Citazione di: davintro il 22 Agosto 2016, 17:16:40 PMRispondo a Paul11 Per quanto riguarda l'infinito, va distinto l'infinito attuale da quello potenziale. L'infinito matematico ha a che fare solo quello potenziale, quello che caratterizza una serie numerica che posso contare e immaginare, appunto all'infinito, perchè infiniti sono i numeri. In sede metafisica e ontologica ben più significativo è l'infinito attuale, cioè una realtà che si pone come assoluto, non finito, nel senso di non realmente limitato da altro da sè, una vita che persiste illimitatamente, non come possibilità, ma come realtà, e in questo senso infinito coincide con l'eternità la razionalità metafisica prova a riconoscere un collegamento che verifichi la presenza dei segni di tale eternità nei fenomeni del mondo. La logica formale è presupposto necessario del pensiero, ma non sufficiente per tale esercizio, giustamente, come affermi, è necessaria la logica dialettica, questo non l'ho mai negato. Se per dialettica si intende un processo della ragione non immediato ma mediato perchè deve considerare non una realtà isolata dal resto ma la relazione inferenziale fra il nostro mondo immanente, in cui constatiamo il divenire e la possibilità di nullificazione degli enti, e una dimensione metafisica (che non è opposta alla fisica, però la trascende quantomeno a livello concettuale) nella quale le nostre identità personali saranno eternamente preservate, tutto ciò è dialettica. Mostrare come la speranza, il desiderio di tale eternità possa già di per sè essere un argomento valido, magari non esaustivo, del riconoscere di essere fondati da un essere eterno per me è assolutamente ragione dialettica, non formale e astratta, perchè è una ragione che ha anche fare con il molteplice, con una dualità, la distinzione (non opposizione) tra l'immanenza mondana in cui vive l'uomo e una trascendenza metafisica che dovrebbe essere chiamata in causa nella misura in cui riesce a giustificare il modo d'essere dell'immanenza. E la relazione che collega tale dualità presuppone la mediazione, il pensiero discorsivo, cioè dialettico. Come scritto prima, la giustificazione dell'immanenza a partire dal riconoscimento di una trascendenza (che in fondo è il modus operandi di tutte le prove dell'esistenza di Dio che la razionalità metafisica ha provato ad attuare) presuppone una relazione di analogia e somiglianza per la quale i concetti validi per pensare valgono, entro certi limiti, anche per interpetare il trascendente. Altrimenti dovremmo constatare solo un fossato invalicabile tra le due dimensioni che renderebbe arbitrario ogni passaggio logico cerchi di collegarle, lasciando qualunque discorso sul trascendente al fideismo, al sentimentalismo, che al di là di quanto possa essere rilevante psicologicamente nell'equilibrio delle persone, non credo possa pretendere di essere base di un discorso che voglia essere davvero filosofico, speculativo le apparenze, i fenomeni non sono di per sè nè verità, nè illusioni, sono la di là di questa dicotomia. Verità e illusione sono categorie che hanno senso per quanto riguarda i giudizi, non i fenomeni, che sono solo dati, manifestazioni con cui le cose si "aprono" all'accoglimento nella nostra coscienza. Per questo, prima, quando provavo a muovere un critica al monismo che relega ad "illusione" la distinzione sostanziale delle individualità personali, affermavo che l'analisi dei fenomeni deve preliminarmente mettere tra parentesi il giudizio di verità o illusorietà dei fenomeni stessi, non considerando se il fenomeno che ora mi si manifesta corrisponda ad un reale oggetto o no, ma descrivendolo nei modi in cui si dà come vissuto alla mia coscienza. E quanto più la coscienza sarà in gradi di operare al suo interno una sorta di purificazione per la quale si cerca di silenziare i pregiudizi che vincolerebbero la ricezione dei fenomeni alla limitatezza di schemi interpretativi dettati da un particolare contrsto storico, quanto più la relatività del contesto storico viene trascesa, tanto più i fenomeni disvelano un'essenza, o meglio la descrizione dei fenomeni si costituisce come visione eidetica, visione nella quale mi accorgo di aspetti che caretterizzano i fenomeni nel loro valore universale. E tutto ciò diviene la base per ricostruire un discorso ontologico razionale, razionale perchè chiamato in causa nel giustificare il modo d'essere dei fenomeni di cui la mia coscienza ha colto il senso. Per questo un'ontologia critica è possibile nella misura in cui ha una base fenomenologica. Come affermi, la conoscenza nasce dalla coscienza, ma solo a patto che questa coscienza consideri i fenomeni non come verità o illusione (riservando l'utilizzo di tali categorie ai giudizi sui fenomeni e non alla pura apprensione dei fenomeni stessi) ma come semplici dati originari dell'esperienza del mondo che racchiudono un senso universale che va in qualche modo fatto emergere intuitivamente
OOOOOOOhhhhh
finalmente qualcuno che ha capito!
La tua descrizione è al limite della perfezione, è proprio così e spero allora che hai capito cosa volessi dire.
Mi piacerebbe adesso una tua critica a questo pensiero, siamo quì a confrontarci e riflettere, non mi interessa ribadisco, avere ragione, prevaricare e mi scuso di nuovo con il mio frettoloso giudizio su di te,
Si vede che hai delle buone basi ed è un piacere il confrontarsi, ribadisco non al fine di primeggiare che non mi importa, ma per capire noi stessi e il mondo.
adesso, per non sfuggire alla morte (sic!) penso che tu comprenda perchè ritengo che in qualche modo possa essere razionalizzata e consolare i sentimenti, gli affetti per una perdita che si potrebbe pensare per sempre.
Ma se nulla sparisce, è proprio l'autocoscienza che deve trovare nelle apparenze le essenze contraddittorie, in quanto è l'agente che correla i domini, quindi media e li collega affinchè le contraddizioni possano essere risolte nei signifcati e infine in un senso che dal Tutto vada ai particolari e viceversa, quindi dalla metafisica alla fisica.