (libertà, ontologia dell'io, volontà di potenza, etc.), oppure non l'ho capito... se intendi che l'economia permessa dalle leggi del nostro sistema si basa sullo sfruttamento-impiego di risorse (umane e non), mi risulta difficile pensare ad una forma di economia (statale e non) che funzioni diversamente...

Citazione di: paul11 il 29 Marzo 2018, 09:54:12 AM
Quindi la Sovranità del popolo che costruisce una polis, una cives, uno Stato non può superare la volontà di un ente di diritto privato quale una multinazionale o comunque una società di capitali.

questo è chiaro?
Mi sembra di capire, ma forse sbaglio, che auspichi un'economia fortemente statalizzata, un "protezionismo interventista" che tenga le multinazionali fuori e le nostre aziende dentro i nostri confini... sarebbe davvero un passo avanti per la tutela dei deboli o per i lavoratori in generale? Si può davvero percorrere questa strada, oggi?
#1875
Citazione di: paul11 il 27 Marzo 2018, 18:26:10 PM
Questo PRIVILEGIO sussiste ancora.
Credo di aver capito il tuo discorso, ma la questione che ponevo è quella della "salvaguardia statale dei privilegiati" (da te evocata): intestare un panfilo alla nonna che vive in baita, più che una tutela garantita dallo stato (che ne penserebbe un controllo del fisco?) è un escamotage da "fatta la legge, trovato l'inganno", un espediente imputabile al singolo, non certo l'applicazione di un servizio di sostegno statale alla ricchezza...
Quando parlavo di "bilanciamento" da parte del welfare intendevo, ad esempio, che in caso di fallimento, il lavoratore può sperare sul contributo di disoccupazione e altre agevolazioni, l'imprenditore può invece sperare che non gli pignorino la nonna  ;D

Con ciò non voglio fare l'apologia dell'imprenditore, tuttavia da quanto leggo sembra che il suo privilegio sia più una questione di astuzia gestionale (ai limiti dell'illegalità) e di eventuali favoritismi amicali (anche questi non certo auspicati dalla legislazione), piuttosto che di statale supporto ai ricchi a discapito dei poveri.
Come accennavo, distinguerei infatti i privilegi statali (quali?) concessi ai ricchi, dalle furbate, dall'evasione e dalle mafie; tutti elementi che possono fare certo parte del sistema, sebbene, almeno legislativamente, siano avversate dallo stato (il che non consentirebbe di parlare di "privilegi statali", almeno fino a prova contraria...).

Citazione di: paul11 il 27 Marzo 2018, 18:26:10 PM
L'uomo nasce animale e ha delle facoltà intuitive e intellettive, delle predisposizioni.Ma non nasce "imparato", deve fare esperienza e conoscere per essere e fare  cultura.
Da quì l'ambiguità umana. la cultura è un abito che può assecondare qualunque istinto animale umano.
Si può creare una cultura di comodo a propria misura e autogiustificazione.
E questo grazie al dispositivo culturale.
Secondo me, si può creare un'ideologia, non una cultura; il dispositivo che (auto)giustifica un determinato approccio alla politica o all'economia, non è culturale, semmai ideologico.
La cultura richiede un'identità interdisciplinare, un forte consolidamento storico e una accettazione popolare, che l'ideologia non può conoscere, essendo essa per sua natura settoriale, generazionale e inevitabilmente in contrasto con le altre ideologie con cui coabita nel medesimo territorio.
Fatta questa sostituzione linguistica (cultura/ideologia), concordo con il resto del discorso.