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Messaggi - Donalduck

#196
Scienza e Tecnologia / Re:La "velocità" del tempo
26 Dicembre 2019, 11:17:31 AM
Citazione di: iano il 26 Dicembre 2019, 01:52:10 AMCredo nella realtà sulla fiducia...
Mmmm.... Hai fatto un lungo discorso sulla realtà, dimenticandoti di dire cosa intendi con questo termine, e neppure si capisce da quello che scrivi. E' proprio il problema che ho enunciato e risolto, per quanto mi riguarda, nel modo che ho descritto. Non trovo invece nulla di intelligibile e neppure intuibile nel tuo modo di presentare la tua visione di questa fantomatica "realtà". Purtroppo non possiamo affatto contare su una intuizione comune, dato che da parte mia trovo decisamente fuorviante e fallimentare il modo in cui si usa generalmente questo termine in filosofia.
#197
Scienza e Tecnologia / Re:La "velocità" del tempo
23 Dicembre 2019, 20:19:58 PM
Citazione di: iano il 22 Dicembre 2019, 22:40:16 PMIl modo in cui percepiamo la realtà non è necessariamente il modo in cui la realtà è.
Anzi azzarderei che sicuramente non lo è.

Qui si va su una questione che ho cercato in passato di sollevare, senza, a mio parere, alcun risultato rilevante. Il tema è la definizione di "realtà" e/o "esistenza" (che siano considerati sinonimi o no).
Quello che continuo a notare è che tutti continuano a parlare di realtà ed esistenza senza poter definire (in sostanza senza davvero conoscere) i significati di questi termini, che si danno per scontati su base intuitiva. 
Ma, secondo me, sono invece tutt'altro che scontati, e sono indispensabili per poter distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è (sempre che si ammetta, in ambito ontologico, la non-esistenza).  
Il mio punto di vista, in estrema sintesi, è che è reale qualsiasi cosa venga percepita in qualsiasi modo da un soggetto (ossia qualsiasi cosa sia un oggetto per un soggetto), e che non ha alcun senso ontologico dire che qualcosa non è reale o non esiste. Si può solo definire la modalità di esistenza di qualsiasi cosa di cui si parli che, anche solo per il fatto che se ne parli, esiste comunque, e  determinare la sua condivisibilità (intersoggettività).
E i diversi modi di vedere la realtà non si escludono a vicenda, e non c'è nulla che sia più o meno reale di qualcos'altro (sempre in senso ontologico, ossia nel senso più fondamentale).
#198
Scienza e Tecnologia / Re:La "velocità" del tempo
23 Dicembre 2019, 20:09:34 PM
Citazione di: Apeiron il 22 Dicembre 2019, 12:21:21 PMper eseguire il confronto tra ciò che è stato misurato da A e ciò che è stato misurato da B, uno dei due deve subire una accelerazione e quindi si deve introdurre una non-inerzialità.
Le trasformazioni di Lorentz valgono nel contesto di sistemi di riferimento inerziali, non non-inerziali, ovvero accelerati (nota anche che anche una variazione della direzione della velocità è una accelerazione...). Quindi, in questa situazione non si applicano.

La prima definizione che vien fuori da una ricerca su google di "sistema di riferimento inerziale" (da www.youmath.it) dice:
CitazioneUn sistema di riferimento inerziale (o sistema inerziale) è un sistema che si muove di moto rettilineo uniforme rispetto a un altro.
Quindi siamo sempre lì: che il sistema di riferimento sia inerziale o no dipende da un altro sistema di riferimento da cui viene osservato.

Inoltre, posto che la trasformazione di Lorentz è valida solo per sistemi inerziali, cosa si applica a sistemi non inerziali? Qual'è la formula che giustifica l'asserzione che la presenza o meno di accelerazione determina un'asimmetria che si ripercuote sulla "velocità del tempo" e quindi annulla la reciprocità del rallentamento tra A e B? 
E ancora, cosa fa sì che si possa dire che B è in accelerazione e A e fermo (o in stato inerziale) e non che A e B sono pariteticamente in stato di reciproca accelerazione, sulla base di quali leggi fisiche e quali formule matematiche, considerando che tutti i concetti relativi al moto dipendono (la cui stessa esistenza dipende) dal sistema di riferimento? E come possiamo dire che A è fermo e B si muove di moto accelerato se non usando il sistema di riferimento X di A?

In sostanza, mi pare che la non reciprocità o asimmetria in questione presupponga un sistema di riferimento assoluto, che non mi risulta possa esistere.
#199
Scienza e Tecnologia / Re:La "velocità" del tempo
22 Dicembre 2019, 02:23:48 AM
Citazione di: viator il 21 Dicembre 2019, 21:41:58 PM
Salve Donalduck. Ti risponde un profano impertinente. Il fatto è che il tempo accelera o no....a seconda dei tuoi gusti.
......
Ciao Viator. In effetti la mia domanda riguardava solo il punto di vista della fisica, non quello filosofico.
Ma se vogliamo parlarne, la mia personale convinzione, che mi sembra non si discosti troppo dalla tua, è che il tempo e lo spazio della fisica che possono dilatarsi e restringersi (nel caso dello spazio si parla di "inflazione" mentre per il tempo di "dilatazione") non sono affatto la stessa cosa del tempo e dello spazio dell'esperienza. L'ambiguità e la confusione derivano dal fatto che la fisica dà i concetti di spazio e tempo come intuitivi (quindi non li definisce, né è in grado di farlo), per poi smentire i dati intuitivi con formule matematiche (confermate da misurazioni effettive). 
Io dico che questa discrepanza mostra soltanto che la fisica è partita dal tempo e lo spazio dell'esperienza, dell'intuizione, per poi arrivare ad altre entità che sono in relazione col tempo e lo spazio dell'esperienza, ma non sono le stesse entità, gli stessi concetti. Un tempo (esperienziale) che "scorre a diverse velocità" è semanticamente insensato, il tempo non è un oggetto che si muove o scorre (casomai può variare la percezione soggettiva della quantità di tempo trascorsa tra un istante e un altro, ma questa è un'altra storia). Come è semanticamente insensato uno spazio che si dilata. Un corpo si dilata quando occupa uno spazio maggiore. Ma uno spazio che occupa più spazio è un nonsenso, come lo è un tempo che ha una velocità (termine che implica movimento nello spazio), o addirittura un "inizio", considerando che il concetto di "inizio" è un concetto prettamente temporale, ossia presuppone già l'esistenza del tempo. E' come dire il peso del peso, o la lunghezza della lunghezza, puro nonsenso.
#200
Scienza e Tecnologia / Re:La "velocità" del tempo
22 Dicembre 2019, 01:54:34 AM
Citazione di: anthonyi il 21 Dicembre 2019, 19:14:28 PM
Ciao Donald Duck (paperino), i sistemi non sono intercambiabili, i due gemelli all'inizio hanno un qualsiasi moto relativo rispetto a tutti gli altri oggetti dell'Universo. Accellerando uno dei due gemelli, il suo moto relativo aumenta rispetto a tutti questi oggetti, mentre quello dell'altro resta immutato. Per l'accelerazione devi iniettare energia nel gemello che accelera, mentre l'altro non riceve nessuna iniezione di energia.
Saluti
Ciao Anthonyi, ti ringrazio per la risposta, ma temo che sia soggetta a diverse obiezioni:
1) Tutti i corpi celesti, a quanto pare, si muovono costantemente di moto relativo rispetto a tutti gli altri corpi celesti dell'universo. Non ci sono corpi che possano essere considerati "fermi" se non scegliendo un sistema di riferimento solidale col corpo ossia un sistema in cui il corpo risulta in quiete. Ma in tale sistema, tutto il resto dell'universo risulterà in moto.
2) L'accelerazione non è altro che una variazione di velocità e/o di direzione-verso e vale la stessa relatività (nel senso comune del termine): se A accelera rispetto a B, B accelera rispetto ad A.

Riporto la descrizione della "dilatazione del tempo" da Wikipedia (italiano):
CitazioneL'evento E, misurato da un osservatore O che si trova nel sistema di riferimento S solidale a E (in quiete rispetto a E) ha durata  (tempo proprio), che risulta essere la durata minima possibile. Un osservatore O' che si trovi nel sistema di riferimento S' con velocità relativa v rispetto a S misurerà per lo stesso evento E una durata  maggiore, data dalla relazione

dove  è l'intervallo di tempo misurato dall'osservatore O' nel sistema di riferimento S', è il tempo proprio, l'intervallo di tempo misurato dall'osservatore O in S,
 è il fattore di Lorentz
 se  e  solo se i due sistemi di riferimento S ed S' sono in quiete uno rispetto all'altro),v è la velocità relativa tra i due sistemi di riferimento S ed S',c è la velocità della luce nel vuoto.

Si può notare che nella formula non c'è nulla che giustifichi una differenza tra un corpo che "riceve energia" e un'altro che non ne riceve. E anche l'articolo di Wikipedia sembra confermarlo:

CitazioneVa notato che, essendo v la velocità relativa tra i due sistemi, il fenomeno è reciproco. Risulta del tutto equivalente assumere che S (in cui si trovano E e O in quiete uno rispetto all'altro) sia fermo e che S' si muova con velocità v oppure che S' sia fermo mentre S (e quindi anche E e O) si muove rispetto a S' con velocità relativa v.

Nell'articolo in lingua inglese, tuttavia, c'è una frase che sembra avvalorare la tesi da de esposta:

CitazioneThe reciprocity of the phenomenon also leads to the so-called twin paradox where the aging of twins, one staying on Earth and the other embarking on a space travel, is compared, and where the reciprocity suggests that both persons should have the same age when they reunite. On the contrary, at the end of the round-trip, the traveling twin will be younger than his brother on Earth. The dilemma posed by the paradox, however, can be explained by the fact that the traveling twin must markedly accelerate in at least three phases of the trip (beginning, direction change, and end), while the other will only experience negligible acceleration, due to rotation and revolution of Earth. During the acceleration phases of the space travel, time dilation is not symmetric.

Ma l'argomentazione appare insoddisfacente e ingiustificata. Come dicevo, nella formula non vedo nulla che giustifichi 1) la "non simmetria" della dilatazione temporale in caso di accelerazione di uno solo dei due corpi 2) Il fatto che si possa parlare di accelerazione in assoluto, e non soltanto in relazione a un sistema di riferimento arbitrario (e quindi variabile)
#201
Scienza e Tecnologia / La "velocità" del tempo
21 Dicembre 2019, 17:59:37 PM
Avrei una domanda per esperti di fisica. 

C'è una cosa che non riesco a capire che riguarda la teoria della relatività. Si tratta del famoso esperimento concettuale in cui si ha un osservatore A nel sistema di riferimento X e un osservatore B nel sistema di riferimento Y. L'osservatore B si muove a una certa velocità mentre l'osservatore A è fermo. 
La teoria dice, per quanto ho capito, che per l'osservatore B il tempo "scorre più lentamente" nel senso che, supponendo che entrambi siano dotati di due orologi perfettamente sincronizzati finché A e B non sono in moto relativo (ossia sono nello stesso sistema di riferimento spaziotemporale, quindi X e Y coincidono), quando B è in moto l'ora misurata dall'orologio di B, per A va più lentamente del suo, quindi sarà "in ritardo".

La domanda è questa: dato che la scelta del sistema di riferimento è arbitraria, se scegliamo il sistema di riferimento X in cui si trova A, B sarà in moto. Ma se scegliamo come sistema di riferimento Y, sarà A ad essere in moto relativo e quindi dovrebbe essere il suo orologio ad andare "più lentamente". Ossia per A il tempo di B sarebbe più lento, ma anche per B il tempo di A dovrebbe essere più lento, quindi in sostanza le due "velocità di scorrimento del tempo" non avrebbero un'esistenza "oggettiva", ma sarebbero riferibili solo all'esperienza soggettiva di A e B. In altre parole non ci sarebbe una differenza di "velocità del tempo" oggettiva, e le due differenze soggettive si contraddirebbero (dal punto di vista di un ipotetico "riferimento assoluto") e si annullerebbero a vicenda.

Avendo una conoscenza solo scolastica e divulgativa della fisica, forse nel mio ragionamento manca qualche nozione necessaria, qualcosa che non ho considerato e che invece giustifica il modo in cui questo aspetto della teoria viene generalmente presentato. Qualcuno saprebbe rispondermi?
#202
Citazione di: viator il 11 Febbraio 2019, 21:24:30 PM
Salve DonalDuck. Mi associo a Sgiombo pur precisando la mia versione sul "quid", che diventerebbe :
"Ritengo le domande "esiste il tempo?", "esiste la coscienza?", "esiste il libero arbitrio?" sensatissime, interessantissime e degne di essere indagate attraverso ipotesi razionali". Saluti.
Prendo atto, ma non trovo spunti di discussione, dal momento che non specifichi né cosa significherebbe (ad esempio) "esiste (o non esiste) il tempo" (che servirebbe ad avvalorare la sensatezza della domanda) né quali conseguenze avrebbero le due alternative (che servirebbe ad avvalorare l'interesse della domanda e l'utilità di porsela).
#203
Citazione di: Lou il 11 Febbraio 2019, 19:28:06 PM
"Modalità" trovo sia una integrazione appropriata. Grazie.
Noto, però, occorra un ulteriore precisazione da quel che scrivi, perciò chiedo - il concetto di realtà e il concetto di esistenza, sono "lo stesso" o sussiste una certa distinguibilità tra i due?
Io li uso come sinonimi e non trovo nessuna differenza sostanziale. Posso solo notare che realtà indirizza l'attenzione sui concetti di cosa, oggetto (res), quindi di insieme di entità individuabili e riconoscibili, mentre esistenza sembra riferirsi più in generale alla capacità di manifestarsi (in un'ottica informazionale, di produrre o trasmettere informazione).
#204
Ipazia:
CitazioneIl fallimento dalla metafisica consiste proprio nel suo ostinarsi sull'incontrovertibilità dei suoi concetti, sempre ansiosamente in cerca del loro assoluto, del dio Noumeno. Inconoscibile come ogni divinità che si rispetti, perché il divino ama il mistero. Anzi, solo nel mistero riesce a sopravvivere, come intuirono assai bene gli illuministi. Realtà, Verità, Bene, Essere, Tempo, Nulla, sono i feticci metafisici che ci trasciniamo da millenni come palle di piombo incatenate ai piedi della filosofia.
Concordo nel considerare fallimentare qualunque attegiamento assolutistico, qualunque vana ricerca della "verità ultima".
Questo però non mi impedisce di sentirmi immerso nel mistero, il che significa semplicemente che in me sorgono, che lo voglia o no, delle domande, e non domande trascurabili, ma, direi, piuttosto ingombranti (riguardanti ad esempio l'origine della vita o la "natura" della coscienza o le fondamenta dell'etica) anche se difficili da formulare esattamente in termini razionali. Domande che ritengo siano assai probabilmente destinate e restare senza risposta, ma su cui d'altra parte penso che valga la pena di riflettere e ricercare. E non credo che siano domande che possano ricevere risposte o venir superate (almeno non allo stato attuale delle conoscenze) da un sano relativismo, peraltro necessario, a mio parere, per mantenere un retto pensiero.


CitazioneCosì accade che se un fisico teorico dice che a certe livelli della realtà (fisica) si può ignorare nelle formule f(t) il metafisico perde la bussola peggio dei dottori di Salamanca di fronte all'avventuroso marinaio genovese.
Il problema principale è che si fa spesso confusione tra fisica e metafisica. E a mantenere questo equivoco contribuiscono parecchio molti uomini di scienza, che tendono a dare un significato metafisico di "verità" alle interpretazioni che la scienza dà dei fenomeni che studia. Tipica la vana ricerca della "teoria del tutto", che nell'immaginario di molti scienziati e non, dovrebbe "svelare i segreti dell'esistenza", anzi "gli ultimi segreti dell'esistenza", a significare che la scienza li avrebbe svelati quasi tutti. Una concezione mitologica e infantilmente onniscientistica di un sistema di pensiero certamente di grande valore sia intellettuale che pratico come la nostra scienza, ma certamente inadatto a simili compiti (ammesso e non concesso che ci possa mai essere un sistema di pensiero "adatto")
#205
Citazione di: Lou il 10 Febbraio 2019, 16:33:22 PM
Molto interessante e condivisibile, Donald, infatti a mio parere, sarebbe più corretto parlare di gradi di realtà, ad esempio l'unicorno pur essendo un essere irreale, ha un suo grado di realtà, l'immagine mentale dello stesso possiamo infatti esperirla. Tutto ciò che appare in qualche modo è, e questo "è" è, banalmente, sintomo di un grado di realtà, anche se l'unicorno, come ebbe a dire magistralmente Rilke, "Oh! questo è l'animale che non c'è".
Più che di grado, che implica un qualche ordine gerarchico, parlerei di modalità di realtà (o di esistenza). Ritengo che orientare la mente in questo modo eviterebbe tante disquisizioni e discussioni a mio parere inutili e prive di qualunque possibilità di raggiungere qualche risultato, come "esiste il tempo?", "esiste la coscienza?", "esiste il libero arbitrio?" (anche se, lungo questi cammini privi di mete raggiungibili, può capitare di trovare espresse idee interessanti).
Inoltre un simile orientamento indurrebbe a riflettere attentamente sui caratteri e sul valore che diamo ad ogni modalità di esistenza e ad esplicitarli, mentre in genere su questi aspetti basilari del pensiero regna una confusione inespressa e nascosta, ma non per questo meno efficace nel rendere i discorsi nebulosi e incoerenti.
#206
A parte le questioni riguardanti il tempo in particolare, trovo piuttosto paradossale questo disquisire sulla realtà o meno di questo o di quello, quando nessuno è in grado di dare una definizione filosoficamente, razionalmente accettabile e non ambigua di "realtà" (o di "esistenza") in termini assoluti, in particolare di cosa distingua qualcosa di "reale" da qualcosa di "irreale". In altre parole, quello che servirebbe per poter distinguere ciò che sarebbe reale, da ciò che non lo sarebbe dovrebbe essere una definizione "operativa" di realtà, ossia un algoritmo che permette, seguendo una serie di istruzioni operative, di stabilire se "qualcosa" è reale oppure no, basate su una serie di caratteristiche che il "reale" dovrebbe avere, e che manca all "non reale".
Il mio parere è che non ci sia assolutamente nulla che possa essere definito "non reale", se non in un contesto relativo. Ad esempio l'immagine mentale di una sedia non è "reale" nello stesso senso della sedia, ossia non è una "sedia reale", ma è tuttavia ben reale in quanto immagine mentale. E che, in generale, il problema della realtà o meno di qualcosa, se posto in termini assoluti, sia completamente privo di senso.
#207
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
21 Ottobre 2018, 10:01:32 AM
viator:
CitazioneMa dimmi una cosa : il mio linguaggio, così poco attento ai significati convenzionali, risulta di difficile comprensione ?
Non il linguaggio, ma appunto i concetti che esponi, che mi appaiono sostanzialmente campati in aria (pur non essendo nuovi per me).

CitazioneIl filosofo - in nome appunto della filosofia - dovrebbe capire che l'unico senso del proprio filosofare consiste nel personale piacere di rigirarvisi.
Io mi ricreo abbastanza nel parlare di certe cose, sai  ?
Il nostro modo di vedere le cose sul senso e il valore della filosofia non potrebbe essere più diverso. Per me è un modo per capire le cose sempre più a fondo, aumentare la consapevolezza, trovare un retto modo di pensare e immaginare soluzioni ai problemi che affliggono da sempre l'umanità. Tutt'altro che ricreazione, se non nel senso di rigenerazione del pensiero.

CitazioneMa la mia non è filosofia, vero ? ........io non ho spiegato da dove vengano certe mie convinzioni......... ho solo fatto un pò di metafisica
Hai fatto un po' di metafisica? Mah... Comunque sia il fatto è che non mi hai comunicato nulla. Ricambio i saluti, che a quanto pare sono l'unica cosa che abbiamo da scambiarci.
#208
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
20 Ottobre 2018, 11:32:39 AM
viator:
CitazionePer carità ! Non parlatemi di vocabolari ! Li avrò aperti forse dieci volte in vita mia (mai durante l'attività scolastica). I vocabolari sono degli utili repertori per trovare il significato convenzionale dei termini che non si conoscono.
Le parole trovano la loro ragione di esistere solo nella convenzione. Sono convenzionali per intrinseca natura, senza convenzionalità perdono completamente ogni significato e ogni funzione. E senza convenzione è impossibile ogni confronto di idee.

CitazioneVedi, la razionalità è un bene prezioso ma il suo limite risulta nella sua applicabilità al solo mondo del percepibile (argomenti fisici, pratici, di utilità).
Mano a mano che ci si sposta verso il mondo concettuale, quello del concepibile, essa perde via via efficacia. Ciò tra l'altro genera le differenze tra il modo di ragionare del filosofo e quello dello scienziato.
Io attribuisco uguale dignità sia al mondo del razione che a quello dell'irrazionale.
No, la filosofia è eminentemente razionale, non c'è posto in essa per l'irrazionalità. E applica la razionalità nei campi irraggiungibili dalla scienza. L'irrazionale ha altri ambiti: tutte le forme di misticismo e d'arte. E l'irrazionale non può essere discusso, può solo essere enunciato o evocato. La dignità non è in discussione, si tratta di non mischiare le due cose ottenendo un minestrone in cui niente è chiaro e tutto è gratuito. In cui nulla e dimostrabile o smentibile, ma solo dichiarabile.
La razionalità ha i suoi limiti, ma la filosofia è da una parte individuare questi limiti, dall'altra analizzare la realtà dal punto di vista razionale, fermandosi dove mancano gli strumenti per andare oltre.

Nella tua ottica, se si può fare a meno di razionalità, di vocabolari, di argomentazioni si potrebbe dire con altrettanta plausibilità che il bene non è altro che assenza di male e che quest'ultimo è espressione di ciò che governa tutte le cose: l'odio universale che può essere definito come il principio in base al quale ogni cosa che viene costruita deve essere distrutta.

Il senso di una discussione non è una serie di dichiarazioni, una semplice esposizione di idee, ma un confronto e una valutazione delle idee. E per confrontare le idee una cosa fondamentale è far capire da dove arrivano queste idee, o meglio come si è arrivati a quelle idee, quali sono le motivazioni che hanno portato a pensare in quel modo e non in un'altro. Altrimenti diventa una sorta di fiera in cui ognuno ha il suo spazio in cui espone le sue idee senza alcun confronto con quelle altrui.
#209
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
15 Ottobre 2018, 22:52:22 PM
viator:
CitazioneCirca tale aspetto, risultante oltretutto pesante ed OT, decido di trattarlo a parte come nuovo argomento titolato "Solipsismo" che farrò apparire prossimamente.
Non mi piace per nulla questo modo di affrontare le discussioni. La considerazione è tutt'altro che fuori tema. Sei stato tu a mettere in ballo il concetto di esistenza, collegato col tema della relazione e degli opposti, in un modo che per me è contradditorio e fuorviate e che di conseguenza inficia tutto il discorso, ed è per questo motivo che ne ho parlato. In estrema sintesi tu sembri negare l'esistenza degli opposti , io tendo a considerare gli opposti (o più in generale la differenziazione, di cui la dualità è prototipo) come fondamento stesso dell'esistenza. Preciso che la mia posizione non ha nulla a che fare col solipsismo. Se cercassi di capire quello che dico pittosto che respingerlo a priori, forse la discussione potrebbe risultare proficua per entrambi.

La sintropia o neghentropia sono concetti sviluppati da alcuni studiosi in riferimento a una tendenza attiva all'ordine alla differenziazione, all'organizzazione contrapposta all'entropia, che tende al disordine e all'omogeneità.

CitazioneDa un punto di vista fisico e cosmico non esistono bene e male, concetti relativi utilizzati a piene mani in ambito umano
I concetti, prima di tutto, sono sempre relativi anche in ambito scientifico e cosmico (almeno nella mia concezione che ho tentato di spiegare), poi la tua restrizione all'ambito, come si potrebbe definire? etico-psicologico? non vedo proprio che giustificazione possa avere. E' vero che nel tuo intervento iniziale sembri voler restringere l'ambito parlando dei "due concetti addirittura basilari sui quali è fondata - sembra proprio - ogni etica individuale ed ogni morale collettiva". Ma poi sei tu stesso ad uscire dal campo dell'etica  e del peculiarmente umano affermando che "Il MALE non è altro che relativa CARENZA, IMPERFEZIONE, di quel principio che regna da sempre sul mondo (includendo sia i suoi contenuti materiali che quelli immateriali, spirituali) e che consiste nel BENE", e ad assegnare a bene e male una dimensione cosmica. Per cui la tua affermazione citata appare smaccatamente incongrua.
Io ho esposto una linea di pensiero in base alla quale faccio risalire i concetti di bene e male (anche quelli della morale) a qualche sorta di forze o tendenze primordiali, basilari, fondamentali, due "principi", per usare le tue stesse parole. La differenza è che tu parli di un solo principio che chiami, senza ulteriori spiegazioni, "bene", mentre io ho cercato di dare spiegazione e giustificazione dei due principi. E per tutta risposta mi neghi in toto, contraddicendo anche te stesso, la pertinenza di principi generali, riducendo l'ambito al peculiarmente umano-psicologico, sempre senza dare spiegazioni.

Quanto ai concetti di relativo e assoluto, che citi di frequente, ho più volte avuto modo di esporre il mio pensiero in proposito. Per me la relazione, lo ribadisco, è la genesi stessa dell'esistenza, non si dà esistenza senza relazione. Di conseguenza l'assoluto per me coincide col nulla (che ovviamente non esiste), è incompatibile con qualunque forma concepibile di esistenza. Perché si possa parlare di esistenza è necessario che ci sia quantomeno un soggetto e un oggetto in relazione tra loro. Sfido chiunque a dare una definizione sensata e non contradditoria dell'esistente-in sé, senza nessuna relazione con nulla. In cosa mai dovrebbe consistere quest'attributo di "esistente", contrapposto a "non esistente", quale sarebba la differenza tra esistente e non esistente, se si esce dal relativo per entrare (o pretendere di entrare) nell'assoluto?

CitazioneInfatti è proprio nel tendere all'uniformità energetica che l'entropia genera la permanente diversificazione del contenuti del mondo !
detta così non ci vedo alcun senso, forse con una spiegazione...

CitazioneL'amore è - indistinguibilmente - la pulsione a completarsi attraverso l'inclusione, l'incorporazione (comprensione  di....!) di ciò che ci è esterno e/o attraverso il nostro sciogliersi, venir incorporati (comprensione da ....!) da ciò che ci è esterno
A parte che non riesci a deciderti tra la dimensione cosmica e quella peculiarmente umana (è una pulsione o un principio cosmico? mi sembra che ci sia una bella differenza tra i due...), ti sembra una definizione che possa portare a qualche forma di rappresentazione razionale utile? Non nego che dia qualche suggestione, a me evoca il sadomasochismo di cui parlavo, ma non mi sembra che porti da nessuna parte, mi sembra quasi una sorta di tottofabrodo che non qualifica nulla in alcun modo. E perché lo chiami "amore"? Cos'ha a che fare con i significati attribuiti dal vocabolario a questo termine? E soprattutto cos'ha a che fare col significato che il vocabolario attribuisce al termine "bene"?

PS - Niente di personale nei miei toni un po' bruschi e polemici. Considero molto importante coltivare un'"etica del confronto delle idee" la cui quasi totale mancanza nella nostra cultura rende estremamente difficile ogni tipo di discussione e ogni reale confronto costruttivo, consentendo solo uno sbandieramento delle proprie opinioni, senza nessuna reale relazione tra i discorsi, che spesso finiscono col diventare soliloqui affiancati. Ovviamente ci sono anche ambiti di confronto in cui si può restare nel vago, nell'ambiguo, nell'allusivo (l'arte è il regno di tutto questo), ma qui, mi pare, si cerca di confrontare argomenti razionali.
#210
Tematiche Filosofiche / Re:Tutto bene e niente male
14 Ottobre 2018, 21:55:19 PM
viator:
CitazioneIl MALE non è altro che relativa CARENZA, IMPERFEZIONE, di quel principio che regna da sempre sul mondo (includendo sia i suoi contenuti materiali che quelli immateriali, spirituali) e che consiste nel BENE (dovrei parlare del significato cosmico dell'AMORE ma non voglio/posso dilungarmi).
Purtroppo senza "dilungarsi" a spiegare cosa sarebbe questo "bene" che regnerebbe sul mondo l'intera idea è del tutto priva di senso. Un'idea comunque già sentita (io l'ho letta almeno in qualche libro di Osho) che non mi ha mai convinto.

Tutto sta ad indicare che il male esista come forza psichica (o spirituale che dir si voglia) attiva. Il sado-masochismo, che pervade tutte le nostre società fino a costituirne la vera e propria ossatura, ne è, secondo me, la dimostrazione più evidente. Il sadico gode della distruzione, della sofferenza altrui e il masochista (ma le due tendenze sono spesso compresenti nello stesso individuo) gode della distruzione e della sofferenza propria. La maggior parte dei criminali e delle persone "cattive" non si limitano a desiderare il proprio bene, ma desiderano appassionatamente il male altrui, del quale si nutrono come di un delizioso cibo.

L'idea che mi son fatto è che il bene (e l'amore, espressione di esso) sia in sostanza il principio costruttivo, aggregante, armonizzante e il male l'opposto: il principio distruttivo, disgregante, conflittuale, destrutturante. In fisica il male è rappresentato dall'entropia e il bene dalla sintropia o neghentropia (termini non inclusi nella fisica mainstream) alla base, tra l'altro, della vita. E, nell'ambito della vita, bene e male hanno i loro rappresentanti in anabolismo e catabolismo.

A questo, per evitare grossolani fraintendimenti, bisogna aggiungere che bene e male, positivo e negativo, attrazione e repulsione, costruzione e distruzione, sono inestricabilmente legati e formano il tessuto stesso della realtà, come ben rappresentato dal simbolo del Tao. E questo rende bene e male inevitabilmente presenti in ogni ogni entità esistente, quantomeno allo stato potenziale.

CitazioneSe tali due ambiti (bene/male) coesistono e sono addirittura l'uno il contrario dell'altro, ci sarà certo una netta distinzione tra loro Esisterà certo un confine individuabile ai due lati del quale stanno - distintamente - bene e male.
Gli opposti nella realtà non possono esistere. E' la nostra mente a concepirli grazie unicamente alla intrinseca limitatezza con cui essa funziona....
Ma perchè la nostra mente è come costretta ad immaginare e trattare l'esistenza di due termini quando la logica dimostrerebbe che dobbiamo analizzarne uno solo?.
Perchè la nostra mente può funzionare solamente attraverso le RELAZIONI tra due o più termini !.
Ciò accade poichè qualsiasi attività della nostra mente è basata inesorabilmente sulla necessaria, inevitabile relazione tra il soggettivo (la mia mente) e l'oggettivo (la famosa "cosa in sè", direi).
Noi possiamo concepire l'unicità ma non possiamo ragionarne. Ci occorrono almeno due termini. Perciò siamo costretti ad "inventare" l'esistenza di opposti per trasferire ogni discorso al livello minimo che ci permette di parlarne. La Duplicità.
A parte il fatto che con ragionamenti del genere si arriva a negare la differenza tra polo positivo e negativo di un magnete o tra i due poli di una presa di corrente, cadendo nell'assurdo, non capisco che significato possa mai avere la parola "esistenza" al di fuori della relazione. Senza la dualità, senza la relazione, ogni cosa perde qualunque traccia di significato. Parole come realtà, esistenza, non esistenza, uno tutto, nulla, insieme a tutte le altre parole del vocabolario, diventano solo suoni o segni senza significato. L'esistenza presuppone la relazione perché senza un soggetto che percepisce l'esistenza non c'è alcun modo di definire l'esistenza stessa, esistenza e non esistenza, tutto e nulla coincidono in un'universale assenza. Non esiste alcun modo di prescindere dalla relazione, se non nei giochi di parole che ci portano, o meglio alludono, ai limiti delle possibilità della nostra mente. Ma presumere che cose che non possiamo né definire né concepire possano avere qualche forma di "esistenza" (al di là di quella puramente astratta data dalla loro formulazione) è semplicemente un nonsenso.

Anche il fatto che si possa parlare di "esistenza" prescindendo dalla mente mi sembra un'altra supposizione gratuita. Tutto quello di cui possiamo parlare è racchiuso nella mente, non si dà, per quanto possiamo sapere o concepire, nessuna realtà senza mente (intesa come centro di coscienza, di soggettività), dato che la realtà è definita dalla mente stessa. Non smetto mai di stupirmi di come si continui ad ignorare questa semplice evidenza.

CitazioneLa chiave del riconoscimento di ciò che esiste è tutta qui.
Il percepibile E-SISTE, il concepibile (almeno finchè non avremo la fortuna o la disgrazia di incontrarne la percezione) NON E-SISTE (non è fuori di noi bensì solo dentro di noi !) poichè si limita appunto ad IN-SISTERE dentro di noi.
Qui arrivi vicino al cuore del problema. Non vedo proprio in base a che cosa si debba considerare il mondo interiore come non oggettivo. Lo è in tutto e per tutto. La "concezione" di cui parli è solo un'altra forma di percezione. Percepiamo pensieri, sensazioni, visioni, sogni, sentimenti, ogni genere di entità psiche come oggetti, appunto, della percezione della coscienza, esattamente come gli oggetti esterni, con la sola differenza della loro minore persistenza e della maggiore mutabilità, oltre la limitata condivisibilità. Ma niente ci autorizza a dire che il mondo interiore è "parte di noi". Noi chi? Della coscienza no di sicuro, perché è essa come unica entità soggettiva, che percepisce le entità psichiche e le può percepire solo perché sono separate da essa, sono qualcosa di diverso da essa. Il mondo interiore si presenta alla coscienza così come si presenta quello esteriore. Con caratteristiche diverse e molto meno nitido di quello esterno, certo, ma bisogna anche dire che dell'esplorazione del mondo interiore la nostra cultura si è sempre allegramente disinteressata sostituendo l'esplorazione con i miti delle religioni, con le metafore e le vaghe intuizioni della filosofia e della psicologia (ibrida disciplina ai confino tra filosofia e scienza) e con quell'esile speculazione che la scienza può realizzare basandosi sulle tracce esteriori del mondo interiore.

Comunque sia che si parli di "esistenza" o "insistenza" (si parla comunque di un modo di "essere"), non si può prescindere dalla dualità (se qualcosa "insiste" c'è quello che insiste su qualcosa e quel qualcosa su quell'altra cosa insiste) e dalla relazione. L'origine logica dell'essere è la dualità stessa, la relazione stessa, al di fuori della quale "c'è" solo un impossibile e inconcepibile nulla o non-essere.