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Messaggi - PhyroSphera

#196
Citazione di: niko il 09 Gennaio 2025, 23:39:11 PMAhi come, un dio che resuscita i morti e mette incinta le vergini... a un certo punto viene messo in crisi da un cavolo di dinosauro... ROOOARRR!!




Ti illudi di significare qualcosa. E' una ironia, la tua, che significa entro una distorsione dei concetti. Heidegger diceva del "si dice"; in fondo ad esso il vaniloquio, la fine della ricerca di Sofia - Sofia non fugge come Angelica, lasciando i paladini combattere nel misterioso significato ricevuto; Sofia abbandona gli indegni mentre il suolo diventa tomba, la mente reliquiario.
Filo-sofia... filosofia... è percorso che non tollera certi scherzi, ancor meno della scienza.

MAURO PASTORE
#197
Citazione di: iano il 09 Gennaio 2025, 11:42:40 AMLa materia è tutta inerte, e più o meno stabile in relazione alle condizioni al contorno.
Non so da dove lei ha tratto quanto scrive.
Su questo forum molti si illudono di valutare la scienza e invece non ne hanno che poca e con idee sbagliate.
Dicevo del marxismo restato con metà studi di Newton, senza poter intendere per davvero la Relatività, in impresa oscurantista contro l'Indeterminazione...
La materia, intesa astrattamente, è inerzia e l'energia movimento. Ma il mondo non è come una patata agitata dall'acqua bollente. Non ci sono elementi a sé - mentre l'Alterità va pensata diversamente.

MAURO PASTORE
#198
Citazione di: niko il 30 Dicembre 2024, 12:58:46 PMSenti, l'inferno fa parte dei dogmi e dei novissimi della chiesa cattolica, e pure la resurrezione della carne.

Tutto cio' e' palesemente incompatibile con ogni possibile dottrina della reincarnazione, perche' se un'anima umana e' in paradiso o all'inferno, ovvero in uno stato di dannazione o beatitudine definitiva, non puo' reincarnarsi e vivere vicende terrene sensate (dove andrebbe a finire il libero arbitrio, se uno nascesse al mondo terreno gia' dannato o gia' salvo? Che camperebbe a fare? E viceversa se uno puo' provenire prenatalmente dall'inferno e poi salvarsi, o provenire prenatalmente dal paradiso e poi dannarsi, cioe' se salviamo il libero arbitrio pur ammettendo la reinarnazione, dove andrebbe a finire, la definitivita' di inferno e paradiso?).

E se quella stessa anima ha avuto ottantadue (82) corpi, e vi corrisponde, a tutti e ottantadue indifferentemente non puo' reidossarne uno in particolare alla presenza del Cristo.

Se tu non ci credi, nell'inferno o nella resurrezione della carne, sei eretico, ma io da ateo non posso perdere tutto sto tempo a parlare con un eretico, sta societa' e tutto un calderone di gente che vorrebbe riconciliare il cristianesimo con il buddismo, in realta' non sanno riconciliare nemmeno gli impegni del lunedi' (calcetto) con quelli del martedi' (riunione di condominio). Quindi, per me volassero bassi e non si convincessero di aver capito tutto.




Continui a confondere il dogma religioso coi dogmi sulla religione che obbediscono a convenzioni non realmente ispirate. Se un avvocato presenta la sua professione come un officio di commercialista, se lo fanno tanti suoi colleghi, uno in base a quale evidenza dovrebbe dar credito alla descrizione?
La filosofia è fatta non solo per individuare cose ed eventi ma pure per identificarne. Il vissuto religioso non è arbitrario, è in rapporto con intuizioni e sentimenti autentici, lo afferma la autentica scienza psicologica. Quindi è sbagliato giudicare in base alle superstizioni, le illazioni, i vaneggiamenti. Se uno entra in un bar inciampando ma ci entra, non è da considerar fuori. Esiste anche un modo religioso di indicare la realtà e non va deriso né vanno derise le relazioni tra religioni diverse.


MAURO PASTORE  
#199
Citazione di: iano il 30 Dicembre 2024, 15:21:14 PMLa novità è l'epigenetica.
Comunque prima che robot programmabili, siamo riprogrammabili, cioè siamo il risultato delle nostre esperienze che continuamente si rinnovano.
Più in generale siamo materia nella quale resta traccia della sua storia dinamica, che della sua dinamica diviene causa..
Se si può prevedere l'evoluzione della materia secondo il paradigma laplaciano, per cui conoscendo  i parametri fisici iniziali di una particella ad un istante se ne può prevedere il futuro, ciò non è possibile per la materia vivente sulla quale agiscono anche tutti gli istanti precedenti. La materia vivente è la sua storia in azione.
Se qualcuno pensa di sopravvivere nella memoria degli altri, questo è vero, ma in modo anonimo, perchè anche quando si conservasse memoria del nome, un nome è solo un nome.
Se pur nel nostro piccolo, qualunque cosa faremo, sarà causa del futuro.

Sicuramente vale la distinzione tra materia vivente e non vivente, ma vale pure la distinzione tra materia inerte e non inerte e la scoperta che è quest'ultima ad essere stabile, mentre la prima episodica. La fisica delle particelle dopo il Principio di Indeterminazione mostra tutto questo. La coesistenza di gravitazione, relazione, indeterminazione offrono un quadro di organizzazione non ordinata: una verità che mostra l'assoluta insufficienza, precarietà, rischiosità, esizialità del mondo tecnoscientifico, che invertendo i rapporti tra scienza e tecnica riduce quest'ultima e trasforma il contenuto dei dati scientifici in teoresi fittizie, inventando sorta di giostra dove coincidenze che fanno sembrare tutto a posto sono destinate a terminare in disastri. Le esplosioni delle navicelle spaziali americane (fortunatamente ora senza astronauti dentro) sono diventate abitudine, ma anche l'industria automobilistica ne è soggetta: quando l'azienda Mercedes Benz accolse tattiche estranee, assunte dal mondo tecnoscientifico, gli accadde poi di dover richiamare indietro un numero enorme di vetture; in un caso gravissimo accadeva una ricorrente fusione imprevista di materiale sotto il cofano, il quale in marcia si alzava addirittura, impedendo la vista del conducente durante la marcia. Uno scandalo che convinse scienziati e tecnici dell'azienda a ritornare al concreto patrimonio di conoscenze posseduto prima, per quanto datato fosse.
Non solo il corpo biologico è imprevedibile, il che non è recepito da chi domina nei sistemi sanitari prevalenti, ma la materia non biologica non è una struttura ordinata né stabile. Anche gli spazi eterei sono così.
Il primo viaggio spaziale realizzato da privati, negli USA, recava immagini del tutto anomale: l'ergonomia degli oggetti, tute comprese, rendeva goffi e impacciati gli atronauti, spingendoli a muoversi similmente a scimmioni. Le loro facce erano eloquenti. La tecnoscienza è in rapporto all'evoluzionismo: la convinzione sbagliata della trasformazione uomo-scimmia influenza la costruzione di oggetti, perché se si pensa all'uomo come a uno scimpanzè modificato non si può realizzare un'impugnatura adeguata per una cloche o la forma giusta di una semplice maniglia, neppure un vetro dalla trasparenza opportuna. Negli ultimi anni la fantasia del terzo sesso, detta usando la parola trans, ha generato un'idea distorta di neutralità. Questa esiste ma non fra tre elementi, solo due, maschio e femmina. Inoltre chi suppone che esista una inversione sessuale umana e vorrebbe assecondarla con la chirurgia, di fatto praticando intrusioni e menomazioni, pensa a oggetti adatti più a robot androidi che a umani. Esempio: nei viaggi oltre l'atmosfera terrestre, praticati per il nuovo costosissimo turismo spaziale, il volto degli ospiti delle navicelle testimoniava un ambiente interno più impersonale di una autorimessa, nonostante le parvenze opposte.

Certamente uno come Dawkins è stato un protagonista di questa immane sbandata, con i suoi ragionamenti accattivanti, la cui incompletezza e fatale incongruenza è nascosta dietro una rete di riferimenti reali ma insensati.
L'illusione evoluzionista dà un aiuto al delirio del cosiddetto transumanesimo, pensandosi un divenire in realtà inesistente e facendosi supportare da illusioni di non distinzione corpo biologico / non biologico... per cui girano per strada folli che pensano che un gioiello al proprio orecchio sia un prolungamento del corpo e in studi accreditati si trovano falsi medici che trattano le protesi artificiali per nuovi organi... e l'illusione che tutto sia evoluzione finge che non ci sia alcunché di artificiale in un dente artificiale.


MAURO PASTORE
#200
Citazione di: ricercatore il 30 Dicembre 2024, 11:52:09 AMHo recuperato in queste vacanze "Il gene egoista" di R.Dawkins.
Ammesso che quanto riportato sia scientificamente ancora valido, la lettura di questo libro non può lasciare indifferenti.

Vedere se stessi (e gli animali e le piante) come macchine, robot programmati dal "gene egoista" affinché egli possa propagarsi, cambia completamente la prospettiva.

In questa visione, sembra non salvarsi nulla.
Né l'amore, né le relazioni, né le arti.
Tutto è "programmato" dal gene egoista e tutto ha lo scopo di propagare determinate sequenze genetiche considerate più adatte.

Da qui la domanda del post: che cosa si salva dopo il gene egoista?



Dal film The Matrix:

Agente Smith: Perché, signor Anderson, perché? Perché? Perché lo fa? Perché si rialza? Perché continua a battersi? Pensa veramente di lottare per qualcosa a parte la sua sopravvivenza!? Sa dirmi di che si tratta, ammesso che ne abbia coscienza!? È la libertà!? È la verità!? O magari la pace... Non mi dica che è l'amore! Illusioni, signor Anderson, capricci della percezione, temporanei costrutti del debole intelletto umano, che cerca disperatamente di giustificare un'esistenza priva del minimo significato e scopo! Ogni costrutto è artificiale quanto Matrix stessa, anche se devo dire che solo la mente umana poteva inventare una scialba illusione come l'amore! Ormai dovrebbe aver capito, signor Anderson, a quest'ora le sarà chiaro, lei non vincerà, combattere è inutile! Perché, signor Anderson!? Perché!? Perché persiste!?
Neo: Perché così ho scelto.

La vera nozione di 'gene egoista' non è determinista, ma replicazionista. Non ha senso quindi un problema inerente la libertà, essendovi una identità biologica.
Inoltre un lato della biologia o due non sono la totalità.
Gli evoluzionisti hanno cercato di aggirare la questione insormontabile che sorge dal raffronto tra genetica ed evoluzione, ma senza riuscirci veramente. Riguardo alla formazione dell'umanità, resta che le teorie genetiche negano che sia potuta avvenire per evoluzione e nella Teoria di Darwin c'è il riferimento a un vuoto (anello mancante) che non è mai stato sostituibile da un programma di ricerca per colmarlo. Le evidenze aumentano e per giustificarsi gli evoluzionisti si sono dati all'assurdità, mettendosi a dire di salti, il che non spetta a loro. Una gigantesca contraddizione, perché il salto esclude l'evoluzione.
Riguardo alle trasformazioni dell'umanità stessa, la teoria genetica è insufficiente e vale quella della evoluzione, ma che non coincide con le tesi evoluzioniste. Queste sono entrate in combutta coi ragionamenti dei fanatici religiosi, con un creazionismo che si oppone con successo agli idoli di un falso divenire. Il creazionismo non è un concetto integralmente teologico, essendo il mistero della Creazione posto su un piano superiore al divenire stesso del mondo; ma il cosiddetto evoluzionismo è un tentativo fallito di interpretazione di tipo filosofico, che cerca di elevare dei dati isolati della scienza biologica al rango di epistemologia, forzando i limiti della interdisciplinarità. Un errore in cui cadono anche gli scienziati stessi, assieme ad analisi filosofiche insufficienti, prese senza coscienza dei limiti d'esse.
Per tale ragione il pensiero di Dawkins è meglio lasciarlo in pasto ai fanatici anziché farsi interrogare da esso.

MAURO PASTORE
#201
Citazione di: Visechi il 01 Gennaio 2025, 23:23:43 PMDecido di bypassare a pié pari il tuo ulteriore tentativo di reiterare e tenere in vita la stucchevole e noiosissima querelle circa la lunghezza e durezza del pene. Non mi interessa.

Mi vorrei concentrare su altre sezioni del tuo ultimo commento per rilevare, dispiaciuto, la banalizzazione di un concetto in precedenza espresso piacevolmente, a parer mio prodromo, se intelligentemente sviluppato, di una fertile chiacchierata. Perché arretri?
Non dicevo di segni di ulteriorità, ma di non-segni di non ulteriorità. Tu cerchi nel percorso di vita, nell'intero essere, "i segni dell'oltre", ma dipende da uno come sceglie di farlo, il percorso, a cosa uno decide di dare il proprio intero (non totale!) essere.
Cercare nella morte l'assenza di segni utili e sufficienti a negare l'ulteriorità (magari così è anche più leggibile – questo hai voluto esprimere) e gioire trionfante avendo la conferma della loro assenza (esito del tutto scontato, essendo la morte muta, sebbene parli ai vivi... un paradosso che ti invito ad esaminare e sciogliere), banalizza proprio quella che tu pomposamente, ma dimostrando di non averne alcuna cognizione, chiami "metafisica della morte", che, caro mio, non osserva l'immobilità del cadavere e il disfacimento della morte, ma interroga l'esistenza, la Vita stessa al cospetto del cadavere, il cui messaggio muto ci perviene attraverso il corpo piagato che emerge glorioso dalle pieghe della sofferenza (immagino comprenda a chi o cosa alluda). Immagino anche che, nel tuo sperso vagolare fra gli ascosi ed erti pendii della metafisica, avrai avuto sentore del mastodontico corpus teologico che racconta del dolore. Metafisica – quella del dolore, della sofferenza e del patire umano – che parla alla Vita proprio della Morte, rappresentandone un annuncio, un barbaglio, una precognizione, come ben raccontano Natoli o Galimberti o Pareyson o Quinzio (Il rantolo di chi muore esprime un infinito bisogno di vita, come il primo grido di Adamo) o i testi della mistica cristiana o i tomi di antropologia post Olocausto. E parlare del dolore, di un'anima ferita, della sofferenza significa ascoltare, in "timore e tremore", anche il lamento che ancora oggi la croce scaglia sull'umanità; in definitiva, del Dio appeso ai legni. Intersecare la dimensione del sofferente, significa anche essere scaraventati nella dimensione abitata dal Male. E del Male, l'esistenza non può disinteressarsi, non può ignorarne il cupo ringhiare.

Se il Male non recasse con sé il presentimento della morte; se quindi non annichilisse e privasse la vita di senso e significato; se non possedesse una forza d'intensità tale da intridere di sé, dei suoi mefitici miasmi di morte, l'intera esistenza dell'uomo; se non possedesse le caratteristiche e la capacità d'opacizzare l'orizzonte esistenziale disputando alla speranza il tempo futuro, ammorbando il presente e rendendo vacuo il passato e se di esso l'uomo potesse anche solo in minima parte comprenderne il fine, il significato e la sua ragione d'essere, forse non interrogherebbe le profondità dell'animo umano fino a insinuare il dubbio che sia un'entità ontologica e non solo morale. Il dolore è un'esperienza di morte. L'essere nel mondo del Male riempie il pensiero e le riflessioni dell'uomo, ciò fin dalla notte dei tempi ed indipendentemente dal credo religioso o dall'ateismo professato da ciascuno di noi.

Il Male, infatti, interroga l'uomo, soprattutto quando ne interseca l'esistenza; l'uomo, a sua volta, interroga sé stesso, la natura, la Vita, il Creato ogni qualvolta avverte l'ansito doloroso del suo vigore che n'annuncia l'irrompere nella vita, delineandone i contorni su un orizzonte che s'adombra.

Con un orrido tratto di penna, ignorando chi o cosa in effetti parla della Morte alla Vita, nel tuo incerto vagolare, non reperisci alcuna traccia della metafisica del dolore, che si nutre di contenuto e significato attingendo linfa dai legni di Cristo.  Hai così banalizzato l'intera metafisica della Morte, precludendoti di fatto la possibilità di affacciarti sul limine ove – appena sussurrato – si apre il dialogo fra Trascendenza (Dio è morto, non c'è più un'urgenza di riempire l'oltre con un Dio) ed immanenza. Dialogo che si genera dalla visione del cadavere, che, nella sua immobilità ed antinomia, dal fondo abissale ove è il Nulla assoluto, parla ai vivi, ma solo come testimonianza ultima del dolore. Non fu certo il Dio cristiano ad intridere di senso e di riflessione la visione della Morte. Fin dall'alba dell'umanità abbiamo offerto sepoltura ai nostri morti, non solo per sottrarne le spoglie mortali alla brama delle fiere, ma perché quei morti, nel loro immoto silenzio, hanno sempre parlato alla Vita.

Ateismo non sta ad indicare in maniera automatica e matematica assenza di spiritualità. Esiste questa eventualità, ma è appunto una possibilità, non una condizione automatica.  Si tratta di una spiritualità diversa dalla tua. La spiritualità di un ateo non solleva lo sguardo verso il cielo in attesa di segni ultraterreni (chissà se sei in condizione di comprendere il linguaggio allegorico). È uno sguardo che "rimane fedele alla terra e non crede a quelli che parlano di sovraterrene speranze!". Se vuoi puoi anche immaginare uno sguardo disincantato rispetto alla promessa escatologica del cristianesimo, ma denso di stupore nel cogliere le meraviglie della vita. Te l'ho già spiegato, ma pare proprio che rifiuti pregiudizialmente questa verità. L'intolleranza della fede non concede campo alla possibilità di amare la vita per quella che è, ed accettarne il cammino, senza aver speranze in ordine alla meta. Ed è questa intolleranza che ti impedisce di comprendere il ragionamento intorno al Sisifo di Camus e fraintendere completamente Nietzsche. Intolleranza che, ancora una volta, non concede spazio e campo alla possibilità che l'esistenza di un ateo possa essere ricca e si realizzi interamente illuminata da un'etica che non ha necessità di attingere regole di comportamento da un Libro che è compendio di pensieri e volontà apologetiche umane, formatesi mille e mille anni addietro e sclerotizzatesi perché infarcite di dogmatica, validata e confermata ex cathedra da altri uomini. L'etica dell'ateo si forma e edifica attraverso un inesausto intenso colloquio con la storia e si radica in profondità nell'umana capacità di commozione ed empatia. È pronunciata e validata anno su anno, e non è scritta su tavole di pietra consegnate da entità ultraterrene. L'etica atea è endogena, guarda il cuore dell'uomo e da questo attinge consigli ed avvertimenti in merito alla giustizia e alla solidarietà, che riversa in testi scritti ove mano di Dio mai si è posata. Scrive che gli uomini nascono uguali, con uguali diritti e dignità, cosa inaudita per il popolo eletto, per esempio. Mai pronunciata dal Dio degli eserciti, il Dio geloso del Libro. Il tuo Dio, suppongo. È volontariamente accolta nell'animo di chi in essa si riconosce e non è imposta con i carri armati USA (vedasi Iraq) o sotto insegne crociate al canto di Osanna e Gloriae. È un'etica che alimenta il coraggio di vivere. Eroica. Il rispetto che esigi tu per la tua fede dovrebbe suggerirti maggior cautela e rispetto nei confronti di ciò che non comprendi e ricusi. So già che questi richiami non saranno sufficienti a scalfire la sicumera che mostri, proprio perché quel che scrivi è infarcito di quella stessa intolleranza che trasformò i perseguitati in aguzzini nel giro di un editto. Arroganza che ti nega la gnosi dell'intera dottrina del peccato che da sempre informa i testi cui il cristianesimo fa riferimento costante. La colpa e il peccato che diedero forma alla teologia dell'apostolo delle genti e che si riverberano nelle pagine di Agostino. Ma capisco, scrivi di "vera dottrina cristiana" lasciando così intendere che quella che ha mosso Crociate, dato la parola a Tommaso e Agostino, elevato al soglio di Pietro fior di delinquenti, quella lasci intendere non sia vera. Eppure, questa menzogna incardinata nella storia secolare dell'umanità è la stessa che ti parla della "fede nel Dio singolo ed in particolare cristiano". Insomma, davvero tanta confusione. I paralogismi espongono quel che sostieni alla fondata critica di far carta straccia di tutto ciò che ti parla della "fede nel Dio singolo ed in particolare cristiano" e di sacrificarlo sull'altare dell'Ego, impegnato com'è a dimostrare al vagheggiato auditorio di avercelo più lungo e duro del tuo interlocutore di turno. Ego che si nutre di blasfemia che celi sotto una coltre di sofismi filosofeggianti che nulla dicono di quel che anima e ribolle dentro ciascuno di noi.
Ebbene sì, ci son cascato anch'io nella personalizzazione.

Parli di ateismo criminale, alludendo al sangue versato in nome di malintese dottrine sociali imbevute di ateismo, ma nel tragitto che ti conduce ad additare e giudicare il prossimo tuo scordi il tanto sangue che intride storia e pianeta, versato in nome delle religioni, soprattutto la tua. Pecchi di ingenua arroganza, scordando di badare alla trave che ottunde la tua vista, che non vede e non legge che il Dio cristiano è il Dio degli eserciti. È colui che ha decretato sterminio ed olocausto di genti ed armenti per tener fede al Patto.
Io cerco di limitarmi solo a richiamare la tua attenzione – invero assai carente – sull'enorme quantità di guerre condotte per affermare il tuo credo, la tua visuale del mondo, la tua morale, che un filosofo da te citato e poco compreso, definiva morale del risentimento. Io, facendo cenno al sangue e al dolore cagionato per affermare nel mondo il tuo credo in un solo Dio,/ Padre onnipotente,/ creatore del cielo e della terra,/ di tutte le cose visibili e invisibili, e richiamando la tua cautela, sono ben conscio di dover addebitare il pianto delle vittime alla stoltezza umana e di non dover includere quella che, pur trovandomi del tutto scettico, reputo una meraviglia degna di assoluto rispetto, ovverosia la spiritualità che con tanto accanimento e poco acume difendi con in tuoi interventi in questo forum.
Il Visechi scambia l'espressione chiara per velleitaria e continua col trasformismo - adesso la Trascendenza la tira fuori di nuovo - senza esser disposto ad usare le evidenze della ragione. Non gli riesce più di fare il sofisma, però ci aggiunge, dopo quella ultima sull'asma, la illazione sul presunto "io ce l'ho più duro di te"; io invece ho scopo di far emergere una verità, non di primeggiare in un confronto tra menti e tanto meno sono guidato dall'eros nello scrivere questi messaggi. Le illazioni oppostemi sono proiezioni psicologiche, dato che mi si attribuisce torto solo per voglia di sentirsi più forte.
Metafisica del dolore, accanto a quelle di nascita, di morte? Il dolore non è un fenomeno-limite. Esso è un avviso che serve per vivere, non si presta ad essere affiancato a quegli altri due elementi per farci una metafisica di base. Se si ipostatizza il male, senza pensare alla nuova vita (anche in questo mondo), negando il restare di qualcosa dopo la morte per ostinata distrazione, ci si sta compiacendo del lato negativo della esistenza. Inutile appellarsi all'esistere, in tal caso, se non per ammettere che il bisogno di pensarvi dipende dal dovervi scorgere anche la forza del positivo... Questa può esser negata, dagli atei, per un dispetto. nel caso specifico da odio per il Dio degli eserciti. Qui si scorge ignoranza e confusione: la fede del popolo eletto, che non è la mia, è altro dalla fede della chiesa dei cristiani. Una fede collettiva, scambiata per individuale, lancia ombre sul senso, copre i significati. Nell'ebraismo si dice di una guerra per far prevalere Dio nella storia dei popoli, non di avidità di violenza; superando la violenza, entro una prospettiva che rimane assai terrena, tanto che l'aldilà è un regno di ombre comunitario. Lo Sheol è diverso dall'Ade, anche dal paradiso e inferno. Nel cristianesimo la salvezza non è quella per le opere terrene, dei popoli, ma la premessa per le giuste opere dei singoli; quindi la guerra è estrema, per non far prevalere il male nell'esistenza. Il Visechi crede nel male, e questo non è coraggio di accogliere il negativo che c'è, ma un lasciarsi ingannare e voler coinvolgere il prossimo in una magia nera intellettuale. Non significa intendere Kant che criticava la teodicea filosofica - quella teologica è sempre stata al riparo dalle critiche e l'opera di Leibniz con essa è una teologia filosofica, non viceversa (Leibniz non era un laico cattolico, ma un protestante con un còmpito per le chiese, oltre che scienziato e filosofo anche teologo puro). Lo stesso appello a Nietzsche diventa spropositato, giacché la sua polemica in ultimo si accaniva sul senso dei valori, smentiva ragionamenti alla moda e proponeva ragioni alternative, ma non costruiva falsi sillogismi né faceva dell'ateismo un fondamento. Esiste anche il Nietzsche politeista e le letture atee di sinistra non intendono l'interezza né il significato principale della sua retorica. Questo lo scrivo non per competizione logica, a mo' di filosofi analitici usciti fuori di senno, ma per svelare certi meccanismi di suddetto tentativo di magia, scoprendone gli elementi. Difatti non c'è solo il vagheggiamento assurdo ma anche possibili inganni che restano attivi.

Io non stavo facendo una conferenza sulla spiritualità, dicendo di un Assoluto. Si pensa riguardo allo spirito, ma nel senso di sostanza spirituale, non di un'energia isolata che sarebbe un nulla. Si dice di altra dimensione con parole analogiche.

Quel che è sfavorevole oltre misura nel tipo di risposte ricevute a nome di 'Visechi' è una ostinata attenzione in una continua incomprensione, ostinate illazioni e proiezioni. Nella Bibbia si parla di ossessi e indemoniati, anche di branchi di porci non solo di società umane. Forse uno come il Visechi è mosso nella sua reiterata attenzione dagli scherzi dei porci, quelli che lasciano una salma adatta a rovinare l'incauto mangiatore?... sicché tanta disumanità si spiega con l'accoglimento di altre suggestioni, oltre a quelle di coincidenze ultime negative? Non è il caso di pensare solo ai porci, sia ben inteso. Invece che scambiare l'ateismo per una base stabile del pensiero, si potrebbe da parte sua provare a conoscere le opportunità religiose da un punto di vista culinario, facendosi appropriate domande: "Mi rende così indisponente coi veri filosofi l'arrosto di maiale? E il pollo al forno? L'ottundimento nel quale mi compiaccio, deriva dal maiale, dal pollo, dal vitello...?" E  via dicendo così, senza star dietro ai credenti inutilmente.


MAURO PASTORE
#202
Questo pomeriggio su RaiUno a "La vita in diretta" un caso di presunto omicidio-suicidio.
Quella che doveva essere l'esperta faceva il ritratto del presunto colpevole, come se ci fosse un processo già chiuso con condanna, come se una (presunta) competente avesse strumenti assoluti di comprensione, in realtà mai disponibili per competenza. 
Il ritratto del protagonista, che si pensa avesse ucciso e poi si fosse ucciso: uomo geloso e disturbato, ovviamente in torto e da sottoporre a trattamento. Di ipotesi che la vittima gli avesse chiesto di essere uccisa, o che la gelosia di lui fosse provocata dagli inganni di lei: niente veramente. La verità che senza disturbi un assassino agisce soltanto meglio (è del tutto ovvio), che se si pensa a un disturbo deve venir meno l'accusa di omicidio e restare l'indagine per incidente... che gli incidenti accadono quando i limiti sono forzati, non a causa dei disturbi... l'etica di non sottoporre i viventi a trattamenti rendendoli passivi come oggetti inerti, che finanche i sassi vanno rispettati e meritano prudenza: niente davvero. L'idea veritiera che nessuna indagine psicologica tantomeno scientifica può stabilire dei fatti particolari, che nessuna scienza è decisiva nel ricostruire storie, tantomeno la psicoanalisi di un terapeuta od anche di chi medico: proprio niente.
Alla fine il lutto del conduttore era la vera sensatezza della comunicazione, al compirsi del discorso da tuttologa della presunta esperta, disgraziatissima promotrice di un folle positivismo su un canale della televisione di Stato.
Quante ipotesi si possono fare su un fatto, a voler essere davvero razionali? E che senso ha fingere che un caso singolo sia dominato da una regola presunta come generale e dedotta dal tentativo di affermare una superiorità morale della donna sull'uomo maschio? Difatti la tuttologa ragionava, in tutta evidenza, su questa base.
Anche dei pareri di intervistati comuni: i due 'si amavano'.  

Che ne penserebbe Socrate, che diceva del vantaggio della consapevolezza di sapere di non sapere? Tra i positivisti è in voga l'idea che sia espressione contraddittoria, come se il pensiero umano non sia anche multidimensionale.
L'uomo a una dimensione, peraltro, non sempre è un personaggio letterario prepotente. Se accade tanta violenza contro la saggezza, bisogna chiedersi quale volontà anima questi sedicenti esperti tanto illusi, disastrosi e malevoli.


MAURO PASTORE
#203
Citazione di: Visechi il 29 Dicembre 2024, 20:16:39 PMQuasi disperavo e, disperando, stavo per abbandonare desolato questa discussione. Ma talvolta i miracoli si verificano proprio quando non te li aspetti più. Ero stanco dell'inutile Ping-pong intorno alla trascendenza, al trascendente ed al trascendentale. Opportunamente sollecitato, finalmente un intervento davvero pregevole, seminale e preannuncio (non mi smentire, non ti smentire) di una fertile chiacchierata. Confesso, stavo per rinunciare a leggere l'ultimo commento... mi sarei perso davvero qualcosa di apprezzabile e piacevole, al tempo stesso.
Non sono ironico!
Io scrivo con spirito militante, non trovando piacere nelle tue repliche ma nel replicarvi. Constato in esse una solenne superficialità, quindi delle interpretazioni sbagliate delle mie parole, cosa che è la norma in casi come questo (purtroppo), oltre che una grande attenzione al lato negativo dell'esistenza, condotta però anche fino all'ossessione e a continue illazioni.

Citazione di: Visechi il 29 Dicembre 2024, 20:16:39 PMTralascio l'intera sezione riconducibile alla stenta polemica di "chi ce l'ha più lungo e duro", troppa noia. Per immergermi completamente nei pregevoli passaggi che riporto e commento:
"In verità ciò che la vita è non può ridursi a ciò che un cadavere è. Questa mia affermazione non conferma il dogma materialista, ma è nondimeno un empirismo. Però basta a quel poco che serve, quando serve. Dico cioè che l'esperienza della vita non induce a credere alla morte assoluta, anzi dimostra che qualcosa resta. Kant, campione del pensiero filosofico detto accademicamente contemporaneo, lui che l'empiria la praticava, la accettava e ne valutava i limiti, era un sostenitore dell'immortalità dell'anima. Certo, la scienza biologica arriva solo a un confine. Ma l'ermeneuta ci mette pochissimo per collegare l'osservazione biologica-scientifica dell'incommensurabilità corpo vivo - corpo morto all'affermazione della metafisica della morte."


Non mi interesso più di tanto di quel che poteva sostenere chicchessia sul tema in argomento, mi interessa molto di più ciò che hai da dirmi tu su questo tema. Scorgi nella morte i segni di una ulteriorità che io non vedo, essendo coinvolto nell'osservazione della dissoluzione della materia, unica sostanza che – a parer mio – la morte lascia emergere. Non trovo i segni dell'oltre, men che meno scorgo quel che con intelligenza emotiva (questa volta sì, porca miseria) sei riuscito ad esprimere tu. È il percorso di vita, l'intera esistenza che non autorizzerebbe a scolorire o cancellare l'oltre che compete all'essere, anche e soprattutto dopo la morte. Ti chiedo, a questo punto: se così è, avendo espresso questo piacevolissimo concetto, come puoi sostenere al medesimo tempo e nello stesso commento, solo poche righe prima, che "Suicidio razionale può essere restare in nave per salvare quanta più gente possibile secondo il proprio còmpito di capitano; ma se si tratta di turisti non rispettosi della natura e pure criminali? Varrebbe la pena sacrificarsi? A fronte del vaneggiamento ateo intollerante non vale essere disponibili, ma dare dei no."? Rabbia? Intolleranza rispetto al prossimo non credente? Quasi ti sfugge l'abominio di equiparare un ateo ad un criminale... anzi, proprio ti sfugge, senza il quasi. Tu intravedi nell'esistenza un qualcosa che proietta l'essenza in un dopo ultraterreno, cosa che per me è solo frutto della necessità di trovar conforto e acquietare l'angoscia esistenziale che coglie chiunque dovesse meditare sinceramente sull'esistenza e la sua vacuità. Questo diverso angolo visuale non autorizza nessuno dei due ad imputare all'altro deficienze o tendenze criminogene di sorta. Cosa ti spinge a farlo? Insicurezza? (Qui è sfuggita a me la scorrettezza di personalizzare).


Non dicevo di segni di ulteriorità, ma di non-segni di non ulteriorità. Tu cerchi nel percorso di vita, nell'intero essere, "i segni dell'oltre", ma dipende da uno come sceglie di farlo, il percorso, a cosa uno decide di dare il proprio intero (non totale!) essere.
Se uno sceglie la via dell'intolleranza, se si mette a smentire comunicazioni necessarie per la vita, inutile domandarsi come mai riceva rifiuto e rabbia. Il potere dell'ateismo intollerante, insinuato nelle speranze socialiste, dal secolo XIX fino al XX ha fatto moltitudini di vittime, anche morti, ed attualmente resta ostacolo mortifero. Le lagne sono dentro anche ai sistemi sanitari degli Stati, per cui certe vitalità e ottimismi sono trattati da psicosi e la cittadinanza ne patisce, problema che si risolve smascherando e punendo gli intrusi, senza generare accanimento sulle vittime. L'insistenza di certe smentite atee a supporre indebitamente patologie, psichiche, fisiche, psicofisiche in chi si sta smentendo ha un versante delittuoso.


Citazione di: Visechi il 29 Dicembre 2024, 20:16:39 PMUn pensatore, non troppo tempo fa, sosteneva che: "vi è soltanto un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia. Il resto viene dopo."
Chiudeva il suo saggio affermando: "Ma Sisifo insegna la fedeltà superiore, che nega gli dei e solleva i macigni. Anch'egli giudica che tutto sia bene. Questo universo ormai senza padrone, non gli appare sterile né futile. Ogni granello di quella pietra, ogni bagliore minerale di quella montagna, ammantata di notte, formano, da soli, un mondo. Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice". È un po' la filosofia del viandante, che si concentra sul viaggio, non sulla meta, e trae gioia e le ragioni del suo camminare ogni volta non dal traguardo, ma dalla strada percorsa, che rappresenta anche il vero senso e la ragione di cui è impregnato l'inesausto suo 'errare' (leggilo pure nella sua doppia accezione). Il succo gustoso che puoi suggere dalla Vita, il senso e il significato che ne attingi e, al tempo stesso, le rendi sono tutti inscritti ed incisi in quell'unico segmento che è sospeso fra due totali assenze, due Nulla. La vita è un'escrescenza momentanea dell'assoluto Nulla. Ma tale consapevolezza, non è un viatico per immaginare un ateo che rinunci ad immaginare Sisifo felice.

"Non c'è dubbio che l'esistenza precede l'essenza... ma gli esistenzialismi che negano tout court l'essenzialismo non recano più minima saggezza sufficiente per filosofare. I testi di tal 'Visechi' in questa discussione sono questo: esistenzialismi-antiessenzialismi radicali fino alla non-filosofia; il loro potere sofistico, quando c'è, va neutralizzato (io l'ho fatto, nella fattispecie)."
 Qui sbagli! La consapevolezza del fatto che l'esistenza precede l'essenza, tipica del pensiero di Sartre, non nega l'essenza, la quale prende forma e consistenza, colore e calore solo in virtù e dipendenza della particolare modalità di essere nel mondo. In sintesi, l'essenza si costruisce attraverso le esperienze ed in funzione delle scelte e del proprio impegno nella vita. È frutto di sé stessi. Siamo scaraventati nel mondo e costretti a vivere la vita. Perciò l'essenza ha più importanza dell'esistenza stessa, perché è frutto della libertà dell'essere, è un suo costrutto, un suo ordito, una sua architettura, e ciascuno è quel che ha determinato per sé stesso. È ciò, fra l'altro, che massimamente esalta l'etica della responsabilità; una ben diversa modalità di partecipare all'esistenza di quella proposta dal cristianesimo, che, delinea un percorso che già in partenza è gravato di una colpa d'origine, da qui l'esigenza del perdono, che svuota di consistenza e rilevanza la responsabilità e l'agire, che, manzonianamente (fai tesoro della critica gramsciana), è sempre determinato e 'voluto' dalla provvidenza. Due visioni, due modi di porsi di fronte all'esigenza di vivere... senza rinunce, nell'un caso come nell'altro. Con la differenza che nel primo caso la partecipazione è determinata in funzione della libertà personale, nell'altro caso si tratta di una determinazione esogena. Ed essendo tale, anodina e non pienamente partecipe delle vicende umane.



Che dire del Sisifo di Camus? Il mito può essere rifatto, secondo una autentica poièsi, oppure se ne può fare una versione spuria. La fatica di Sisifo quale immagine universale e esistenziale funziona se i sassi che si è condannati a lanciare dopo puntuali cadute sono i còmpiti della vita, ma in una visione da incubo. Fosse tragedia reale, allora non varrebbe la pena di vivere.
Io dicevo di metafisiche della morte, della nascita... ma il problema filosofico par excellence diventa proprio il suicidio solamente per coloro che non hanno prospettive esistenziali libere: nella storia del Secolo XX risalta la vicenda di tanti ambienti sociali atei, illusi di costruire un mondo migliore senza Dio, che finirono a valutare con travaglio il proprio fine-vita. Non tutti vollero però essere coinvolgenti, si badi.
Su Sartre, io non ho bisogno delle tue lezioni. La interpretazione che tu ne dai si fonda su un'idea eccessiva della arbitrarietà. Invece il nostro esistere determina il nostro essere secondo un'Origine, con i nostri limiti e secondo natura non solo cultura.  Nel senso che tu intendi, non siamo "scaraventati nel mondo", ma messi al mondo secondo un ordine, cosmoantropologico; da cui tu esuli - ed esulandone è inutile costruire teorie sulla non esistenza di un'origine trascendente.
Quanto alla vera dottrina cristiana, non dice di colpe di partenza né attribuisce a tutti la trasgressione di Adamo.


Citazione di: Visechi il 29 Dicembre 2024, 20:16:39 PM"Il termine di paragone della obiezione atea è un sogno irrealizzabile che fa apparire indegna la vita e la stessa sua Origine, sogno che sembra soltanto, bello. Ma se c'è direttamente un inganno, vale la prospettiva cristiana. Se tal sogno ha un suo potere esterno, che supera le umane capacità, vale la fede cristiana, il vivere assieme a Dio quando umanamente è impossibile altrimenti."
Non ti nascondo il mio apprezzamento per questo pensiero. Ma ciò non mi impedisce di rilevare, ancora una volta, una gradevolissima istanza dell'anima di trovar conforto; di desiderio di quietare quel che nel profondo ribolle. Non nutro dubbi che sia un abbraccio caldo e confortevole, quel che descrivi, ma ho sensate ed enormi riserve che si tratti di qualcosa di 'Vero' e non solo sognato. La tua pare la descrizione, piacevole – perché non riconoscerlo? -, di un desiderio. Poni la condizione che "ci sia un inganno', non ti sottrai, parrebbe, alla possibilità che abbaglio non sia. Subito dopo, senza cesura, compi un balzo che non è argomentato (non potrebbe esserlo), affermando che 'vale la fede cristiana'... ovviamente, solo se inganno ci fosse. Io sostengo che non c'è, tu sì: dimmi perché dovrebbe essere più credibile ciò che si sottrae pienamente e tenacemente all'esperienza a scapito di ciò che è più immediato?
"Io gli avevo già fatto l'esempio del vero itinerario leopardiano: nella scoperta finale del potere consolatorio delle illusioni (poetiche), cade il veto su Dio Creatore, perché nel mondo c'è pure la facoltà poetica."
Pur cogliendo in maniera corretta il valore consolatorio che Leopardi attribuiva all'arte poetica, quindi all'arte tutta, e pur avendone registrato la funzione illusoria, ti perdi nel derivarne arbitrariamente ed in maniera incongruente l'esistenza di Dio. Non fare torto a te stesso. Questa correlazione probatoria dell'esistenza di Dio dalla scoperta della poesia, fa torto a tutto ciò che finora hai sostenuto: talvolta con spocchia, altre volte in maniera irrelata, oggi piacevolmente. Analogamente, la nozione del Male autorizzerebbe a far "cadere il veto su Dio Creatore, perché nel mondo c'è pure il Male".
Inoltre, ti faccio notare che, nel tuo asmatico trasporto patrocinatore, non ti avvedi che con evidente chiarezza Leopardi, se di Leopardi vuoi trattare, parla di finzione, di illusione, di messinscena e mistificazione. Non puoi desumerne, dunque, un diverso itinerario se non quello del pessimismo o, quantomeno, della negazione di un oltre divino, che non nega o ricusa la Trascendenza, anzi arriva addirittura ad esaltarla (per carità, non torniamo su questa nenia, ho visto che non sei in condizione di uscire dalla confusione).


Tu parli di abbracci consolatori cui il credente si abbandonerebbe, dici di non scorgere inganni da cui fuggire, cerchi argomenti per la fede... Innanzitutto è la vostra concezione da incubo ad essere una illusione; la coltivate perché non avete capito fino a che punto il negativo nel mondo può essere oltre le nostre forze e il nostro arbitrio e ci scherzate. Pensi Sisifo senza scorgerne la saggezza del mito, che non dice dell'esistere ma di una via da non prendere per non finire nella inanità. La saggezza del mito allude a una trascendenza assoluta, al divino, invita a cogliere la bellezza divina dietro la natura, anche per contrasti, suscitando l'incubo per instillare prudenza e altre visioni serene. Sisifo non è immagine dell'Uno, di Dio stesso, ma un suo riflesso, di un suo terribile avviso. Ciò è utile a fronte di un universo in realtà imprevedibile in massima parte. Il ricorso alla fede nel Dio singolo ed in particolare cristiano vale quando la saggezza del mito non basta. L'argomento? Non c'è un argomentare originario: chi ama la vita si trova a fronte, prima o poi, di un Mistero; e quel che è necessario fare, o lo si fa o è non-vita.
Non hai compreso il mio ragionamento circa la cosiddetta "religione delle illusioni" di Leopardi. Io non stavo derivandone l'esistenza di Dio, ma la confutazione dell'inesistenza di Dio. Se è bella la poesia a fronte dei guai del mondo, non c'è ragione di negare il Dio creatore.
Invece di supporre asme dell'interlocutore, provate voialtri a capire meglio i pericoli del mondo senza interferire su comunicazioni necessarie e senza attacchi indèbiti e mascherati alle prudenze o precauzioni necessarie.

Infine: non è opportuno accantonare i ragionamenti sbagliati su trascendenze, trascendentalità e non, prima di risolverli. Giocare con queste nozioni ateisticamente fino al nichilismo è contraddittorio, illogico, e l'intollerante che scantona non ha dalla sua né ragioni né sentimenti; lo prova l'abbandono degli stessi ragionamenti, da parte sua, mentre il suo compiacimento per l'incubo esistenziale dimostra un disamore per la vita, non la consapevolezza e difesa dal male.


MAURO PASTORE
#204
Citazione di: ricercatore il 30 Dicembre 2024, 11:37:41 AMNietzsche al contrario lo vedo, paradossalmente, come una figura in grado di dare uno scossone alle coscienze cristiane.
La sua critica al cristianesimo, complessa ed articolata, mette in risalto molte delle ipocrisie di questa religione (addirittura quelle stesse ipocrisie denunciate da Gesù).

Ad esempio, l'uso dell'umiltà come arma per sentirsi superiori agli altri.
Porgere l'altra guancia non perché sento un "noi", ma per dimostrare all'avversario di non volermi abbassare al suo livello.
L'idea del Paradiso come un traguardo personale ed egoistico da raggiungere, compiendo "buone azioni" così da accumulare punti per la beatitudine finale; aiuto l'altro non perché mi interessa di lui, ma perché mi interessa di me e della mia salvezza.
Il desiderio di vendetta soddisfatto dall'idea di vedere i malvagi bruciare all'Inferno.
L'idea di un Aldilà per fuggire da questa vita, sminuendo e non apprezzando così il suo valore.
E così via, penso siano molti gli spunti che la lettura dell'Anticristo possa suscitare nelle coscienze.

Il problema di Nietzsche sta nel fatto che per poter superare la Morale e la Legge come il suo superuomo avrebbe dovuto fare, bisogna prima aver raggiunto una maturità psicologica/spirituale tale da aver compreso che c'è altro oltre il proprio "Io" (chi lo chiama Dio, chi lo chiama Sé, chi lo chiama Inconscio, chi lo chiama Mistero,...).

Dal Codex Bezae:
Quando, quello stesso giorno, [Gesù] vide un uomo lavorare di sabato, gli disse: "Uomo! Se sai cosa stai facendo, sei benedetto! Ma se non lo sai sei maledetto e trasgressore della legge. "
La tua replica manca di individuazione opportuna di religione e fede cristiane. Voglio dire: non è la coscienza cristiana che merita uno "scossone", ma la leggerezza di tanta parte della cristianità. Il fenomeno che tu descrivi non è cristiano e quei credenti in Cristo che accolgono gli errori che tu dici non vanno criticati per la loro fede ma per la corruzione del pensiero.
Bisogna andare oltre le idee positivistiche del secolo XIX, cui Nietzsche contraddittoriamente inclinò dopo aver fatto lui stesso critica del positivismo. In merito al superamento dell'egocentrismo, si dovrebbe specificare in forza di quale principio. Assoluto, relativo? Collettivo, singolare? L'ego può esser ricondotto ai propri limiti secondo varie modalità in riferimento a varie situazioni. Non esiste solo la integrazione nel collettivo, esiste anche il recupero della propria singolarità, non solo la psicologia degli archetipi ma pure quella umanistico-esistenziale.
Il superomismo nietzschiano è interpretabile transpersonalmente, considerando l'essere umano quale vivente tra i viventi. Ciò ha una sua validità e anche i suoi limiti, infatti è un essenzialismo che se usato a sproposito conduce a negare la propria singolarità, come si nota nel cosiddetto transumanesimo, ove il confine tra materia inerte e biologica, Io e altro, è occultato.
Non bisognerebbe dimenticare la tragica vicenda di Nietzsche durante e dopo la sua svista anticristiana, è opportuno a riguardo considerare le scoperte filosofiche di Kierkegaard senza confonderle con le piccolezze della sua condizione o le mediocrità della sua situazione. Entrambi ebbero una vita difficile, più ancora il danese ma per vicende difficili, mentre i guai dell'altro dipesero dalla sua pretesa eccessiva. La distinzione tra il Singolo e la Folla fatta da Kierkegaard e l'affollarsi culturale, entusiastico, distratto, ingenuo, attorno al pensiero anticristiano di Nietzsche, la dicono lunga.

MAURO PASTORE
#205
Citazione di: Visechi il 04 Dicembre 2024, 22:15:05 PMFosse così non ci sarebbe niente di male, io ho invece la netta sensazione che metta tutti i vocaboli - verbi, avverbi, sostantivi, articoli determinativi e non, punteggiatura - dentro un grande cilindro e poi li estragga a sorte, confidando nel fatto di aver scritto qualcosa di talmente nebuloso da poter apparire misterioso e degno di sacro rispetto. Purtroppo (per lui), si rivela spesso come un inutile non incantevole bluff... parole a caso
Considerando la serietà di contenuti e la rigorosità delle espressioni che ho usato nei miei messaggi, questa tua notazione è disastrosa per il prossimo, e tu sei già in un disastro che non abbiamo inventato noialtri.
Forse un po' di stile inattuale non era, non è opportuno? Se le convenzioni attualmente imperanti non funzionano, meglio lasciarle perdere, anche perché la sorta di esperanto culturale voluto da una certa politica ed intellettualità non solo non funziona ma crea incomprensioni. Nessuno che ami la vita vi sta ringraziando per questo. 

MAURO PASTORE
#206
Citazione di: iano il 04 Dicembre 2024, 21:56:19 PMMa così corri il rischio di parlare una lingua che nessuno più comprende, ed in effetti sembra che tu ti parli da solo in una lingua d'altri tempi.
Chi non la comprende, non ha a disposizione la vera scienza e la immensa associazione di intellettualoidi che si è creata non è ancora tutto, illusioni marxiane e marxiste a parte.

MAURO PASTORE
#207
Citazione di: niko il 22 Dicembre 2024, 10:30:58 AMSi vabbe', per conciliarli bisogna ridurli entrambi a due sentimenti religiosi vaghi, senza niente di concreto...

Quando si va un minimo nel concreto, non sono compatibili. Pure nel buddismo, la serie delle reincarnazioni e' il problema, e la sua sospirata fine, la soluzione.

Pero' nel cristianesimo una vita umana finisce o definitivamente bene o definitivamente male, (paradiso o inferno; con il purgatorio che e' solo di passaggio, e che contiene solo anime salve) nel buddismo il massimo "male" possibile in cui puo' avere esito e termine una singola vita umana e' solo la reincarnazione stessa, che non esclude, per quella stessa anima, una illuminazione, successiva, e quindi che non e' una condanna, definitiva.

Poi, in questi tempi buonisti e col papa moderato, ci sono pure i "cattolici ottimisti", che pensano che l'inferno esista ma sia vuoto, (pare che sia obbligatorio solo pensare che esista, l'inferno, come possibilita', ma non che esista e che contenga almeno un'anima) forse, per mettersi a pari coi buddisti, non so, e non mi interessa piu' di tanto.




Tu, come tanti altri, trasformi il dogma su Dio, che è affermazione misteriosa, non definita categoricamente, in un dogma sulla religione, il quale è illusorietà; quindi intendi le religioni in base alle consuetudini (anche di pensiero) che contengono, separandoti dai veri significati che culti e riti e dottrine posseggono. Così nomini convenzioni, non veramente buddhiste, non veramente cristiane, ma solo praticate da molti buddhisti e molti cristiani, e le metti al posto dei veri contenuti dottrinali.
Non c'è dubbio che esiste una grave invadenza ai danni delle autentiche religioni e che spesso è difficile raccapezzarsi, che anzi ci si trova addirittura sotto attacco quando e mentre si vuol capire; ma non bisogna assecondare il mal comune.

MAURO PASTORE
#208
Citazione di: Visechi il 27 Dicembre 2024, 20:38:37 PM"Mentre mi chiami ignorante, attui un tentativo di affermazione che è impossibile..."
Non ti definisco o ritengo ignorante, rileggi con minor animosità. Io, in effetti, ritengo tu sia in malafede, proprio perché non penso che ciò che ti ho già scritto più volte possa da te essere frainteso fino a questo punto. Erigi barricate ricorrendo a concettualizzazioni e filosofemi cui oramai – ben si vede – sei profondamente affezionato; impastoi le tue – forse esistenti, ma non emergenti – capacità di analisi razionale e sensibilità emotiva, soffocandole sotto una coltre di dogmi che, sì, lo credo, ti affrancano dal terrore ma non fanno onore al verosimile, unica verità che ci è concessa.

Il Nulla non è presenza, e ci mancherebbe altro, ma è proprio questa assoluta assenza di tutto che reperisci in quel fondo abissale trascendente che abita il nostro essere.
Sola nel mondo eterna, a cui si volve
Ogni creata cosa,
In te, morte, si posa
Nostra ignuda natura;
Nient'altro che Nulla incontri. Ovverosia, spiegato a te che fingi di non capire, la Morte è la conclusione, la fine, la dissoluzione di tutto e l'eventuale e residuale speranza dovesse permanere, altro non sarebbe che l'ipostasi dell'indomito desio che Nulla finisca e tutto si rigeneri, resusciti – per dirla con caratteri cristiani -, perché l'animo, essendo un campo di battaglia, offre ostello all'un senso ed al suo opposto, al senso del Nulla, della Morte (tangibile ed innegabile), della dissoluzione ed alla Speranza, priva di fondamento, sostengo io, che la Morte possa essere solo un transito etc...
Noi ed ogni singola esistenza altro non sono che brevi interruzioni di essere che si interpongono fra due assoluti Nulla. Essendo, il nostro esistere, fondato sul Nulla, è Nulla anch'esso.
Concordo: "un relativismo assoluto è auto contraddittorio", ma così è! Ed è la vita stessa ad essere pregna e ridondante di autocontradditorietà. L'esistenza è antinomica, ma lo è in misura uguale e contraria alla pretesa del cristianesimo che ha il suo fulcro nella risurrezione, nella morte di un Dio in croce (credo perché assurdo). Non puoi ricusare una filosofia perché autocontradditoria e poi sostenere le antinomie del cristianesimo, sarebbe autocontradditorio già l'atto stesso.
Non cercare violenza in un contraddittorio, o meglio qualsiasi confronto dialettico reca con sé un nucleo decisorio, quindi violento; ogni asserzione è un po' anche un imporre; non è un porgere fra mille inchini e mielosi salamelecchi, ma è un esibire con determinazione, talvolta intransigente, talaltra indulgente. Non lagnarti di quel quid che è naturale ed insito in un confronto. Piuttosto, è ben diverso e assai stucchevole il tuo reiterato vano tentativo di personalizzare la discussione, di emarginare il dibattito impersonale per favorire l'accusa ad personam. Infatti, non ti esimi dall'individuare ed additare 'avversari', 'colui che si difende', nel tuo reiterato tentativo, appelli e richiami l'attenzione di un immaginario pubblico, che veda, legga, censuri e magari prenda pure posizione. Stai sereno, non ho alcuna intenzione o voglia di vincere il concorso di filosofia ove tu pare sia un assiduo frequentatore e partecipante. Ribadisco non ne ho voglia, non sono disponile a seguirti su questo versante... mi annoierei oltremisura.

Speranzoso d'esser riuscito a rintuzzare o disincentivare definitivamente questa tua tendenza alla personalizzazione, proseguo rassicurandoti su un altro tema da te accennato ma, che se opportunamente sviluppato, si rivelerebbe assai proficuo ed interessante: il tema del Male.

"Poiché io, tra il resto, ho cercato di additare che il tuo discorso è allineato finanche sulla giustificazione di alcuni delitti, compresi quelli di Stalin e stalinisti, voialtri tirate fuori la falsa patologia..."

Per quanto mi riguarda nessuna falsa e neppure verace patologia nel manifestarsi del Male nelle faccende umane.  Il Male non è la patologia dell'esistenza ma è suo ingrediente originario e costitutivo. Il Male ha una sua natura, una sua consistenza e il suo esserci ascrive a Dio la piena responsabilità di aver voluto una creazione monca, difettata ab origine.
Ma questo è davvero un altro delicato, complesso argomento che meriterebbe un thread dedicato e non può che essere affrontato nell'ambito di altra discussione.


Questa risposta di "Visechi" insiste col vaneggiamento su riferimenti personali, in realtà inesistenti. Io continuo a scrivere, riconoscendo un valore esemplare alle risposte di Visechi, non per rivolgermi alla sua persona.

Non io personalizzo, noto semmai che Visechi ami la personificazione della morte. E' naturale che un nichilista estremo fino al canto ami in realtà una rappresentazione e non la morte stessa.

Come sempre, l'ateo intollerante scantona assai. Alla mia protesta contro il suo inane oltre che importuno patologizzare, ecco una specie di sermone sul male. Non è vera la compenetrazione fatale tra male e patologia. Chi ritiene l'universo in difetto e impossibile l'esistenza di Dio, sta vivendo oltre che un triste errore anche un suo patos. Distinguendoli, si scagiona il patos e si tramuta la passione smodata davanti alle nullità in una vertigine positiva, restando l'errore nudo... e se si vuol protrarlo, è scelta manifesta di non-vita! La filosofia non aiuta come il lettino di un terapeuta; essa può usare logiche penetranti che mettendo a nudo l'anima dell'interlocutore con sé stessa, gli impediscono di farsi vittima. Non si aiuta così a ristabilire condizioni, ma a rendere inattive opportunità maligne. Ciò è impossibile allo psicologo, il quale anzi ha uno strumento che, in assenza di altre prospettive e accentrando l'attenzione, può essere modo per una eutanasia. Questa non sempre è saggia. Il suicidio razionale di cui disse Plotino è altra cosa, ma anche in tal caso ci vuole cautela: se la filosofia è aperta o discende direttamente dall'àmbito dell'Assoluto, essa è sicura (relativamente); altrimenti si rischia di fuggire il miracoloso o prodigioso per una morte ingiusta. Io comunque non sto suggerendo l'ipotesi di morte. Suicidio razionale può essere restare in nave per salvare quanta più gente possibile secondo il proprio còmpito di capitano; ma se si tratta di turisti non rispettosi della natura e pure criminali? Varrebbe la pena sacrificarsi? A fronte del vaneggiamento ateo intollerante non vale essere disponibili, ma dare dei no. Non assecondare terminando il proprio tempo, ma smentire utilizzando il proprio e per il prossimo. Il natante affondi pure assieme a chi impreca sul fasciame marcio invece che imparare a nuotare. Certo non è il medico che può interessarsi di suicidi. Guarire da una malattia può essere motivo di passione per la vita ma non sempre; si registrano casi contrari, di persone paurose della vitalità. Lo stesso ateismo a oltranza è questo, paura per la vita in tutte le sue forme; e la malattia non è una volontà sbagliata, semmai può inibire il volere, il che è diverso. L'ateismo vale se episodico e non fondante.

L'interlocutore ateo trova ovvio che la morte sia fine di tutto, la vita un frammento di essere sospeso tra due nulla assoluti, l'essere stesso una nullità... nullità in confronto di cosa? Io consigliavo il non-teismo, in particolare ci sarebbe il buddhismo, per dire che non è il vero essere a valer nulla. Il termine di paragone della obiezione atea è un sogno irrealizzabile che fa apparire indegna la vita e la stessa sua Origine, sogno che sembra soltanto, bello. Ma se c'è direttamente un inganno, vale la prospettiva cristiana. Se tal sogno ha un suo potere esterno, che supera le umane capacità, vale la fede cristiana, il vivere assieme a Dio quando umanamente è impossibile altrimenti. Non è il caso dell'ateismo intollerante, che non è vittimario ma vittimizzante. La religiosità vale perché è una pratica concreta in contatto con l'Essere assoluto, che impedisce al negativo di trionfare tramite le parzialità del relativo.
L'interlocutore ateo pensa ovvio che la morte sia fine di tutto - nonostante Visechi avesse prima detto di risurrezione e rinascita, le negava poi - perché è materialista. La sua logica: "non lo vedi? non li vedi i cadaveri, le dissoluzioni, disintegrazioni?" In verità ciò che la vita è non può ridursi a ciò che un cadavere è. Questa mia affermazione non conferma il dogma materialista, ma è nondimeno un empirismo. Però basta a quel poco che serve, quando serve. Dico cioè che l'esperienza della vita non induce a credere alla morte assoluta, anzi dimostra che qualcosa resta. Kant, campione del pensiero filosofico detto accademicamente contemporaneo, lui che l'empiria la praticava, la accettava e ne valutava i limiti, era un sostenitore dell'immortalità dell'anima. Certo, la scienza biologica arriva solo a un confine. Ma l'ermeneuta ci mette pochissimo per collegare l'osservazione biologica-scientifica dell'incommensurabilità  corpo vivo - corpo morto  all'affermazione della metafisica della morte.
Il pensiero contemporaneo ha affermato l'esigenza di una metafisica della nascita, per via di filosofe donne, più o meno femministe. Nulla da ridire all'intervento e alla sua sostanza, purché non lo si usi per rimuovere il fenomeno del morire (come purtroppo è stato disastrosamente fatto)... Questo è materico, cioè parziale, mentre il nostro essere è psicofisico... E non si fa a meno del pensiero dell'energia neanche per il regno minerale. I metafisici dicono di essenze eterne. Non c'è dubbio che l'esistenza precede l'essenza... ma gli esistenzialismi che negano tout court l'essenzialismo non recano più minima saggezza sufficiente per filosofare. I testi di tal 'Visechi' in questa discussione sono questo: esistenzialismi-antiessenzialismi radicali fino alla non-filosofia; il loro potere sofistico, quando c'è, va neutralizzato (io l'ho fatto, nella fattispecie).

Visechi vorrebbe addirittura aprire un thread apposito per dire di "creazione monca, difettata ab origine". Io gli avevo già fatto l'esempio del vero itinerario leopardiano: nella scoperta finale del potere consolatorio delle illusioni (poetiche), cade il veto su Dio Creatore, perché nel mondo c'è pure la facoltà poetica. Per questo il Leopardi tragico dello Zibaldone non è filosofo; lo è quello sobrio e discreto dei Pensieri; e il vero esito della sua poesia è ne Il tramonto della luna: enigmaticamente. Invece il Dio poeta e il mondo sua scena poetica, con tutto quanto di ingiudicabile recato da tale visione, ciò vale come spunto concreto di riflessione. Se eleggiamo l'Assoluto come riferimento, come facevano i contemporanei di E. A. Poe, allora è Dio il vero artista. Sennò, Dio è un artista diverso da noi. Quindi: Oserà la creatura rimproverare per davvero il suo Creatore? In che senso i lamenti atei sono sinceri?

Si dice che Leopardi fosse il poeta preferito dagli adolescenti, nei momenti di incomprensione della nuova vita adulta davanti a loro. I fascisti lo indicavano idolo dei comunisti atei, buoni solo a lamentarsi. Durante il Rinascimento erano noti i piagnoni, ai tempi del Savonarola, ma erano soggetti alquanto diversi. Quando ero al Liceo era un poeta sotto attenta osservazione, oltre che dai preti moralisti, anche dal mondo malavitoso. Certi che si innamoravano dei suoi canti venivano sottoposti a degli scherzi: 'se a questo lo mettiamo con mezzo sedere da fuori in una piazza, resta pessimista?' Certo la poesia eleva: il malvivente può farsi con essa goliarda, ma assolutamente non si scambi questo esempio per un invito a non rispettare pudori e volontà di occultamenti - i vestiti sono anche questo, occultamenti. Comunque io scrivo a favore di chi ingannato e non sto avviando delle questioni senza fine contro chi a torto si illude.


MAURO PASTORE
#209
Tematiche Filosofiche / Re: Psicoanalisi
27 Dicembre 2024, 13:52:45 PM
Citazione di: green demetr il 18 Dicembre 2024, 22:45:46 PMLa metodologia analitica Freudiana comporta una presa di coscienza della propria soggettività nè più nè meno che in Jung.
La fase medica è solo quella degli inizi, quando tentava di capire l'eziologia della nevrosi a livello dell'apparato centrale nervoso.
La funzione di scarico della donna (orgasmo), veniva presa a modello di pazia, perchè eravamo ancora in una fase di profondo disprezzo della donna.
Ma Freud si distanziò dal suo maestro Bleuler, quando cominciò a indagare i sogni.
Trovò negli stessi, qualcosa della resistenza (resistenza all'orgasmo), nella libera associazione delle forme oniriche.
Trovò cioè una corrispondenza non di carattere meccanico.
Nel sogno infatti lo spazio tempo viene a crollare.
Non so se ti è mai capitato mentre di analizzavi (sempre ammesso che qualcuno al giorno d'oggi lo faccia) ti fare sogni che duravano mezz'ora, e invece al risveglio erano passati solo 5 minuti.
E' una cosa che mi è successa, e devo dire che sebbene l'avessi già letto nel compendio sui sogni, mi ha lasciato interdetto per un paio di ore.
Freud parla anche di sogni premonitori, portando casi clinici, e letterari a documentazione.
La scienza di Freud non è una scienza perfetta. Lo è solo il suo metodo.
Ma non ha nulla a che fare con le mappe cerebrali degli studi psichiatrici.
Anzi è un metodo che funziona per aggiungimento, i cui dettagli, i cui flussi sotteranei sono da analizzare con cura.
Opera eminente del pensiero che pensa se stesso.
Non la sua materia grigia (o bianca che sia).
Mi pare veramente ingiusto che continui a parlare di un Freud "medico", quando è evidente che era qualcosa di molto di più.
Lo stesso Freud sperava che Jung portasse al metodo quel materiale in più, che avrebbe aiutato nella ricostruzione di un soggetto centrato alla sua di verità.
Il rapporto Jung Freud non mi è chiaro, come non mi è chiaro quello che ebbe con i suoi amici e allievi.
Per come sono messo con gli studi ora. Posso solo riconoscere della macrocategorie.
Quella di pedante medico psichiatra è una delle peggiori che viene attribuita a Freud, ed è peggiore perchè è assolutamente fuorviante.
A volte faccio fatica a capire, come si faccia ad avere simili letture, quando anche ad una prima impressione, gli scritti parlano d'altro!
Ma va bene, prendo atto dell'ennesimo errore di pensiero e mi taccio.
Sulla questione che Jung cerchi una centratura del soggetto, non mi dice niente di nuovo rispetto a Freud.
Grazie lo stesso per la risposta che ci hai dato, un pà di carne al fuoco l'hai portata.
Bene.
Ciao!

Non mi è chiaro se le affermazioni dell'utente del forum "green demetr" sono volontariamente o involontariamente confusive. Di fatto sono confusive ai danni di tante mie affermazioni preziose. In questa discussione io ho stigmatizzato e rifiutato la prospettiva neurologica praticata ad oltranza e a torto da S. Freud e da chiunque altro nella stessa illusione e prepotenza, non ho parlato di un S. Freud psichiatra.

Nella sua risposta lei, "green demetr", tentando di utilizzare il metodo della petitio principii il quale è insostenibile nel valutare e distinguere valori scientifici, elenca delle falsità, la cui principale e determinante è l'illusione che S. Freud, durante la sua ricerca sui sogni, non fosse prigioniero di una fantasia meccanicistica, trasposta nella stessa terapia.
In questa discussione io ho detto (tra il resto) della distinzione tra psichiatria e neurologia, della improprietà dell'uso neurologico, tanto in voga, per le malattie mentali (qualcuno giustamente portava informazione che lo stesso Stato ha accolta tale distinzione), del fatto che si trova vera consistenza psicoanalitica nell'opera di Anna Freud, non di Sigmund Freud, e del fatto che la psicologia analitica iniziata da C. G. Jung può valutare la dimensione psicoanalitica di S. Freud, non viceversa; inoltre dello scarto che il pensiero psicoanalitico postfreudiano deve attuare per avere reale concretezza.
Ho detto più volte - in ordine al principio di questa discussione - di Sigmund Freud quale semplice antesignano, scienziato ricercatore interdisciplinare, non quale creatore di psicologia o del metodo psicoanalitico propriamente tale, giacché entrambi hanno proceduto in indipendenza e parallelamente e Freud era un medico che agiva per conto della psichiatria. Ribadisco che non ho detto di S. Freud psichiatra ma di suoi risultati quale medico generico e della necessità della psichiatria, della psicoterapia e della psicosomatica, che è disciplina appartenente all'àmbito psicologico, non fisiologico; dunque ho detto di necessità di psicologia e dei suoi ritrovati.
Ho portato materiale di riflessione con estrema rigorosità, a livello informativo non per consulenza, ed è inutile fingere di esoterismi e di inesistenti impossibilità culturali per dare informazioni così. Anzi mettevo in evidenza che in vasti ambienti domina ignoranza, fraintendimenti, violenza, e che dunque il semplice apporto culturale e informativo in tali frangenti costituisce base.
Quindi non si metta confusione.

Mettersi a dire di chissà quali altre cose contenute nell'opera di Freud non deve essere scusa per sotterrare le verità che io ho fatto emergere, che non sono parte di una realtà che cambia aggiungendovi accanto qualcos'altro. C'è da parte vostra la continua pretesa di partire dal pensiero di S. Freud attribuendogli il potere della psicologia analitica propriamente detta. Ho già spiegato, in precedenza in altro messaggio: la vostra è una proiezione psicologica reiterata. Dovete fare autoriflessione e ripensamento.


MAURO PASTORE
#210
Citazione di: PhyroSphera il 04 Dicembre 2024, 20:05:55 PMInvece che salvare qualcosa del passato vittimario che tanto ami, potresti intendere un simbolismo biblico ove Dio è il protagonista o contemplare dei puri scherzi estetici privi di grazia - altrimenti, tu egli altri vi maledirete da soli o peggio.

Qui su, 'tu egli altri', ovviamente sta per: tu e gli altri.
Adesso ci ho tolto pure l'errore nella scrittura, prova a ripensare quel che potresti.

Citazione di: Visechi il 04 Dicembre 2024, 22:10:03 PME' dogmatica l'affermazione: la trascendenza non coincide con Dio. C'è anche quella di Dio, che è trascendenza, se l'ateo dice no vuol forzare l'ateismo e sbaglia. Ma già ne avevo precisato a sufficienza.

Ogni volta devo riprendere qualche tuo passaggio per rimarcare il fatto che, consapevolmente (e non ne capirei la ragione) o da ignorante (perciò ti scuso in anticipo) distorci il pensiero altrui. Eppure, il concetto, più volte espresso, non è così complesso: si può entrare in contatto con la trascendenza, immergersi addirittura nella trascendenza senza che nel suo fondo abissale s'incontri quel che i tuoi lapsus definiscono Dio. Si può entrare in contatto con Dio, ma ciò non autorizza l'arroganza di far coincidere la Trascendenza con Dio. Lascio a te il piacere di immaginare in quali e in quante circostanze ciò può avvenire.
Mentre mi chiami ignorante, attui un tentativo di affermazione che è impossibile, sia perché animato sempre dalla stessa contraddizione, sia perché di livello subculturale nella sua conclusione, che presenta ambiguamente l'assolutezza di un oltre come se il Dio della fede non fosse proprio quello lì; un livello il tuo incapace di interagire con le attestazioni corrette altrui. Te la vuoi cavare oscillando insostenibilmente tra semplice trascendenza e Trascendenza assoluta, illudendoti la menzione sia la stessa. Ma chi discute filosoficamente deve prendere in considerazione il dire altrui. Il tuo non è un dialogo, è un'azione puntualmente intromissiva, nel senso che intromette il relativo nella indicazione dell'Assoluto e un relativismo assoluto è insostenibile, autocontraddittorio. Io qui non sto conducendo un discorso egocentrico; tu ti poni contro lo stesso uso di una cultura definita ed è inutile che vai dicendo dei miei lapsus. E' violento questo tuo modo di procedere: vuoi trascinare il confronto nella subculturalità appellandoti a errori mentali inesistenti.

Citazione di: Visechi il 04 Dicembre 2024, 22:10:03 PME' dogmatica l'affermazione: la trascendenza non coincide con Dio. C'è anche quella di Dio, che è trascendenza, se l'ateo dice no vuol forzare l'ateismo e sbaglia. Ma già ne avevo precisato a sufficienza.

 Quanto alla presenza di Dio, tu stesso ne indichi ma la credi il Nulla.


Quanto alla presenza del Nulla, tu stesso ne indichi ma lo credi Dio. Funziona anche in questo modo.
Il resto del tuo sproloquio lo equiparo ad un delirio isterico di chi non avendo più argomenti di discussione (si nota) cerca di buttarla in caciara con accuse risibili ed attacchi personali.
Bene, io alla tua caciara non partecipo. Se hai qualcosa da scrivere, ben venga, diversamente puoi anche sbrodolarti nel tuo brodo un po' psicotico che soffre di manie di persecuzione e si immagina lettori attenti e plaudenti laddove proprio non ci sono.
 
 
E' illogico fare come fai tu, parlare di 'presenza del nulla'. Il nulla infatti è assenza. Molto opportunamente Derrida, quale chiosatore della riflessione di Heidegger su essere e tempo, diceva di: essere quale presenza. La obiezione che ti facevo non è rovesciabile.
Poi dai lapsus inesistenti (un errore minimo di scrittura non sempre è un lapsus, per esempio) vai a inconsistenti equiparazioni a deliri isterici, a definizioni evidentemente assurde di un "brodo un po' psicotico" e indicazioni disoneste di "manie di persecuzione", fino alla insistenza su inesistenti attacchi personali, avendoti io invece specificato il mio modo di usarti il tu. Io non conosco la tua persona e non ne sto proprio ponendo in causa.
Poiché io, tra il resto, ho cercato di additare che il tuo discorso è allineato finanche sulla giustificazione di alcuni delitti, compresi quelli di Stalin e stalinisti, voialtri tirate fuori la falsa patologia - neppure se tiraste fuori quella vera trovereste modo di sfuggire agli sbagli in cui puntualmente incappate, perché il patos o, alla greca, il pathos, non è un problema, potrebbe essere una prospettiva di ricerca... e qui non si sta cercando clienti per una terapia, ancor meno falsa e ancor peggio se imposta (direttamente o indirettamente).

Se tu vuoi farne qualcosa  dei tuoi messaggi qui, continua munendoti delle dovute comprensioni culturali, sul simbolismo biblico, sui simboli religiosi, per i quali la psicologia di S. Freud e dei suoi seguaci proprio non è adatta. Mettersi a sindacare la menzione dell'Assoluto, della Trascendenza, di Dio, in questa sede ed entro questo discorso significa reagire alla venuta del buio notturno aprendo un ombrello. Una cosa che non significa, insomma.
Perché l'Assoluto è dai credenti definito con la parola Dio? L'ultima ricerca sulla logica e il linguaggio attesta l'opportunità di questa parola immaginifica e misteriosa, ma per volgere a questo versante del confronto bisogna evitare di bloccarsi nel pregiudizio - e ovviamente evitare di bloccare pure gli altri.


MAURO PASTORE