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Messaggi - green demetr

#1876
Tematiche Filosofiche / Re:Lo spazio dell'assoluto
14 Febbraio 2020, 09:56:15 AM
Citazione di: Ipazia il 12 Febbraio 2020, 13:47:36 PM
Noi siamo il tempo antropologico che non è lo spazio-tempo fisico il quale a sua volta, con buona pace di Severino, è temporizzato pure lui variando al variare del tempo. Il che contraddice un'altra superstizione metafisica: che non si possa studiare un fenomeno dall'interno. Forse la filosofia dovrebbe lasciare lo spazio-tempo ai fisici e a chi ci deve fare sopra calcoli per centrare il bersaglio nei viaggi interplanetari e nella standardizzazione degli apparati di comunicazione e concentrarsi di più sul tempo antropologico che è l'ente da cui è nato l'universo antropologico, Dio compreso.

Ma il filosofo che non legga della fisica non è un filosofo.

Comunque se intendi dire che il tempo antropologico è assai più importante del supposto tempo fisico, con me sfondi una porta aperta.

Naturalmente sono due campi della critica (della analisi) completamente differenti.

Sebbene Severino abbia fatto notare che nel destino della contradizione dell'apparire, ossia nella fenomenologia del tempo di cui si occupa l'antropologia, il tema della tecnica è inaggirabile.

Serve sia una attenzione particolare per non rimanere negli iperurani, ma anche mantenere una certa visione d'insieme dei processi fenomenologici. (essi siano un destino o meno).
#1877
x Paul e Vito J Ceravolo  (con un accenno a Ipazia)

Il problema delle pratiche che scaturiscano dal dogma, è che quasi sempre non rispondono al nichilismo.

Il nichilismo non è legato tanto all'uccisione della realtà, semmai alla sua negazione come discorso.(nietzche)

Ossia nell'epoca moderna il concetto di verità è gravemente in difficoltà.

Le filosofie analitiche continentali che sinora si sono impegnate nel rispondere  a Nietzche mi paiono dogmatiche e pericolose.

Non a caso sono sfociate nel transumanesimo.

Come se la ragione in sè (nell'accezione di vito) o l'ordine naturale (nell'accezione di paul) potessero veramente porsi in un iperuranio.

Ha dunque ragione Ipazia nel sottolineare che la visione del mondo dietro al mondo, di solito è una modalità di non pensare alle pratiche quotidiane.

Detto questo per me l'idealismo è esattamente lo studio del soggetto a partire dal lato psicologico (hegel non kant)

Il soggetto che non si dedichi all'attività di critica del proprio agire difficilmente può attingere all'agire degli altri, figuriamoci del Mondo intero.

Naturalmente Vito J Ceravolo conosco e mi interesso dei processi conoscitivi, ma SOLO come mappatura critica della medianità che è l'uomo, esattamente come elaborato da Heidegger.
Ossia nella descrizione critica del Dio "che ci parla". (Le religioni sono solo un modo del discorso che tenta di dare parola al Dio.
Ma la religione è la parola dell'uomo ovviamente, non di Dio.)

Il muro del naturalismo è purtroppo un muro che ancora nella mia vita nessuno ha ancora capito.

Comunque si può rimanere nell'ambito della critica che stiamo facendo.

Effettivamente le nostre posizioni cari amici sono di fondo le stesse, o molto vicine.
#1878
Tematiche Filosofiche / Re:La sedia in sè
12 Febbraio 2020, 00:28:08 AM
x Ipazia e Phil

ciao mi chiedevo al di là dei vari formalismi logici e paratattici, perchè non riusciate a vedere la ficcante critica di viator.

infatti ripartiamo da cane, e dal concetto del in sè.

Come sappiamo il problema di kant è la giustificazione del fatto che esista un in sè (egli introduce poi un altro in sè, che è la libertà, per cui di fatto a mio modo di vedere è ingiustamente criticato sulla prima questione lasciata aperta nella ragion pura, ma appunto non è che kant abbia finito lì, è andato avanti nella ricerca, Giusto in parentesi ed en passant).

Di fatto voler giustificare quella che in fine dei conti è una semplice presa di posizione di partenza, rientra nel più gran novero delle questioni finalisitiche a cui di fatto la filosofia tende.

secondo me viator attinge a questa intuizione, che in fin dei conti il finalismo della filosofia, spesso si dimentica di se stesso.
Ed entra in un loop impossibile da sciogliere, se non quando si ricorda del perchè la filosofia è nata. Appunto come libertà di scelta umana.

in fin dei conti la cara vecchia idea di causalità, oggi così snobbata, rientra e rientrerò sempre dalla finestra ampia della filosofia, ossia dal suo vero scopo.

poichè le cause aiuatano grandemente ad ottenere una conoscenza, e dunque una finalità indirizzante. che poi si chiamerà infine scienza.

la questione formale degli universali ricordiamoci è sempre legata all'idea del deus ex machina, che infesta da sempre la filosofia.

certo come dici tu phil un errore logico-filosofico gigantesco, e non per questo meno straordinariamente importante per l'intera tradizione occidentale, ossia in fin dei conti noi.

Noi partiamo sempre da quella vecchia idea dell'auctoritas!

sinceramente ho trovato l'intervento di viator squisito nel suo pragmatismo insieme innocente e terribilmente indicatorio di certi loop della filosofia (non ho mai capito perchè abbia ancora così successo questa idea del "in sè delle cose". Ma chi se ne frega, andiamo avanti per carità!  ;D  ;)
#1879
Tematiche Filosofiche / Re:La sedia in sè
12 Febbraio 2020, 00:09:19 AM
Citazione di: baylham il 11 Febbraio 2020, 19:21:54 PM
Sopra la sedia c'è un granellino di sabbia.
Mi domando, la sedia con sopra il granellino di sabbia è un'altra cosa in sé, distinta dalla sedia e dal granellino di sabbia?

Allora la cosa in sè è un concetto unico, ossia non esiste la sedia come cosa in sè.
esiste la sedia in quanto cosa in sè. Ossia la sedia è una delle infinite manifestazioni dell'identico.

dunque la sedia, il granello di sabbia e la sedia con il granello di sabbia sopra, sono 3 (!) e non 2 manifestazioni dell'1 che è la cosa in sè.

Attenzione persino due maestri come vattimo e ferraris si confusero all'epoca del discorso sul neo-realismo, riportati sulla retta via dal sempre attento Severino (che perdita scioccante per il mondo filosofico!).

ciao baylham
#1880
Tematiche Filosofiche / Re:La sedia in sè
11 Febbraio 2020, 23:58:42 PM
Citazione di: viator il 09 Febbraio 2020, 21:31:27 PM
Salve. Finalmente, a furia di sentir parlare della "cosa in sè" senza comprendere il senso di tale espressione.............sento, intuisco, vagheggio e spudoratamente mi sento di rivelare cosa essa possa essere secondo me.

Prendiamo una sedia. Essa è (anche) un oggetto materiale, un manufatto, talvolta potrebbe persino essere un'opera d'arte.....ma non sembra che in tali definizioni e specificazioni sia racchiuso il significato di "una sedia in sè".

Esistono le cause (le quali secondo me rappresentano il 50% dell'essere, cioè di ciò che permette alle "cose" di esistere, ma questo lo lasciamo perdere).......poi esistono gli effetti (sempre secondo me, l'altro 50% dell'essere......................).

Ma, dato l'essere delle cose" definito come qui sopra........................le "cose" (in sè)..................dove sono e cosa sono ?.

Io penso che, dal momento che esiste una causa (potenziale od attuale) dell'esistenza della sedia (il bisogno di sedersi) e che ne esiste necessariamente l'effetto (potenziale od attuale) - (il poggiarvi il sedere)...................la sedia in sè non possa che essere ciò che si frappone tra la causa e l'effetto, CIOE' LO STRUMENTO (*) CHE, GENERATO DA UNA CAUSA, PERMETTE DI DARE AD ESSA UN EFFETTO.

Quindi qualsiasi "cosa in sè", secondo il mio ardito e balzano punto di vista non sarebbe altro che uno STRUMENTO secondo la definizione sopra datane.

A questo punto vorrei solo pregare - nel caso questa mia abbia una qualche replica da parte vostra - di astenervi dal citare pareri, giudizi, trattazioni, riflessioni facenti parte della storia della filosofia e del "noumeno", limitandovi a criticarmi (personalmente o filosoficamente) od a sottopormi DEFINIZIONI alternative alla mia. Ringrazio e saluto.

(*) OVVIAMENTE LO STRUMENTO PUO' ESSERE SIA MATERIALE CHE IMMATERIALE !!

Ah ah e va bene lasciamo pure i pensatori classici da parte.

In effetti non c'è bisogno. Io penso che lo strumento non sia ciò che sta in mezzo alla causa-effetto, bensì faccia parte delle varie forme della causalità.
D'altronde in latino esisto proprie il causale strumentale (la preposizione ob).

Comunque mi suona nuova e allegra la dimensione del "in sè" che significa molto banalmente cio che è (la tautologia la cosa in sè è la cosa in sè, ossia a=a).

In effetti hai ragione a fare questo parallelismo, che evidentemente viene da una tua intuizione squisita.

In effetti la causalità è proprio il problema di voler a tutti i costi introdurre qualcosa per poi volerlo ri-dimostrare tramite le categorie classiche della logica.
(ma che bisogna c'era? visto che lo avevi introdotto ex-abrupto!)

Allora tanto valeva dire che a è uguale ad a, perchè  b lo permette.

ossia non partire da una tautologia ma da una premessa del tipo. se esiste un b che permette un a, allora esiste un a.

e chiamare queste necessità (del possibile) il famoso in sè.

E bravo il nostro viator!

ps.
ovviamente questo non può accadere per quell'oggetto particolare che è l'esistente, e di cui il b famoso di sopra sarebbe l'ESSERE, che appunto nella tradizione classica è il vero in sè. La causalità dunque ovviamente è un accidente, e non un in sè.
giusto per ridare la voce alla tradizione filosofica  ;)

pps.
ma nel caso di kant la critica suppongo non volontaria di viator è ficcante!  :)
#1881
Tematiche Filosofiche / Re:Lo spazio dell'assoluto
11 Febbraio 2020, 23:38:10 PM
Citazione di: viator il 11 Febbraio 2020, 12:21:04 PM
Salve green demetr. Solo un piccolo inciso che non incresperà neppure il "mare magnum" nel quale sei solito navigare.
A proposito de : "(Ero rimasto alla domanda se il tempo fosse un ente o meno. Anche qui forse un giorno qualcuno vorrà riprenderla, mandatemi messaggio privato)" vorrei solo evidenziare quella che a mio parere è la differenza tra un ente ("ciò che è in modo determinato e riconoscibile" ed un'entità ("ciò che è in modo indeterminato e (almeno per il momento) inconoscibile").

Ecco...............secondo me il tempo proprio non esiste in quanto esiste l'accadere, in mancanza del quale - con ogni evidenza, viene a cadere sia la capacità percettiva che quella concettiva che ogni e qualsiasi "realtà" fisica connettibile all'esistenza di un qualsiasi "tempo". Saluti.

Ciao viator, si dici bene, l'accadere, l'evento sono i fatti principali su cui poi l'indagine scientifica si concentra. Hai però dimenticato lo spazio.
Infatti l'accadere avviene sempre in un posto. Anzi il posto, lo spazio è proprio determinato da un accadimento (l'insieme degli enti e la loro correlazione), è esattamente la filosofia di locke.

Da cui poi si innesta però la nuova concezione del tempo, inventata da kant.

Ossia che appunto il tempo è una estensione dello spazio, ossia la correlazione degli spazi/evento.

Dunque sì il tempo non esiste in sè.

Il punto è che fosse anche una estensione spazio-temporale (e con einstein la cosa è stata supposta e forse dimostrata) essa indica comunque una contraddizione.

infatti noi determiniamo l'intera nostra vita come se il tempo fosse reale.

io ho percezione del tempo che passa. mi chiedevo se questo fosse la contradizione del nostro tempo ossia del suo nichilismo secondo severino, o se invece il tempo stesso fosse un ente, e dunque una necessità della contraddizione affinchè qualcosa nel mondo APPAIA.

Se no tutto accade e avviene nello stesso istante di questo ente totale che è lo spazio-tempo.

il che non ha senso! in quanto noi stessi umani siamo parte della distinzione che qualcosa appare e qualcosa no.

mi rimane un rompicapo. infatti se togliamo la contraddizione allora noi siamo questo spazio-tempo universale, e non esiste alcun soggetto.

Insomma la problematica del tempo rimane, sebbene non esista!!!!

quindi siamo insieme d'accordo e no!  ;)  ;D



#1882
ultimo pensieri sparsi odierno, saluto Iano che mi ha aiutato e ispirato la scrittura.

Citazione di: iano il 03 Febbraio 2020, 14:17:27 PM
@ Vito.
Io posso tutto perché niente è.
No non mi riconosco in ciò.
Evidentemente il mio è un nichilismo , se tale è, anomalo.
Io posso provare ogni percorso e sceglierne uno , anche se il punto di partenza non l'ho scelto io , ma mi ci sono trovato.
Posso analizzare quindi il punto di partenza come un percorso che altri , allo stesso modo , e in liberta' , hanno scelto.
Posso anche scegliere liberamente di restare al punto di partenza , una volta che lo abbia analizzato .
Il percorso può consistere semplicemente nella presa di coscienza di dove mi trovo veramente.
Ogni viaggio lo si fa' solo per tornare a casa , trovandola diversa da come la abbiamo lasciata.
Io voglio far progredire la mia conoscenza in modo responsabile e cosciente , riguardandola per quel che è, consapevole del fatto che non tutto passa per la coscienza , e che io non sono solo coscienza .
Non esistono soggetti e oggetti separati se non per conveniente convenzione.
Necessaria convenzione di cui il mio nichilismo pretende di far virtù , se nichilismo è.
Ciò che è negativo è credere fino in fondo ( realismo ingenuo) nelle distinzioni utili che facciamo per convenienza, bloccandone così le potenzialità.
Credo sia una pura questione di tempismo.
Una recita deve andare a termine , ma non si può ripetere in eterno , ciò a cui saremmo condannati se possedessimo la conoscenza delle cose in se'.
Un po' come essere in paradiso , dove mi auguro il tempo non esita , perché non saprei come riempirlo.
Direi che il segreto è nel coraggio di essere se stessi , anche se non sappiamo bene cosa siamo.
La coerenza la do' , magari incoscientemente , per scontata , per il motivo che l'unica definizione di caos possibile è la sua negazione e non viceversa.
Nel momento in cui definisco A , allora definisco non A , e non sono la stessa cosa.
Lo sono solo un attimo prima di definirli.
Nel momento in cui decido che A=non A , allora ho rigettato , come liberamente posso fare , la mia definizione di comodo , che non corrisponde alla realtà, ma .. risponde alla realtà. , e le risposte non sono univoche.
Ma ciò non significa che nulla ha valore.
Significa solo che il valore che diamo alle cose non ha una origine che possiamo controllare in modo cosciente .
Questo fa' si che possediamo il concetto di bene , senza sapere dire esattamente cos'e'.
Il bene non esiste solo perché io non ne ho il pieno controllo.

Il nichilismo di cui parli che mi pare traspaia da questi interventi è il fatto che tu ritenga la coscienza a mò di realismo magico, come se fosse una chimera, meglio un genio benigno.

Il nichilismo risiede nella fattualità che per te il reale come antagonista al soggetto NON ESISTE.

Questo è un grosso problema, non ti permette di fare i conti con la politica e il suo fantasma ossia l'ideologia.

Come questo danneggi la tua anima, sarebbe discorso ampio, ma di fatto è quello il problema reale a cui porta il nichilismo.
Che il realismo magico (tuo sintomo) impedisce al soggetto di convenire su ciò che lo determina.

E che vito j ceravolo chiama giustamente ordine del reale, ossia ragione in sè.

#1883
pensieri sparsi venuti in mente dopo bobmax, che saluto.

Citazione di: bobmax il 03 Febbraio 2020, 09:48:34 AM
Il nichilismo ha più a che fare con l'oggetto che con il soggetto.

Il nulla nichilistico è infatti un nulla valoriale. Conclusione inevitabile a cui giunge il pensiero razionale per il quale l'oggettività in sé è verità assoluta.

Quando viceversa è il soggetto ad essere considerato assoluto si cade allora nel solipsismo. Che è l'orrore della solitudine assoluta, ma non nichilismo: l'oggetto è puro nulla, che importanza può averne il valore?

A mio avviso l'errore di entrambe le posizioni non riguarda l'annullamento di uno dei due poli, il soggetto in un caso o l'oggetto nell'altro.

Infatti, seppur paradossalmente, l'errore consiste invece nel considerare "reale" l'oggetto nel caso del nichilismo e "reale" il soggetto nel caso del solipsismo.
Mentre neppure loro lo sono.

L'Assoluto è solo nell'annullamento di entrambi i poli.


Il nichilismo esula dall'oggetto, in quanto è sempre questione del soggetto.

D'altronde non esiste un soggetto assoluto nell'idealismo, e a ben vedere pure nel solipsismo.

Diciamo che l'assolutizzazione delle pretese del soggetto (politico) e dell'oggetto (imagginato come tale) sono enrambe vittima del  nichilismo, che in fin dei conti è l'ascesca della pretesa di scienza dai greci ad oggi, quella sì assoluta.

Nella realtà invece le scienze sono miglialia, e migliaia le guerre all'interno fra loro.
Esattamente come nella politica.

Il nichilismo come ascesa della tecnica è invece esente da simili fantasie, ed esprime la potenza dell'oggetto, a detrazione del concetto di anima (greco-cristiano).


#1884
pensieri sparsi.

Citazione di: Ipazia il 03 Febbraio 2020, 09:03:20 AM
Ero rimasta ferma alla contrapposizione arcaica tra realismo e idealismo. Sussumere il secondo alla categoria del nichilismo ci può stare, ma mi pare uno scivolamento di bias filosofico verso lo spirito, o meglio moda, dei tempi. Con effetto boomerang sul realismo medesimo.

x ipazia

non credo che l'idealismo porti al nichilismo. perchè lo pensi? (ok domandona)
sono abbastanza d'accordo nel mettere l'accento sul fare attenzione al bias che riguardi lo spirituale, infatti il realismo non esiste come in sè. Per potersi dire ha bisogno dell'istituzione di una episteme. Che come tale è sempre spirituale, in quanto sempre presupposta.
Purtroppo è la moda analitica quella del bias. Non è quasi mai una questione del vero reale, ossia quello che si affronta sulla strada.
#1885
x vito j ceravolo

Mi piace l'idea che la cosmologia possa anche essere una caosmologia (ordine caotico), d'altronde le teorie della fisica inerziale parlano di quello.

Avevo già capito che la tua era una presa forte sulla problematica della teoria della percezione.

Dunque in effetti la realtà di cui parli, sebbene mi pare tu non attinga alla sua dialettica, è assimilabile per parallelismo o similitudine a quella hegeliana.

A mio parere c'è anche la possibilità della argomentazione tramite le categorie del buon Pierce, ossia delle inferenze. Ma mi va bene anche una posizione abbastanza dogmatica (in quanto contiene una assiomatizzazione, ossia che esista la realtà in sè)come la tua.

Si naturalmente a questo punto la questione come ben scrivi tu è una rimappatura di alcune problematiche contemporanee.
Ma di fatto ci siamo intesi che queste problematiche poichè provengono da una tradizione assai diversa, non potranno che essere assai facilmente aggirate. (non sono particolarmente interessato alle questione analitiche ma se vuoi darò una occhiata ai tuoi articoli)

Piuttosto.
Tornando al problema centrale, come pensi di aggirare il nichilismo contemporaneo? Pensi che sia una destinalità, una contraddizione dei nostri tempi, e ritieni la tua filosofia un antidoto forte ad esso?

Per quel che mi riguarda penso che il nichilismo sia una destinalità, esattamente descritto come da Severino.

Il fatto che esista una funzionalità attiva (la razionalità) ed una passiva (l'intuizione) sono entrambe problematiche a mio avviso per i seguenti motivi.

Che la funzionalità attiva è come ben detto da Brentano prima e poi con successo da Husserl poi, una intenzionalità.
Il problema è proprio nella dimensione psicologica, che come la psicanalisi insegna è facilmente vittima della ideologia.

Per quanto riguarda l'intuito, ossia la medianità umana (heidegger) al fondamento (od origine o Dio o Cosmo) il problema è ancora più arduo da affrontare.

In quanto se esiste un Dio, perchè non siamo salvati? e invece precipitiamo nel nichilismo?

Penso che la seconda questione è quella che mi sta più a cuore, mi chiedo se per caso hai già elaborato possibili piani di fuga o navigazione di quel mare in tempesta come scrive heidegger che si chiama nichilismo.


detto in altra maniera:
Quello che intendo dire se ti ho capito meglio è se credi veramente che una nuova teoria della consocenza basti da sola a far fronte ai problemi cosmologici(divini), piscologici (il soggetto, attivo o passivo che sia, non sono molto interessato alle definizioni, quanto alle problematiche sottese), e non di meno sociologici (per cui mi appoggio a Nietzche).


mi fermo qui 

ai prossimi dettagli! ciao!
#1886
Citazione di: Vito J. Ceravolo date=1580663392 link=topic=1952.msg40241#msg40241

color=black]Essendo l'in sé universale, cioè costante universale indipendente da chi la emette e riceve, allora la ragione di un oggetto resta la medesima indipendentemente dal linguaggio che la esprime; così come "casa" e "home" esprimono la medesima ragione in sé, si riferiscono allo stesso oggetto, pur davanti ai diversi effetti fenomenici che i diversi linguaggi possono produrre. Cosicché le interferenze dei linguaggi non alterino le verità di ragione.[5] [/color]

Definita la possibilità di accesso alla realtà in sé e la possibilità di comunicarla senza alterarne il valore in sé ma solo quello sensibile, ne segue il superamento del realismo e nichilismo. Ossia ripeto un terzo paradigma filosofico in grado di riconoscere la verità sia dell'in sé che del fenomeno, portando nuovo ordine intorno alla teoria della conoscenza e all'ontologia dell'essere.[6]





[4] ID. Guida mistica al noumeno, 2019. https://filosofiaenuovisentieri.com/2019/12/08/guida-mistica-al-noumeno-8-brevi-passi-per-accedere-allinvisibile/


Buonasera Vito J Ceravolo, intanto rispondo alla tua domanda iniziale.
Nei prossimi giorni recupererò i contributi degli altri utenti.


Ho letto con interesse il tuo ultimo articolo datato 2019 che ci hai linkato.

Naturalmente riconosco tutti i temi centrali della filosofia analitica contemporanea.


Per quel che mi riguarda mi ritengo un metafisico, quindi mi pare proprio che la abbiamo la stessa finalità di determinazione di cosa sia l'anima.
Mi pare che le nostre posizioni però si discostino in maniera considerevole.

Il materiale di cui parlare è vasto.


Ma direi di entrare subito a gamba tesa  ;)


Ho incontrato subito 2 errori fondamentali da cui potrà spero nascere un dialogo, in quanto anche io mi ritengo un idealista, e di fatto, sebbene mi sia chiaro che il tuo fine la porti in realtà alla negazione dell'idealismo stesso, da cui pure attinge a piene mani.

Il primo naturalmente è proprio di carattere complessivo, e che evita le infinite diverse argomentazioni di cui è imbevuta malamente la filosofia americana.

Vedi quando tu dici che la razionalità è la cosa in sè, stai facendo un torto anzitutto al buon Kant, in quanto la ragione è una facoltà dell'intelletto, il quale è puro proprio grazie alla intuizione, e di cui concordo insieme a te del valore CENTRALE, per un ordinamento della coscienza.

Il punto è che così facendo fai cortocircuitare il problema stesso che pure ti poni o dovresti porre, ossia che sia possibile accedere alla realtà.

Infatti il problema è che la realtà in quanto noumeno è fuori dalla ragione!

Invece tu sorvoli la questione ponendo come assioma la realtà come razionalità.

(attenzione è vero che Hegel dirà in seguito e differentemente da Kant che tutto ciò che è reale è razionale, ma lui non intende la razionalità come facoltà dell'intelletto! bensì come Spirito)


Un errore logico rispetto alla contemporaneità che invece come forse saprai dibatte non sulla realtà, bensì sul flusso di dati di cui la mente dispone (con dunque un sorpasso inaudito dell'idealismo, che pure rientra dalla finestra a mio modo di vedere nelle teorie del dualismo, che si riferiscono alla tradizone delle "teorie della cartolina (picturalism)" americane.)

Il secondo errore (anche se poi è semplicemente una diversa visione) è invece andando forse  nel cuore del nostro interesse comune, quando dici animo e non anima. Dando della spiritualità una concezione quasi individualista, mentre io la vedo come cosmologica. (Certo Jung qualcosa capisce, ma non rientra fra i miei filosofi preferiti).


Sintetizzando dunque ti chiedo come mai bypassi l'intera questione della analitica americana (anche se poi in realtà la affronti quando parli molto giustamente di sintesi attive e intenzionalità fenomenologica).
Il problema però che si imputa a Kant è proprio la mancanza invece del polo delle sintesi passive, che egli nega, ponendolo sul tavolo degli imputati come pensatori degli unicorni, ossia dei solipsisti.


Volendo inoltrarmi nella questione posso dirti che invece che personalmente la distinzione tra sintesi passive e negative (ossia quella degli oggetti che determinano il soggetto, o meglio oggi ridefinito riduzionisticamente "mente".) è ampiamente fraintesa, come se kant fosse solo la ragione pura e non anche quella pratica e del giudizio).

Ma appunto come dici giustamente tu (complimenti!) è proprio la mente che garantisce la presenza del soggetto. (ovviamente andrebbe ripensato il problema del dualismo cartesiano!anche qui non vorrei che non leggessi il problema, ma per oggi sorvoliamo).

Mi fermo qui.

ciao
#1887
Tematiche Filosofiche / Re:Lo spazio dell'assoluto
11 Febbraio 2020, 02:37:22 AM
Tema molto importante e compreso nella mia ricerca filosofica.

Ho letto tutti i post, in effetti quando si parla di assoluto non si può che oscillare all'interno della storia della filosofia, passando dai formalismo logici alle emendazioni dell'intelletto fino alla fede in Dio.

Come sapete a me interessa in particolare l'asse dell'idealismo, ma qui non mi soffermerò sull'ennesima disanima complessiva di quello.

La morte del già infinitamente compianto Severino, ci lascia in eredità un terribile abisso di domande inevase.
(Ero rimasto alla domanda se il tempo fosse un ente o meno. Anche qui forse un giorno qualcuno vorrà riprenderla, mandatemi messaggio privato)

E insieme la sua maestria nel tenere il filo rosso che percorre l'intera filosofia occidentale, e di cui l'assoluto è una tappa imprescindibile.
Ma in effetti non è ancora venuto fuori il tema dell'episteme.
Nella grande lezione severiniana, l'episteme come parola greca significa "ciò che sta sopra".
Ciò che garantisce qualsiasi forma del sociale, che è sempre una forma dell'ideologia (e anche qui sorvoleremo, anche se a spizzichi e bocconi molti di voi hanno provato a introdurli come discorso), è proprio la sicurezza della propria individualità.
Ma l'individualità è garantita come parte, e dunque presupposto è sempre che esista una totalità.
Cercare lo spazio di questo assoluto, è ovviamente uno dei punti cardinali del pensiero cristiano.

Ma appunto è sempre qualcosa che ci stà sopra, che ci determina.

Come sappiamo oggi è la scienza ad avere il primato (ideologico) epistemico.

E dunque il destino della desertificazione dell'umano è già in atto. Il trans-umanesimo è solo uno degli infiniti aspetti in cui si presenta.
Oggi come oggi nessuno si pone la domanda dello spazio dell'assoluto.

E' finito il tempo delle domande. La filosofia è morta

Ma è proprio questa contraddizione che porterà la verità ad affermarsi come gloria: ossia che l'anima esiste.

Dunque non è qualcosa che possiamo controllare ma solo analizzare.

In poche parole la domanda dovrebbe essere una analitica dello spazio.  E qui torniamo a Locke, Berkley e Kant.

Come dire ovviamente che la filosofia non è mai morta davvero. Si tratta però di ricomprendere le domande, sopratutto quando sono così complessive nella loro tensione storica.

Far finta che non siamo nell'età della tecnica, significa non comprendere più il senso del nostro domandare.
Non è questione di Locke, Berkley o Kant singolarmente, ma la comprensione di quello che con una felice frase Severino chiamo il sottosuolo della Terra (isolato).

Questo naturalmente non è facile.
#1888
Tematiche Filosofiche / Re:Transumanesimo e Sini
20 Dicembre 2019, 18:24:29 PM
Citazione di: Ipazia date=1576831581

... diviene pure sdoppiamento ontologico tra natura e riflessione sulla natura. Non so se questo sia un errore o piuttosto un percorso (path, Weg) obbligato. Un errare obbligato, tra due universi paralleli.

Non capisco questa tua apertura alla naturalità.
Non esiste natura solo cultura.

passiamo all'analisi di Masullo per fare ancora chiarezza


cit Masullo
"Tuttavia, secondo quanto sembra risultare dal discorso fin qui svolto, non si può non rilevare che 1'«affettività» di Heidegger, come del resto 1'«intuizione» di Bergson, a cui sintomaticamente Lévinas la affianca per il comune spirito antiteoreticistico, pone nel coinvolgimento partecipativo il solo possibile contatto con l'essere stesso delle cose e dell'umano, dunque la sola possibile transitività verso l'altro. Essa insomma sostanzialmente si muove ancora nella dimensione del conoscitivo."


Ero abbastanza d'accordo con il Masullo, anche se lui stesso fa molta confusione prima adducendo che affettività e paticità siano cose assai diverse. E che egli preferisce la seconda alla prima invece usata nelle traduzioni italiane.
Ma proprio nell'ultimo passo prima della citazione, egli di nuovo parla di affettività.

Compiendo ancora una volta quel medesimo errore evidenziato dalla Labella, che porta necessariamente alla considerazione errata che riporto tra virgolette.

Infatti se l'uomo è affetto ossia fuori dal processo intezionale che gli è proprio (ossia quello della paticità) automaticamente per avere consapevolezza di sè ("delle cose" dice Masullo, in una caduta nel transumanesimo) necessita di una ontologia conoscitiva, ossia di una gnoseologia (vedi nel forum le posizioni di un Davintro, o per contrario, ma nello stesso ambito, di un Philip, senza dimenticare le posizioni più larghe, ma altrettanto condividenti di Paul e degli altri amici che oggi hanno lasciato il forum, penso a Maral o Sgiombo).

Il che è evidentemente errato, lo vado dicendo da anni, anche senza sposare la posizione comunque condivisa di Heidegger.

E' proprio nell'intenzionalità, che in Heidegger viene riletta come l'essente che è medio dell'Essere, e ritradotta da Chiodi (il primo traduttore di Heidegger, essendo Marini, il secondo e ultimo) come esserci.

In questo per esempio sia Masullo che la Labella, peccano di approssimazione.

L'esserci non è l'essere qui e ora.

Al contrario è ciò che viene subito dopo la radura, alla luce dell'illuminazione.

In questo senso non vi è dubbio che Heidegger sia teologo più che fenomenologo.

Ma l'essere teologali, ossia affrontare il tema della salvezza (compito supremo della filosofia metafisica) non può che essere completamente ri-descritto a partire proprio da questa nuova filosofia analitica che pone l'ontologia non come la premessa di un processo gnoseologico, bensì fenomenologico, nella tradizione di Dilthey come giustamente fatto notare da Masullo, ma basterebbe leggere i primi lavori di Heidegger, cosa che ho dovuto fare nel mio anno sabbatico all'università di Milano,nel corso di Di Martino.
Ossia appunto nella storia dei sentimenti ossia nel trovare senso alla vita.
Suppongo sia da qui che Heidegger prende partenza nella cosidetta "svolta" della sua filosofia matura.


cit Masullo
"Il discorso del filosofo non è naturalistico, ma concerne il conoscere. Lo accompagna un avvertimento esplicito: «non si tratta di ridurre il sapere umano al sentire, ma di assistere alla nascita del sapere, di rendercela altrettanto sensibile quanto il sensibile stesso, di riconquistare la coscienza della razionalità».
In breve, per questa via si giunge a concepire che il «sentire» sia non un altro modo di conoscere, bensì l'essenza del conoscere autentico."


Qui il paradosso di dire che il sentire sia una riduzione, e insieme il fondamento unico del discorso, si fa ancora più evidente.

Ma lo capisco, il transumanesimo è insieme una sciocchezza e una datità del far filosofia oggi.
Confonde le idee e porta ad oscillazioni in pericoloso odore di politically correct.

Sembrano sottigliezze, ma da lì all'Heidegger nazista cavalcato da testate nazionali come il corriere della sera e non solo, il passo è molto breve.


cit Masullo
"Henry retoricamente si domanda: «Quale meraviglia, se la vita è un'affettività trascendentale, tale che l'intersoggettività, risolvendo in essa la sua essenza, inevitabilmente riveste la forma di una comunità patetica?». A questa domanda non è possibile dare la risposta che l'interrogante s'aspetta."


Prima di leggere i passi successivi di Masullo, mi vorrei soffermare su questo paragrafo.
Come sapete, e in caso no, ora lo sapete, uno dei miei temi fondamentali all'iterno del progetto sul soggetto
è proprio quello della comunità.

Non conosco il filosofo Henry, ma sono contento che alcune tematiche per me ovvie, e invece mai toccate da nessuno, siano presenti, anche se in forma di traccia sottile anche in altri filosofi (o sedicenti tali, come me).

Naturalmente la domanda non si risolve da sè, come Masullo parrebbe farci capire (presumendo che l'abbia letto, ma non si sa mai, tenteremo una lettura a parte in ogni caso).
Se Henry pone la domanda come la soluzione alla premessa della paticità, evidentemente non ha capito che era una premessa. E probabilmente anch'egli è vittima del transumanesimo.
Il discorso sul soggetto ovviamente deve dipanarsi dalla paticità, ma questo paticità è esattamente il terreno di incontro e di inizio della filosofia, ossia il contatto con il terrore.
E' la paura della morte che diviene mimeticamente la paura del Dio, a dover far da apripista di ogni filosofia.
La filosofia che dovesse dimenticarselo, non è filosofia.
L'intenzionalità patica ha una sua storia da ricostruire (come immagino abbia fatto Heidegger, a partire dai greci) per riconsegnarci le chiavi per una nuova metafisica. (Ossia il mio progetto primario).
Mi sono sempre trovato molto vicino ad Heidegger, nonostante il problema del desiderio e dei corpi in lui manchi.
Questo prima che arrivasse Nietzche a ricordarci che siamo all'interno di un sistema paranoico.
Qui le cose si complicano e solo il maestro di Rocken ci porta con sè per un breve tratto di strada.
Ma il sistema paranoico si basa proprio sulle premesse patiche di Heidegger, in questo non ho mai avuti dubbi.

cit Masullo
" La struttura ciclomorfa, la neuropsicologia sperimentale, la biologia generale e la filosofia antropologica sono tre livelli epistemici dello stesso problema che pone il nesso tra cambiamento e stabilità."


Come in un dejavù infinito di nuovo la confusione di cosa sia patico porta sempre al suo esatto opposto.
Ma di questo rimando al libro i seminari di Holzwege, la mia unica opera di Heidegger che lessi integralmente nei miei vent'anni.
Un lungo tentativo del filosofo di far comprendere proprio alla psicologia fenomenologica (Che comunque psichiatria è sempre) come la sua filosofia fosse totalmente differente da quanto quelli avessero inteso.

In questo senso l'interpretazione di Masullo sulla paticità è una totale disattesa delle intenzioni della Labella. (credo, Ipazia mi ha bloccato la sua lettura, ah ah).

cit Masullo
"L'enorme carica emozionale di questo limite estremo del nostro esistere viene additata da Emmanuel Lévinas in uno scritto del 1935: la coscienza è la contingenza straripata, la destabilizzante tensione del proprio trovarsi ad essere, 'sentito' come l'assolutamente infondato e insieme come l'unico assolutamente certo. In un solo e medesimo 'fenomeno' si 'vivono' assoluta certezza e assoluta infondatezza – 1′ 'esser-ci', 1′ esistere – . Insieme si 'sentono' la nostra gratuità e il nostro «essere incatenati». «Si è là, e non c'è più nulla da fare, nulla da aggiungere al fatto dell'essere stati del tutto abbandonati, al fatto dell'essersi tutto già consumato». Così all' «invasione»
della contingenza reagisce la «rivolta», la tensione emotiva di «un bisogno di evasione», di «un'aspirazione non ad andare altrove, da qualche altra parte, ma semplicemente ad uscire». «L'evasione è il bisogno di uscire da se stessi, cioè rompere l'incatenamento più radicale, più irremissibile, il mero fatto che l'io è a se stesso», «l'incatenamento del me al sé»."



L'ultima citazione non può che essere di Levinas, non penso di aggiungere altro, se non per il fatto che non possiamo essere incatenati a noi stessi, in quanto siamo infondati.
Levinas fa un piccolo testacoda finale.
Ma la prima parte è fondamentale.
Anche la precisa distinzione tra essente (esserci) ed esistenza, come ciò che sente fondarsi, ma che sa essere infondato, e precipitazione sull'oggetto (ossia il limite della trascendentalità).
E' proprio nella precipitazione dentro il limite il cui margine estremo è chiamata morte, che la trascendentalità si perde nelle forme della fede della speranza per finire nel lutto.
Ed è proprio nel lutto che prende forma la coscienza della propria finitudine.
E il lutto è la dimenticanza, che imprime una svolta alla vita  in direzione di una soggettività come maschera.
L'accettazione presume la mimesi dell'andare avanti come se non ci fosse trauma.
Il trauma costruisce la paranoia. Da lì il passo alla morale è molto breve.
La fuoriuscita a tutti i costi è non una condizione umana, ma un sintomo della costruzione psicotica dietro l'incapacità di adattamento (affezione in termini heidegeriani) che possa ridare senso (paticità in termini heidegeriani) al nostro vivere (l'erlebnis di tutta la prima fenomenologia) (fatticità in termini heidegeriani).
Dunque la fatticità si presenta nei termini di un dramma interiore che Heideger chiama Gettatezza.
In questi termini è evidente che solo un DIO ci può salvare.
Ma credo che l'ebreo Levinas queste cose le sapesse molto bene. Una teologia negativa è tutto questo, ed è la direzione della mia metafisica.

Ecco questo in effetti riguarda anche il possibile dialogo con Franco.
Questo per aggiungere qualcosa sulla necessità di fare chiarezza sul fatto che la teologia di Heidegger è il contrario del "principio di speranza" e insieme la sua più alta espressione razionale, e non fideistica.
#1889
Ciao Jean, 

ma vedi io non uso il forum come imbelletto (e come farei? la mia prosa è disastrosa). la uso nella speranza di aprire un dialogo.

In questo senso il senso di gravità permanente è sempre ECCENTRICO (come voleva il buon filosofo Bruno, ah che bello se potessi approfondire, ma rimango solo ad alcune mie intuizioni di anni fa).

E dunque per restare nella tua metafora, è forse il ballo il mio vero enigma, a quel ballo sto soggiacendo? spesso mi domando "forse non cè nessun ballo." come in questo periodo in cui all'improvviso la spinta filosofica si fa opaca. Anche se so che presto riprenderà brillantezza.
#1890
Tematiche Filosofiche / Re:Transumanesimo e Sini
19 Dicembre 2019, 22:47:48 PM
Citazione di: Ipazia il 18 Dicembre 2019, 23:15:35 PM
* mi sembra un tantino caricaturale. Almeno alternare un po' le lingue philosophisch:  ad es. Opus Major al posto di Hauptwerk.

L'ontologico umano è certamente altro - a rebours - dall'ontologico naturale e questo crea un po' di confusione, ma basta tenere ben distinti i piani der Rede  :P

Si hai ragione, anch'io odio chi abusa della lingua altrui, abbiamo la nostra no? serve un frase più lunga? usiamola.

Comunque non credo che il punto stia nel discorso.

Infatti il discorso è del soggetto, ma in Heidegger vi è una premessa, che sarebbe poi Essere e Tempo, che invece descrive una situazione, una apertura come direbbe lui, PRIMA del soggetto, e quindi prima di ogni discorso.

D'altronde ascoltavo ancora Alfieri, che ha un suo canale Youtube, per avere un aggiornamento sulle polemiche politiche su Heidegger.

A mio parere queste polemiche nascono proprio dal pretendere che l'ontologico sia naturale.

Ma questo è un evidente errore.