Sono andato a rileggermi un testo di neurobiologia e psicoanalisi di una decina di anni fa. A quel tempo mi aveva molto colpito. Gli autori sono F. Ansermet e P. Magistretti ("Gli enigmi del piacere", Bollati Boringhieri).
Posso dire che le osservazioni che conduco su me stesso mi sembra trovino piena conferma nel loro modello.
In sintesi: gli studi neuroscientifici sulle dipendenze mostrano che l'assunzione iniziale attiva il circuito della ricompensa basato sulla dopamina.
Certo, questa non è una novità. Ciò che invece di nuovo questi studi hanno dimostrato è che accanto al circuito della ricompensa vengono attivati anche due meccanismi antagonisti del piacere:
1) la risposta determinata dalla plasticità del sistema nervoso: assorbito il colpo, per ripristinare l'equilibrio, vengono attenuati gli effetti eccessivi, estatici, così che le assunzioni successive risulteranno gradualmente meno intense;
2) ma soprattutto viene attivato, contemporaneamente al circuito della ricompensa, nei minuti immediatamente successivi, un circuito che gli autori chiamano dell'anti-ricompensa, basato sui neurotrasmettitori tipici dello stato di stress (corticotropina e noradrenalina), e che genera uno stato di agitazione, di generale malessere.
Così, il consumo ricreativo si trasforma molto velocemente nel consumo compulsivo il cui scopo non è più tanto quello di godere ma quello di eliminare prima possibile il disagio provocato dal ciclo dell'anti-ricompensa.
In questo modo però ci si ritrova rinchiusi in un loop infernale e senza via di uscita.
Ora, gli autori propongono a questo punto un'analogia tra questo modello neurobiologico e quello pulsionale della psicoanalisi.
La psicoanalisi spiega che la pulsione permette la scarica di eccitazione e ciò provoca piacere per l'equilibrio ritrovato. Ci si costruisce uno scenario che permette alla pulsione di sfogarsi. Ma così come succede nelle tossicodipendenze, insieme al circuito della ricompensa che si attiva con la scarica, viene attivato anche il circuito dell'anti-ricompensa. E all'esperienza del piacere segue quindi un certo disagio. Il quale "suggerisce" di ripetere ciò che aveva dato inizialmente piacere.
Eccoci così chiusi nel loop della coazione a ripetere.
Il soggetto sa che tale condotta è controproducente, che ha risvolti negativi nella propria vita, che non porta da nessuna parte, ma si sente costretto a ripeterla in modo ossessivo perché subito dopo l'evento della scarica si manifesta il disagio prodotto dal circuito dell'anti-ricompensa. E cerca di curare quell'angoscia con la ripetizione della stessa esperienza.
Gli autori suggeriscono insomma che quell'al di là del principio di piacere di cui parlava l'ultimo Freud trova un fondamento neurobiologico in questo circuito dell'anti-ricompensa.
				
			Posso dire che le osservazioni che conduco su me stesso mi sembra trovino piena conferma nel loro modello.
In sintesi: gli studi neuroscientifici sulle dipendenze mostrano che l'assunzione iniziale attiva il circuito della ricompensa basato sulla dopamina.
Certo, questa non è una novità. Ciò che invece di nuovo questi studi hanno dimostrato è che accanto al circuito della ricompensa vengono attivati anche due meccanismi antagonisti del piacere:
1) la risposta determinata dalla plasticità del sistema nervoso: assorbito il colpo, per ripristinare l'equilibrio, vengono attenuati gli effetti eccessivi, estatici, così che le assunzioni successive risulteranno gradualmente meno intense;
2) ma soprattutto viene attivato, contemporaneamente al circuito della ricompensa, nei minuti immediatamente successivi, un circuito che gli autori chiamano dell'anti-ricompensa, basato sui neurotrasmettitori tipici dello stato di stress (corticotropina e noradrenalina), e che genera uno stato di agitazione, di generale malessere.
Così, il consumo ricreativo si trasforma molto velocemente nel consumo compulsivo il cui scopo non è più tanto quello di godere ma quello di eliminare prima possibile il disagio provocato dal ciclo dell'anti-ricompensa.
In questo modo però ci si ritrova rinchiusi in un loop infernale e senza via di uscita.
Ora, gli autori propongono a questo punto un'analogia tra questo modello neurobiologico e quello pulsionale della psicoanalisi.
La psicoanalisi spiega che la pulsione permette la scarica di eccitazione e ciò provoca piacere per l'equilibrio ritrovato. Ci si costruisce uno scenario che permette alla pulsione di sfogarsi. Ma così come succede nelle tossicodipendenze, insieme al circuito della ricompensa che si attiva con la scarica, viene attivato anche il circuito dell'anti-ricompensa. E all'esperienza del piacere segue quindi un certo disagio. Il quale "suggerisce" di ripetere ciò che aveva dato inizialmente piacere.
Eccoci così chiusi nel loop della coazione a ripetere.
Il soggetto sa che tale condotta è controproducente, che ha risvolti negativi nella propria vita, che non porta da nessuna parte, ma si sente costretto a ripeterla in modo ossessivo perché subito dopo l'evento della scarica si manifesta il disagio prodotto dal circuito dell'anti-ricompensa. E cerca di curare quell'angoscia con la ripetizione della stessa esperienza.
Gli autori suggeriscono insomma che quell'al di là del principio di piacere di cui parlava l'ultimo Freud trova un fondamento neurobiologico in questo circuito dell'anti-ricompensa.
