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Messaggi - Phil

#1951
Citazione di: Carlo Pierini il 29 Agosto 2017, 00:17:39 AM
errore classico commesso sia - da qualche millennio - dalle filosofie taoista ed eraclitea, sia dalla dialettica hegeliana: quello di fare di tutta l'erba un fascio tra opposizioni contraddittorie - che non possono essere sintetizzate-unificate in quanto soggette al principio di non contraddizione - e opposizioni dialettiche, le sole che possono armonizzarsi attraverso un processo di confronto e di complementarizzazione.
Sorvolando sul povero Hegel (ma poi non dire che qualcuno non ti aveva già avvisato che tesi ed antitesi non sono affatto elementi contraddittori, ma momenti complementari di un processo storico-dialettico... detto altrimenti, per Hegel, non è che banalmente "caldo" è tesi di cui "freddo" è antitesi e "tiepido" la sintesi! ;D ), vorrei chiederti di spiegare meglio cosa "rimproveri" al taoismo, ovvero in che senso, secondo te, mischia "opposizioni contraddittorie" e "opposizioni dialettiche".

P.s.
In ambito di "logica spirituale"(?) ti segnalo, qualora tu non lo conosca già, l'"esplosione" del principio di non-contraddizione nel "catuskoti"...  ;)
#1952
https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/relativismoassolutismo/
buona lettura!  ;)

P.s.
Non darei per scontato che la filosofia sia unanimemente rimasta ferma all'illuminismo...
#1953
L'ultima decina di messaggi (circa) verte sul problema della definizione (e conseguente differenziazione), fra "simbolo" e "segno", a dimostrazione di come definire adeguatamente le parole-chiave di un discorso non sia una "perdita di tempo" o uno "sterile astrattismo", ma invece rappresenti indubbiamente una doverosa fase metodologica, ineludibile per impostare un dialogo chiaro e con riferimenti semantici condivisi.
Il problema, secondo me, nasce dall'appellarsi a "vocabolari" differenti per rintracciare le suddette definizioni: c'è il "vocabolario" di Jung, quello di De Saussure, quelli di altri linguisti, quello della lingua italiana, quello delle espressioni popolari, etc.

A questo punto quale scegliere? Per me la questione è risolvibile scegliendo una definizione su cui tutti i dialoganti siano consenzienti e concordi, senza ritenere più autorevole quella di un autore specifico (a cui potrebbe essere contrapposta quelli di altri autori pertinenti, e a quel punto diverrebbe una faccenda di posizioni personali...). Moltiplicare il reperimento di fonti, citazioni e definizioni a disposizione, probabilmente renderebbe solo più inibitoria l'impasse "semiologica"...

Propongo quindi una riflessione estemporanea: la croce è un simbolo cristiano e ci si fa il segno della croce... un gesto o un rituale, come scambiarsi un "segno di pace" può avere valore simbolico (non diremmo "segnico")... al segno linguistico è solitamente connesso anche un fonema (o una dimensione fonetica), come accade per le lettere dell'alfabeto, mentre spesso i simboli hanno a loro volta un proprio nome segnico (grafemi e fonemi) nel linguaggio di riferimento (senza addentrarsi nei temi della traduzione o degli ideogrammi)... il significato simbolico di una poesia non è il significato segnico/letterale...

Provo allora ad abbozzare una proposta: se i segni sembrano essere l'elemento basilare della comunicazione (linguistica e non), il simbolo forse si differenzia per un "plus-valore semantico" che rimanda ad almeno un ulteriore significato (o più) già costituito ed indipendente dal simbolo stesso: il cristianesimo non è il "significato" del crocifisso, ma il crocifisso, nella sua autonoma identità formale/materiale, rimanda simbolicamente al cristianesimo (che esiste a prescindere da, e non si riduce a, tale riproduzione simbolica); mentre il significato intrinseco al segno della croce è "riprodurre", "raffigurare" le linee della croce, creando una simbiosi forte fra il segno e il suo significato (nel senso che il segno non è scindibile dal suo significato, come invece accadeva con la croce, che ha comunque un suo significato di base, un "referente" letterale, autonomo: struttura in legno usata per uccidere i malfattori ai tempi dei romani...). 
Ma allora i segni linguistici per eccellenza, le lettere, che significato hanno/rappresentano? Direi semplicemente quello di un determinato suono che, combinato con altri suoni, forma parole significanti, quindi frasi, etc. non a caso, l'alfabeto fonetico, che si propone di unificare la traslitterazione "universale" dei suoni, è piuttosto recente (fine '800).

Dunque, interpretato così, il simbolo sarebbe più prossimo all'allegoria piuttosto che ad un semplice segno arbitrario e convenzionale, come le lettere, o il segno che ci fa il vigile quando dobbiamo accostare con l'auto, per poi mostrargli il simbolo del nostro essere legittimi automobilisti (con la speranza di non averlo lasciato a casa sul comodino  ;D ).
#1954
Citazione di: green demetr il 26 Agosto 2017, 15:23:25 PM
allora non rimane che vivere insensatamente (mi verrebbe da pensare paranoicamente) qualsiasi attimo.

purchè non si pensi al suo passato. come a dire che l'attimo è sempre presente, e non è mai passato.


che fosse questo l'eterno ritorno che ha pensato nietzche? dopo anni di attesa, ho finalmente una vaga traccia.
Che tipo di "intimità" c'è fra il non poter uscire (definitivamente) dal presente e il non poter uscire (stando a Nietzsche, se non erro) dall'eterno ritorno?
Il pensiero del passato (e del futuro) ci riporta "eternamente" al presente; come Sisifo cerchiamo di spingere la nostra mente altrove, ma basta un rintocco d'orologio e sempre essa (ri)torna al qui ed ora, che tuttavia non è il medesimo "qui ed ora" di un attimo fa... e allora, per decifrare questo moto perpetuo disinnescando la paranoia, si impone la dirompente domanda: qual'è "l'utilità e il danno della storia per la vita" (titolo della seconda "considerazione inattuale" di Nietzsche)?
Forse indizi utili li puoi trovare proprio in quel testo (è l'unico suo che abbia letto per intero, il che la dice lunga sulla mia competenza nel porgerti questo spunto  ;D ).
#1955
Questo topic parla di libertà di pensiero e, a conferma della tua prospettiva, puoi ritenerti "libero" di "battezzarmi" come monista-riduzionista per esclusione, non risultandoti apertamente dualista-dialettico (nonostante ti abbia già suggerito di non ritenermi nessuno dei due... ricordi il "tertium datur"?), "libero" di interpretare i miei "secondo me..." e i miei "condizionali" come una "fede pura" (anche se stilisticamente è quantomeno originale, non trovi?), "libero" di pensarmi giovane (bé, questo è falso ma un po' mi lusinga  ;D ), "libero" di definire la volontà, il pensiero e il sogno come "enti psichici" (sicuro sia una terminologia in uso in psicologia?), "libero" di ritenere probante la "fallacia di divisione" (come si ottiene il sorriso da una biologia non sorridente? ;) ), "libero" di giocare spensieratamente con accostamenti semantici decisamente problematici (cito: mente femminile, evoluzione culturale, animalità non-etica, etc.), "libero" di preferire un approccio epistemologicamente "debole" (ovvero che spalanca le porte alla trascendenza e alla mistica perché forniscono risposte che non devono rendere conto alla confutazione razionale), e soprattutto "libero" di sentirti "libero" nel fare tutto ciò...
Parimenti, sempre restando nella tua prospettiva, puoi anche ritenermi "libero" di non seguirti nelle suddette "libertà", giusto?  ;)


P.s.
Vorrei argomentare meglio, ma se finora ti ho dato l'impressione di parlare per fede, snobbando l'esperienza, forse la tua mappa è semplicemente incompatibile con il mio territorio... o viceversa, sia chiaro  :)
#1956
Citazione di: Carlo Pierini il 23 Agosto 2017, 20:52:30 PM
se riesci a descrivermi un solo evento mentale nei termini di grandezze fisiche matematicamente misurabili, allora i tuoi dubbi hanno un fondamento
Se un dubbio si basasse su un'evidenza, sarebbe perlopiù una certezza, no? ;)
Non sono pratico, tuttavia, per quel poco che so, trovo molto interessanti gli studi sul neuroimaging e sulla localizzazione neurologica di alcuni eventi mentali, che, una volta localizzati, suppongo siano misurabili matematicamente per intensità, durata ed altri parametri da neuroscienziato (che ignoro bellamente).
Ciò non significa che li ritenga prove inconfutabili che i processi mentali siano solo materiali; sebbene suppongo non ci siano nemmeno prove inconfutabili che i processi mentali appartengano ad un'anima o ad altre ipotetiche entità trascendenti... per adesso, fra i due scenari, il primo lo trovo un po' più plausibile (pur da profano in materia).

Citazione di: Carlo Pierini il 23 Agosto 2017, 20:52:30 PM
I ricercatori seri studiano le relazioni tra gli enti (che sono osservabili), non le cause degli enti (che sono inosservabili).
Anche la "serietà", come l'"inutilità", è spesso opinabile... comunque, si parlava della causa di eventi (mentali), non della causa degli enti (e vai pure a spiegare ai suddetti ricercatori che le loro ricerche non sono serie... ma io di certo non t'accompagno ;D ).

Citazione di: Carlo Pierini il 23 Agosto 2017, 20:52:30 PM
Così come non è necessario dare una definizione di "tempo" per essere sicuri al 100% che per noi il tempo passa e che invecchiamo inesorabilmente,
Non dai la definizione di tempo perché la dai per scontata, altrimenti la frase "il tempo passa" non avrebbe senso nemmeno per te che la pronunci  ;)
Usare un concetto, un'idea o semplicemente una parola senza averne accettato/deciso (e magari condiviso) la definizione e il senso ad essa connesso, è un ottimo primo passo per originare fraintendimenti, per ragionare in modo vago e impreciso, per costruire teorie "pericolanti" (e pericolose...).
Se non c'è un minimo rigore epistemico (definizioni), si fa poesia o letteratura, arti nobilissime in cui la ricerca è di altro tipo, comprendendo "licenze poetiche" e slanci di fantasia, utopie e contraddizioni, interpretazioni a ruota libera (così rimaniamo in topic) e figure retoriche... certamente le idee poetiche e letterarie non possono essere confutate poiché, per loro natura, non richiedono coerenza logica o validità epistemica, e in ciò risiede il loro eterno fascino-fruibilità per (quasi) tutti gli uomini di tutti i continenti e di tutti i tempi (esattamente come accade con la parola magica "libertà").
E qui il nesso fra archetipi e narrazioni letterarie è evidente...

Citazione di: Carlo Pierini il 23 Agosto 2017, 20:52:30 PM
così pure non è necessario definire la libertà per essere certi che si tratta di un valore irrinunciabile
Certezza riguardo un indefinito (non-definito) valore irrinunciabile... a suo modo, mi sembra ragionevole: se non è definito, non possiamo certo rinunciarci  ;D
#1957
Citazione di: Carlo Pierini il 22 Agosto 2017, 23:39:34 PM
nell'ambito dei processi mentali (che non sono processi materiali)
Presupposto meno indubitabile di quanto possa sembrare (almeno secondo me...).

Citazione di: Carlo Pierini il 22 Agosto 2017, 23:39:34 PM
cercare le cause della spontaneità, o del pensiero, o della volontà mi sembra una elucubrazione inutile [...] è al di fuori della nostra capacità di dare risposte, ...non serve a una mazza.
Il criterio di "inutilità" è spesso molto personale ("elucubrazione inutile"? Vallo a dire ai ricercatori che ci investono anni di studi  ;) ); comunque non confonderei l'"essere fuori dalle nostre capacità" con il "non servire a una mazza"...

Per ora, mi resta il dubbio che
Citazione di: Phil il 14 Agosto 2017, 19:37:55 PM
Non corriamo il rischio di etichettare fieramente come "libertà" soltanto la nostra non consapevolezza dell'origine "intima" di pensiero e volontà?
Ovviamente, tutto dipende dalla definizione che diamo di "libertà"
dove puoi (liberamente  ;) ) sostituire "libertà" con "spontaneità".
#1958
Ho letto il tuo commento e i tuoi interrogativi, tuttavia: se pongo domande che ritengo rilevanti, ma queste vengono ignorate (come già anche nell'altro topic), o le mie risposte in merito vengono tacciate di essere "astratte e sterili elucubrazioni verbali" (cit.) e scartate a priori senza pertinente contro-argomentazione, allora mi risulta piuttosto difficile affrontare il tema in questione, perché il mio punto di vista si basa proprio su quelle riflessioni (che non mi aspetto certo tutti condividano...). Al momento non ho un'altra lettura della tematica.

Inoltre, se ritieni che "l'approccio solo analitico-astratto è fuorviante" (approccio che mi imputi, ma in fondo se ti rifiuti di affrontarlo, non puoi nemmeno sapere se lo hai capito bene e se è davvero così fuorviante, no? ;) ), ti invito a (ri?)leggere le suddette domande (quinta ed ultima volta che te lo suggerisco, prometto!) e magari ti accorgerai che alcune non sono affatto astratte, ma fanno appello proprio a quell'esperienza concreta che invochi e valorizzi...
Non servirà poi ricordarti che l'analisi va fatta con circospezione e scrupolo, altrimenti le informazioni che si sintetizzano saranno vaghe e imprecise (e lo sarà di conseguenza anche la sintesi con cui si cerca di interpretare la realtà...).

Vorrei dunque rispondere alle domande che mi poni o commentare il tuo intervento, ma, per onestà, non potrei evitare di fare appello alla mia prospettiva (già, non sono libero di cambiarla a piacimento), ripetendo le considerazioni e le domande che ho già proposto in un'ottica generale, che tuttavia hai già dichiarato di non trovare rilevante (e infatti le osservazioni che mi proponi dimostrano che non l'hai minimamente considerata... oppure compresa... e forse è meglio per te! ;D ).


P.s.
Mi scuso per l'off topic!
#1959
Posso presupporre che tu abbia letto e condivida le risposte che ho dato alle domande che mi sono "marzullianamente" fatto nel post che citi? Avendole tu "svicolate" (scherzo! ;D ) senza fornire risposte alternative, direi di si... oppure gli esempi che citi dovrebbero costituire una forma di risposta indiretta?

Nel dubbio, entro nel merito del tuo tentativo di individuazione della libertà per "via negationis" (ovvero, ce ne accorgiamo quando ci viene tolta o limitata):
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Agosto 2017, 03:58:32 AM
Quando a scuola ci riempivano di compiti di qualche materia che non ci interessava, sapevamo bene cos'era la libertà di pensiero: era quella che i compiti ci sottraevano.
Non direi, eravamo ancora perfettamente "liberi", o meglio, "capaci", "in grado di" distrarci... e infatti sarà capitato anche te (ci giurerei  ;) ). Era solo una questione di scelta, se dedicarsi ai compiti o ai voli pindarici di fantasia; ma tale scelta era davvero libera?
[Vedi domande nel post da te citato...]

Citazione di: Carlo Pierini il 21 Agosto 2017, 03:58:32 AM
...E anche quando un regime autoritario ci impedisce di esprimere il nostro pensiero, sappiamo cos'è la libertà di pensare: quella che ci ruba la dittatura; e ci incazziamo pure per questa mancanza di libertà, quindi lo sappiamo di cosa si tratta.
Mi guarderei dal confondere la libertà di pensiero con quella di parola: il regime autoritario ci impedisce di parlare, non di pensare, nello scrigno della nostra mente, contro di esso, lanciando invettive e improperi tonanti  ;D 
E questo pensiero di dissenso è poi assolutamente libero?
[Vedi domande nel post da te citato...]

Citazione di: Carlo Pierini il 21 Agosto 2017, 03:58:32 AM
...E quando abbiamo un dolore alla schiena tanto forte da obbligarci a pensare a nient'altro che a quello, sappiamo anche allora cos'è la libertà di pensiero.
Conviene anche evitare di confondere la "sensazione" con il "pensiero originato dalla sensazione": il dolore è una sensazione fisica (non penso letteralmente al dolore, bensì lo provo) che condiziona certamente il mio pensiero, ma di quale libertà lo priverebbe? Non sarebbe condizionato comunque da altri fattori?
[Vedi domande nel post da te citato...]

Citazione di: Carlo Pierini il 21 Agosto 2017, 03:58:32 AM
...E quando all'improvviso scopriamo che le nostre idee su un certo argomento erano sbagliate e che ci obbligavano a credere in qualcosa di falso, anche in questo caso proviamo un senso di liberazione e comprendiamo che, prima, il nostro pensiero non era affatto libero!!
Eviterei di associare, al netto delle eventuali metafore, "liberazione" con "miglioramento" o "correzione" o addirittura "illuminazione" (bé, in questo caso buddisti e induisti sarebbero anche legittimati a farlo! ;D ): il nuovo paradigma non ci dà affatto libertà, ma solo altri assiomi/condizionamenti, ovvero il contrario della libertà (non voglio rischiare di risvegliare i morti parlando ancora di "antitesi" ;) ). Come mai ciò?
[Vedi domande nel post da te citato...]

Citazione di: Carlo Pierini il 21 Agosto 2017, 03:58:32 AM
Ma, allora, lo vedi che la libertà di pensiero esiste, anche se, come il tempo, ...il nostro pensiero non è libero di definirla?  :)
Nel mio piccolo, il mio pensiero è per ora incline a (non "libero di" ;) ) definirla come inesistente (e l'"inaccessibile involontarietà" non ha certo valore epistemico); sempre considerando che
Citazione di: Phil il 14 Agosto 2017, 19:37:55 PM
Ovviamente, tutto dipende dalla definizione che diamo di "libertà"
e quella più generica mi pare "assenza di condizionamento"; tuttavia se ne possono sicuramente dare delle altre, con tutte le ripercussioni teoretiche del caso...
#1960
Citazione di: Carlo Pierini il 21 Agosto 2017, 01:28:19 AM
Hai svicolato puntualmente gli aspetti nodali delle mie osservazioni  commentando solo le parti marginali.
Ho commentato ciò che mi ha "ispirato" un commento; comunque, scommetterei d'aver risposto a tutte le domande che mi hai fatto... se ne ho saltata qualcuna, se ti va, potresti ripropormela (che non la trovo)?

Citazione di: Carlo Pierini il 21 Agosto 2017, 01:28:19 AM
Evidentemente non ti interessa un confronto franco e sincero.
Spiacente d'averti dato questa impressione...

Citazione di: Carlo Pierini il 21 Agosto 2017, 01:28:19 AM
Comunque grazie per l'attenzione dimostrata fin qui e, anche a te, buon proseguimento delle ricerche (le ricerche sono come "gli esami" di Eduardo: non finiscono mai!).   :)
Sottoscrivo!
#1961
Citazione di: Carlo Pierini il 20 Agosto 2017, 15:11:59 PM
Se mi rispondi in modo così "sprovveduto", mi dimostri che sei piuttosto digiuno (come del resto lo ero io trent'anni fa) in tema di "simboli" e che non ti sei mai chiesto qual'è la differenza essenziale, per esempio, tra un nome comune, o un numero (sono anch'essi simboli), e il simbolo di Gesù, o quello del Tao-yin-yang, o quello ebreo della stella a sei punte, o, addirittura, quello/quelli di Dio (anche Dio è un simbolo). Ti pare che si possano mettere su uno stesso piano? Qual'è, secondo te, la loro differenza essenziale?  :)
Direi che alcuni sono simboli convenzionali che non si basano su archetipi (come ho già affermato in precedenza) mentre altri sono la traduzione simbolica di un'"idea" (chiamiamola così) archetipica... ma sono entrambi simboli, quindi mi è sembrato corretto farti notare (da "cavilloso") che non tutti i simboli (ad esempio quelli di una lingua scritta) sono "segnificazioni" di archetipi.

Citazione di: Carlo Pierini il 20 Agosto 2017, 15:11:59 PM
Prove oggettive? Mi sembri piuttosto ingenuo anche su questo argomento. Ti pare che sia stato oggettivamente provata l'ereditarietà di fattori culturali?
Perdonami la schietta contro-domanda: quando mai ho scritto che i fattori culturali sono ereditari?
Cosa c'entra poi l'oggettività, di cui nell'ultimo post ho parlato solo per connotare la fede (come "assenza di prove oggettive")?
Ti invito cortesemente soltanto a rileggere il mio ultimo post, per controllare...
Inoltre:
Citazione di: Carlo Pierini il 20 Agosto 2017, 15:11:59 PM
Se non ereditiamo nemmeno il linguaggio, come potremmo ereditare dei contenuti del linguaggio tanto specifici e particolari [/size]come lo sono delle idee filosofiche?
A questo punto sospetto che tu mi confonda con altri... sono quello che da circa tre/quattro post ribadisce (noiosamente!) l'acquisizione/apprendimento della cultura da bambini (subendo l'"imprinting" del contesto) che può poi essere modificata, etc.


Citazione di: Carlo Pierini il 20 Agosto 2017, 15:11:59 PM
In altre parole la tua è una fede allo stato puro [... ] la tua è una fede fondata essenzialmente sull'ignoranza riguardo alla natura e alle proprietà dei simboli REALI [...] Quindi il "mistico" sei tu, non io.  ;)
Vorrei chiederti "fede in cosa?", ma forse, avendo tu frainteso gran parte di quello che avevo scritto (magari per mia eccessiva spigolosità espressiva, non lo metto in dubbio  :) ) ora questa domanda non ha più senso... se così non fosse, sentiti pure libero di rispondere per agevolare la mia (auto)comprensione.


Citazione di: Carlo Pierini il 20 Agosto 2017, 15:11:59 PM
Tra le varianti del caduceo, ti ho mostrato quella cinese e quella Mesopotamica di 4-5 millenni fa, quando cioè, queste due culture erano reciprocamente isolate e incomunicanti. Se non ti basta, puoi considerare le ritualità Andina che ho accennato sopra: la vedo difficile stabilire delle modalità di apprendimento reciproco tra queste culture.
Secondo me, ci sono gli archetipi (l'ho già scritto più volte... ricordi il "transculturale"?); l'apprendimento l'ho collegato all'uso di alcuni simboli, non agli archetipi (non ingarbugliare frettolosamente ciò che cerco, nel mio piccolo, di scrivere con un minimo di ordine, please! :) ).

Citazione di: Carlo Pierini il 20 Agosto 2017, 15:11:59 PM
Ecco, Hegel ha contagiato anche te!  :)
Ed ecco che, nonostante il mio impegno nel dissuaderti dal trarre conclusioni affrettate e la mia reiterata ammissione di ignoranza in materia, mi ritrovo, mio malgrado, ad essere hegeliano (solo perché ho fatto appello ad un po' di onestà intellettuale nell'esegesi del suo pensiero... ciò che dice Lamanna andrebbe infatti contestualizzato dentro il pensiero hegeliano e - ops!- stavo per ricascarci!).
Io, un filo-hegeliano... pazienza, in fondo, poteva andarmi peggio! ;D

Citazione di: Carlo Pierini il 20 Agosto 2017, 15:11:59 PM
Infatti, il tuo punto di vista è essenzialmente materialista-monista-riduzionista-agnostico, mentre il mio è essenzialmente teista-dualista (nel senso corretto di "dialettico"). E tra questi due punti di vista, <<Tertium non datur>>:  o io mi riconverto all'ateismo-materialismo, oppure tu ti converti al teismo dialettico!  ;)
C'è il tertium (uno dei miei "pallini" è cercarlo sempre!), eccome se c'è... ed è proprio il mio modo di intendermi; tuttavia, nonostante tutte le tue incomprensioni (senza offesa, ma per quasi tutto questo post ho dovuto richiamarti a rileggere con attenzione ciò che avevo già scritto... e scrivo comunque molto più facile di Hegel  ;) ), mi hai già etichettato e questo mi deve bastare: le etichette ce le devono mettere gli altri, quelle che ci mettiamo noi, sono spesso inaffidabili!

Buon proseguimento di ricerche!
#1962
Citazione di: Carlo Pierini il 20 Agosto 2017, 01:04:28 AM
Il geocentrismo è stato considerato valido per più di un millennio da tutte le scienze astronomiche del mondo prima che Copernico-Keplero si rendessero conto che era ora di cambiare paradigma. Ecco: Jung, Eliade, ecc., sono i Copernico-Keplero dell'antropologia-psicologia attuale.
Il cavilloso che è in me apprezza l'ardito paragone, ma mi ricorda che in un campo, essendo scientifico, sono state fornite dimostrazioni o almeno teorie scientifiche, nell'altro, trattandosi di scienze umane (scienze più "deboli"), la rivoluzione di paradigma resta inevitabilmente più interpretativa e meno oggettiva (senza nulla togliere al suo valore: il limite sta solo nel campo del sapere in cui avviene, non nella qualità del contributo).

Citazione di: Carlo Pierini il 20 Agosto 2017, 01:04:28 AM
Certo, ma si dà il caso che i simboli non siano che le diverse espressioni locali di un medesimo archetipo.
Forse non sempre, anche le emoticons che usiamo in questo forum sono dei simboli, ma (al di là della pareidolia) non riesco a ricondurli ad alcun archetipo; si accettano suggerimenti  :)

Citazione di: Carlo Pierini il 20 Agosto 2017, 01:04:28 AM
Per cui ci sono due possibilità riguardo all'origine dell'archetipo:
1 - o si tratta di una entità ordinatrice dell'attività simbolizzante, che trascende il tempo storico e lo spazio geografico (la "Musa", o l'"Apollo" degli artisti);
2 - oppure si tratta di figurazioni presenti in qualche modo nel patrimonio genetico umano, che è l'unico elemento comune ("trans-culturale") tra individui appartenenti a gruppi umani non-comunicanti sul piano culturale.

Quali sono i motivi per i quali tu opti per ...la seconda che ho detto?
La conoscenza dell'origine dell'archetipo eccede di gran lunga il mio modestissimo sapere, tuttavia se mi chiedi (obbligatoriamente!) di scegliere fra la fede (assenza di prove oggettive) in un'entità trascendente di matrice divina, oppure il supporre che sia solo una questione di genetica (che ha una radice di esistenza dimostrata), punterei i miei due centesimi sull'ipotesi più ancorata a ciò che almeno sappiamo essere reale (ferma restando la possibilità di una ulteriore terza via, ancora da tracciare...).


Citazione di: Carlo Pierini il 20 Agosto 2017, 01:04:28 AM
Ti risulta forse che la cultura sia geneticamente ereditaria?
La cultura credo sia "ereditaria" per acquisizione, per apprendimento, per introiezione, insomma la si assorbe da bambini, come la lingua (e come la lingua può poi essere modificata crescendo e muta di generazione in generazione). Se abbia anche una predisposizione genetica (da ignorante, ne dubito) dovremmo chiederlo ai genetisti...

Citazione di: Carlo Pierini il 20 Agosto 2017, 01:04:28 AM
Quando mi sono reso conto che la sua "sintesi" pretende di unificare dei significati contraddittori, e/o di utilizzare le "sintesi" come "tesi" per nuovi processi dialettici, ho capito che come logico lasciava molto a desiderare e l'ho mollato al suo destino, risparmiandomi così di sorbirmi quel mattone indigeribile che è la "fenomenologia dello spirito".
"La sua sintesi pretende di unificare dei significati contraddittori"? Un utente (si dice il peccato ma non il peccatore ;) ) ti chiederebbe: "per criticarlo con tale disinvoltura, cosa hai letto di Hegel?", ma io mi limito ad un "Sicuro che sia così? Non è che qualche altro autore lo ha frainteso in quel senso e te ne sei fidato?"


Citazione di: Carlo Pierini il 20 Agosto 2017, 01:04:28 AM
PHIL
ma rimane il sospetto che per "antitesi" tu intenda generalisticamente "significato opposto-contraddittorio"(cit.)

CARLO
Non ci penso nemmeno lontanamente. Per questo ho scritto ieri sulla necessita di distinguere tra "opposti contraddittori" (non sintetizzabili) e "opposti dialettici" (che possono essere oggetto di un confronto di graduale trasformazione dell'opposizione in complementarità-convergenza verso un "Tertium" superiore, non complanare alla coppia di opposti).
Colpa mia, sono stato impreciso: mi riferivo alla tua interpretazione della "antitesi" in Hegel, non all'"antitesi" in generale. Questo è un effetto collaterale (non trascurabile) del sincretismo: talvolta non è chiaro se ci si riferisce ad un termine nel suo contesto di origine o su un piano più generico e comparativo.

Citazione di: Carlo Pierini il 20 Agosto 2017, 01:04:28 AM
Non mi pare che la dialettica hegeliana abbia mai aiutato alcun ricercatore a superare alcun problema logico-epistemico.
Perché Hegel principalmente non era né un logico né un epistemologo... vogliamo rimproverare a Cartesio, nel suo occuparsi di dio, di non aver contribuito al progresso della teologia? ;D


P.s.
Citazione di: Carlo Pierini il 20 Agosto 2017, 01:04:28 AM
P.S.
Hai detto di aver trovato degli spunti interessanti su qualche mio intervento. ...Per esempio?
Hai l'indubbio merito di aver pazientemente condiviso una ricca dose di citazioni che, per quanto decontestualizzate, fungono da spunto di riflessione (il che, chiaramente, non significa essere d'accordo con tutto ciò che ci stimola...). Se intendi qualcosa di più individuale, considera che ogni domanda che mi poni, mi porta a riflettere, a chiarirmi (che, egoisticamente, è più prezioso del "chiarirti" ;) ), a fare i conti con una prospettiva differente...

Ecco, prova a pensare se invece ci focalizzassimo sui nostri denominatori comuni, sul comparare i nostri elementi simili, magari aggiustandoli un po' per farli rientrare in un puzzle condiviso; quanto sarebbe generica (ed ermeneuticamente "debole") la "visione comparata" che ne deriverebbe? E quanto verrebbero deformate le particolarità delle nostre prospettive? Quanto ognuno di noi si sentirebbe malinterpretato o "superficializzato"?
Hegel, nella sua tomba, sta sorridendo...
#1963
Citazione di: Carlo Pierini il 19 Agosto 2017, 18:52:46 PM
Lo so che tu pensi questo, ma la tua è un'opinione che, seppure oggi molto di moda, non corrisponde con ciò che si osserva.
Con buona pace di tutta l'antropologia e di numerose altre scienze umane, giusto? ;)

Citazione di: Carlo Pierini il 19 Agosto 2017, 18:52:46 PM
Gli "archetipi" si chiamano così proprio perché sono presenti sempre uguali a se stessi (se pur in forme varianti diverse) in OGNI contesto culturale ("Arché-tipo = modello universale) [...]E poi esistono varianti egizie, ebree, fenicie, e molte altre provenienti da ogni tempo e luogo. Cosa c'entra, dunque,l'eredità culturale, se, per esempio, tra la Cina e la Mesopotamia di 5000 anni fa non c'era alcun contatto culturale?
Attenzione a non confondere i simboli con gli archetipi: il mio discorso sull'impatto del contesto culturale parlava, come puoi leggere, esplicitamente di simboli (come tu stesso hai notato, anche il linguaggio ha un piano simbolico), mentre, non a caso, quando ho parlato di archetipi ho scritto:
Citazione di: Phil il 19 Agosto 2017, 16:19:17 PM
a scanso di equivoci, ribadisco che per me gli archetipi esistono come fattori transculturali.
e con "transculturale" intendo proprio la definizione di archetipo che hai citato...


Citazione di: Carlo Pierini il 19 Agosto 2017, 18:52:46 PM
C'è poco da approfondire. La logica (p.d.n.c.) vieta la possibilita di di coesistenza tra due significati opposti-contraddittori, quindi la Dialettica non può applicarsi ad essi, come invece ha scritto Hegel in più opere. Inoltre, gli opposti complementari possono unificarsi senza cancellare la loro dualità SOLO se l'Uno non appartiene al medesimo piano di esistenza del due. Se, invece, "tesi" e "antitesi" diventano "uno" nella "sintesi", ciò significa che la loro dualità-opposizione era solo apparente.[...] Tant'è che Hegel stesso non l'ha mai applicata a NULLA
Sicuramente conosci Hegel meglio di me, ma rimane il sospetto che per "antitesi" tu intenda generalisticamente "significato opposto-contraddittorio"(cit.) che non è quello che Hegel intendeva (soprattutto nelle sue analisi di filosofia della storia, o sullo "spirito", che non hanno niente a che fare con il principio di non contraddizione), almeno per come ha scritto ed è stato interpretato da chi lo ha studiato (se non erro)... ma non voglio insistere.
Sicuro poi che la sua dialettica triadica non l'abbia mai applicata a nulla? E le triadi hegeliane che ha (de)scritto? Credo basti sfogliare l'indice della "Fenomenologia dello spirito" per trovarne qualcuna, se non ricordo male...
Adesso però non farmi passare per strenue difensore di Hegel, è il colmo dei colmi (anche per mia incompetenza!) ;D
#1964
Citazione di: Carlo Pierini il 18 Agosto 2017, 22:40:36 PM
Certo, tutti gli uomini ragionano in modo dicotomico, proprio perché il mondo E' FATTO di dicotomie.
Penso che il mondo non sia fatto di dicotomie, ma venga letto secondo dicotomie: il bene e il male non hanno sostanza, così come il bello e il brutto, etc. è sempre una questione di interpretazione umana; le dicotomie siamo noi a vederle (e a deciderle) in ciò che guardiamo, sono nell'occhio, non nel mondo (salvo avere fede in determinati orizzonti mistico-religiosi che si ritengono esenti dell'onere della prova...).
Sono le categorie umane ad essere duali, e non a caso non tutte le dicotomie vengono "riempite" con gli stessi "elementi", come dimostrano le differenze culturali...
Perché le categorie sono proprio duali e non terziarie? Perché quelle duali sono le più semplici, le più pratiche da usare (criterio da sempre caro all'uomo, pigro ottimizzatore!); due è il numero minimo che non sia uno (se tutto fosse considerato uno e indistinto non sarebbe funzionale, almeno in questa fase dell'evoluzione storica... anche se attualmente questo monismo, nella sua saggezza, ha comunque i suoi seguaci, non credo possa essere praticato su grande scala a breve).

Citazione di: Carlo Pierini il 18 Agosto 2017, 22:40:36 PM
questa dicotomicità del mondo non è immediatamente evidente [...] e per capirla serve un'intuizione, un'ispirazione, una sintesi, e i simboli *sono* intuizioni o ispirazioni che esprimono una sintesi.
Non la farei così complessa e mistica: per capire la dicotomicità, o meglio, per apprenderla, è sufficiente ricevere un'educazione dal proprio contesto di crescita, imparandola per emulazione/introiezione, e successivamente rielaborarla in base ai propri vissuti (nulla di trascendente ;) ).

Citazione di: Carlo Pierini il 18 Agosto 2017, 22:40:36 PM
ora avrei  bisogno di qualche pagina di scritti per dirti quanto quel suggerimento simbolico cadesse a fagiolo in relazione alla mia condizione esistenziale-psicologica di allora, ma te lo risparmio. Tuttavia, se aggiungi a quanto detto tutte le altre coincidenze-complementarità di significato con la tradizione simbolica che ho annotato nel mio breve resoconto, ti renderai conto di quanto siamo lontani dalla tua laconica e scarna idea secondo cui i simboli non sarebbero altro che passivi riflessi dell'esperienza di chi li "partorisce".
Non sono sicuro di aver parlato dei simboli come "passivi riflessi dell'esperienza di chi li partorisce" (non penso lo siano, credo invece conti molto il contesto e l'eredità culturale in cui si vive); comunque, ammesso e non concesso, nulla vieterebbe a "passivi riflessi" storicizzati di essere ricchi di significato e di "cadere a fagiolo" in particolari situazioni esistenziali-psicologiche... ma ciò non toglie che rimangano comunque "passivi riflessi" piuttosto che "attivi segni del divino" (divino che, secondo me, proprio come le dicotomie è più nell'occhio che nel mondo...).
Tuttavia, a scanso di equivoci, ribadisco che per me gli archetipi esistono come fattori transculturali e derivano da quella famigerata "indole" a cui accennavo in precedenza.

Citazione di: Carlo Pierini il 18 Agosto 2017, 22:40:36 PM
Per capire che Hegel, pur partendo da un'intuizione geniale sulla possibilità di complementare gli opposti "tesi" e "antitesi" in una "sintesi" finale, *si è sbagliato clamorosamente* creando un mostro logico, mi è stato di grande aiuto sia il Caduceo che il Tao: entrambi contemplano un *piano superiore*, un *Tertium* verso cui gli opposti convergono e si unificano complementariamente senza perdere la propria rispettiva "sovranità ontologica", cioè, senza che la loro dualità sia annullata, assorbita dall'Uno. Senza questo Tertium giacente su un piano ALTRO da quello del Due, scatterebbe l'aristotelico principio di non-contraddizione (p.d.n.c.) che decreterebbe il concetto di "sintesi degli opposti" una ...boiata pazzesca. Infatti Hegel ha ronzato spesso intorno al p.d.n.c. indeciso se abolirlo oppure lasciarlo in vita. E non avendo deciso nulla, ha lasciato la Dialettica in pasto ai logici successivi che l'hanno massacrata.
Non sono affatto un esperto di Hegel, tuttavia, pensando a quel poco che ricordo, mi permetto di suggerirti, per la tua ricerca, di (ri)approfondire i suoi concetti di "tesi" e "antitesi" che, se considerati in modo vago e generico, come accennavo in precedenza, smettono di essere "tesi" ed "antitesi" di Hegel, ma diventano altro, uno spurio ibrido non hegeliano indebitamente attribuito ad Hegel (con conseguente fallacia dell'"argomento fantoccio"... chi l'avrebbe mai detto che un giorno avrei spezzato una lancia in favore di Hegel  ;D ).
Mi dirai che Hegel non è il fulcro della discussione, e hai ragione, ma mi pare un esempio eloquente di quale sia il rischio ermeneutico nell'accostare per somiglianze vaghe (e per amor di comparazione) strutture di senso, che hanno un'identità ben definita e differenziata, con altre che, solo ad uno sguardo "leggero", sembrano molto affini e "comparabili".

P.s.
Ti invito a non considerare queste mie osservazioni critiche come una polemica oppositiva alla tua ricerca: nella migliore delle ipotesi, possono essere spunto di riflessione per rafforzare i tuoi risultati conseguiti; nella peggiore, ti accorgerai di dover aggiustare il tiro (oppure concluderai che ci sono modi migliori di impiegare il tuo tempo che leggere i miei post).
#1965
Citazione di: Carlo Pierini il 18 Agosto 2017, 17:19:16 PM
E cosa sarebbe questa "...nuda, istintiva, generica "attitudine mentale"?
Grazie per la fiducia nel fatto che io possa rispondere a questo domandone!
Direi che ne fanno parte alcune tendenze ricorrenti che è (stato) possibile osservare nell'uomo, come quelle che ho elencato (improvvisandole) nella lista che ri-cito in seguito...

Citazione di: Carlo Pierini il 18 Agosto 2017, 17:19:16 PM
Ciò che è istintivo si manifesta in TUTTI gli individui appartenenti ad un medesimo ceppo genetico. Mentre l'era moderna, per esempio, sta conoscendo un fenomeno che si chiama ATEISMO di massa; e gli atei non hanno la medesima "...nuda, istintiva, generica "attitudine mentale" dei credenti rispetto alla religione, ma una attitudine nettamente opposta.
Quando ho parlato di "indole" o "attitudine mentale" (non solo d'istinto!) avrai notato che non l'ho fatto restringendone il campo d'applicazione alla religione; infatti la religione o l'ateismo sono comunque fenomeni storici (e, en passant, credo che nel mondo l'ateismo appartenga numericamente ancora ad una sparuta minoranza, ma potrei sbagliarmi); ciò che fa parte della suddetta "indole" non è, per me, la fede in un dio, bensì (pardon, per la ripetizione):
Citazione di: Phil il 18 Agosto 2017, 16:22:57 PM
l'uomo è attaccato alla vita e teme la morte; l'uomo è attratto dalla luce e ha paura del buio; l'uomo ha bisogno di un habitat in cui orientarsi perché sente il bisogno di rassicuranti punti di riferimento; l'uomo ha orrore del vuoto, per cui tende a riempirlo (in qualunque modo); l'uomo ragiona in modo dicotomico, o "binario" diremmo oggi (io/tu, si/no, bene/male, buono/cattivo, questo/quello, etc.) e così via...
Gli atei non presentano forse queste caratteristiche istintive, psicologiche, mentali?
Chiaramente ci sono poi anche le dovute eccezioni, le patologie, i disturbi, etc. ma direi che, sotto sotto, sono inclinazioni comuni un po' a tutti, da sempre, no?

Citazione di: Carlo Pierini il 18 Agosto 2017, 17:19:16 PM
L'hai letto il mio 3d "Una esperienza visionaria molto istruttiva"? Perché quello che descrivo in quel post non è successo a nessun altro tra le centinaia di persone che conosco? Prova a spiegarmi quell'evento come frutto di una istintiva e comune attitudine umana, e vediamo se la tua spiegazione sarà più convincente di quella che ne darebbe Jung-Eliade-Guénon, ecc..
Qui mi chiedi davvero troppo... addirittura spiegare ed interpretare un evento da te raccontato... non perché non mi fidi della veridicità del tuo racconto o voglia insinuare che alcune piante dell'Ecuador fanno uno strano effetto (scherzo!  ;D ); semplicemente non ho le minime competenze per darti una spiegazione di un vissuto così particolare (e se anche le avessi, non basterebbe certo leggerne un riassunto per ottenere una buona analisi).
Così, al volo, posso solo osservare una coincidenza: il momento in cui è avvenuto il fatto, stando al tuo racconto, è caratterizzato numericamente dal 6 (ore del mattino), 3 (mese di marzo) e 1998 (anno dell'accaduto); ebbene, se sommiamo queste cifre (6+3+1+9+8+8) otteniamo "35", se sommiamo ancora questi due numeri fra loro, il risultato è "8"... numero che (oltre ad essere l'infinito "raddrizzato"!) è anche contenuto icasticamente nel tuo simbolo-totem, il caduceo... il resto si scrive da sé  ;)

Citazione di: Carlo Pierini il 18 Agosto 2017, 17:19:16 PM
A cosa ti riferisci, in particolare?
Intendo che un universo di simboli ricorrenti (in modo trasversale) non ha un valore chiaro, se non appartiene ad una tradizione, ma a (quasi) tutte: il numero tre, ad esempio, che rimbalza "sterilizzato" (spogliato da tutti i sensi differenti che assume in ogni contesto) da una visione-del-mondo all'altra, che cosa ci dice, in fondo? Che l'uomo è affascinato dal numero tre? Ciò è indubbiamente interessante dal punto di vista antropologico ed estetico (quando parlo di "inventario ragionato" intendo questo); prendiamone pure atto, ma sul piano ontologico, morale, epistemologico, etc. (ovvero "ragionare con ciò che abbiamo in inventario") questo rilevamento, fino a prova contraria, non ha un valore significativo, soprattutto se nutriamo la speranza che ci orienti verso una divinità o che possa fornire risposte esistenziali.
Oppure questo rintoccare del numero tre ci spiega qualcosa di rivelativo (che non sia solo il logico superamento/risoluzione della diade con cui l'uomo ragiona)?

Citazione di: Carlo Pierini il 18 Agosto 2017, 17:19:16 PM
più sono numerose le triangolazioni tra simbolismi diversi, più si focalizza il significato di certi simbolismi particolari.
Onestamente, ciò non mi convince troppo: ad esempio, per capire meglio la triade in Hegel, dovrei coinvolgere anche la trinità cristiana e quella (discutibilmente surrettizia) taoista? Oppure, triangolandole fra loro, ciascuna perde invece i suoi tratti più peculiari, per essere resa compatibile con le altre due?
Se parliamo di allargare il senso, concordo, ma "focalizzare meglio il significato di certi simbolismi particolari" richiede l'opposto del sincretismo/comparazione, ovvero la focalizzazione del singolo contesto di riferimento (sempre secondo me...).