Citazione di: Jacopus il 04 Luglio 2019, 08:20:05 AMCartesio é stato superato dagli studi neuroscientifici in modo definitivo. Resta un grande testimone della sua epoca. Pensare che le teorie di Cartesio siano ancora valide é una illusione astorica.
Le neuroscienze poggiano sull'osservazione sensibile, dunque il loro ambito di validità è delimitato alla tipologia di realtà adeguato a tale osservazione sensibile, vale a dire la materialità delle cose che divengono oggetto dei sensi nel momento in cui entrano in contatto con i campi sensoriali del corpo appartenente al soggetto che ne fa esperienza. Se una realtà spirituale, come per Cartesio sarebbe il cogito, per definizione non è osservabile sensibilmente (altrimenti non sarebbe spirituale), allora la questione della sua esistenza e l'analisi della sua natura non può essere vincolata ai risultati di quei saperi che invece si rivolgono alla realtà sensibile e materiale, perché il loro ambito di validità non riguarderebbe per definizione quello a cui la questione si riferisce. Il che ovviamente non vuol dire che Cartesio non possa essere contestato, ma che, nella misura in cui ragiona da filosofo, cioè deduttivamente e speculativamente, non può che essere contestato che filosoficamente, e non empiricamente, cioè lo si può contestare considerando eventuali incoerenze nella sua metodologia, ma senza utilizzarne un'altra, adeguata a un piano di questioni diverso da quello su cui lui ha pensato. Se il metodo cartesiano poggia sulla potenziale illusorietà dei sensi, e l'emersione del cogito è il residuo di certezza messo in evidenza dopo il setaccio operato dalla radicalizzazione del dubbio, allora qualunque tipo di scienza naturale, comprese le neuroscienze, poggiante, anche parzialmente, sui sensi, non possono cogliere il cogito nell'accezione in cui la intende Cartesio, come ciò che resta una volta messo in discussione tutta la componente empirica dell'uomo.
Per quanto riguarda l'idea del cogito come essenza dell'uomo, la mia perplessità consiste nell'impressione di una certa sovrapposizione dell'aspetto metodologico-euristico rispetto a quello propriamente ontologico in Cartesio. Cioè un passaggio troppo diretto dall'assunzione dell'Io-penso come dato indubitabile del sapere alla sua considerazione come tratto sufficiente a definire l'essere dell'uomo, la sua essenza, appunto. In realtà, riconoscere il cogito come residuo indubitabile delle nostre esperienze consente di porlo come necessario punto di partenza di un metodo di conoscenza che voglia essere massimamente razionale, da applicare però a una gamma di fenomeni di cui fanno parte anche le esperienze sensibili. Ma porlo come fondamento metodologico non implica necessariamente porlo anche come fondamento ontologico, nel momento in cui il metodo di ricerca che fonda comprende tra i suoi oggetti di applicazione anche la realtà materiale. Fintanto che si considera il cogito come fondamento dell'umano, ancora non si riconoscerebbe la distinzione dell'umano da realtà puramente spirituali come Dio, che condividerebbero con esso l'essere pensanti, ma se ne differenzierebbero dal loro essere privi di materia. Se l'essenza è ciò che fonda necessariamente l'essere dell'uomo, distinto sia dal resto della natura che da Dio, allora limitare la sua essenza al cogito ne garantirebbe la peculiarità nei confronti della prima, ma non del secondo, in pratica l'uomo sarebbe una sorta di Dio, che solo per una volontà del tutto accidentale decide di incarnarsi, assumendo la sua materialità come componente inessenziale, non davvero parte integrante di esso, dato che l'essenza starebbe nel suo cogito. Perché l'essenza contraddistingua l'uomo nell'unità del suo essere, sia in ciò che lo assimila al puro spirito, sia in ciò che lo assimila alla materia, deve consistere in un principio che connetta entrambe le dimensioni. Ecco perché trovo più convincente la soluzione aristotelica di identificare l'essenza dell'uomo con l'anima razionale, anima che a differenza del cogito cartesiano deve la sua attualità alla necessità di legarsi, in quanto forma, con la materia corporea, di modo che l'essenza esprima dell'uomo la sua condizione di finitezza ontologica, cioè il non essere Atto puro, spirito puro, ma sintesi attualità e passività, comprendendo anche la componente materiale nella sua struttura necessaria, distinguendolo da una sorta di cogito divino solo accidentalmente incastrato nel corpo, cogito, che nell'accezione cartesiana, cioè non essendo "forma" necessitante di una materia su cui applicarsi, resterebbe insufficiente a fondare l'essere dell'uomo nella sua completezza. Dunque è possibile accettare da Cartesio la sua metodologia, anche prendendo le distanze dalle conclusioni ontologiche