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Messaggi - green demetr

#1906
Tematiche Filosofiche / Re:Sileno
01 Marzo 2020, 14:33:08 PM
Citazione di: paul11 il 01 Marzo 2020, 14:02:26 PM
Ciao Lou,
questo non l'avevo letto precedentmente nel tuo post, per cui rispondo ora.


citaz. Lou

Comprendo, ma a mio parere, dire che con Socrate, che ovviamente è il primo grande gigante contro cui si confronta Nietzsche, si attua il primo grande tradimento dello spirito greco eroico nel suo pessimismo non è un rifiuto della figura dell' "uomo teoretico" in quanto tale, ma è un richiamo a come totalizzare nel teoretico, dimenticando la saggezza instintiva, creativa, emotiva, passionale, che è una delle posture esistenziali da cui si sprigiona pur l'arte,  l'umano è trasfigurato in altro dall'animale uomo. E' questa dimenticanza che non ci può far essere uomini e acquisire consapevolezza. Io credo che quando scrisse che "poi arriverà un medico...", beh certo Freud e la psicanalisi, l'inconscio, l'enigma uomo ecco sono prefigurati in certa misura da aspetti che sono messi in luce negli scritti nietzschiani. Ovviamente dal mio punto di vista.

Il problema non è l'antitesi giocata ad arte da Nietzsche, il saggio è colui che guida i sentimenti e li doma dentro una morale. C'è una netta dicotomia, perché in Nietzsche non è la ragione che si fa una ragione della morte sublimandola, rimane in ciò che definisce istinto, nell'intuito.
Se è vero che le parole non esauriscono la ragione e forse ancor meno i sentimenti, nel senso che è improbo nella logica nel concetto raccogliere ciò che viene dalla psiche, dai sentimenti, è altrettanto vero che   i sentimenti e l'intuizione devono essere guidati dalla ragione; per cui o pensiamo all'uomo "buona di natura", e così non è, oppure ciò che è terrore della psichè deve necessariamente sublimarsi in arte, e anche in concetti. C'è una dialettica, intima anche in noi stessi, se dobbiamo farci guidare dagli impulsi o trovare una ragionevole mediazione. A livello culturale accade che i concetti sono criticati e denunciati prima di tutto dall'arte che speso precede nuovi imbocchi culturali. Nei dialoghi socratici si parla eccome di sentimenti, ma la morale socratica è superiore all'impulso, c'è sempre una virtù che coniuga un sentimento. E' chiaro che si toglie la morale e la virtù, facciamo degli impulsi una autoreferenzialità morale. Nel senso che gli stessi impulsi diventano moralmente giustificati. Ma questo possiamo dirlo degli esseri viventi privi di ragione che seguono regole naturali, l'uomo può essere contro-natura con la sua ragione,pur essendone fisicamente facente parte.
Non intendo fare un'apologia di Socrate e denigrare Nietzsche, non  è questo è il mio scopo.
Semmai è difficile equilibrare istinto/intuito, ragione / concetto.
Il "moralista" in termini denigratori è colui che relega  i sentimenti in un ego, non segue una virtù, segue una sua colpa, un torto subito, che pesare agli altri. Il "moralista" non prova misericordia, pietas, ha costruito una morale ingessata nell'ego proprio per chiudere in cassaforte  i propri sentimenti e poter giudicare dal suo ego gli altri.
Questo non corrisponde né a Socrate e neppure a Nietzsche.
Ma se il Silene indica la disciplina della terra, la regola della vita e morte, altrettanto l'uomo deve costruire una disciplina e non può venire dalla terra.


Ciao Ipazia e Phil


a mio parere dite entrambi cose giuste.
La vita per quanto sia crudele la sentenza di Sileno, per nostra fortuna non è proprio tragica, cerchiamo di ritagliarci dei sensi che non sono sovrannaturali, sono gli affetti, le nostre passioni, , la nostra vita sociale e solitari, insomma il nostro cercar di star bene. Nonostante vediamo morte, la vita sembra più forte nel chiamarci a proseguire. Lo stesso Nietzsche cerca una sua via.


Ammesso e non concesso, da parte mia, che il sovrannaturale sia un orpello illusorio, e per certi versi lo è per come può condizionare l'esistenza, e praticamente il nichilismo di Nietzsche, nel senso di uccidere la tradizione, apre a due strade: se è possibile accettare la vita per quella che è,
oppure si cade in una decadenza dove il tragico non essendo sublimato ad un livello superiore diventa vivere la tragedia nuda e cruda.
Il superuomo e l'eterno ritorno siamo sicuri che in fondo non siano altre illusioni per sublimare la tragedia? Quì propendo per quanto dice Phil.


Non è qui mio compito quello di rispiegare nuovamente l'orizzonte di Nietzche, lo farò senz'altro in altre occasioni.


Solo per ricordare come già Ipazia in fin dei conti aveva già fatto, che la critica a Socrate (ed Euripide) è relativa alla grandezza del filosofare da cui erano partiti i pre-socratici.
In fin dei conti Socrate è uno sferzatore dei costumi della nobiltà, ma già in nuce l'epigono della morale borghese che arriva.
Egli porta la filosofia entro un paradigma pratico che dimentica il DIO.(cosa ovviamente sbagliata, in quanto Socrate credeva nel DIO).


Per quanto riguarda la morale Nietzche non è contro la saggezza della stessa, semplicemente ci ricorda come ogni morale deve avere ben in mente il suo obiettivo, se la morale nasce dal lago di sangue che la storia gli consegna, essa una volta sconfittolo, non deve ergersi a morale in sè, dimentica della sua utilità. E' inutile continuare a punire senza che vi sia colpa effettiva.
E invece come sempre l'ideologia colpisce sempre, in quanto diventa morale assoluta. Ecco dunque che non c'è più progresso.

#1907
Tematiche Filosofiche / Re:Sileno
01 Marzo 2020, 14:14:13 PM
Citazione di: Phil il 29 Febbraio 2020, 23:43:04 PM
Citazione di: Ipazia il 29 Febbraio 2020, 22:01:46 PM
La tragedia del vivere mortale non è più tale se si supera la fase pietrificante della Medusa, cosa per cui già Epicuro aveva fornito la sua ricetta. L'oltreuomo prende pienamente possesso della sua condizione mortale senza restarne travolto [...] Prendere atto del destino mortale fino ad amarlo questa è la firma dell'oltreuomo; il progetto spirituale immanente, terreno (Erdgeist) su cui Nietzsche-Zarathustra spende la sua vita
Non so se l'oltreuomo sia pensato da Nietzsche (che conosco poco) come immune alla condizione umana mortale, ma finché è pur sempre uomo, difficile che non ne sia "travolto" o trascinato (...nolentem trahunt, direbbe Seneca); pensare ad una volontà di potenza che guardi con amore e voluttà anche il proprio esaurirsi è come pensare ad un Dioniso che guardi con amore e voluttà lo svuotarsi della sua giara di vino (e qui lascerei fuori i risvolti psicoanalitici, lacaniani, etc.). Si può fare buon viso a cattiva sorte, ma la "cattiveria" della sorte resta, così come una storia che termini con la morte del protagonista principale solitamente è una tragedia, anche se l'eroe dichiara di aver scelto la morte, di volerla (personalmente, per inciso, non penso affatto che la vita sia una tragedia, cerco solo di non uscire troppo dalle categorie del Sileno nietzschiano del topic).


P.s.
Credo che Nietzsche troverebbe nella tetra-ricetta epicurea un retrogusto troppo "apollineo": il (eu)daimon di Epicuro, lucido e ponderato, è troppo lontano da Dioniso, il piacere catastematico è troppo lontano dalla "verticalità epocale" dell'oltreuomo.

Ho amato gli ultimi interventi di Ipazia con cui concordo vementemente.

Penso Ipazia si riferisca al "travolgimento" come il potere pietrificante della medusa.

Sull'esito mortale dell'uomo scrive pagine artisticamente elevate nel finale dello Zarathustra.

Dove il nostro eroe piange la fine non della vita, ma dell'amicizia.

Dunque il superuomo o meglio il suo profeta è pieno di emozioni e non ha problemi a tirarle fuori.
#1908
Citazione di: paul11 il 21 Febbraio 2020, 15:36:36 PM
Citazione di: green demetr il 21 Febbraio 2020, 11:44:35 AM

E il reale non è il naturale. Purtroppo anche Paul fa questo errore.



..e ancora mi pensi naturalista?


Se utilizziamo i nostri piedi o l'automobile e non vogliamo cozzare contro un muro o fare incidenti, abbiamo necessità che funzionino i sensi e il cervello attraverso l'attenzione e la concentrazione.
Significa che almeno "parte" della realtà fisica indubbiamente la conosciamo,almeno per sopravvivere.


Il reale fu prima un concetto metafisico come il razionale, poi la mimesi moderna ha mutato  i significati.
Affinchè si possa costruire una filosofia, oggi regna l'anti-filosofia che ha plagiato le moltitudine umane per renderle servizievoli agli apparati, è necessario seguire un'analitica e una sintesi appunto utilizzando induzione e deduzione. Per potere accedere alla ragione in sè, è necessario che la realtà naturale venga portata al reale dell' in sè e non può eludere il fenomeno fisico, sarebbe allora fantasia. Insomma perchè funzioni l'induttivo che sale dal particolare della realtà naturale all'in sè della ragione e il deduttivo che scende dall'in sè della ragione al particolare della realtà naturale, siano coerenti.
L'errore è eludere o il mondo naturale o l'in sè della ragione, non sarebbe più filosofia, sarebbe chiacchiera.


Ciao Paul su questo punto mi sembra ci sia sempre molta confusione tra noi.

La natura in sè non esiste. Esiste un concetto di natura. Dico solo che va analizzato.
Storicamente esso si associa a Dio. In particolare trovo assurdo che il giusnaturalismo si permetta di dire che per esempio l'omosessualità è contro-natura.

Il concetto di natura serve solo per compiacere l'esercizio del potere dell'uomo contro l'uomo. Gli esempi odierni e storici sono così tanti che trovo sempre imbarazzante doverne rendere conto. Sopratutto perchè io non ho alcun potere essendo povero.

Ora usare l'idea di natura in maniera sbrigativa come stiamo facendo è veramente contro tutto ciò in cui credo.

Ma faccio sempre uno sforzo per capire. La comunicazione come sappiamo è sempre disturbata a livello linguistico.
Non è solamente il mezzo, il medium internet, sono anche le orecchie di chi ascolta.

Quanta ideologia è presente nella comunicazione? Mi interessa quello sopratutto. (almeno inizialmente).


Ripartiamo da quello che scrivi, "il reale era metafisico".
Ma certo PAUL, e proprio quello il problema penso!
Riportate il concetto di reale nel suo alveo originario.
Volendo si può sempre ripartire dalla grecità, e dal loro concetto, già detto da Phil, di Aletheia, il disvelamento, cose che tu già conosci.

Il problema che qualcosa si disveli indica una metafisica di un qualcosa che sottende il naturale.

Essi lo chiamarono infine Logos, sia Platone che Eraclito, ne sono i campioni riconosciuti.

Ora il logos è ciò che unisce ciò che non può essere unito, ossia i contrari.
Nelle teorie dell'aristotele nascosto è evidente mi dicono gli studiosi del nostro.

Una mera credenza come un altra.

A me interessa ciò che sta oltre, ossia ciò che è percepito.

L'intera storia della metafisica infatti è una ontologia dell'ente, e giammai dell'essere.
Come ben notato da Heidegger.

A noi interessa la fenomenologia che sia dell'ente o dell'essere ha poca importanza.
Lo dimostra Cartesio dal razionalimso al criticismo alla dialettica, si svolge così quella storia post-illuminista, che deflagra in Kant ed Hegel.

L'impossibilità della risposta a "chi sono io?", previa impossibilità della conoscenza di ciò che mi determina in quanto soggetto, porta dritto nella temperie del romanticismo e nello spaesamento del novecento.

Il ritorno odierno a forme illuministiche, neo-illuministiche dei tempi odierni, dimostra quanto avesse Heidegger a dire che siamo ancora nella modernità.

Con l'aggravante di non pensare più a Cartesio Kant ed Hegel.

Ora cosa è natura? cosa è Dio? cosa è il logos o ordinazione? al giorno d'oggi: questo è il problema che credo stiamo qui trattando.

Ora le domande che ci facciamo non devono essere idiote, se qualcuno dei mostri sacri se le era già poste, forse qualcosina possiamo ancora capire da loro.

Altrimenti a che serve la storia della filosofia? un mero sciorinare di conoscenze vuote di verità? A noi dovrebbe interessare per davvero il reale!

E' inutile pensare che siamo fuori dall'ideologia. Certo siamo superiori al popolino, ma solo in quanto ad una certa ampiezza di sguardo.

Ora è facile perdersi in questa ampiezza si sguardo.

I termini vanno di nuovo rispiegati.

E allora torniamo allo scritto tuo.

Io riparto dalla mia ordinazione del reale, che alla base trova il fenomeno.

Io sto con Kant, sono cotro Husserl, e semmai preferisco mille volte Heidegger.

(so che esistono altre fenomenologie, mea culpa, devo ancora consocerle. penso alla stein per esempio, ed altri citatati dal professore alfieri).

A che punto siete tu e ceravolo sulla questione del fenomeno? francamente non lo con certezza. Discutiamone.

ti cito di nuovo
"Per potere accedere alla ragione in sè, è necessario che la realtà naturale venga portata al reale dell' in sè e non può eludere il fenomeno fisico, sarebbe allora fantasia. Insomma perchè funzioni l'induttivo che sale dal particolare della realtà naturale all'in sè della ragione e il deduttivo che scende dall'in sè della ragione al particolare della realtà naturale, siano coerenti."

Siamo d'accordo sul fatto che l'unica cosa non eludibile è il fenomeno.

Infatti perdonami ma il fenomeno è il vero punto di partenza. E l'unico possibile.

Andiamo a vedere perchè.

La ragione dell'in sè del fenomeno, dovrebbe avere a sua volta un in sè, che giustifichi la coincidenza del'in sè dell'oggetto fenomenico.

Ma entrambi sono presunti. A essere fantasie sono dunque la ragione che coincida con l'oggetto in sè.

Dovremmo probabilmente indagare un in sè generale. Che infatti Kant chiamò giustamente LA COSA.

Non "delle cose" ma LA cosa.

Ci rendiamo subito conto che se erano fantasie la ragione che abbia una coincidienza con l'oggetto, e fantasia che un oggetto avesse coincidenza con la ragione, figuriamoci un OGGETTO in SE'.

Questa critica è nata subito dopo Kant e si è protratta fino ai giorni nostri.
Kant ha sbagliato dicono tutti i NON-PENSATORI.

Il povero Kant con la sua scrittura impossibile da leggere. Ci provò a farsi capire. Ma è chiaro che se uno non capisce, è perchè non sa pensare.

Il cuore pulsante della fenomenologia è infatti la dialettica. Non l'analitica.

A Kant non interessa tanto trovare una analitica formale, bensì trovare qualcosa che fondi la libertà umana.

Ossia qualcosa che comprenda i fenomeni davanti a noi.

E dunque per Kant è il fenomeno quello che conta.

Fu Peirce un centinaio d'anni dopo, che intuì cosa Kant cercasse.

Un principio d'induttività che avesse caratteristiche generali.

E che spiegasse lo svolgimento del MONDO.

L'induttività non passa giammai attraverso categorie pregresse, l'unica ammessa è quella che riguarda la matematica.

Dici bene Paul quando dici dunque che prima con l'induzione e poi con la deduzione, si può decidere se è il caso o meno di andare contro un muro.

Non sto negando giammai tutto ciò, siano d'accordo.

Possiamo certo ricordare che la deduzione è sempre una presunzione di una probabilità persistente.

Ma sempre di probabilità stiamo parlando, GIAMMAI DI REALE.

Possiamo pensare al reale, come quel fascio di percezioni persitenti e non permanenti.

Dunque il reale è un fantasma adattivo ad un in sè presunto. Che deduciamo sommariamente e falsamente, falsificabilmente come Natura.

Il reale e la natura sono questa cosa qui?

Io non ho idea.

In quanto non mi interessa  abitare quelle regioni che sono della fantasia, del fantasma.

A me interessa il prodotto di questa relazione, ossia il soggetto e il suo fenomeno.

Il fenomeno si associa SEMPRE al soggetto.

Il soggetto si innesta sempre come già dato, e come già dato si riconosce come altro da sè.
E se noi siamo altro dal nostro soggetto, allora vi è un Dio che si pone come garante.

Un Dio che NON ci salva. In quanto non esiste.

Esiste solo il nostro altro da noi stessi.

Per questo quando Ceravolo afferma che prima di parlare il falso già ci abita, ha immensamente ragione.

Il punto è che l'indagabilità di questo ALTRO, è impossibile deduttivamente, ma sempre a partire dalla rovina di questo ALTRO nel soggetto che noi siamo.

Il rovinamento del soggetto, la sua intima alienazione si dà come processo fenomenico.
Indi per cui la filosofia che ne fa un analisi, si chiama fenomenologia.

In tutto questo i vecchi concetti dell'in sè  e di Natura non hanno alcuna valenza fondamentale.

Il fondamento è sempre altrove. E' questa la somma lezione di Nietzche.

La sistematizzazione è un errore e una presunzione che camuffa la propria volontà di potenza.

Come se data la natura e il proprio in sè, si possa decidere del MONDO stesso.

Di solito è la mimesi del potere gerarchico dell'uomo che vuole dominare l'altro uomo, e  che Nietzche chiama bestialità.

La bestialità non è una forma del naturale ma del gerarchico, fenomenico, non reale.

Il monaco che si esenta da tali forme mondane, si erge infatti in una dimensione fenomenica che non è reale. Il reale del potente che vuole la fine del monaco.

Come già detto in altro forum, il re rapisce Sileno. I saggi vengono portati alla corte del re.

Il fenomeno si dà come reale solo quando nasconde la sua forma ideologica.

Ora al netto di queste considerazioni è chiaro che il problema di cosa sia naturale e cosa reale, sia ampiamente e auspicabilmente introdotto nella discussione.

Altrimenti rimaniamo pure nei nostro reciproci fraintendimenti.

Io lo sforzo gratuito di aver posto le basi l'ho fatto.

A voi la risposta o la caduta di penna.
#1909
Citazione di: Ipazia il 21 Febbraio 2020, 15:06:49 PM
Citazione di: green demetr il 21 Febbraio 2020, 11:44:35 AM
Nemmeno il reale fugge all'astrazione in realtà, questo per stroncare anche le velleità ipaziane.

Il reale (concetto) è parte del cogito che è parte della natura che riporta alla terra e a Nietzsche di cui - ma più gaiamente di lui - condivido le velleità. L'astrazione, liberata (decostruita) dalle illusioni platoniche e neo, è un ottimo strumento deduttivo di ordinamento antropomorfico della realtà (reale, fisica, materiale,...), comunque necessario alla via umana della conoscenza.

Vedo che insisti a intendere la natura come super-egoica.

Un conto è la sovrastruttura che genera l'io penso, tesi del nostro marx, un conto è la natura.

Mentre la prima è il risultato politico (incluso quello della economia politica), la seconda è una invenzione della chiesa, che pensa il Dio in relazione all'uomo, inteso come naturale.
La natura è lo strumento del Dio. In poche apodittiche parole.
Ma Dio appunto non esiste, e dunque nemmeno la Natura.

Se diciamo natura che non sia relata a Dio, ci tocca rifare i conti da capo.

Vogliamo dunque rifarci alle sciocchezze delle neuroscienze? al pensiero del post umano?
A tutte quelle forme della sovrastruttura che determina l'essere egoico?

Il problema dell'in sè di Ceravolo non è così indifferente rispetto a quello che pensi.

Infatti ponendo un in sè all'interno della natura si sta dando il via alla possibilità della analisi.

Anche di quelle plurali come dici nel tuo intervento finale.

Non porre le premesse di qualsiasi analisi significa consegnarsi in toto al potere delle sovrastrutture.

Significa affidarsi alle scienze cognitive, adattive, solo perchè performanti, ossia adatte alla economia politica come già Marx ci ha avvisato.

La mercificazione dell'esser umano spacciata come Natura, è la solita sostituzione, del morto un Dio, se ne fa un altro.

Il concetto di Natura che lo giustifica è il mezzo più adatto come lo ha dimostrato e tutt'ora dimostra, la persistente presenza del Dio cristiano.

Troppo facile per le forme ideologiche del capitalismo moderno, che usano qualsiasi dispotivo(agamben) esistente.

Il bias parte proprio dalla Natura.

Direi di tornare a Kant e rischiararci le idee. Se vogliamo ripensare il politico come categoria rifondativa del fare filosofia. (cosa su cui sarei d'accordo).
#1910
https://www.azioniparallele.it/archivi/30-eventi/atti,-contributi/202-scalata-critica-al-nichilismo.html

Buonasera Vito J Ceravolo.

Finalmente ho avuto la pazienza di leggere il suo articolo.

Le nostre posizioni sono estremamente divergenti, così come le nostre interpretazioni sia di Kant che sopratutto di Nietzche.
Mi pare che lei non abbia capito alcunchè di Nietzche.
Il pensatore che pensava al di là del bene e del male, non avrebbe mai potuto pensare al male, in quanto male.
Come ogni sua frase va posta all'interno del mare magnum della sua immensa opera.
Se come lei cita dalla zarathustra, opera enigmatica se ce n'è una, che l'uomo deve tendere al male, è in senso morale.
Nel senso che l'uomo deve, condizione precipua di qualsiasi filosofia, uscire dal suo stato di condizionamento morale.
Condizionamento morale, che è certo cristiano, ma che nell'alto pensiero nicciano diventa una antimetafisica assoluta.

Dunque è bizzarra la tua posizione.

Un tentativo formale che vuole fare i conti con chi il formalismo lo ha detestato visceralmente, fino a lasciarne gli studi. Egli infatti era un filologo promettente.

Direi che forse il centro vero del contendere è Kant.

Liquidando in toto il realismo, con cui concordo con te, che liquida il soggetto, come se questo fosse minimamente possibile.

Rimane la trattazione del nichilismo.

Il nichilismo non è quello che tu tratteggi.
Quello che tu tratteggi è il solipsismo, o il monismo.
Lo chiami nichilimso perchè lo associ alla tua personalissima e per me incapibile questione del male.
Come se il male nascesse dalla presunzione (presunta caro vito, presunta da te) del soggetto che si libera di qualsiasi ordinazione naturale.

Vedo che nella trattazione di Kant partiamo da una specifica molto in avanti, e che ho apprezzato, perchè nonostante sia evidente, nel panorama delle discussioni pubbliche è un dato sempre taciuto.

Il tema della libertà associato alla necessità di una ordinazione divina, è chiaramente lo sforzo a cui tende l'intera filosofia kantiana.

Ora però mi sembra che o fai tu molta confusione o molto probabilmente non ho capito io.

Infatti kant prima è attaccato come solipsista, e poi recuperato nella necessità della libertà.
Che sottenderebbe certo la solita idiozia della tautologia.
La ragione umana è l'in sè delle cose.

Intanto la tua posizione è errata, e te l'aveva già detto Kant, la ragione è solo lo strumento, la facoltà dell'intelletto.

E l'intelletto è lo strumento originario del giudizio.

Dunque è la facoltà, ossia la possibilità ad essere pura.

Non la razionalità.

Lo sforzo di Kant inoltre è completamente frainteso da molti, se non tutti.

In kant il giudizio è il sine qua non, a partire da cui la libertà possa intraprendere il cammino della ragione.

E dunque è la nostra capacità di prendere giudizio, a dover essere analizzata e scandagliata.

In kant non vi è in alcun modo alcun solipsismo, in questo forum, sopratutto nella sua versione vecchia, quando c'erano più kantiani convinti (e solipsisti), si è prentata spesso la necessità di fare comprendere (inutilmente ovvio) che la cosa in sè, è il pensiero stesso del limite della comprensione fenomenologica, della mente, diremmo oggi. Egli mi pare usi la parola fantasia.

La fenomenologia è dunque una fantasmatica della ragione.
A cui il giudizio inflessibilmente deve porre il limite della inconoscibilità reale dei fenomeni stessi.

Dunque ciò che chiamiamo realtà (e che invece è una fenomenologia), è già un fantasma.

Lacan il massimo pensatore del secondo novecento, riprende la sua analisi proprio a partire da kant.

Come Kant anch'egli impazzisce nel tentativo di trovare una ordinazione naturale.
E' questo il vero problema della cosa in sè.
La sua impossibilità conoscitiva.

Automaticamente questa impossibilità viene a definirsi emotivamente, negli effetti del fantasma originario, ossia quello materno.
Il famoso "da dove vengo".

Questa provenienza è impossibile.

Come giustamente fatto notare da (fra gli altri immagino) Zizek, il soggetto parte sempre dalla fondazione.
Che in tedesco significa anche macerie.

Le macerie sono proprie dell'impossibilità a entificare ciò che propriamente è soggetto.

Cosa che capiscono benissimo anche gli antichi che si appoggiavano al Dio.

L'uomo non è un animale, men che meno un robot, una macchina.

Dire che l'uomo è l'in sè dell'universo, cari Vito e ci metto anche Paul, significa non aver letto nè minimamente inteso l'idealismo tedesco.

Per intendere ciò da cui parte la filosofia, ossia dal soggetto significa di fatto già portare avanti l'idea di Dio.

Non il dio morto delle religioni ma quello essenziale, quello di cui parla Heidegger, anche riferendosi, fraintendendolo completamente,a Nietzche.

Per tornare al maestro di Rocken.

Il nichilismo di cui parla sono 2. Il primo è quello della perdita dei valori, e il secondo è lo scandagliatore delle metafisiche.
Ossia delle infinite possibilità dell'esser uomo al di là della bestialità dell'esser uomo.

Per Nietzche già nel diciottesimo secolo era venuto il momento di andare oltre le morali storiche.

Era ora di pensare l'avvenire. Come giustamente titolava Garbinno all'epoca.

Un avvenire in cui l'uomo usa il nichilismo a sua immagine, ossia analizzando le sue effettive possibilità.

Come se noi della natura (umana) avessimo esplorato ancora poco, pochissimo.

Direi che insomma la critica al tuo scritto è questa.

Ora però da buon forumista mi interesserebbe capire come mai si necessita di questo "ordine esterno",perchè mi pare che alla fine in questione sia proprio la questione morale.
Ossia la protezione della morale (corrente), ossia di nuovo il soggiacere alla ideologia del tempo presente.

Il che ovviamente mi troverebbe di nuovo in disaccordo.
La questione morale va sorpassata almeno in campo intellettuale, al più presto.


Apprezzo grandemente però delle posizioni formali (e me indigeste) quelle dualiste, e rigetto con tutto me stesso i monisti. Quindi c'è del buono nel tuo lavoro (di solito contro le nuove filosofie inveisco e basta, ah ah buon lavoro Vito).

Se pensi che debba leggere altro del tuo lavoro ti prego avvisami. Lo farò di buona volontà. Laddove ovviamente questo mondo che mi schiaccia me ne lasci la forza.

Se pensi che dobbiamo aggiustare qualcosa dei termini fin ora usati, idem.

Saluti e grazie per un tuffo nella filosofia che conta.
#1911
Tematiche Filosofiche / Re:Sileno
28 Febbraio 2020, 09:35:17 AM
Interessante spunto, non ho idea di quale sia lo spunto di Nietzche. Essendo uno degli scritti non aforistici, il nostro dovrebbe poi farne una analisi interessante.


Il tema dell'impossibilità della domanda sulla vita, lo chiamerei così questo breve passaggio.
Come sappiamo il dionisiaco, come d'altronde l'apollineo, sono accomunati da una furia sconsiderata verso il proprio annichilimento, ognuno in cuor suo cerca la morte, benchè vivendo essa gli è preclusa.


E' dunque una riflessione sulla vita, e non sulla morte (capitolo suicidio incluso).
In particolare sull'impossibilità della vita a contenere il suo discorso violento.


La volontà di riportare nel nostro conforto questa impossibilità, cadiamo inevitabilmente nel fantasma paranoico.
Come dice il Sileno, non si può chiedere, ovvero non si può analizzare la condizione paranoica. (il vivere eterno).


Non esistono altre vie, che affrontare il nichilismo, dunque, e torniamo al centro del problema del novecento:
far fronte alla tempesta della vita.


Questo mi sovviene.
#1912
Più che sul corona virus, che in quanto virus è in cima alla catena alimentare, insieme ai batteri, è interessante una riflessione sull'attacco di panico generale.
E' vero che in passato sono state descritte situazioni simili, e in fin dei conti noi abbiamo avuto il nostro buon Manzoni ad averci regalato pagine meravigliose sugli untori.


E' un attacco di panico indotto dai mass-media, è questo il particolare unico da me notato (al di là della finalità voluta).
E' l'ennesimo segno che si tratta di un sintomo della malattia perenne che condanna l'uomo alla non-vita, la paranoia.

Sul significato e le manifestazioni di questo discorso fantasmatico, ne vado parlando da anni.
Ma si sà quando si tratta di indagare il principio di morte, cadono le penne dei cani imperiali.(non che io abbia realmente iniziato ad affrontare la questione con gli strumenti lacaniani in toto, d'altronde non sono esente dagli effetti di quel fantasma)
#1913
Tematiche Filosofiche / Re:La sedia in sè
21 Febbraio 2020, 13:21:53 PM

cit ipazia
"D'accordo sull'eterno ritorno dell'essere, ma mi pare che il "cogito ergo sum" l'abbia risolto senza tanti drammi e certamente Phil, e prima di lui Wittgenstain, hanno ragione. L'impermeabilità della natura diventa meno dura e impenetrabile prendendo atto che il cogito nasce dalla res extensa e che il miglior significato possibile si trova nell'armonizzazione con essa... Chi vol'esser lieto sia, di doman non v'è certezza... Mica se la passò male il buon, e non certo ingenuo o banale, Lorenzo."


non esiste una res cogitans e una extensa.


il dualismo cartesiano è un evidente errore, che giò cartesio conosceva ma che per quieto vivere, ossia l'impossibilità di dire che dio non esiste e dunque neppure la natura.


esiste solo un cogito, una mente, che contiene in essa sicuramente un parte di estensione. In attesa che le scieze molecolari vengano spiegate. Ma come sappiamo oggi siamo ancora fermi all'ingenua idea di qualcosa che emerge da un mondo entropico all'altro delle millesime condizioni energetiche particellari.
Spiegazioni molto vaghe e che trovo quasi infantili.


Ma di nessuna interessa pratico, che esista una mente è certo, proprio a partire dall'idea di un io, che è dentro questa mente. Un costrutto mentale, che possa dirsi tale, sà già con certezza, presentandosi come costrutto, soggetto-oggetto appunto come analizzato meglio dagli idealisti tedeschi.


Il problema semmai è il costrutto non mentale dell'equazione che produce la mente, ossia appunto l'oggetto, chiamato cosa in sè, natura, etc.... e che già genialmente cartesio chiamava il demone maligno. Non potendolo chiamare fenomeno, si inventò quel nome assimilandolo al Deu ex machina che avrebbe fatto da mediatore, tra le 2 res.


E' il fenomeno ciò che riguarda la vita e le prassi.


Non capirò mai questo bisogno di armonizzazione, come se ancora un Dio esistesse.
Dio è morto santo cielo!! ma quando ce ne faremo una ragione?


Che bisogno c'è di ritornare ai dualismi ottusi, o ai monismi che dimenticano il reale????


Se mai esiste un dualismo è dentro alla parte extensa diremmo oggi, ma essendo dentro la mente, non c'è bisogno di alcuna armonizzazione. Ah quanto mi manca il buon Sgiombo!


Che fatica fare uso delle parole!!!


cit ipazia
"Quindi neppure tu sottovaluti l'eterno ritorno dell'iperuranio. Abbiamo inventato Mondo-Anima-Dio per vincere il terrore delle domande senza risposta, ma l'abbiamo pure decostruito (come ama ripetere spesso Phil) e, orfani permettendo, non è successo nulla. Viviamo mediamente come prima, con qualche alto e basso in più, che quantomeno allargano il ventaglio della libertà (e della verità)."


Ma certo Ipazia, su questo siamo ampiamente d'accordo.
Ma come sai il mondo filosofico sta girando a destra, anche nel modo di pensare dico.
Basta fare un giro sui forum americani, per capire quanto distante siano dal poter discutere come pur fra le molte cadute di penne (ah quanti utenti eccezionali ho avuto piacere di conoscere, che non scrivono più!) avviene in italia!


Gli utenti meno avezzi a certe nostre discussioni, infatti parlano come americani....un chiaro sintomo, come se ce ne fosse bisogno d'altri(basterebbero le geopolitiche a testimoniarlo), di come le ideologie funzionano alla grandissima!


Io lo chiamo un DE-PENSAMENTO.


Ma è ovvio che gli iper-urani tornano a profusione!!!
Fai bene a insistere.


Devo dire che mi sono scocciato, dopo 10 anni di dura polemica con qualsiasi uno fosse di loro, che chiamavo uomini-macchina.
Dico avrò il diritto di tacere di queste cose!




cit ipazia
"Ri-fondazione, forse, a questo stadio della riflessione filosofica, ... dalla Lebenswelt. Tornando a leggere Epicuro, se vogliamo, in topic, "sederci" sui fondamenti (con qualche grano salis di terrore in meno)."




Si penso anche io che Epicuro abbia detto bene.
Ma è un dire, diverso il vivere. Certo va ricordato quel dire.


Detto questo io parlo di fondamento, nel senso hegeliano.
Per dirla in breve, ossia dalla sfacelo del soggetto imploso, ossia che si presenta già imploso.
Ossia già dentro il movimento negativo.


Il terrore vero quello che ti fa battare i denti, sinceramente
non l'ho mai vissuto.
Angoscia reale, angoscia fantasmatica, quelle sì.


Il terrore che in molti dicono di aver percepito nella meditazione su DIO, nemmeno.


Il punto è che non vedo come arrivare nemmeno a pensarlo il terrore (o meglio il fantasma del terrore, perchè la morte è reale), quando siamo ancora dentro al fantasma dell'orrore.


Inoltre a parte queste fantasmatiche (presunzione di minaccia esterna reale), ce ne sono altre, la psicanalisi ne ha individuate altre due, ma si presume ne siano molte di più.


Io credo siamo ancora agli albori, anzi l'albore deve ancora iniziare, siamo ancora nel buio che inizia a essere schiarato, dall'analisi sull'uomo.


Molto tempo in fin dei conti è stato speso dietro le metafisiche generali.


Insomma Ipazia la "nostra" è una forma di resistenza partigiana del pensiero.

#1914
Tematiche Filosofiche / Re:Lo spazio dell'assoluto
21 Febbraio 2020, 11:51:22 AM
Citazione di: Ipazia il 19 Febbraio 2020, 16:13:46 PM
Termini che piacciono a T. Kuhn che ci ha scritto sopra un testo epocale.

Non ho detto la cosa, bensì il sapere più accreditato, che nel caso di physis è, fin dai tempi galileiani, quello scientifico, grazie al suo celebre metodo di ricerca induttivo-deduttivo che totalmente arbitrario non è.


Certo che lo è. Basterebbe leggere quel ramo sconosciuto della fisica teorica alternativa, che mal conosco, e che manco mi interessa conoscere.
Aggiungiamo pure che, il metodo induttivo-deduttivo abbia dovuto lottare contro altre forme del sapere, lo dimostra la storia.


Inoltre appunto il metodo induttivo era ed è ampiamente discutibile. (oltre che falsificabile, non nel senso popperiano, intendo dire proprio nella diffusione dei dati).


Se poi ti riferisci ai progressi della tecnica, sai benissimo, basta leggere le autobiografie, che erano tutti autori anti-conformisti.


Che pochi abbiano fatto la differenza è un fatto, che la comunità schizoide creda sia merito di questa fantomatica scienza, deus ex machina prodigioso è un altra.


Che poi ogni cosa sia avanzata per motivazioni belligere lo vogliamo dimenticare?


Insomma andrei piano con le affermazioni apodittiche.


Se intendi dire che è la prassi che ti interessa, guarda che lo ho capito da un pò. E ti ripeto siamo d'accordo!
#1915
sulle ultime considerazioni di Sariputra e Phil e Ipazia

La verità non è una accezione formale come qualla presunta dal filosofo che avete citato.
La verità è invece come dal maestro Nietzche fatto notare in EX ERGO dall'inizio, il modo da cui prende avvio la filosofia.
Ma è il nostro amato maestro del sospetto che fa notate, e "perchè non dalla menzogna?".
Ed è da questa verità minore che si può partire, ossia che la Verità quella in tonalità maggiore sia solo una ideologia.
Esattamente come qualsiasi formalismo sari-buddista o philliano è una ideologia vessatoria della condizione paranoica.
Vessatoria perchè come al solito non pensa il reale.
E il reale non è il naturale. Purtroppo anche Paul fa questo errore.
Nemmeno il reale fugge all'astrazione in realtà, questo per stroncare anche le velleità ipaziane.
Questo in estrema sintesi il problema odierno nel forum.
Ci metterei anche Ceravolo perchè questa idea della cosa in sè mi sa molto di Natura.
Ma prima voglio capire meglio.  ;) può essere che mi sbagli (difficile ma possibile).


Questa in estrema sintesi le ancore del forum.


Gli altri utenti hanno posizioni che sono troppo ristrette di visuale o troppo apodittiche.

#1916
Tematiche Filosofiche / Re:Lo spazio dell'assoluto
19 Febbraio 2020, 08:34:19 AM
Citazione di: Ipazia il 15 Febbraio 2020, 16:21:01 PM
La scienza non ha come scopo la tecnica bensì l'episteme dalla cui accuratezza è possibile una ricaduta tecnica. Al filosofo interessa tale risultato epistemico, sul quale non ha alcuna possibilità di competere producendo di meglio, perché solo a partire dall'episteme più accreditata è possibile fare un discorso filosofico ontologicamente fondato.

L'episteme è poco riguardosa degli alberi genealogici e si dà a chi la sa meglio comprendere, ovvero il sapere scientifico puro nella sfera naturale e le varie scienze umane nella sfera antropologica, lasciando alla filosofia il compito mica da poco di dare un senso a tutto ciò e di snidare impietosamente il nonsenso. Compito arduo, dove ad ogni bivio lo Holzweg sta in agguato.

Vada per il tuo senso empirico su quello spirituale, ma indicare l'episteme come "la cosa più accreditata".
Siamo sempre al problema delle auctoritas.

Direi che l'episteme è solo un vuoto sistema formale per garantire lo spaccio ideologico, certo i complottismi sono dietro l'angolo, ma ritengo come un buon psicanlista ha affermato, che sia un bene che esistano (si sia d'accordo o meno).

Detto in termini che dovrebbero piacerti, sono le elite scientifiche, che determinano cosa sia scientifico e cosa no.
#1917
Tematiche Filosofiche / Re:Lo spazio dell'assoluto
19 Febbraio 2020, 08:26:09 AM
Citazione di: davintro il 15 Febbraio 2020, 18:12:56 PM
la filosofia ha una propria episteme, con un proprio oggetto, i princìpi primi dell'Essere e del pensiero, e una propria metodologia, l'analisi logica deduttiva, non empirica, che indaga le relazioni concettuali tra i vari contesti intesi nella loro essenzialità, ciò in base a cui possiamo definirli, le scienze naturali usano una diversa metodologia, sperimentale, e basata sull'esperienza sensibile, i cui limiti le precludono l'accesso all'ambito dei princìpi assoluti oggetto della filosofia, e fissano il campo di pertinenza alle "cause seconde", cioè agli enti che possono spiegare causalmente i fenomeni senza aver la pretesa di porsi come cause prime, non necessitanti di esser ricondotti a cause logicamente preesistenti. Questa distinzione di piani di indagini e metodologie sancisce l'autosufficienza della filosofia, che non necessita di mutuare l'episteme delle altre scienze, se lo facesse, dovrebbe distogliere lo sguardo dal suo ambito metafisico originario e abbandonare la propria metodologia adeguata a tale ambito, in pratica, snaturare se stessa, e diventare un'altra cosa. L'episteme filosofica non è meno accreditata di quella naturalistica, al contrario è più scientifica, nella misura in cui si identifichi "scientifico" con ciò che garantisce la razionalità di un discorso, razionalità intesa come facoltà di mostrare la corrispondenza del discorso con la realtà oggettiva, emancipandolo dalla condizione mera doxa arbitraria. Mentre ogni sapere fondato sui sensi, sconta il margine di possibilità di errore dovuto alla non necessaria coincidenza fra percezione sensibile della cosa e cosa in sé, il sapere filosofico, che astrae dalla contingenza dei sensi per individuare l'essenza dei fenomeni, si pone al riparo da questa possibilità di errore, mirando a valutare la coerenza logica con cui i fenomeni considerati nel loro senso universale si connettono fra loro. Solo questo piano essenzialistico garantisce la certezza, in quanto è terreno di applicazione del principio di non contraddizione, verità universalmente evidente. Mentre posso dubitare della reale esistenza di un oggetto fisico di fronte a me, non posso dubitare della certezza di essere un soggetto pensante che sta dubitando, tramite il riconoscimento della relazione logica di appartenenza del dubbio all'idea di pensiero, sulla base di una corretta implicazione logico-deduttiva, che è sempre vera, in quanto poggia sulle idee generali di "dubbio" e "pensiero" che caratterizzano questi fenomeni in ogni circostanza, e che dunque non temono casi in cui questo riferimento possa venir meno. In questo senso il cogito cartesiano assume una valenza scientifica qualitativamente superiore rispetto a ogni tesi fisica fondata su esperimenti in cui la verità è vincolata alla contingente corrispondenza fra percezione sensibile e realtà oggettiva

Mi sembra una vecchia posizione quella positivistica.

Ampiamente superata dalle infinite scienze linguistiche, logiche e persino scientifiche, che immaginano un mondo macro e micro.

Inoltre manca il fattore induttivo, che è poi quello che compete alla filosofia.

L'episteme resiste solo come indagine metafisica, ossia come se il reale fosse il naturale. Una metafisica vecchia e distrutta da Nietzche ed epigoni.
Vedi discorso sul nichilismo.

Rimarrebbe solo l'episteme di Severino, ossia quella delle infinite apparizioni dell'essere.

Come dice Sini una moltiplicazione degli enti.

Enti in quanto essenti.

Mi pare che gente come Godel o Turing, siano già passate.

In fisica la fisica relativistica, la scuola di copenaghen.

Sono tutte scienze che involontariamente hanno scalfito il vecchio primo motore immobile di aristotelica memoria.

Infatti la filosofia della scienza, è in fin dei conti la cronistoria delle infinite nuove epistemi.

Insomma non rimangono che i cocci di bottiglia frantumata per i positivisti.
(che pure esistono ancora, non sei il solo caro Davintro).

#1918
Citazione di: paul11 il 18 Febbraio 2020, 01:23:34 AM
ciao Phil,
Capisco sempre meno certi atteggiamenti"moderni"
Pierce fondatore della semiologia e Wittgenstein grande pensatore del linguaggio proposizionale, ritenevano che le dimostrazioni fosse nella natura, però riconoscevano che alla base ci fosse l'intuito.Wittgenstein riconosciuto un grande dalla comunità internazionale fugge a fare il maestro per i ragazzi nelle elementari ,mi pare in Svizzera, e lui stesso fa il mistico scappando in una capanna sperduta, mi pare in Norvegia, a dar da mangiare dalle proprie mani agli uccelli migratori.
E lo vedi che recita le tavole delle verità sopra una collina nel grande nord a picco sul grande mare, in totale solitudine?

Capisco sempre meno chi fa discorsi formali in un dominio, chi riconosce l'intuito in un altro dominio, e chi fa il mistico esistenziale esercitando però ufficialmente un ruolo formale.
Mi sembrano tutti come dei nobel che professano grandi formalismi, però di notte si vestono da transessuali per esercitare una vita diversa. Mi sembrano il "vecchio professore che vai cercando in quel portone, quella di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie; quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie"(F.De Andrè "Citta vecchia"): non capisco davvero queste schizofrenie.
Il problema è forse dentro di noi, abbiamo poca leggibilità di noi stessi e cerchiamo sicurezze là fuori . Incompresi però, le nostre vere passioni le esercitiamo di nascosto, furtivamente.
Godel, grandissimo logico, era un credente. A parte il suo esercizio logico sull'esistenza di Dio, come riusciva a collegare in se stesso la sua fede, probabilmente inspiegabile a livello logico, con la sua professione. Cantor, da ebreo costruisce l'insiemistica ingenua perché vuol spiegare l'infinito di Dio. C'è sempre qualcosa di mistico e misterioso in noi, inspiegabile per molti, io invece lo esterno e cerco di comprenderlo anche filosoficamente. Ma proprio perché se il compito della filoso è alla fin fine parlare di vita, non può tralasciare nulla, nemmeno l'inspiegabile il misterioso che è dentro e fuori di noi. Forse alla fine è la solo retorica, la dialogia, la dialettica, il confronto che può persuadere o meno se una filosofia è sulla giusta via. Ho già scritto che il linguaggio non è solo segno, significato, denotazione, senso, ecc.solo che per i misteri intimi umani mancano spesso le parole.

Tu hai fede SOLO nel mondo empirico esteriore: sei convinto o sei come gli illustri personaggi, di cui potrei aumentare la lista? Quando studio un testo voglio capire l'autore, a che età lo ha scritto, i suoi studi, la sua famiglia, la sua biografia non ufficiale se riesco, una filologia prima di una filosofia, per capire perché ha scritto quel determinato testo.
Le verità dei profeti resistono da millenni e c'è da farsene una ragione, non sono leggi empiriche che durano un battito d'ali di farfalle. Se fossero fasulle, chiediamoci piuttosto perchè resistono?Che cosa spinge un uomo a credere? E' una necessità?
Una verità necessariamente se è verità ha implicitamente una autorità, diversamente non è verità, è opinione.Una verità deve essere superiore alla coltre nazionalpopolare alla "gggente" perché diversamente ogni persona che compone la "gggente" si sente autorizzata(mancando l'autorità) a dare la propria autoritaria opinione spacciandola per verità. Una delle cose che non si riesce a far capire è che non è togliendo Dio, profeti o verità incontrovertibili che si è superata quella cultura, semplicemente lo si vuol dimenticare , fino all'estrema unzione; quando si chiama il prete, perché non si sa mai cosa davvero succede post-mortem. Non è verniciando una parete che noi la nascondiamo.

Ma tu sai perché esisti, quale ragionamento ti fai dentro di te? Anche qualcuno ha già detto cenere alla cenere. Ci sono buchi conoscitivi troppi ampi nella cultura che crede alla sola natura e materia e non voglio infierire perché creerebbe solo incomunicabilità, ognuno si mostra arroccandosi come se fosse una debolezza cercarsi dentro ,intimamente interrogativi mistici, misteriosi.
I profeti al tempo non parlavano per logiche formali, ma per metafore, allegorie, insegnavano la vita con esempi:quello che manca. Non dimostravano nulla , perchè non dovevano dimostrare nulla, ma arrivano al cuore, ai nervi,al cervello, all'anima.

Intanto mi scuso con Vito J Ceravolo, devo ancora leggere gli articoli (quello generale sul nichilismo).

Caro Paul

Sono questi interventi che ti rendono a me caro.

Naturalmente anche in me monta una rabbia inconsolabile di fronte a questo periodo storico.

Al contrario di te, non credendo minimamente al concetto di natura, mi chiedo sempre quale sia la composizione reale delle relazioni, siano esse fra uomo e oggetto (fenomenologia) siano esse fra uomo e uomo (psicanalisi).

Nella fenomenologia si è perso la ricerca del fondamento, ossia quella ricerca che spetta sempre a pochi (così già nella tradizione ebraica, l'unica che abbia a disposizione un storia così ricca di saggezza: la ricerca di pochi ebrei, porta avanti la ricerca di tutti gli ebrei).
E' una crisi dettata proprio dal concetto di verità, che non essendo naturale, si è dimostrata invece passibile di potenzialmente infiniti formalismi deduttivi.(Tante quante sono le verità ammesse al suo interno).
Dall'altra parte come già ricordato in parentesi, manca decisamente il concetto di comunità religiosa, tramontato con il decadimento delle auctoritas.(grazie a Dio in verità).

Rimangono a questo punto le infinite ricerche individuali.

Quelle formali come quella di Vito J Ceravolo, che però hanno in mente il fine di una migliore comprensione del reale (con il mio caveat solito di fondo, ma che qua lasciamo appunto silente, che il reale non è il naturale), le trovo insolite ma come hai detto anche tu, interessanti, almeno nell'atteggiamento complessivo, poi leggerò con calma, e dirò cosa mi convince e cosa eventualmente no.

Ma poi esiste la ricerca individuale spirituale.
Ci sono persone caro Paul che non sentono più questa necessità.

Ma d'altronde ti eri già risposto all'interno del tuo intervento-sfogo, laddove affermi che non capisci più questa società schizofrenica.

Esatto caro amico, come spiega in lungo e in largo la pscianalisi, la SCHISI, è il SINTOMO principale di questo periodo storico.

Qualche vecchio marxista la imputava al capitalismo, il completo cedimento della mente al suo oggetto, l'incapacità di astrazione, come presa di allontamento, come vigilanza sui processi di MIMESI.

Io divento il mio oggetto, io sono soggetto a me stesso. Io sono il datore di verità di me stesso. Quando invece è l'oggetto (mentale/ideologico o reale/alienante) a dominarci.

Andando più a fondo ricordo come al solito Nietzche e i moralisti francesi, e in campo psicanalitico, uno degli ultimi sforzi di freud, in psicologia delle masse.

Ovviamente questa consapevolezza non ci aiuterà caro Paul, la rabbia rimarrà.
Tanto per non illudere nessuno, che tenti una redifinizione del proprio stato nel Mondo.

saluti.
#1919
Tematiche Filosofiche / Re:La sedia in sè
15 Febbraio 2020, 08:07:18 AM
"Quindi neppure tu sottovaluti l'eterno ritorno dell'iperuranio. Abbiamo inventato Mondo-Anima-Dio per vincere il terrore delle domande senza risposta, ma l'abbiamo pure decostruito (come ama ripetere spesso Phil) e, orfani permettendo, non è successo nulla. Viviamo mediamente come prima, con qualche alto e basso in più, che quantomeno allargano il ventaglio della libertà (e della verità)." cit Ipazia

Da bravo nicciano, non mi interessano le verità, infatti sono sempre "supposte" verità,
mi interessano le prassi, con cui l'uomo tenta di conoscere se stesso, per dispiegare la propria libertà di essere, qualunque cosa sia questa(finora non è andata benissimo).

All'interno di queste pratiche il rapporto con gli altri è fondamentale, tanto quanto quello con l'Altro. Mi pare che il compito odierno della filosofia sia ancora questo.
E si fa fatica, molta fatica.

Siamo tutti alienati e anestetizzati, il motto di Lorenza il Magnifico vale sempre se applicato a Netflix?

Ma non ti rendi conto che stiamo vivendo malissimo?

Diceva Lacan in uno dei suoi ultimi discorsi, dov'è la differenza sessuale?

In un epoca dove il gender diventa uno studio, capiamo che l'ideologia sta dilagando?

Sul dualismo cartesiano mi lasci perplesso a dire poco.

Il dualismo cartesiano e la battaglia tutta americana dell'analitica fra monismi e dualismi, hanno tutti un grave di problema aporetico, dettato dalla insana "moda" umana di costruire un assioma e da lì costruire un discorso. (cosa garantisce cosa?)

Io penso che sia la fenomenologia a contare, tutto il resto sono solo fantasie.

Insomma manteniamo l'attenzione desta, anche se come sai vengo da 3 mesi da zombie. Purtroppo ripeto non è facile affatto!
Il dispendio di enegia intellettuale, in un mondo simile che abitiamo, non aiuta!
#1920
Tematiche Filosofiche / Re:Lo spazio dell'assoluto
15 Febbraio 2020, 07:46:02 AM
Citazione di: davintro il 14 Febbraio 2020, 16:17:07 PM
Green demetr scrive
"ma il filosofo che non legga della fisica non è un filosofo"

Si può dire che chi non legge fisica si precluda la conoscenza di un certo ambito del reale, ma non che necessariamente gli si debba precludere della qualifica di filosofo. A meno che si consideri l'ambito fisico come quello totalizzante, nei confronti del quale ogni trascendenza, e dunque ogni punto di vista non ad esso riferito è impossibile. Questa è a tutti gli effetti una premessa filosofica, non fisica (il fisico in senso stretto dovrebbe limitarsi a stare nel suo campo senza avere la pretesa di sporgersi al di sopra e pretendere che oltre non vi sia nulla e dunque nessuna possibilità di riportare ogni forma di sapere diversa dalla sua al suo territorio). Questa premessa è quantomeno discutibile, ma penso che la si possa discutere senza che ci si ponga il problema, da una parte o dall'altra, di arrivare a delegittimare il modo in cui personalmente ci si definisce. Personalmente penso che ciascuno debba rivendicare la libertà di definirsi "filosofo" nella misura in cui ci dedica a delle tematiche, a cui corrisponderanno una adeguata forma mentis, distinte da quelle di cui si occupano le altre scienze, compresa la fisica. Un discorso filosofico che per definirsi tale necessiterebbe di vincolarsi a delle conoscenze di fisica sarebbe impossibilitato ad accedere ad un livello di realtà distinto da tali conoscenze, e dunque resterebbe a tutti gli effetti un discorso di fisica, fisica, che in questa ottica positivista e materialista resterebbe l'unica possibile. Delegittimare ogni filosofia che prescinda dalla fisica vorrebbe dire in pratica delegittimare ogni filone filosofico divergente dal materialismo e dal positivismo, e allora mi chiedo: in che definizione dovremmo squalificare ogni tesi tesa a rivendicare l'autonomia e l'irriducibilità di una dimensione spirituale rispetto alla materia (idealismo, fenomenologia trascendentale, realismo metafisico, personalismo ecc.)? Tutti mistici? Io troverei più corretto evitare questo atteggiamento un po' da "doganiere" in cui ci si arroga la pretesa di escludere dal novero dei filosofi tutti quelli che non sarebbero in possesso di requisiti la cui indispensabilità è affermata sulla base di premesse teoriche del tutto discutibili, come un bodyguard, senza offesa per nessuno, che lascia fuori dal concerto chi non ha il biglietto... molto meglio discutere e contestare il rigore logico o la validità dei ragionamenti, ma senza pensare di escludere nessuno da una comunità, i filosofi, in cui tutti possono riconoscersi, semplicemente in nome della passione riguardo certi temi e dell'approccio mentale, senza essere obbligati a condividere stessi assunti teorici

Davintro lungi da me voler decidere in maniera giuridica cosa sia la filosofia, questo orrore lo lascio ad altri.

La mia era solo una inclinazione filosofica, la fisica complica infatti la tematica temporale. E la componente del tempo la ritengo fondamentale.

Detto questo se uno si vuole chiudere in una analisi che riguarda gli angeli, per me rimane filosofia.
Hai fatto bene a farlo notare, mi permetti di fare dei "distinguo" importanti.

Sono d'accordo con te.