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Messaggi - Phil

#1876
Tematiche Spirituali / Re:Essere umili servi di Dio
02 Novembre 2017, 16:57:11 PM
Forse questo rapporto ambiguo potrebbe essere padroneggiato servendosi della dialettica servo/padrone... ;)
#1877
Scienza e Tecnologia / Re:Ma cos' è la morte?
30 Ottobre 2017, 23:46:23 PM
Aggiungerei che non solo si muore per esaurimento o non disponibilità delle risorse energetiche di cui la singola vita abbisogna, ma anche, talvolta, per malfunzionamento dell'organismo che dovrebbe metabolizzare tale energia disponibile, ma non riesce a farlo per "problemi tecnici" (ovvero malattie, incidenti traumatici, etc.). 
La capacità di "funzionare" (intesa come consumo di risorse energetiche per produrre un'attività chimico-biologica volta all'auto-sostentamento) è forse proprio il criterio che ci fa distinguere fra il campo della vita/morte e quello dell'inanimato: ciò che può smettere di funzionare è mortale, quindi vivo, mentre (parafrasando il falsificazionismo) ciò che non può smettere di funzionare, non è né vivo né morto, ovvero inanimato (pensiamo agli atomi, alla forza di gravità o alle rocce: non possono morire perché non possono smettere di "funzionare" in quanto non "funzionano", quindi non sono vivi né morti).
#1878
Citazione di: Jacopus il 30 Ottobre 2017, 09:29:09 AM
La tesi che formulo e' la seguente: la convinzione che vi sia un'anima rende possibile un livello di violenza che oggi e' solo sopita per la concorrenza di altri modelli e filosofie di vita.
Oggi essendo piu' importante la vita fisiologica essa viene tutelata e non passa piu' in secondo piano rispetto all'anima.
[...]
Pensare alla salvezza delle anime comporta percio' sempre un surplus di violenza?
Non conosco le statistiche in merito, ma suppongo, en passant, che gran parte della violenza terrena non ha finora avuto a che fare con anime e religioni (intese autenticamente e non come copertura per questioni politico-economiche come doverosamente precisato da Sariputra), sebbene indubbiamente il valore dato alla vita terrena dipende anche dalla visione religiosa della morte: i martiri, i kamikaze, etc. sacrificano la vita sulla terra poiché credono che la vera vita sia dopo la morte (magari migliore di quella che hanno conosciuto da mortali); è come se sapessero di avere un'eccedenza di vita eterna immateriale che rende quindi sacrificabile quella impermanente materiale (v. la "scommessa" di Pascal).
Ciò non comporta necessariamente una guerra fra le differenti visioni religiose e quindi schiere di morti dovute alla fiducia in un'anima "giustamente sacrificata". Secondo me, oggi la violenza interreligiosa e "intrareligiosa" è sopita non tanto per "la concorrenza di altri modelli e filosofie di vita"(cit.) ma per come tale concorrenza è stata incanalata (almeno in occidente) in una via meno guerriera che in passato: in uno stato moderno possono infatti convivere fedeli di differenti culti, ognuno dei quali pensa solo a salvare la propria anima, senza cercare di "inviare in cielo" quelle degli "infedeli" e senza che i ministri del suo culto minaccino di ucciderlo appena non adempie al codice religioso.
Non c'è da lamentarsi, possiamo persino essere dichiaratamente atei senza rischiare di perdere l'unica vita che crediamo di avere! ;D
#1879
Anche per me, come per Sariputra (se non fraintendo), le differenze che impediscono di valutare scienza e spiritualità con i medesimi criteri sono piuttosto insormontabili: come osserva baylham, il progresso è una categoria scientifica, non religiosa; la scienza dice sempre "cose" nuove e scarta le vecchie, mentre la spiritualità non scarta le vecchie (magari svela che erano solo metafore ;) ) e cerca semmai di renderle attuali, aggiornate, spesso "ammorbidendole" un po'... la scienza scopre e inventa, la spiritualità rielabora la sua stessa storia.
I "classici" della spiritualità sono tutti già scritti (oggi mi pare che nascano perlopiù sincretismi, spiritualità fai-da-te, non culti ex novo, salvo casi tipo scientology o simili), e in quanto "classici", che magari hanno inaugurato una tradizione millenaria, hanno sempre qualcosa da dire, o almeno da suggerire, da bisbigliare all'uomo di tutte le epoche e di tutte le latitudini, poiché alcuni bisogni e alcune domande non hanno una scadenza storica e prescindono quasi totalmente dal contesto storico (basti pensare alle questioni esistenziali). Intendo che mentre nella scienza i testi più attuali sono i più "esatti" (o almeno vorrebbero esserlo), in campo spirituale invece i testi moderni sono spesso parafrasi dei classici, un modo contemporaneo di citare e riproporre principi antichi, antichi come alcune questioni a cui la scienza non ha dato ancora risposta... 
Una ulteriore asimmetria è che il riduzionismo neurologico "metabolizza" la dimensione spirituale sconfessandola, mentre quello spirituale riduce la neurologia e la materia ad un accidente contingente, ma non ne nega la sensatezza (anzi gli riconosce in genere una certa utilità strumentale).

Per me, l'essenziale umanità è fuori dalle spiegazioni del riduzionismo neurologico, ovvero, come ricordava davintro, è la qualità dell'esperienza diretta come vissuto (a prescindere dal risvegliarsi ed accorgersi di essere solo un cervello in vasca... e se addirittura fossi burattino fra i burattini, il ricordarmi che ho i fili non renderebbe meno avvincente il vivere le mie avventure nel teatrino della vita  :) ).
#1880
Citazione di: davintro il 24 Ottobre 2017, 00:06:21 AM
constatazione dell'irriducibilità del darsi dei vissuti psichici a livello interiore, nell'esperienza interiore in prima persona, rispetto ai vissuti nelle forme fisiche con cui si manifestano per un occhio che osserva dall'esterno.
Concordo; la spiegazione scientifica e fisiologica di un fenomeno di coscienza non può coincidere con l'esperienza diretta (esistenziale e psicologica) del fenomeno stesso (come ci ricorda sempre il buon Sgiombo ;) ).

Citazione di: davintro il 24 Ottobre 2017, 00:06:21 AM
Se quest'ultima, la coscienza intesa nell'esperienza interiore del flusso dei vissuti, fosse solo u derivato secondario, un epifenomeno, del cervello, noi dovremmo vivere i nostri pensieri e sentimenti come localizzati in determinato luogo del corpo, allo stesso modo di quando proviamo dolore a una gamba se qualcuno ci dà un calcio in quel punto. Dolore, caldo, freddo sono sensazioni prodotte dal corpo manipolato da uno stimolo esterno fisico, mentre, personalmente, a me non è mai capitato di provare paura nel braccio o gioia o serenità alla ...nuca.
Se non sbaglio (e non lo escludo!) l'apparente localizzazione del dolore è solo un'illusione percettiva: la gamba ci fa male perché invia input al cervello che ci fa sentire il dolore (che quindi, come sensazione cosciente, "parte" dal cervello, che aumenta i battiti, tende i muscoli, etc.); se i nervi (o altre connessioni?) della gamba fossero recisi o fosse isolata la zona del cervello deputata al dolore, non sentiremmo più il dolore della/nella gamba, pur essendo rotta (credo, ma correggetemi pure, che molti antidolorifici funzionino così, ingannando il cervello piuttosto che risolvendo il problema/infiammazione/trauma...).

Citazione di: davintro il 24 Ottobre 2017, 00:06:21 AM
l'approccio fenomenologico, che coglie i vissuti in loro stessi, nelle qualità essenziali del loro darsi come fenomeni alla nostra esperienza interiore in prima persona, non riducendola a  misure quantitative, non per svalutare la validità delle scienze che su tali misure fondano i loro risultati, ma per contestualizzarle all'interno di qualcosa di più ampio,
Se mi è concesso, direi semmai "qualcosa di più ridotto": l'esperienza individuale contingente, il vissuto personale del singolo... l'approccio riduzionista non riduce né aumenta la qualità del mio piacere o del mio dolore (così come la neuroestetica non alterna il mio godimento estetico), al massimo spiega quali sono i meccanismi reconditi che denotano tali vissuti; spiegazione che rispetto al vissuto in prima persona, rientra nel capitolo "curiosità" o "nozionismo" (ad eccezione di chi deve lavorare su tali meccanismi con farmaci o affini...).
#1881
Citazione di: davintro il 20 Ottobre 2017, 01:59:09 AM
beh, nulla di male a utilizzare concetti ritenuti "scomodi" come quello di "essenza" in un certo contesto storico, dato che all'onesto cercatore della verità dovrebbe mirare solo a considerare l'adeguatezza di un concetto in relazione all'esperienza delle cose oggettive, e non in relazione al sentire comune dell'epoca nella quale gli è capitato di trovarsi a vivere. Certamente nell'epoca in cui il geocentrismo tolemaico andava per la maggiore il sistema eliocentrico copernicano era certamente "scomodo", ma si è poi rivelato quello valido...
Sia le auto d'epoca che alcuni prototipi futuristici possono risultare "scomodi" per il nostro fondoschiena abituato allo standard della contemporaneità... si tratta di capire se è una scomodità su cui si può lavorare (prototipo) oppure una scomodità che risulterebbe snaturata da una rivisitazione (auto d'epoca)  ;)

Citazione di: davintro il 20 Ottobre 2017, 01:59:09 AM
La necessità delle essenze è dimostrabile analiticamente: cioè a partire dalla definizione stessa che ne diamo: se intendiamo l'essenza come la componente necessaria di un ente, quella che rende un ente quell'ente determinato e non un altro, allora l'essenza non può non essere presente in ciascun ente, altrimenti il concetto stesso di "essenza" sarebbe autocontraddittorio e dunque insensato. Senza la propria essenza ogni ente smarrirrebbe il suo "quid" che gli attribuisce una qualsivoglia determinazione e lo contraddistingue da altri enti: cioè l'essere cadrebbe nella pura indeterminazione, verso il nulla. Tutto sta nel non concepire le essenze come idee idealisticamente separate dagli enti a cui si riferiscono, ma, pur mantenendo la loro conntotazione ideale, porle come immanenti ai loro enti di riferimento, cioè identificarle con il loro "quid" che ne specifica il senso determinato, rendendo anche possibile, in seconda battuta la definibilità linguistica.
Non farei coincidere l'essenza metafisica con il quid dell'(arbitraria e convenzionale) identità linguistica (e quindi con la predicabilità)... se restiamo dentro l'orizzonte classico, l'essenza è indubbiamente un perno fondamentale dell'impalcatura metafisica, ma davvero non se ne può proprio uscire? Secondo me, come accennavo sopra, è possibile almeno una prospettiva alternativa (non per questo più vera, ma almeno c'è legittima concorrenza  ;D ).

Citazione di: davintro il 20 Ottobre 2017, 01:59:09 AM
Etichettare come "antropocentrismo" qualunque attribuzione da parte di un intelletto soggettivo di categorie formali applicate poi alla realtà oggettiva dovrebbe coerentemente far ricondurre in questa etichetta qualunque forma di conoscenza razionale, comprese le scienze naturali sperimentali, dato che ogni conoscenza presuppone l'organizzazione del flusso di dati sensibili, di per sé informe e caotico, in un sistema di concetti, di forme intelligibili.
Si, secondo me non si esce dall'antropocentrismo gnoseologico... possiamo forse smettere di pensare da uomini?

Citazione di: davintro il 20 Ottobre 2017, 01:59:09 AMin realtà credo che il rischio di cadere in un'antropocentrismo che ostacola la conoscenza della realtà oggettiva, possa essere scongiurato nel momento in cui una sana epistemologia individui dei criteri della conoscenza solidi, come il complesso dei princìpi logici universali, che nella loro trascendentalità, sono regole necessarie del pensiero, a prescindere dal tipo di realtà determinata in possesso di tale pensiero. In questo senso che A sia uguale ad A e non potrebbe mai essere non-A, è una norma che ogni pensiero presuppone necessariamente per non cadere nell'assurdità, sia il pensiero dell'essere umano, che di un ipotetico alieno sceso da Marte, cosicché un complesso di deduzioni ricavate da princìpi originari come questo sarebbe svincolato dall'antropocentrismo.
Oggi umanamente la logica è così, ma se diciamo "necessariamente" e "universalmente", comprendendo così anche presunti alieni (o uomini del futuro), a mio giudizio facciamo una scommessa (antropocentrica ;) ), non una constatazione inconfutabile... siamo uomini e conosciamo il mondo da uomini, se fossimo pesci penseremmo che non sia universalmente possibile vivere all'asciutto e che ciò rappresenti una certezza trascendentale, trovando conferma nel non aver avuto notizia di pesci che vivano fuori dall'acqua...

Citazione di: davintro il 20 Ottobre 2017, 01:59:09 AM
La razionalità che garantisce la corrispondenza di una tesi con la realtà oggettiva è l'argine contro ogni antropocentrismo relativista.
La corrispondenza con l'oggettività, secondo me, salvo intenderla come mero "funzionalismo" ("funziona quindi è oggettivo"), non è così pacifica da verificare, perché l'oggettività (ideale normativo asintoticamente sfuggente) è sempre letta inevitabilmente dalla prospettiva umana, la stessa che potrebbe dire che, come già ricordato da altri,  è "oggettivo" che il sole corra nel cielo, che è "oggettivo" che il prestigiatore tagli in due la valletta, che è "oggettivo" che solo un dio possa averci creato, etc.

Citazione di: davintro il 20 Ottobre 2017, 01:59:09 AMLo stessa fenomenologia husserliana pur riconoscendo un'attività delle noesi, espressione di una soggettività (però l'Io puro, trascendentale, non l'essere umano con le sue proprietà determinate) nella formazione dei noemi, non mi pare consideri l'attività formante come arbitraria proiezione dell'umano, ma fondato sull'apprensione passiva, la sintesi passiva, di un mondo ulteriore di sensazioni, che incidono sulla formazione degli schemi percettivi, in un'intenzionalità "al contrario" ,che va dall'oggetto al soggetto.
...al soggetto umano (che dà un senso a quello trascendentale  ;) ), Husserl non l'ha precisato perché probabilmente era ovvio; eppure secondo me, è un'ovvietà piuttosto problematica (o almeno "antropocentrica"  ;D ), se si ambisce a parlare in termini assoluti e meta-umani...
#1882
Tematiche Spirituali / Re:Poetica del sottosuolo
16 Ottobre 2017, 22:45:50 PM
Senza vista nessuna scrittura (il braille è stato comunque inventato da vedenti), nessuna teoria o teoresi (theoresis, "visione"), nessuna idea di prospettiva (qual'è il senso che arriva più lontano? qual'è l'unico senso "selettivo", ovvero che può "zoomare" filtrando altri stimoli sensoriali?), e senza tutto ciò non c'è scienza né filosofia né arte; probabilmente ci saremmo fermati prima dell'homo sapiens e persino il pollice opponibile sarebbe risultato piuttosto inutile (che se ne farebbe una talpa?  Eppure, essendo nella sezione spiritualità, senza vista e senza pollice opponibile, forse la talpa non ha uno "spirito corrotto" come l'uomo vedente e visionario ;D ). 
Non saremmo nemmeno stati consapevoli della nostra cecità, perché se non si conosce la vista, almeno per sentito dire, la cecità non esiste in quanto tale. Indubbiamente, ognuno di noi ha le sue cecità, di cui talvolta nemmeno si accorge (si può vedere la propria cecità?), ma questa è forse un'altra storia...
#1883
Citazione di: davintro il 13 Ottobre 2017, 20:16:40 PM
Qualunque entità materiale possa individuare la genetica sarà sempre materia formata, accompagnata da un'essenza immateriale che la configura come materia vivente.
"Essenza" (parola oggi molto "scomoda": forse più metaforica che ontologica  ;) ) che oltre a essere postulata "immateriale", mi concederai, è comunque anche indimostrabile (il che non significa non esista...). Che tale indimostrabilità poggi su un'antica tradizione interculturale, è certamente un ghiotto spunto di riflessione antropologica, ma, epistemologicamente, non mi sembra scalfire la sua indimostrabilità, e quindi l'indecidibilità della sua esistenza.

P.s.
Personalmente, credo che l'"antropocentrismo" delle quattro cause aristoteliche vada un po' ridimensionato: per me la forma è più negli occhi (e nell'intelletto) di chi guarda che nel problematico oggetto stesso (Husserl docet: l'intenzionalità della noesi forma il noema, ma l'oggetto-in-sé è altro, direi sempre un passo oltre l'epochè...).
#1884
Citazione di: davintro il 13 Ottobre 2017, 01:58:54 AM
Accanto a tale concezione c'è però quella classica, soprattutto aristolelica, per cui l'anima non è sostanza separata dal corpo, ma forma immanente ad esso, e questa immanenza (non identità), le restituisce una ragion d'essere come causa formale della materia, principio che attribuisce un senso determinato e delimitato alla materia
La "causa formale" dell'uomo, attualizzando la terminologia aristotelica, credo sia la genetica (che è infatti sostanziale: Dna, geni, etc.), anche se il buon Aristotele non poteva certo saperlo  ;D

Citazione di: davintro il 13 Ottobre 2017, 01:58:54 AM
In questa concezione l'anima torna ad essere concetto dalla dignità razionale, in quanto la sua presenza risponde a una decisiva questione, la ragion d'essere della differenza fra materia inanimata e materia vivente, nonché, grazie alle varie tipologie di "anima" (razionale, sensitiva, vegetativa), delle diverse configurazioni interne agli esseri viventi, le persone rispetto agli animali, gli animali rispetto alle piante...
L'anima come spiegazione della vita è un classico intramontabile e... infalsificabile  ;)

Citazione di: davintro il 13 Ottobre 2017, 01:58:54 AM
Escludere la presenza di tali nozioni originarie in quanto non riconoscibili da un modello di ricerca verificazionista valido per la verificazione dell'esperienza esterna (induttivo e osservativo-sensibile) vorrebbe dire dare pregiudizialmente per scontato che l'unico metodo di ricerca razionalmente valido sia di questo tipo, mentre un'affermazione di questo genere sarebbe proprio la tesi che l'antiinnatismo dovrebbe essere chiamato a dimostrare, in quanto presupporrebbe che un'esperienza interiore autonoma da quella esteriore sarebbe impossibile per assenza di contenuti propri: in pratica nel negare concetti innati in quanto non ricavabili dalla verificazione esterna sensibile e nel pensare tale tipo di verificazione come l'unica possibile vuol dire cadere in un circolo vizioso argomentativo
L'anima (proprio come il "pappagallo funebre") non può essere razionalmente esclusa o negata, essendo indimostrabile, per cui concordo appieno sul fatto che l'antiinnatismo pecca di una "protezionistica" chiusura logica che confonde maliziosamente l'inverificabile con il falso.
#1885
Tematiche Filosofiche / Re:sull' etica
12 Ottobre 2017, 22:16:55 PM
Sono di passaggio (e chi non lo è?  ;D ) per due note filologiche:
Citazione di: green demetr il 12 Ottobre 2017, 21:43:11 PM
l'ossesione morbosa con cui gli scienziati si occupano del corpo umano. Del Korpen, e non del non mi ricordo il termine tedesco per indicare il corpo vivente.  :P
Alludi a Husserl che oppone Korper e Leib?

Citazione di: green demetr il 12 Ottobre 2017, 21:43:11 PM
con gente come Schleimarcher (o come si chiamo....non ancora letto  :P )
Schleiermacher.
#1886
Tematiche Filosofiche / Re:sull' etica
09 Ottobre 2017, 19:56:21 PM
Citazione di: Apeiron il 08 Ottobre 2017, 16:47:42 PM
Siccome però scientificamente non si può trovare un indizio a favore del libero arbitrio anche solo parziale (e anche con la sola filosofia) allora ritengo doveroso postularlo, in modo analogo per certi versi a quanto fece Kant.
Se posso porgerti (indebitamente) una domanda da "lettino dello psicologo" ;D , come mai ritieni doveroso postularlo? Il primo dovere morale è forse proprio quello di credere nel libero arbitrio, così da poter fondare un'etica (così come il primo comandamento di una religione è spesso di credere in quell'unico dio, in modo che il resto del culto sia ben "giustificato")?
Che la morale sia il collante (e la bussola) di una società, è fuor di dubbio, ma il passo successivo, quello che con la "valorializzazione" della morale inaugura la dimensione etica, non mi pare inevitabilmente necessario: ai tempi di Kant probabilmente non era possibile, ma oggi si potrebbe anche passare dalla "colpa" (morale-metafisica) alla "disfunzionalità" (pragmatica-sociale), ovvero slittare dal "verrai punito perché giudicato colpevole di aver fatto qualcosa di sbagliato" al "sarai detenuto perché hai mostrato un comportamento disfunzionale e pericoloso" (senza voler aprire qui il dibattito sugli esiti della detenzione o suoi meccanismi di omologazione sociale o altre corpose tematiche, pur pertinenti e interessanti...).
Non si tratterebbe, secondo me, solo di una mera questione di definizioni linguistiche ("colpa" vs "disfunzionalità") che riassorbono l'etica (di matrice divina) nel diritto (di stampo umano), ma sarebbe un cambio di paradigma culturale, sia dal punto di vista collettivo e sociologico, che individuale e psicologico-esistenziale; ad esempio, il "senso di colpa" non credo venga vissuto (e abbia ripercussioni) in modo simile alla consapevolezza della propria disfunzionalità contestuale (è, metaforicamente, la differenza fra il sentirsi "disabili condannati dal destino infausto" e "diversamente abili con limitazioni fisiche"...).
#1887
Tematiche Culturali e Sociali / Re:Attrazione
07 Ottobre 2017, 20:37:55 PM
Citazione di: altamarea il 07 Ottobre 2017, 17:50:27 PM
Nella scelta del/la partner chi dovrebbe insegnare ai giovani come capire se i due tipi di attrazione confluiscono nel soggetto che si vorrebbe scegliere ?
L'esperienza è maestra di vita... d'altronde a noi non-giovani chi l'ha insegnato? ;)

Tale importanza dei vissuti diretti e delle successive riflessioni in merito, credo valga anche se allarghiamo la tematica della "scelta del partner" andando oltre l'istinto riproduttivo (attrazione), il corteggiamento (bellezza) e l'accoppiamento (libido)... poi potremmo anche parlare di feromoni, contesti culturali, dinamiche cognitive del desiderio, etc. ma suppongo rientrino comunque implicitamente nel valore (anche in termini di auto-consapevolezza) delle personali "lezioni di vita".
#1888
Tematiche Filosofiche / Re:sull' etica
06 Ottobre 2017, 23:19:21 PM
Citazione di: sgiombo il 06 Ottobre 2017, 22:29:03 PM
Il problema sta tutto in quel "libera ma non casuale".

Secondo me fra "casualità" e determinismo [...] tertium non datur.

Quindi mi sembra che il libero arbitrio sia l' antitesi dell' agire e/o scegliere a seconda delle (essendo determinati dalle) proprie qualità etiche.
Da quel che ricordo (anche dopo la conferma dell'enciclopedia), "libero ma non casuale" è il fulcro del libero arbitrio (almeno per come è solitamente inteso nel linguaggio filosofico), per cui dovrebbe costituire proprio un "tertium" che responsabilizza l'uomo agli occhi della divinità, che ha deciso di lasciarlo libero di fare il bene o il male (altrimenti crolla tutta l'impalcatura soteriologica: peccato, perdono, punizione, beatitudine, redenzione, etc. perdono di senso se l'uomo non è imputabile delle sue scelte, ma soltanto una "risultante condizionata" di biologia, habitat culturale ed eventi contingenti vissuti).
Ovviamente si può non esser d'accordo, ma credo che per i sostenitori del libero arbitrio quel "tertium libero ma non casuale", sia quasi un dogma...

Secondo me, anche il determinismo resta comunque una lettura umana (inevitabilmente!) della realtà: così come le categorie (spazio, tempo, causa, etc.) non hanno probabilmente senso sostanziale al di fuori delle prospettiva umana (che le pone e le usa), parimenti spiegare l'agire umano con un approccio causalistico-deterministico rappresenta (per me) solo una chiave di lettura, che, essendo "antropica", può essere tanto funzionale (anche nella prassi) quanto priva di una valenza oggettivamente reale (il che decostruisce l'eventuale ambizione veritativa del determinismo, o meglio, in questo credo che il mio determinismo, sfoci in un'estetica o in un'ermeneutica, piuttosto che in un'epistemologia in senso "forte"  ;) ).
#1889
Tematiche Filosofiche / Re:sull' etica
06 Ottobre 2017, 22:11:05 PM
Citazione di: sgiombo il 06 Ottobre 2017, 20:21:45 PM
l' affermazione per cui <<il libero arbitrio non mi pare sia definibile con "= casualità delle scelte">> (e ti chiedo: in che altro modo lo si potrebbe definire?)
Per inquadrare meglio il "libero arbitrio" sono andato a sbirciare sull'enciclopedia on-line, che conferma che viene solitamente inteso come (cito) "capacità di scegliere liberamente, nell'operare e nel giudicare. L'espressione, usata a indicare la libertà del volere umano", ovvero il riconoscimento della volontà individuale come strumento della ragione ("libera" ma non casuale), e quindi garante dell'imputabilità individuale della responsabilità delle azioni (non a caso pare che il dibattito sia nato in ambito teologico per "ancorare" i peccati al loro portatore, in contrasto con la predestinazione...). Quindi è piuttosto l'antitesi dell'agire e/o scegliere a caso.

Citazione di: sgiombo il 06 Ottobre 2017, 20:21:45 PM
non ci può essere autentica democrazia senza uguaglianza economico–sociale, ovvero socialismo-comunismo; e su questo per lo meno dubito molto che tu convenga
Non è che non concordo, sono solo tendenzialmente incapace di "pensare politicamente", soprattutto in modo propositivo (ovvero sul "come dovrebbe essere", "cosa bisognerebbe fare", etc. ideali che richiedono un'identificazione di "giusto" e "sbagliato" molto solida, forse troppo per un "debole" come me  ;D ).

Citazione di: sgiombo il 06 Ottobre 2017, 20:44:40 PM
Sbaglio o questo "qualcuno" potrebbe essere Giona?
Sicuramente è un "qualcuno" liberamente ispirato all'attitudine "esorcista" di alcuni credenti (che certamente sono mossi da buone intenzioni :) ).
#1890
Citazione di: davintro il 06 Ottobre 2017, 20:04:39 PM
la differenza fondamentale tra l'ammissione di contenuti ideale innati latenti nei livelli profondi della psiche e la pretesa che gli altri credano che ho un pappagallo invisibile sulla spalla consiste nel fatto che mentre l'idea del pappagallo invisibile, pur di per sé infalsificabile, non ha nemmeno alcuna ragione di essere creduta, per il semplice motivo che è una credenza del tutto inutile a risolvere dei problemi teoretici riguardo la realtà: Se conoscere vuol dire "conoscere le cause", allora il pappagallo invisibile è totalmente inutile all'ampliamento della conoscenza razionale del mondo, in quanto pur teoricamente non impossibile, non risolve alcuna questione, non risponde ad alcuna possibile domanda.
L'esempio era volutamente giocoso e surreale, eppure, a ben vedere, non è che fra l'idea del pappagallo e l'idea di anima ci sia troppa differenza, sia per indimostrabilità che per "utilità teoretica"... ;)

Citazione di: davintro il 06 Ottobre 2017, 20:04:39 PM
l'origine delle idee dal contenuto intelligibile che non troverebbe adeguazione nei contenuti sensibili dell'esperienza a-posteriori. Se l'esperienza esteriore appare, pur necessaria, insufficiente a produrre in noi contenuti qualitativamente distinti da quelli sensibili, cioè le qualità intelligibili, allora occorrerà rivolgersi all'interno.
Si; tuttavia direi meglio se ad un interno verificabile...

Citazione di: davintro il 06 Ottobre 2017, 20:04:39 PM
Messe così le cose non si può dire che la tesi innatista sia infalsificabile in assoluto: sarebbe falsificabile nel momento in cui si riuscisse a dimostrare che l'esperienza sensibile fosse condizione non solo necessaria ma anche sufficiente della forma di tutti i concetti (sensibili e intelligibili), e del contenuto di quelli intelligibili, e questo, nonostante le varie obiezioni, non lo vedo dimostrato, almeno per il momento
Secondo me, la capacità di astrarre sta proprio in questa produzione di concetti intelligibili ispirati (ma eccedenti per grado) al sensibile; così come, ad esempio, la negazione (operazione logica) del finito (sensibile) produce il concetto di in-finito (non-sensibile); e tirerei anche il ballo la comunicazione simbolica dei nostri simili, l'impatto culturale e la narrazione ricevuta (la stessa che ci consente di parlare di "idee innate"  ;) ).
Se si crede in questi fattori (cognitivi, logici e culturali), l'innatismo delle idee non è più necessario; se poi queste spiegazioni non vengono ritenute adeguatamente falsificanti l'innatismo, allora certo che resta una posizione più che plausibile  :)