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Messaggi - Koba

#196
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
05 Novembre 2024, 18:08:37 PM
Sono andato a rileggermi un testo di neurobiologia e psicoanalisi di una decina di anni fa. A quel tempo mi aveva molto colpito. Gli autori sono F. Ansermet e P. Magistretti ("Gli enigmi del piacere", Bollati Boringhieri).
Posso dire che le osservazioni che conduco su me stesso mi sembra trovino piena conferma nel loro modello.
In sintesi: gli studi neuroscientifici sulle dipendenze mostrano che l'assunzione iniziale attiva il circuito della ricompensa basato sulla dopamina.
Certo, questa non è una novità. Ciò che invece di nuovo questi studi hanno dimostrato è che accanto al circuito della ricompensa vengono attivati anche due meccanismi antagonisti del piacere:
1) la risposta determinata dalla plasticità del sistema nervoso: assorbito il colpo, per ripristinare l'equilibrio, vengono attenuati gli effetti eccessivi, estatici, così che le assunzioni successive risulteranno gradualmente meno intense;
2) ma soprattutto viene attivato, contemporaneamente al circuito della ricompensa, nei minuti immediatamente successivi, un circuito che gli autori chiamano dell'anti-ricompensa, basato sui neurotrasmettitori tipici dello stato di stress (corticotropina e noradrenalina), e che genera uno stato di agitazione, di generale malessere.
Così, il consumo ricreativo si trasforma molto velocemente nel consumo compulsivo il cui scopo non è più tanto quello di godere ma quello di eliminare prima possibile il disagio provocato dal ciclo dell'anti-ricompensa.
In questo modo però ci si ritrova rinchiusi in un loop infernale e senza via di uscita.

Ora, gli autori propongono a questo punto un'analogia tra questo modello neurobiologico e quello pulsionale della psicoanalisi.
La psicoanalisi spiega che la pulsione permette la scarica di eccitazione e ciò provoca piacere per l'equilibrio ritrovato. Ci si costruisce uno scenario che permette alla pulsione di sfogarsi. Ma così come succede nelle tossicodipendenze, insieme al circuito della ricompensa che si attiva con la scarica, viene attivato anche il circuito dell'anti-ricompensa. E all'esperienza del piacere segue quindi un certo disagio. Il quale "suggerisce" di ripetere ciò che aveva dato inizialmente piacere.
Eccoci così chiusi nel loop della coazione a ripetere.
Il soggetto sa che tale condotta è controproducente, che ha risvolti negativi nella propria vita, che non porta da nessuna parte, ma si sente costretto a ripeterla in modo ossessivo perché subito dopo l'evento della scarica si manifesta il disagio prodotto dal circuito dell'anti-ricompensa. E cerca di curare quell'angoscia con la ripetizione della stessa esperienza.

Gli autori suggeriscono insomma che quell'al di là del principio di piacere di cui parlava l'ultimo Freud trova un fondamento neurobiologico in questo circuito dell'anti-ricompensa.
#197
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
04 Novembre 2024, 09:32:00 AM
Citazione di: Alberto Knox il 03 Novembre 2024, 21:11:19 PM[..]. Torno oggi da Medjugorje,  6000 persone in silenzio e in adorazione mentre nell'aria aleggiava una musica soave , che cosa devo dire di loro, sono forse persone morte? no, non lo penso proprio.

p.s
ho contato personalmente il numero di panche (28) e le ho moltiplicate per il numero di file (60) ho stimato che dietro la Chiesa di medjugorje possono sedere fino a 6720 persone se si siedono 4 persone per panchina. 28x60x4

L'accenno a Medjugorje non è affatto off-topic dal momento che qui si sta discutendo anche di psicopatologia, e Medjugorje è un fenomeno di regressione.
Naturalmente la regressione, se controllata, va bene: il cinema, l'infantilismo dei neo-fidanzatini etc. Sono tutti fenomeni di abbandono regressivo, di ritorno all'infanzia.
Se poi di questa regressione si perde il controllo, cioè non si recupera il dubbio e non ci si fa carico di nuovo della realtà, per quanto spiacevole sia, si finisce nella demenza del fondamentalismo.

La verità è che il cristiano che vuole costruire un itinerario spirituale, che non si accontenta del rito, più che andarsene in giro per i luoghi miracolosi d'Europa dovrebbe una volta per tutte chiarirsi le idee sull'alternativa a cui si trova di fronte:
- o continua a decifrare Cristo in base a ciò che pensa di sapere su Dio (onnipotenza, onniscienza, somma bontà etc.);
- o inizia a interpretare il divino partendo da ciò che è stato il Cristo, da ciò che ha mostrato Gesù: cioè tentare di leggere l'esperienza spirituale di Gesù e dire: "Ah, è dunque questa la divinità! E io che pensavo che c'entrasse la forza!".
Da qui non si scappa.
#198
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
02 Novembre 2024, 11:18:53 AM
Citazione di: green demetr il 02 Novembre 2024, 05:45:30 AMIn Freud l'esperienza originaria si divide tra pulsioni primarie, che sono quelle legate al nutrimento e che sono il fondo reale su cui poi le pulsioni erotiche si muovono, ossia l'affetto per la madre, come oggetto sessuale. La degradazione di quell'affetto dovuto alla castrazione si fissa poi su qualche oggetto che ricorda la madre, o il trauma. Compito dell'impulso è quello dell'accrescimento del bagaglio erotico del soggetto portatore di questa pulsione, e di cui, la sapienza è il più importante scopo-fine.
[...]
E' uno sfacelo. Difficile andare ad aprire pagine di Dante, Kafka, Leopardi, Pessoa, lo stesso Freud lo sconforto è enorme.

Ma il problema è che la natura del desiderio umano è controverso e c'è la possibilità che in esso regni sempre un intreccio indissolubile tra piacere e distruttività.
È appunto quel "al di là" del principio di piacere di cui parlava l'ultimo Freud.
E se non fosse così, se la pulsione fosse, da un punto di vista neurobiologico, semplice ricerca di piacere, puro desiderio di scarica dell'eccitazione per ritornare ad una condizione di equilibrio, credo che la terapia psicoanalitica sarebbe molto più semplice.
E la psicoanalisi si porrebbe come la versione più moderna dell'antico paradigma della cura delle passioni, cioè come educazione.

Se il desiderio non si fissasse su cose regressive, se per esempio in uno specifico soggetto ci fosse una "maturazione", la sua pulsione ora liberata probabilmente andrebbe a infilarsi in qualche altro luogo oscuro, dando vita di nuovo a ulteriori necessari interventi...
Cioè, il nostro soggetto dopo un paio di giorni a deliziarsi della "Vita nova" inizierebbe a sentirsi spinto verso il basso...
È una battaglia che dura tutta la vita, tra alti relativi e bassi spaventosi, e il tuo caso personale, voglio dire il fatto che tu non riesca a dare continuità a questo lavoro spirituale la dice lunga, oltre che sulla tua imperdonabile pigrizia, sul timore di dover prendere atto di ciò che sai benissimo ovvero che appunto di battaglia si tratta e non di idillio così come gli umanisti amavano descriverla.

E proprio questo intreccio malriuscito di piacere e distruttività (che caratterizza la natura umana) spiega perché le resistenze alla cura siano così difficili da abbattere: perché nella sofferenza delle nevrosi o delle depressioni c'è del piacere.
Per il depresso la cosa più difficile è proprio riuscire a separarsi da quelle immagini semi-consapevoli di "abbandono del mondo", di "fuga", di "caduta", di quel rifiuto totale all'ostilità che è componente essenziale della vita sociale e lavorativa.
Decidere di risalire, di avere di nuovo degli obiettivi, di prendersi cura di nuovo dei propri averi, di tradirsi, diciamo così, significa rinunciare ad un autentico piacere, sebbene tale cammino condotto con estrema coerenza sappiamo bene dove porti: alla negazione più radicale del piacere (e quindi della vita), cioè alla morte.
#199
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
01 Novembre 2024, 11:36:15 AM
Tornando alla ricerca psicoanalitica, una questione fondamentale è capire quale sia la spinta di base dell'essere umano. Qual'è l'esperienza originaria: il malessere dei primi mesi di vita, o piuttosto il primo appagamento, il primo vero godimento che lascia una traccia fatale e che ci spingerà a tentare di ripeterlo?
Cioè, noi siamo mossi dal voler eliminare un disagio di fondo, quasi impercettibile ma ineludibile, oppure dalla possibilità di raggiungere un maggior benessere, dalla possibilità (poi magari frustrata) di maggiore vitalità?
Le dipendenze si spiegano come un tentativo maldestro di curarsi da questa sofferenza di base, oppure come la tentazione verso un piacere pieno, totale?

Tutto il nostro sistema economico si basa sulla ricerca dell'oggetto che sappia finalmente appagarci. Si passa da un oggetto all'altro, da un tipo all'altro, ci si appassiona a qualcosa, diciamo ad uno specifico apparecchio tecnologico, si passano i giorni a studiarne le caratteristiche e alla fine lo si acquista, sostituendo quello vecchio anche se perfettamente funzionante. Una volta acceso si capisce che le aspettative non solo erano esagerate, ma che quelle aspettative, quello stato di eccitazione, quel vedere nell'apparecchio il "proprio tesoro", riguardano qualcos'altro, non riguardano quello specifico oggetto e le sue funzioni utili o meno utili per la nostra vita concreta, riguardano noi.

Vuoto ontologico (quindi sofferenza di base), o sogni di godimenti futuribili per quanto difficili da raggiungere?
#200
Mettendo da parte ciò su cui non possiamo dire nulla di definitivo, ovvero Dio, per quanto riguarda il fondamento della morale non rimane che riflettere intorno all'uomo e alla natura.
Dal punto di vista scientifico possiamo dire che ogni creatura cerca la felicità (benessere, maggiore vitalità, prosperità), e nello stesso tempo che ogni creatura è legata all'altra e al proprio ambiente.
Quest'ultima asserzione (già sostenuta in tanta metafisica, in particolare in quella neoplatonica) può essere dimostrata proprio nel senso della fisica moderna: idealizzando un sistema chiuso (così come nella meccanica si idealizza un sistema con un numero limitato di variabili) si può vedere come la conclusione non possa che essere la seguente: è l'interazione tra le singole creature a decidere la prosperità o la fine della vita nel sistema.
Se ad un'interazione virtuosa, anche se non consapevole, succede un approccio esclusivamente conflittuale (semplificabile in "mors tua vita mea"), la prosperità nel sistema avrà probabilmente all'inizio dei picchi locali per poi estinguersi e lasciare il posto al deserto.

Da una parte la competizione sembra essere un elemento indissolubile di tanti aspetti della natura (la vita dei carnivori e dei parassiti, per esempio), dall'altra è constatabile con tutta evidenza questa interazione virtuosa che sembra essere anche più essenziale, quasi fosse una logica superiore ma immanente la natura stessa e che solo ora abbiamo iniziato a comprendere sul piano scientifico.

La sapienza filosofica (fino a Spinoza) ha sempre cercato di sciogliere questa contraddizione con la conoscenza. Conoscenza di ciò che è essenziale (il legame con il Tutto, la necessità della Natura, l'uomo come espressione del divino e quindi capace di accedere alla Sapienza) rispetto a ciò che è puro accidente (la violenza, l'errore, l'isolamento).
Attraverso la conoscenza filosofica arrivo a capire in modo indubitabile che sono legato a tutte le altre creature, il cui accrescimento in vitalità è quindi anche mio specifico e particolare interesse.
Il sapiente si prende cura degli altri perché gli altri sono parte, per quanto piccola, tenue, di se stesso.
Questo modello era comunque accessibile ai soli filosofi.

Ma a che punto siamo arrivati noi, ora?
Qual'è la vera difficoltà nel fare in modo che l'idea dell'interazione virtuosa come espressione dell'essenza stessa della natura e dell'uomo diventi una nozione comune, scontata, come comune e scontata è la cura per il luogo in cui si abita?
I modelli filosofico-sapienziali da che cosa sono stati sostituiti? I discorsi sull'etica della compassione, dell'empatia quale ruolo hanno in questo fallimento? Tutto quel sentimentalismo morale...
Forse dovremmo ricordarci che ogni emozione (quindi anche la compassione) è una reazione istintiva dell'organismo nel suo complesso ad un evento potenzialmente dannoso o benefico.
Nel dolore che si prova per la sciagura dell'altro l'organismo, saggiamente, ci ricorda, non solo che potrei essere io al suo posto, ma che, in un certo senso, quello sono proprio io, anche se solo in parte, alla lontana. Indubitabilmente quella sciagura, ogni sciagura, è una perdita che mi tocca, concreta, oggettiva, quantificabile, per quanto piccola.
Nella compassione forse emerge dalle profondità dell'organismo un sapere antico ma sempre dimenticato, sempre rimosso.
Noi però veniamo subito catturati dalla nostra stessa commozione, prova della nobiltà del nostro animo. Nasce così lo strano spettacolo della sofferenza, terapeutico in quanto muovendoci alla commozione ci rassicura sul fatto di avere un cuore. Ma il vero messaggio, la vera informazione, che è scientifica, oggettiva, non vagamente sentimentale, e che è: "quel corpo straziato sei anche tu, è una parte di te", finisce ineluttabilmente per andare dispersa.
#201
Nell'uomo non esiste nulla che sia disinteressato, nemmeno nell'ambito della speculazione più teoretica.
Per cui se, come giustamente dici tu, all'inizio si usa la nozione di "Dio" per spiegare l'origine del mondo, poi questa costruzione teorica, questa conoscenza, diciamo così, non può che svilupparsi secondo due orientamenti diversi, ciascuno dei due apportatori di qualcosa di positivo per l'uomo: il primo è quello tipicamente filosofico e greco, la concezione di Dio come Causa prima, e il suo guadagno (oltre a quello di poter fornire una vaga spiegazione scientifica sull'Origine) viene, in modo indiretto, dalla contemplazione intellettuale che funziona come una specie di barriera immunologica dal mondo per l'uomo teoretico.
Il secondo orientamento è quello pagano prima e cristiano poi, ma comune ad ogni religione, in cui l'apporto di positività viene dal fatto che tramite riti e preghiere ci si aspetta qualche beneficio. Tant'è che non c'è vita cristiana senza preghiera, e non c'è preghiera che non sia richiesta di qualcosa (anche solo di conforto interiore, di presenza più viva della divinità).
E tant'è che, sempre nel cristianesimo, l'umiltà, la rinuncia, la sofferenza accettata, sono in realtà degli strumenti per ottenere una pienezza che non sembra raggiungibile con i mezzi consueti del mondo. Non sempre, come pensava Nietzsche, si tratta di strategie perfettamente consapevoli attraverso cui conquistare quella potenza che non si ha il coraggio di perseguire in modo scoperto nella vita sociale. A volte, semplicemente, non ci sono le condizioni reali per la felicità. E così la mente accorre ai bisogni dell'organismo con l'immaginazione (i tortuosi itinerari per avere la vita vera).
Perché l'organismo, quello umano così come quello più semplice, non vuole solo sopravvivere, auto-conservarsi, ma vuole prosperare, vuole la pienezza, vuole accrescere la propria vitalità.
Ecco cosa scrive il noto neuroscienziato Antonio Damasio: "Non soddisfatta del dono della semplice sopravvivenza, sembra che la natura abbia avuto un magnifico ripensamento: la dotazione innata a disposizione degli organismi [...] non mira al raggiungimento di uno stato neutrale fra la vita e la morte. Piuttosto, obiettivo dell'omeostasi è quello di offrire uno stato di vita migliore della neutralità, uno stato che noi umani [...] identifichiamo con la buona salute e il benessere" ("Alla ricerca di Spinoza", p.49).
Come aveva già capito Spinoza la ricerca della felicità e del bene, ha un solido fondamento biologico.
Per cui ogni cosa, Dio compreso, deve avere, se non una materialità, almeno una concretezza tale che gli consenta di svolgere un qualche ruolo in questa avventura.
#202
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
19 Ottobre 2024, 20:23:14 PM
Citazione di: Il_Dubbio il 19 Ottobre 2024, 19:12:20 PMper capire meglio mi serve qualche info in più.
Presumo che la psicoanalisi sia un metodo per arrivare ad un risultato.
Ora questo, se fosse un metodo, sarebbe deduttivo o induttivo?

Ah, ti servono delle info in più?
Ti posso dire questo: ci sono dei luoghi che si chiamano biblioteche e librerie, contengono degli oggetti misteriosi di cui forse avrai già sentito parlare: i libri.
Prova a leggerne uno sul tema in oggetto, non dovrebbe ucciderti.
Fino a quel momento sarebbe apprezzabile il silenzio.
#203
Il fatto che io abbia un sistema limbico non significa che debba per forza provare paura, ma che possa provarla. Evidentemente per farlo, per attivare il mio primordiale sistema limbico, devo interpretare un evento come pericoloso.
È possibile immaginare che in una società futura, priva di reati violenti, tale attivazione possa avvenire raramente e comunque con un'intensità non paragonabile a quella attivata dal cervello del contadino del 600 d.C. durante le invasioni barbariche.
Stesso discorso per le altre emozioni.
#204
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
19 Ottobre 2024, 16:42:23 PM
Che ci sia una ricerca di verità nel trattamento psicoanalitico, l'ho detto fin dall'inizio.
Ma lo sforzo di conoscere i meccanismi della propria mente non ha alcun connotato filosofico.
Dire che tale sforzo si ricollega alla tradizione delfica del "conosci te stesso" non significa niente, perché ciò che conta è che cosa poi si intende in quel "me stesso".
I cristiani ci vedranno l'immagine di Dio presente nella propria interiorità per cui conoscere se stessi per loro era conoscere Dio, ovvero ritrovare se stessi nell'immagine umana di Dio, il Cristo.
Erano filosofi?
Direi di no.
La psicoanalisi è nata come trattamento medico. La diade medico-paziente, unica, è presente in ogni branca della medicina. La differenza sta nella necessità di un'indagine, non strumentale evidentemente, basata su un certo tipo di dialogo, completamente differente dal dialogo platonico per esempio, in quanto sempre attento ai significati che le parole o i gesti intenzionati dal paziente non fanno che nascondere.
Il fine è prendere coscienza di come funziona (male) la propria mente. Delle strane avventure del proprio desiderio.
Dopodiché, liberi da questi ostacoli inizia la vita. Riempire la vita con qualcosa di sensato...
Ecco perché di solito il depresso si terrà la depressione, il nevrotico la nevrosi. Perché la malattia è preferibile alla libertà.
#205
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
19 Ottobre 2024, 11:36:33 AM
Non si sborsano cento euro a seduta per un dialogo filosofico.
E comunque lo psicanalista non può vantare alcuna competenza al riguardo, non viene formato per aiutare il paziente a trovare un senso, ma per disinnescare i meccanismi che impediscono al paziente di vedere la sua verità nei desideri, nei legami affettivi. Questa è la sua specialità, la sua professionalità: in cambio della parcella mi aspetto qualcosa di più specifico rispetto a forme relazionali che potrei avere anche con un monaco, un filosofo, un amico.
#206
Diciamo che se fosse la tecnologia a sostituire il motore naturale dell'evoluzione, quindi se fosse lo sviluppo della tecnologia a produrre l'uomo-dio, così come in fondo sta accadendo, per capire che cosa resterà dell'essere umano standard bisogna cercare di immaginare, partendo da ciò che si può già ora intravedere, quale potrà essere il suo carattere, la sua personalità.
Osservando le differenze che si sono prodotte negli ultimi decenni a livello di emozioni, di comportamenti, individuando le caratteristiche che sembrano essere premiate dall'ambiente iper-tecnologico etc.
Che immagine di uomo emerge?
Una creatura senza inconscio, senza interiorità profonda, incapace ormai di creare vera conoscenza ma solo ulteriore tecnologia, con una ristretta gamma di sentimenti che riproduce nei momenti opportuni perché espressione naturale di sé e perché tali sentimenti, attesi dagli altri, sono una positiva conferma della natura comune che lega tutti quanti. Ovviamente connesso alla rete, diventato il vero mondo, in modo perpetuo e secondo forme sempre più sofisticate.
Un'umanità del genere non prevede né Madre Teresa di Calcutta né Hitler, ma ottimi programmatori, geniali ingegneri del software.
Né grande compassione, né genocidio. Passioni più utili e meno intense.
Se fosse così? Sarebbe da augurarselo oppure no?
#207
Baldini nella prima lezione chiarisce bene come il trattamento psicoanalitico sia un percorso essenzialmente conoscitivo, non finalizzato all'eliminazione o alla diminuzione della sofferenza.
Il trattamento ha fine quando l'analizzando arriva sostanzialmente a comprendere il funzionamento della sua mente, a comprendere il perché del sintomo. Dopodiché, è lui, il paziente, a decidere se fare qualcosa ulteriormente per liberarsi definitivamente dal sintomo oppure no. Se perseverare in un cammino di cambiamento, o scegliere semplicemente di convivere con il sintomo, seppure alla luce di una maggiore comprensione delle sue radici, e quindi, si presume, di una minore forza perturbante.
In pratica il trattamento è inteso come conoscenza di sé e quindi come il passaggio ad una condizione di maggiore libertà.
Anche qui la libertà (così come in Cartesio e Spinoza) è intesa come il potere di esprimere maggiormente la propria natura.
Non bisogna però dimenticare qual'è l'oggetto specifico della psicanalisi: il funzionamento della mente nei suoi intrecci con le pulsioni. La vita della persona alla luce dell'elemento pulsionale, delle sue dinamiche.
La verità che, nella migliore delle ipotesi, l'analista consegna all'analizzando è la verità del suo desiderio sessuale. Tutto ciò che nella vita dell'analizzando è ingegnoso, interessante, il mondo che è riuscito a costruire negli anni, frutto appunto di sublimazioni della libido, ecco, su tutto questo l'analista non sa dire molto di più del fatto che si tratta appunto di sana sublimazione.

Perché l'importanza della favola di Cupido e Psiche? Perché racconta delle vicissitudini di un amore passionale che prima deve passare attraverso il mascheramento (Psiche è identica a Venere, madre di Cupido, per questo Cupido chiede a Psiche di non guardarlo, perché in questo modo non può rendere evidente ciò che accade, e cioè che il suo amante è colui che ha come madre la sua sosia, e Cupido può continuare a fingere di non sapere), poi per lo svelamento e il dramma, infine approdare al lieto fine: Psiche viene fatta dea da Giove, quindi ora è in tutto per tutto uguale a Venere, Cupido accetta questa evidenza e la sposa e i due generano Voluptas.
Ovvero per generare voluttà, il pieno godimento, bisogna accettare l'incestuosità del proprio desiderio sessuale.
Tutto qua.
La vita è ricerca di voluttà?
In parte sì. Ma solo in parte. E la psicanalisi ci può consegnare solo questa parziale verità.
Naturalmente le distorsioni nevrotiche del desiderio sessuale coinvolgono anche il piano delle relazioni non erotiche, questo è ovvio, con proiezioni distruttive etc., ma non penso che l'eliminazione della causa della nevrosi possa portare in modo naturale all'espressione di un'etica dell'amore. Piuttosto impedisce che in coloro che già è presente questa attitudine all'amore possano manifestarsi deviazioni distruttive.
#208
Citazione di: green demetr il 15 Ottobre 2024, 00:34:17 AMSi tratta di Franco Baldini https://www.youtube.com/watch?v=cWl-_lXoXn8&list=PLAyJlvs9yVHbeWTYr2Bl-UxGG6NdI1vhO

I primi 6 episodi, capisco che si tratti di un seminario lungo, circa 6 ore. 
Ma a me ha cambiato la vita

Ne ho ascoltate quasi cinque su sei, di queste lezioni.
Dice alcune cose interessanti, altre meno (quelle attinenti la tecnica psicoanalitica che appunto possono interessare chi si sta formando come analista o intende farlo: cui il seminario era innanzitutto destinato).
Tutto poteva essere detto in un'ora, ma è durato quasi otto...
Ma il vero mistero è come queste sei lezioni ti possano aver cambiato la vita.
Sinceramente, non capisco.
#209
Contesto la fondatezza dell'idea di base del ragionamento di Jacopus, ovvero che ci sia un nesso di causalità tra trauma subito e violenza commessa.
Si tratta di un luogo comune di certi orientamenti delle discipline psicologico-sociali.
Si potrà anche presentare qualche statistica, ma di fatto quasi tutti nel corso della giovinezza hanno subito traumi o vissuto tormenti, per cui tale ipotetica statistica non dimostrerebbe nessuna correlazione significativa, ma solo che anche la maggior parte dei carnefici, come tutti, hanno avuto un passato complicato.
E poi il male non è una categoria omogenea: un conto è subire il disprezzo, ben altra cosa è essere perseguitati.
Per cui se è anche possibile neutralizzare l'ostilità che si subisce conoscendo le vicissitudini dolorose di coloro che ci disprezzano (ma nel senso di rendersi indifferenti ad essi, non certo nel senso di una riconciliazione), non sembra possibile fare la stessa cosa quando vi è stata della violenza concreta, quando il nemico si è prodigato per la nostra distruzione fisica o psicologica o sociale.

Tuttavia la citazione riportata da Jacopus dice qualcosa di vero, ovvero che tutti abbiamo qualcosa in comune, il dolore.
L'unica verità incontrovertibile della vita umana e animale è il dolore.
E il dolore non può essere combattuto con un accrescimento della potenza, della vitalità, come pensava Spinoza prima e Nietzsche poi.
Il dolore non può essere sconfitto. È il grande dominatore di questo mondo. Da esso si possono solo ottenere delle tregue parziali.
Se ne fossimo tutti consapevoli non saremmo spinti alla vendetta, perché questa comporterebbe il rischio di subire altro dolore (da parte di chi si vorrebbe punire o da parte di coloro che a loro volta si sentirebbero poi in dovere di vendicare il nostro nemico).
Il moralismo è adatto ad un'umanità illusa, infantile, ancora legata magari inconsapevolmente a immagini religiose. Ma la religione e la sua morale possono modificare il mondo solo se tutti fossimo abbastanza pazzi o disperati da accettare la presenza concreta del divino nella nostra vita.
Invece l'umanità è solo mediamente disperata. È soprattutto mediocre, meschina senza eccessi, pigra, stanca, annoiata, desolante.
Per questo la guerra e la vendetta, comportando uno stato di eccitazione, piacciono, perché anch'esse sembrano avere la capacità di offrirci una tregua dalla desolazione quotidiana. Poi subito dopo, ma troppo tardi, si capisce che si tratta di nient'altro che altro dolore. Si capisce di essere solo passati ad un altro inferno, di gran lunga peggiore del primo.
#210
Citazione di: Jacopus il 14 Ottobre 2024, 08:41:13 AMA mio parere, Dio, in Cartesio, è una cortina fumogena, tanto il suo pensiero è distruttivo rispetto alla tradizione del pensiero scolastico precedente. Affermazione provata dalla paura che Cartesio aveva di finire nelle grinfie della Congregazione del Sant'Uffizio. Il Cogito ergo Sum, è una leva fondamentale verso il metodo scientifico, oltre che verso la concezione "individualista" della nascente borghesia, con tutti i buoni e cattivi frutti di questa evoluzione del pensiero umano.
La paura di essere perseguitati da autorità religiose e politiche non può essere una prova dell'ateismo di Cartesio, semplicemente perché in quel periodo chiunque si occupasse di filosofia, specie se portatore di idee innovative, poteva in ogni momento essere arrestato.
Studiando Spinoza, e andando un po' più a fondo nei testi grazie a commentatori esperti della filosofia del Seicento, si capisce come in realtà i grandi pensatori, per quanto innovatori, hanno sviluppato il proprio pensiero all'interno di idee filosofiche considerate dall'ambiente come consolidate. E non potrebbe essere altrimenti.
Le definizioni e gli assiomi della prima parte dell'Etica di Spinoza sono totalmente in linea con l'ontologia della Scolastica (la novità sta piuttosto nel mostrare come da esse si possa arrivare a conclusioni dirompenti).
È vero che Cartesio da questo punto di vista appare un po' meno interno al dibattito metafisico del periodo, più interessato alla scienza, tuttavia alcuni passaggi fondamentali del suo discorso rimandano specificatamente a idee fondamentali della filosofia di quel tempo.
Bisognerebbe studiare tutta la sua opera.
Fino a quando non mi imbatterò in prove concrete rimango dell'idea che le sue Meditazioni metafisiche non possano essere state scritte solo per avere un alibi...