Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - sgiombo

#1951
Tematiche Filosofiche / Re:Esistenza dell'eternità
26 Aprile 2018, 09:44:16 AM
A Davintro:

Penso che sia per lo meno dubbio che possano esistere concetti nella nostra mente la cui presenza (di concetti dotati di una connotazione o intensione mentale e in quanto tali) possa essere prova dell' esistenza anche di denotati reali di tali concetti, in quanto concetti non costituiti attraverso la composizione arbitraria (fantastica) di concetti più elementari di cose reali, e dunque significanti cose reali e non fantasticamente sintetizzate (questo evidentemente in base alla concezione empiristica della mente umana come "tabula rasa" alla nascita).
 
Infatti possiamo sognare (oltre che percepire alucinatoriamente) tante cose inesistenti in realtà e (immediatamente o più verosimilmente, più realisticamente dopo, da svegli) farcene concetti mentali sensati, caratterizzati da connotazioni o intensioni, ma privi di denotazioni o estensioni reali (oltre che impiegarle per comporre o sintetizzare concetti mentali più complessi, che potrebbero essere a maggior ragione privi di denotazioni o estensioni reali).
E non sarei sicuro che nei sogni accada necessariamente un "rimescolamento", una rielaborazione e composizione arbitraria unicamente di dati empirici "propri del mondo reale" precedentemente percepiti e memorizzati (come accade nel pensiero fantastico) e non anche la percezione "originaria" di taluni dati empirici non appartenenti al mondo reale.
 
 
Ma l' obiezione più seria alla tua tesi dell' esistenza reale dell' eternità riguarda la possibilità di ricavare molto facilmente concetti di grandezze infinite da concetti di grandezze finite (in generale; e in particolare da concetti di durate temporali finite) semplicemente immaginando il prolungamento e la reiterazione senza fine dell' operazione di somma di concetti di grandezza finita: la presenza all' interno della nostra mente di tali concetti di grandezza infinita, così ricavati per sintesi arbitraria (fantastica) di concetti di grandezza finita a loro volta ottenuti dalla constatazione empirica di enti o eventi finiti -quelli sì, reali- non é una prova dell' esistenza reale degli enti o eventi di grandezza infinita da essi denotati.
 
Esiste in matematica il concetto di "numero infinito" (il cui simbolo, che non ho sulla tastiera del computer, notoriamente é una specie di "8" girato di 90° e messo "in orizzontale"), ricavato per l' appunto attraverso la (fantastica, arbitraria) reiterazione senza fine della somma di numeri finiti, o anche solo attraverso il "successivo passare in rassegna", immaginata senza fine, di numeri finiti crescenti di un' unità (il contare numeri finiti) i cui concetti sono ottenuti per astrazione da esperienze concrete di oggetti simili in gruppi costituiti da numeri uguali di essi.
Ma questo concetto infinito ce l' abbiamo nella nostra coscienza solo noi moderni e non gli uomini primitivi (non é innato), ed é ottenuto dalla sintesi, immaginata senza fine, di numeri finiti,
 
Il concetto di qualsiasi quantità infinita (compresa la quantità "durata temporale"; ovvero il concetto dell' "eternità") si ottiene immaginando l' iterazione senza fine di somme delle rispettive quantità finite, cioè, come dici tu, "per sintesi", operata arbitrariamente dalla fantasia, e che quindi potrebbe benissimo essere del tutto fittizia e condurre a concetti privi di denotazione o intensione reale: l' eternità potrebbe non esistere, non é un concetto la cui presenza all'interno della pensabilità della nostra mente sia una prova della sua esistenza reale.
#1952
Citazione di: epicurus il 24 Aprile 2018, 12:58:03 PM
CitazioneCaro Epicurus, tu continui a confondere teoria e pratica (oltre che indubitabilità dei giudizi analitici a priori, ovviamente se logicamente corretti, e inevitabile dubbio di tutti i giudizi sintetici a posteriori) e a ignorare i limiti teorici della razionalità (che significa essere meno conseguentemente razionalisti, coltivando beate illusioni in proposito, che rendersene conto) e io so più cosa fare per farti capire questa differenza e questi limiti.
 
Poco male: contento (anche) tu, siamo contenti tutti!
 
Farò comunque un estremo sforzo per rispondere alle tue obiezioni (non pretendo come Giobbe, ma comunque di pazienza ne ho non poca).

Ciao, ricapitolo un po' di conseguenze della tua tesi:

1. Non è razionale credere che sia molto più probabile morire per la caduta se ci si getta dal 100° piano, invece che, poniamo, trasformarsi in un gatto e teletrasportarsi in un castello fatto interamente di nutella sulla Luna. Più in generale, non è razionale parlare che qualcosa sia più probabile di qualcos'altro.
2. O ci si comporta da sani di mente irrazionali, oppure ci si comporta da pazzi razionali. Quindi, la razionalità implica la pazzia.
3. La ragionevolezza pragmatica implica l'irrazionalità.
4. Praticamente ogni nostra azione è sempre irrazionale. Può essere ragionevole, ma è comunque irrazionale.
CitazioneNon ho mai pensato nulla di ciò che mi attribuisci:

1 Ho invece sempre pensato che se non ci si rende conto che il credere che gettandosi dal 100° piano si precipita al suolo (e quasi sicuramente ci si fa molto male) é indimostrabile e dunque teoricamente degno di dubbio si é meno razionalisti che se ce se ne rende conto (non si é conseguentemente razionalisti, contrariamente che rendendosene conto).

2 Ho invece sempre pensato che o ci si comporta da sani di mente essendo razionali fino in fondo e dunque rendendosi conto di credere vere anche talune tesi indimostrabili, dubbie, oppure ci si comporta da sani di mente non essendo razionali fino in fondo e coltivando beate illusioni.

3 Il comportamento ragionevole da sani di mente implica una limitazione nell' applicazione nella pratica della razionalità teorica.

4 Praticamente ogni azione da sani di mente implica la credenza indimostrata in qualcosa, la non considerazione in pratica di dubbi teorici dei quali un razionalismo conseguente fino in fondo impone di essere consapevoli in teoria (oppure, se non si é razionalisti fino in fondo, la semplice ignoranza di ciò e la coltivazione di pie illusioni circa la razionalità umana).

Come già detto in altri post, per me questo è tutto fuorché la caratterizzazione della nozione di "razionalità". E' qualcosa d'altro... e non è solo una questione linguistica, se sosteniamo che la razionalità abbia un qualche grado di valenza normativa.
CitazioneInfatti la razionalità può avere valenza normativa quanto alla teoria, non quanto alla pratica (se non meramente strumentale verso l' irrazionalità delle pulsioni ad agire e dunque ad esse subordinata e condizionata): può solo dirci come é o non é la realtà, non come deve o non deve essere (anche se ovviamente la conoscenza teorica della realtà fornisce mezzi all' azione, la quale però é promossa da istanze irrazionali: i fini dell' agire sono avvertiti irrazionalmente, e solo i mazzi per raggiungerli sono conusciuti razionalmente, la ragione non può dirci come si vuole che sia la realtà, ma solo se ed eventualmente come si può fare perché così sia).

Ora un po' di domande:

A. Se la ragionevolezza non è razionale, perché tu cerchi di essere ragionevole?
CitazioneLa ragionevolezza pratica é diversa dalla razionalità conseguente fino in fondo teorica e non necessita del razionalismo conseguente e della consapevolezza dei suoi limiti: può comportarsi ragionevolmente anche chi coltiva pie illusioni circa la razionalità umana (...ma non sa cosa si perde!).

Cerco di essere ragionevole in pratica perché ciò non mi impedisce di essere razionalista conseguente fino in fondo in teoria e perché sono sano di mente.

B. Come ti immagineresti una tua giornata se tu volessi essere davvero razionale? Cosa faresti? Come si svolgerebbe?
CitazioneEsattamente come sono le mie giornate di fatto, dal momento che il mio razionalismo teorico conseguente fino in fondo (il mio "essere davvero razionale") non mi impedisce affatto di comportami ragionevolmente in pratica, rendendomi conto dei limiti della razionalità umana e del razionalismo non conseguente del mio comportamento, cosa per me assai gratificante (e viceversa).

C. Immagino che la filosofia dovrebbe servirsi solo della razionalità (e non della ragionevolezza). Detto questo, tu sei disposto a vincolarti in tale modo?
CitazioneOvvio, é quel che cerco sempre di fare: in filosofia sono razionalista conseguente fino in fondo, conoscendo i limiti della razionalità (sono "vincolato in tal modo", con grandissima soddisfazione, per la cronaca); il che non mi impedisce affatto di comportarmi in pratica ragionevolmente (nella piena consapevolezza teorica che il mio non é un comportamento pratico razionalista conseguente fino in fondo, oltre che dei limiti della razionalità cosa che mi gratifica moltissimo).

D. Secondo te è epistemicamente migliore l'attuale teoria astronomica o la teoria astrologica? Perché sarebbe meglio credere all'astronomia? Se per rispondere a ciò disponiamo solo della ragionevolezza, allora rimaniamo nel campo dell'irrazionalità, no?
CitazionePremesso che ritengo profondamente errate e false le teorie cosmologiche (o per meglio dire: cosmogoniche) correnti, in generale l' astronomia scientifica é di gran lunga migliore delle superstizioni astrologiche perché limita le sue credenze indimostrate e dubbie a un "minimo indispensabile", mentre l' astrologia, come tutte le superstizioni,  "si beve allegramente di tutto e di più".

Ma come ti può essere sorto un simile dubbio?
Ah, già, é perché confondi continuamente e peristentemente teoria e pratica, oltre a non essere razionalista conseguente fino in fondo (secondo quel che personalmente intendo per "razionalismo" e "razionalità", ovviamente), dal momento che ignori i limiti della razionalità umana  e coltivi beate illusioni in proposito.

E. Riguardo l'ultima questione, a pare che rimanga valida la mia obizione. Seguendo la tua tesi: per tutta una multitudine di ragione (alcune delle quali che potrebbero essere oltre la nostra immaginazione) il razioscetticismo sgiombiano può essere sbagliato, quindi dovremmo sospendere il giudizio su di esso, come per qualsiasi altra tesi autoconsistente.
CitazioneA me pare proprio il contrario!

Infatti i giudizi analitici a priori su cui si fonda il razioscetticismo sgiombiano (come tutti i giudizi analitici a priori correttamente svolti) sono indubitabili (potrebbero essere dubbi, e per lo meno molto probabilmente lo sarebbero se fossero condotti erroneamente, scorrettamente ma questo é tutto da dimostrare); ivi compreso quello affermante la insuperabile incertezza di ogni giudizio sintetico a posteriori, ovvero eventuale conoscenza di come é/diviene o non é/non diviene la realtà).
F. D'altro canto potrebbe essere che tu sia l'unico soggetto epistemico al mondo fallace, profondamente fallace, e che il resto delle persone invece fossero onniscienti. Ma allora, in una situazione del genere, la tua tesi non sarebbe una tesi generale, ma semplicemente una tesi estremamente particolare, una tesi che riguarda solo te. Inoltre, sempre in tale situazione, non sarebbe meglio che tu non esponessi tale tesi, visto che tutto ciò che dici e credi sarebbe molto probabilmente sbagliato (e lo diresti a persone che non hanno bisogno di ciò visto che sono onniscienti)? Certamente questa è solo una possibilità, ma ugualmente dovrebbe vincolarti... Se ci sono così tanti dubbi non solo sul mondo e come lo conosciamo, ma dubbi che riguardano dubbi di come lo conosciamo, e dubbi sui dubbi sui dubbi di come lo conosciamo, ecc..., allora non sarebbe più razionale sospendere il giudizio su tutto e semplicemente rimandere in silenzio?
CitazionePer la serie: "se mio nonno avesse tre ruote sarebbe un triciclo"!

La fallibilità non é dei giudizi analitici a priori correttamente condotti: se mi dimostrassi che i miei non lo sono (ma ci vorrebbero giudizi sintetici  posteriori, i quali sono insuperabilmente dubbi), ne potremmo riparlare.

Ci sono così tanti dubbi su ogni cosa, ma non sulla verità dei giudizi analitici a priori correttamente condotti.
#1953
Tematiche Filosofiche / Re:Esistenza dell'eternità
24 Aprile 2018, 12:00:07 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 24 Aprile 2018, 10:40:21 AM
@Sgiombo;
CitazioneCome ho dimostrato nel precedente intervento (non posso che copiare-incollare), Se la frase "la manifestazione in atto di tutte le infinite potenzialità" ha un senso (diverso da quello di "tutto ciò che esiste, incluso ciò che non posso sperimentare e conoscere, direttamente o indirettamente"), questo non può che essere "la realtà, il reale accadere di tutto ciò che é pensabile".
Ma tutto ciò che é pensabile non é affatto reale.
E anzi nemmeno potrebbe esserlo perché pensabile é "di tutto e di più", ovvero "tutto e il contrario di tutto", mentre reale può essere solo o "tutto" oppure "il contrario di tutto": non può essere reale l' accadere realmente di qualcosa a un certo tempo e in un certo luogo e inoltre il non accadere realmente di tale "qualcosa" a quello stesso tempo e in quello stesso luogo, anche se invece può benissimo essere pensato sia l' accadere sia, in alternativa, il non accadere realmente di tale "qualcosa" a quello stesso tempo e in quello stesso luogo.
E invece è proprio così: a cominciare dal fatto che la manifestazione è ESSERE e al tempo stesso NON ESSERE, il cui risultato è il DIVENIRE.
Il TUTTO non è limitato a ciò che è pensabile, perché sarebbe come dire che il TUTTO soggiace ai limiti della mente umana. Il TUTTO è molto di più, infinitamente di più.
CitazioneNo!

Essere == essere =/= non essere.

Divenire =/= essere fisso, immutabile.

Divenire =/= non essere.

Si pretende (indebitamente, falsamente) che "il tutto soggiace ai limiti della mente umana" se si afferma che "é reale solo ciò che é pensabile e non altro" (cosa che non mai preteso!) e non affatto che "tutto ciò che é pensabile (anche cose reciprocamente contraddittorie, pensabili in reciproca alternativa) é reale", che é semplicemente assurdo (oltre che falso; ché altrimenti avrei avuto tante di quelle bellissime donne!).

C' é una bella differenza ! ! !


Tutto ciò che è pensabile è anche reale, altrimenti non sarebbe pensabile.
CitazioneE' anche reale in quanto pensabile e basta, in quanto oggetto o contenuto di pensiero ma non affatto necessariamente in quanto contenuto della realtà (e non solo in quanto pensato): c' é una bella differenza fra un ippogrifo realmente pensato (reale sono in quanto oggetto o contenuto di pensiero. che ci può far divertire o meno) e un cavallo reale (non solo in quanto oggetto di pensiero), che ci può dare un sonoro calcione, madandoci magari al creatore ! ! ! 

Per tutto ciò che è pensabile, esiste uno scenario in cui esso può realizzarsi, e se può realizzarsi, lo farà.
Anzi, lo fa, è già in atto da qualche parte. 
CitazionePregasi dimostrare (ammesso e non concesso che sia possibile).


L' ipotesi del multiverso è una parziale rappresentazione del TUTTO, ma già fa capire che esistono infiniti scenari dove tutte le infinite combinazioni degli eventi possono (devono) verificarsi (proprio "tutto e il contrario di tutto"). Nella cornice del multiverso la distinzione di tempo e luogo non ha più senso. Si può dire che tutto avvenga nello stesso luogo e nello stesso tempo.
CitazioneSe anche fosse (ammesso e non concesso), sarebbe soltanto nell' "ipotesi" (parola tua) del multiverso!

...Peccato che si tratti di un' ipotesi indimostrata e indimostrabile!


Del resto, se ti chiedessi di definire che cosa è reale, e che cosa non lo è, come faresti? Esiste qualche criterio? Quella che noi chiamiamo realtà, potrebbe essere un sogno, da cui un giorno potremmo risvegliarci in una realtà "più reale", e così via... Il senso della realtà è inseparabile da un coscienza che lo percepisca. Il senso della realtà è un fatto di coscienza.
CitazioneDi questo vaniloquio posso concordare solo col fatto che quella che noi chiamiamo realtà, potrebbe essere un sogno, da cui un giorno potremmo risvegliarci in una realtà non onirica.

Non mi pare poi di aver liquidato il tuo sistema senza motivazioni. Ho ampiamente argomentato le mie critiche nei post precedenti, e non è il caso di fare copia e incolla. Preferisco riassumere in poche parole i punti principali.
CitazioneNOn é il caso di farlo perché non ci sarebbe nulla da copiare-incollare.


In primo luogo trovo incongruo rigettare la validità del principio di ragione sufficiente, e accettare "la chiusura causale dell'universo": il principio di causalità è un aspetto del principio di ragion sufficiente, e lo troviamo confermato in ogni esperienza del mondo in cui viviamo. E' artificioso distinguere la totalità dei fenomeni dai singoli fenomeni (non esistono singoli fenomeni), e affermare che la legge di causalità (in generale, il principio di ragion sufficiente) può valere per le parti, ma non per il tutto. Ne consegue la tua (per me) errata legittimazione di una totalità che non è tale, e che anzi si mostra come una verità tautologica (la totalità è tutto ciò che realmente esiste, e tutto ciò che realmente esiste è la totalità). Ma le tautologie non stanno in piedi da sole...
CitazioneLa cusalità ha senso unicamente relativamente a una parte, all' interno di un tutto in divenire ordinato secondo leggi universali e costanti e non affatto (sarebbe autocontraddittorio pretenderlo!) a proposito di un tutto, oltre al quale per definizione non esisterebbe nulla che potrebbe esserne causa (non vi sarebbe un divenire ordinato secondo modalità universali e costanti che lo implicasse).

La totalità è tutto ciò che realmente esiste, e tutto ciò che realmente esiste è la totalità é una tautologia.

Invece esiste qualcosa oltre la totalità dell' esistente (che é causa della totalità) é una contraddizione: l' esatto contrario!

Per quanto riguarda gli altri aspetti del tuo sistema, osservo quanto segue.
Ci sono tre piani ontologici, la cui esistenza è ingiustificata alla luce del principio di ragion sufficiente (vedi sopra); ma, quel che è peggio, questi non servono allo scopo per cui sono stati chiamati in causa (quando dico "servire" intendo non uno scopo metafisico, ma la ragione filosofica per cui li assumo).
Il noumeno sembra essere chiamato in causa per risolvere il problema della corrispondenza fra res extensa e res cogitans, ma poi dichiari che esso non interferisce causalmente con gli altri due piani e che "nulla garantisce" la corrispondenza di cui sopra, che resta solo supposta e indimostrata. Credo che Occam, col suo rasoio, darebbe un bel taglio a questo noumeno che "non serve" a nulla...
CitazioneL' esistenza del piano fenomenico, con le sue due componenti extensa e cogitans, la si constata empiricamente a posteriori.

Quella del secondo (e non terzo) piano ontologico, quello noumenico ho sempre sostenuto che é indimostrabile: il principio di ragion sufficiente non c' enta!
Ma é necessaria per spiegare i rapporti mente-cervello così come scientificamente rilevati, a meno di ricorrere alla leibniziana armonia prestabilita fra monadi incomunicanti o, peggio, all' occasionalismo di Malebranche.

Ti informo che il rasoio di Ockam serve a eliminare le ipotesi non necessarie a spiegare alcunché, e dunque non quella da me proposta del noumeno, la quale spiegano egregiamente intersoggettività dei fenomeni materiali e corrispondenza biunivoca fra fenomeni coscienti ed eventi neurofisiologici cerebrali senza interferenze causali (stante la chiusura causale del mondo fisico), così come dimostrata scientificamente.

Per non parlare di altri problemi. Cosa avviene alla morte? La coscienza individuale, che si trova nella res cogitans, cioè in un piano ontologico non causalmente legato alla res extensa, dovrebbe essere indifferente alle sorti del corpo fisico. E' così? La coscienza dunque è immortale? Perché se lo neghi, allora deve esistere un agente con la precisa funzione di distruggere la coscienza individuale nell'attimo in cui il relativo corpo muore, allo scopo di mantenere la suddetta corrispondenza... E' così? E se sì, qual è questo agente? In quale piano si trova, visto che gli altri due non interferiscono causalmente con la res cogitans? Specularmente, analoghi ragionamenti possono essere fatti per il momento della nascita.
CitazioneSenza esserne sicuro al 100%, credo che alla morte, finendo ogni attività cerebrale, finisca corrispondentemente ogni evento fenomenico  nella rispettiva esperienza cosciente (cioé finisca di esistere-divenire realmente la rispettiva esperienza fenomenica cosciente).

La coscienza individuale non si trova affatto nella res cogitans (e nemmeno nella res extensa): é invece la res cogitans (e pure al res extensa) a trovarsi nella (a far parte della, ad accadere nell' ambito della) coscienza fenomenica.

Dunque, nessun bisogno di farneticare di "agenti con la precisa funzione di distruggere la coscienza individuale nell'attimo in cui il relativo corpo muore" (né di creala quando nasce).

Mi fermo qui: queste e altre incongruenze o assurdità emergono non appena si cominci un po' a sviscerare i dettagli...

CitazioneA me pare che emergano solo la tua totale incapacità di comprendere e i tuoi numerosissimi strafalcioni logici (come quello relatvo alla "causa del tutto").
#1954
X GreenDemetr

Sì, il concetto di "mondo" mi lascia un po' perplesso (e non sono sicuro di comprendere bene che cosa mi chiedi..
 
Se intendi chiedermi quali sono le mie convinzioni circa il senso o la ragione, il "perché?" della realtà in toto, allora mi sembra di avere più volte nel forum argomentato per negare la sensatezza di tale problema fondamentalmente per tre motivi.
 
Il primo é che di scopo può parlarsi solo a proposito di ciò che é opera di un agente intenzionale cosciente (e magari dotato di libero arbitrio), e dunque se per "ragione" o "senso" si intende lo scopo della realtà, allora potrebbe porsi il problema solo se previamente si dimostrasse che la realtà (in realtà il resto della realtà, ovvero la realtà escluso il suo creatore) é frutto di creazione da parte di un agente intenzionale cosciente (ma non della realtà in toto, creatore cosciente compreso, il quale sarebbe reale senza essere frutto finalizzato di creazione da parte di un agente intenzionale cosciente).
 
Al secondo ho accennato anche molto recentemente nella discussione con Lori Bagnara su "Esistenza della realtà", ed é il fatto che, intendendosi per "ragione" la causa di ciò che é reale, allora nell' ambito di una realtà in divenire ordinato secondo leggi universali e costanti può porsi il problema della causa di qualcosa di parziale (effetto, secondo le leggi del divenire, da qualcosaltro di parziale che ne é causa), ma non della realtà in toto, oltre la quale per definizione non é reale alcunché d' altro che ne possa non contraddittoriamente, sensatamente essere la causa.
 
Il Terzo é che semplicemente si da il caso che si può pensare anche ciò che non é reale (oltre darsi il caso che sia reale ciò che non si pensa); e questo induce a chiedersi la ragione del fatto che di tutto ciò che potrebbe essere (pensato come) reale sia reale proprio quello che lo é niente di tutte le altre ipotesi alternative ad esso.
Ma se pensabile (pensabile essere reale; o meno) é qualsiasi ipotesi non autocontraddittoria, però reale può essere unicamente ciò che é reale e nient' altro:
possibile == pensabile == possibile in quanto pensato =/= possibile in quanto reale (che implicherebbe anche possibile in quanto non reale).
E reale == necessariamente reale (necessario essere reale e non: possibile essere reale e non essere reale) == necessario in quanto reale (e non possibile in quanto reale, che implicherebbe anche possibile in quanto non reale).
Ma se, come effettivamente é, ciò che é reale (può bensì essere pensato non essere reale, ma) non può non essere reale e ciò che non é reale (può bensì essere pensato essere reale, ma) non può essere reale, allora in verità non si pone alcun problema del perché é reale proprio solo ciò che é reale e non altro, non essendo realmente possibile (ma solo pensabile) che sia reale altro, ovvero stando le cose in modo tale che non si dà possibilità reale di essere reale (ma solo di essere pensabile essere reale) di alcunché d' altro da ciò che é effettivamente reale e dunque non si pone alcun problema del perché, della ragione del fatto (che non si dà affatto!) che di tutto ciò che potrebbe essere reale sia reale solo proprio quello che lo é, e niente di tutte le altre ipotesi alternative ad esso: in realtà dandosi il caso che di tutto ciò che potrebbe essere pensato essere reale può essere reale solo ed unicamente proprio quello che lo é, e niente di tutte le altre ipotesi (pensabili, possibili essere pensate come reali, ma non possibili essere reali, ma necessariamente non reali) alternative ad esso.
#1955
Tematiche Filosofiche / Re:Esistenza dell'eternità
23 Aprile 2018, 15:43:10 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 23 Aprile 2018, 10:24:09 AM
@Sgiombo, non trovo convincenti, né complete, nessuna delle risposte che hai dato alle mie obiezioni.
Se osservo la realtà e estendo ragionevolmente la validità dei principi che osservo ("come in alto così in basso" ), non c'è nulla che possa suggerirmi un sistema filosofico così artificioso, e così poco in grado di fornire risposte, come quelle che ti sei scelto. Anche ammesso (ma non concesso) che "nulla lo escluda", il tuo sistema non è né l'unico né tanto meno il migliore, e quindi non vedo motivi per cui si dovrebbe adottare, visto che la ragione fondamentale per cui esiste la filosofia è per dare risposte, per dare un senso alle cose. Se uno si accontenta del non senso, non ha bisogno di sistemi filosofici...  Ma la chiuderei qui, andremmo avanti all'infinito.
CitazioneA parte il fatto che le mie tesi sono argomentate e sensatissime (anche se in buona parte non provate; come d' altra parte nessuna proposta ad esse alternativa) non vedo qui alcuna argomentazione per sostenere le tue critiche (o meglio la tua liquidazione).

A proposito di infinito, però, non ti sei ancora espresso chiaramente in merito: la totalità, per te, è infinita?
Ne tu né io sappiamo con certezza se la totalità è un infinito del tipo 1, 2 o 3 (vedi mio precedente post).
Nessuna delle tre opzioni si può dimostrare; possiamo solo scegliere quella che ci sembra più ragionevole.
Io ho scelto la 3 (il TUTTO), perché mi pare più ragionevole, nel senso che il TUTTO dà ragione di se stesso, cioé contiene in se stesso la ragione necessaria e sufficiente per la propria esistenza.
Nulla obbliga a scegliere la 1 o la 2, e se uno lo fa, dovrebbe spiegare perché ritiene tali opzioni più ragionevoli della 3.
CitazioneCome ho dimostrato nel precedente intervento (non posso che copiare-incollare), Se la frase "la manifestazione in atto di tutte le infinite potenzialità" ha un senso (diverso da quello di "tutto ciò che esiste, incluso ciò che non posso sperimentare e conoscere, direttamente o indirettamente"), questo non può che essere "la realtà, il reale accadere di tutto ciò che é pensabile".
Ma tutto ciò che é pensabile non é affatto reale.
E anzi nemmeno potrebbe esserlo perché pensabile é "di tutto e di più", ovvero "tutto e il contrario di tutto", mentre reale può essere solo o "tutto" oppure "il contrario di tutto": non può essere reale l' accadere realmente di qualcosa a un certo tempo e in un certo luogo e inoltre il non accadere realmente di tale "qualcosa" a quello stesso tempo e in quello stesso luogo, anche se invece può benissimo essere pensato sia l' accadere sia, in alternativa, il non accadere realmente di tale "qualcosa" a quello stesso tempo e in quello stesso luogo.
PS La soluzione di Malebrabranche è indubbiamente migliore della tua, perché dal momento che sento il bisogno di postulare un ente che risolva il problema della reciproca trascendenza delle due res, almeno attribuisco a quell'ente (Dio, per Malebranche) anche il compito di spiegare e dare un senso alla realtà, cosa che il tuo noumeno non è in grado di fare, anzi, apre più questioni di quante non ne chiuda.
CitazioneLa mia soluzione é indubbiamente migliore di quella di Malebranche perché contrariamente a questa non é arbitrariamente, indimostrabilmente compromessa con le religioni rivelate, il provvidenzialismo, ecc.
E inoltre é perfettamente coerente con la consapevolezza dell' assurdità della pretesa di un senso della totalità, dalla totalità stessa (in sé e per sé, senza aggiunta alcuna che le dia senso) diverso: pretendere che qualcosa esista oltre alla totalità, che alla totalità stessa dia un senso é palesemente contraddittorio (diverso essendo il caso di un senso di enti o eventi particolari, parziali nell' ambito di una totalità in divenire ordinato secondo modalità universali e costanti).


Loris Bagnara:
Il principio di ragion sufficiente è un caposaldo del pensiero filosofico occidentale dai greci in poi, anche se formulato esplicitamente per primo da Leibniz (cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/ragion-sufficiente_%28Enciclopedia-Italiana%29/).
Da questo principio discende quanto affermavo: ciò che è limitato, finito, contingente, non è ragione sufficiente di se stesso.
Io non conosco alcuna corrente filosofica di rilievo, nessun grande pensatore che abbia negato questo principio... Tu sì?

Sgiombo:
Certo che sì!

In filosofia, contrariamente che nelle scienze. non esiste consenso universalmente accettato su quasi nulla, principio di ragion sufficiente compreso (e comunque un eventuale universale consenso su qualsiasi tesi -anche ammesso e non concesso- non sarebbe una ragione sufficiente a crederla sicuramente vera o a vietarne la critica e al negazione. 
#1956
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
23 Aprile 2018, 15:03:52 PM
Stimolato anche da Il Dubbio, chiedo soprattutto ad Apeiron, per la sua competenza in materia (anche se mi sembra che talora la sua modestia lo spinga un po' a minimizzarla) una spiegazione.
 
Se ho ben capito l' entanglement quantistico é il fatto che si creano (per trasformazione in materia massiva di materia energetica secondo quantità determinate e costanti, ovviamente: costante restando la quantità di materia complessiva) coppie di particelle-onde che restano indefinitamente "correlate" a qualunque distanza vengano a trovarsi, di modo che per certi determinati eventi che (si rilevi che) accadono nell' una di esse immediatamente (istantaneamente, contemporaneamente) accadono certi determinati eventi (in qualsiasi momento rilevabili) anche nell' altra, quale che sia la distanza fra di esse (e viceversa, ovviamente).
 
Mi sembra (per quel che ho capito, più o meno bene) che i casi di eventi istantaneamente correlati a distanza teoricamente considerati nei teoremi di Bell e successivamente confermati dagli esperimenti di Aspect e altri riguardino, per esempio, l' orientamento spaziale dello spin dell' "ente quantistico in quanto particella" o del piano di polarizzazione dell' "ente quantistico in quanto onda elettromagnetica".
Se fra due particelle-onde entangled "a" e "b" viene testata di "a", con esito positivo, la direzione dello spin o del piano di polarizzazione rispetto a una certa direzione arbitraria (se la particella-onda "si adatta" a quella direzione adeguando ad essa spin o piano di polarizzazione e attraversando l' apparato di rilevazione), allora immediatamente, (se si osserva, si trova che) anche la particella "b" "passa in quella direzione" (anche in essa il test ha esito positivo; o piuttosto, se ho ben capito -ma in ogni caso i termini del problema non cambiano- complementarmente "b" passa nella direzione opposta o perpendicolare a quella di "a", ovvero su "b" il test ha esito negativo); il contrario se il test sulla prima particella ha esito negativo; e viceversa se si testa rispetto a una certa direzione spaziale la particella-onda "b".
E questo, sempre se ho ben capito, viene spiegato ammettendo che l' accadere (o meno) della deviazione della direzione dello spin o del piano di polarizzazione dell' una delle due particelle-onde entangled determina istantaneamente, a qualsiasi distanza, un' uguale (o più probabilmente, se o ben capito, la "contraria" o perpendicolare) deviazione della direzione di tali parametri nell' altra.
 
Ora mi chiedo (ammesso che abbia capito decentemente i termini della questione): non si potrebbe in alternativa spiegare la cosa semplicemente ammettendo che ciascuna delle due particelle-onde presenti realisticamente e localmente (ciascuna ove si trova o transita in ogni momento) un certo parametro o caratteristica che potremmo chiamare la "propensione ad adattare o meno a una certa direzione dello spazio ruotandola in seno orario piuttosto che in senso antiorario o vivecersa, la direzione del proprio spin o del proprio piano di polarizzazione"; propensione ab origine (localmente) coordinata con l' altra particella-onda entangled, di modo che, deterministicamente e localmente, se tale parametro ha un certo valore (rivelabile con un apposito test attraverso una deviazione o meno nello spazio dello spin o del piano di polarizzazione) nell' una di esse "da sempre" o ab origine, allora nell' altra necessariamente ha lo stesso (o più probabilmente l' opposto) valore "da sempre" o ab origine, che ovviamente in qualsiasi momento lo si testi si rivelerà tale ottenendosi o meno un' analoga o più verosimilmente la contraria deviazione (cosicché una volta conosciuto quello dell' una se ne può con certezza molto facilmente dedurre quello dell' altra, secondo l' originale esperimento mentale EPR)?
Secondo questa ipotesi non accadrebbe che: per il fatto che, cimentando la particella-onda "a", questa modifica in un certo modo la direzione del suo spin o del suo piano di polarizzazione assumendo una determinata (nuova) direzione allora la particella-onda "b" istantaneamente a qualsiasi distanza assume la determinata direzione correlata.
Ma invece che: rivelata in qualsiasi momento quale sia la "propensione a modificare tale direzione" che la prima particella onda ha sempre posseduto ab origine assumendo o meno una determinata altra direzione, se ne può con certezza dedurre quale sia "la propensione a modificare tale direzione" che la seconda particella ha sempre posseduto ab origine in determinata correlazione (di concordanza o più verosimilmente di discordanza-contrarietà) con la "propensione" della prima, assumendo anch' essa una determinata altra direzione o meno se testata.
 
In questo modo ("per la gioia di Einstein") si salverebbero realismo, determinismo, e pure localismo
#1957
Tematiche Filosofiche / Re:Esistenza dell'eternità
21 Aprile 2018, 16:15:42 PM
RISPOSTE ALLE OBIEZIONI DI LORIS BAGNARA

Loris Bagnara:

Le due res, affermi, appartengono a due piani ontologici incomunicanti (anche se poi scrivi che entrambe le res sono fenomeniche, e questo già non mi convince, perché se entrambe sono fenomeniche, significa che qualcosa in comune ce l'hanno e quindi non sono due piani incomunicanti; ma andiamo oltre...)

Sgiombo:

Avere qualcosa in comune =/= comunicare, interferire casualmente.

Perché due cose (insiemi di enti o eventi) abbiano qualcosa in comune non é affatto necessario che comunichino.

Anche Giulio Cesare e Giulio Regeni avevano qualcosa in comune, il nome, ma non credo che il dittatore a vita dell' antica Roma abbia qualche responsabilità (o altre interferenze causali) nella morte del ricercatore.

Anche un qualsiasi fiume su un qualche altro pianeta di una qualche altra galassia ha in comune con il Po e con qualsdiasi altro fiume terrestre lo scorrere di acqua, ma nessuna interferenza causale accade fra il PO o qualsiasi fiume terrestre e qualsiasi fiume di qualsiasi altro pianeta di qualsiasi altra galassia.

E gli esempi si potrebbero moltiplicare ad libitum.

Loris Bagnara:

Poi affermi che il noumeno non interagisce causalmente con le res, ma vi corrisponde "puntualmente".
Per riassumere, avremmo così tre piani ontologici incomunicanti l'uno con l'altro, senza relazioni causali intercorrenti fra l'uno e l'altro, e tuttavia questi piani si troverebbero in puntuale e univoca corrispondenza... Il problema resta irrisolto: chi o che cosa garantisce questa corrispondenza biunivoca, o meglio triunivoca? Non basta affermare che la corrispondenza c'è, bisogna precisare chi la garantisce, e come. Altrimenti l'unica soluzione che resta è l'armonia prestabilita, come dici; ma che a me, decisamente, non piace...

Sgiombo:

Non lo garantisce niente e nessuno, come ho sempre affermato a chiarissime lettere.
É una spiegazione dei rapporti fra il divenire della materia e della coscienza indimostrabile (ma nemmeno si può dimostrare che così non sia; e d' altra parte non ne conosco spiegazioni migliori: né quella di Malebranche, né quella di Leibniz mi sembrano tali).

Inoltre le neuroscienze (soprattutto attraverso l' imaging neurologico funzionale) dimostrano chiaramente che per lo meno una corrispondenza biunivoca fra cervello ed esperienza cosciente c' é (se é vera la conoscenza scientifica): ogni certo determinato stato o processo mentale di un esperienza cosciente e nessun altro necessariamente corrisponde biunivocamente a un certo determinato stato o processo neurofisiologico di un certo determinato cervello e a nessun altro stato o processo neurofisiologico di alcun altro cervello (e viceversa).



Loris Bagnara:

C'è anche un'altra cosa da dire al proposito. Se sussiste la chiusura causale del mondo fisico, e se la res cogitans non interferisce con i fenomeni fisici, a cosa serve appunto la res cogitans? Perché esistono coscienze intrappolate in un corpo (gli esseri umani) con l'illusione di poter comandare quel corpo?
Una situazione del genere significa ad esempio questo: se io ora decido di alzare il braccio, non è il mio pensiero ad alzare il mio braccio, ma è tutta la necessaria sequenza causale dal Big Bang ad questo istante, ad alzare il mio braccio...

Non solo il mio pensiero, la mia coscienza non serve a nulla; ma diventa perfino una tortura, perché la consapevolezza di essere prigionieri in un universo del genere è qualcosa di semplicemente mostruoso...

Sgiombo:

Non é che ciò che accade in realtà debba per forza servire a qualcosa: tantissime cose (enti ed eventi) esistono-accadono senza "servire a niente".

Solo agenti coscienti, come gli uomini si pongono fini per conseguire i quali usano mezzi , i quali per l' appunto servono ai rispettivi scopi (ma non lo fanno sempre necessariamente: possono fare anche tante cose inutilmente, senza scopo alcuno).

La tua domanda retorica su (l' assenza de-) gli scopi della coscienza avrebbe senso se prima mi dimostrassi che l' uomo e gli altri animali coscienti sono stati prodotti intenzionalmente da qualcuno per un qualche scopo (e anche in questo caso quel "qualcuno" potrebbe anche avere realizzato le coscienze "in più", come può accadere che nel percorrere un cammino come mezzo per raggiungere una meta ci si fermi o si faccia qualche digressione inutile solo per vedere qualche bel panorama o magari solo perché si é in anticipo sul desiderato e ci si può concedere uno svago)

Per (mia) fortuna non trovo nulla di mostruoso nella mia coscienza, non mi sento prigioniero di nulla e men che meno torturato da nessuno.



Sgiombo;
Sarebbe contraddittorio per esempio dire che il primo evento non ha una causa che lo precede e inoltre ce l' ha (o viceversa); oppure che l' ultimo non ha un effetto che lo segua e inoltre ce l' ha (o viceversa); oppure che quelli in mezzo, devono avere necessariamente una causa e un effetto (se si ammette la "chiusura causale", ovvero la possibilità di conoscere l'universo) e inoltre non ce li hanno (o viceversa).

Per la logica uno stesso ente/evento non può contemporaneamente avere e non avere una casa e/o un effetto, ma di diversi enti/eventi gli uni possono benissimo averne e gli altri non averne.

Loris Bagnara:
Che i fenomeni possano essere definiti e isolati l'uno dal'altro, è un artificio concettuale della nostra mente: comodo per comprendere l'universo, ma pur sempre un artificio.
Non solo la riflessione filosofica, ma anche la scienza stessa è sempre più consapevole che esiste un solo fenomeno, l'universo nella sua globalità, che si manifesta in una rete inestricabile di relazioni, che noi chiamiamo enti, oggetti, fenomeni...
Questa rete inestricabile di relazioni ci si mostra con le caratteristiche della necessarietà, ossia con i legami di causa ed effetto, ed è proprio questo che la scienza studia e che anche tu affermi con il principio della "chiusura causale dell'universo".
Come si può dunque sostenere che alcune relazioni, all'interno del medesimo fenomeno-universo, siano causali e altre no?


Sgiombo:
E infatti all' interno dell' universo si può ipotizzare come possibile (ma non affermare con certezza come necessario) un divenire ordinato, ovvero una concatenazione cause-effetti degli eventi (necessario perché possa darsene conoscenza scientifica vera).
Ma invece dell' universo come totalità, se ha avuto un inizio, come é perfettamente sensato ipotizzare, non può darsi (e nemmeno può sensatamente ipotizzarsi) alcuna causa precedente perché sarebbe contraddittorio pretendere che oltre alla totalità esista qualcosaltro che ne sia causa, che prima che esistesse alcunché esistesse una causa del successivo esistere di tutto l' esistente.
Dunque si può dunque sostenere che tutte le relazioni (nessuna esclusa), all'interno dell' universo, siano causali, mentre si deve necessariamente sostenere (per non cadere in contraddizione) che al di fuori dell' universo non visa nulla, ivi compresa una causa dell' universo stesso.



Sgiombo:
Non comprendi che oltre al "tutto" non può esistere accadere "alcunché d' altro" (sarebbe contraddittorio un "tutto ciò che é reale" che contemporaneamente non é "tutto ciò che é reale" perché c' é qualcos' altro di reale)?
Dunque poiché una causa (o un effetto) possa darsi, non può trattarsi di una causa (o effetto) di tutto ciò che é reale, dal momento che oltre (in aggiunta) a tutto ciò che é reale non può essere reale alcunché.
E allora evidentemente se si tratta dell'universo, ci si deve accontentare di dire "Va be', l'universo esiste, punto e basta", anziché pretendere che abbia causa (o spiegazione) alcuna..

Loris bagnara:
Questo ragionamento, che ho visto proporre anche da altri, è viziato dall'ambiguità del concetto di "tutto".
Vi sono almeno tre modi di intendere "tutto":

  • tutto ciò che posso sperimentare e conoscere, direttamente o indirettamente;
  • tutto ciò che esiste, incluso ciò che non posso sperimentare e conoscere, direttamente o indirettamente;
  • la manifestazione in atto di tutte le infinite potenzialità.
Solo il punto 3 si può davvero intendere come il TUTTO; invece i punti 1 e 2 sono solo un "tutto relativo", il che è come dire che non sono il TUTTO, ma solo un "qualcosa". E sembra di capire che il "tutto" che intendi tu è il punto 1 o 2, dunque non il TUTTO, ma solo un "qualcosa".

Sgiombo:
Se la frase "la manifestazione in atto di tutte le infinite potenzialità" ha un senso (diverso da quello di "tutto ciò che esiste, incluso ciò che non posso sperimentare e conoscere, direttamente o indirettamente"), questo non può che essere "la realtà, il reale accadere di tutto ciò che é pensabile".
Ma tutto ciò che é pensabile non é affatto reale.
E anzi nemmeno potrebbe esserlo perché pensabile é "di tutto e di più", ovvero "tutto e il contrario di tutto", mentre reale può essere solo o "tutto" oppure "il contrario di tutto": non può essere reale l' accadere realmente di qualcosa a un certo tempo e in un certo luogo e inoltre il non accadere realmente di tale "qualcosa" a quello stesso tempo e in quello stesso luogo, anche se invece può benissimo essere pensato sia l' accadere sia, in alternativa, il non accadere realmente di tale "qualcosa" a quello stesso tempo e in quello stesso luogo.

Loris Bagnara:

Però, oltre 2000 anni di filosofia hanno appurato senza ombra di incertezza che "qualcosa" non è sufficiente a giustificare da sé la propria esistenza. Solo l'infinito basta a se stesso. Il finito, no.

Sgiombo:
Ma quando mai ? ! ? ! ? !

Loris Bagnara:
Non è solo un problema di ordine causale; è anche un problema di ordine logico. Mi spiego.
Assumiamo che l'universo sia un ente finito, con una certa quantità di materia/energia, un certo volume, certe precise leggi fisiche etc.
Per fare un esempio semplice, quanto sopra sarebbe come dire che l'universo è fatto da 29 palline rosse di 3 cm di diametro che si urtano su un piano di biliardo di 2x3 m. Può giustificare se stesso un universo del genere? Perché 29 palline e non 30 o 28? Perché sferiche e non di altra forma? Perché rosse e non verdi o gialle? Perché un piano da biliardo, e proprio di quella dimensione? Perché urtarsi, e non semplicemente star ferme?
Di fronte alla constatazione di un universo del genere, chi non si porrebbe queste e molte altre domande? Forse solo tu, Sgiombo.

Anche la scienza moderna prova un profondo disagio quando si trova di fronte all'arbitrarietà delle leggi fisiche, ed è proprio per questo che i fisici sono alla ricerca della teoria del TUTTO, in grado di spiegare la necessarietà di tutte le leggi fisiche osservabili (purtroppo non ce la faranno, perché solo l'infinito è in grado di rendere ragione di se stesso).
La domanda "perché" può significare o "per quale causa?", oppure "per quale scopo?"

Sgiombo:

Nel primo caso ho già chiarito che mentre se il divenire dell' universo é ordinato secondo una concatenazione causale ha senso chiedersi quali siano gli eventi-causa accadenti all' interno dell' universo degli eventi-effetto accadenti all' interno dell' universo, invece dell' universo in toto, oltre al quale per definizione non esiste nulla, non ha senso chiedersi quali sano le cause (all' esterno di esso, oltre ad esso) dell' universo.
Nel secondo caso si può porre unicamente per quanto realizzato da un soggetto cosciente e intenzionale di azione.
Ma di nuovo oltre all' universo in toto non può esservi alcunché d' altro per definizione; compreso un qualche agente intenzionale che ne sia il realizzatore per un qualche suo scopo.
Potremmo per esempio ipotizzare ce ci sia un Dio creatore che avesse creato tutto il resto dell' universo (oltre a Lui) per amore (come sostengono le principali religioni): "l' amore divino" sarebbe allora il "perché?" (lo scopo) di tutto il resto dell' universo tranne Dio, ma non potrebbe esserci comunque un "perché" (scopo) dell' universo in toto, Dio compreso.
#1958
X GreenDemetr

Data l' insistenza con cui solleciti la mia opinione non posso esimermi dal rispondere su una questione che a mio parere non é propriamente filosofica, che non mi interessa più di tanto.
Secondo me una cosa é la gnoseologia come branca delle filosofia (che mi interessa di più; e in questo campo seguo criticamente innanzitutto -ma non solo- i "classici" filosofi empiristi -soprattutto, Locke compreso- e razionalisti, Kant, e per qualche limitato aspetto la fenomenologia), un' altra la fisiologia della percezione.
La quale (dopo la lettura della lezione zero) é secondo me tutto ciò di cui si occupa Spinicci : scienza, e non affatto filosofia, della percezione.

Dice infatti Spinicci:
"la percezione non è un oggetto che appartenga alla riflessione filosofica e proporre una teoria filosofica dei processi che determinano la percezione del colore, dei suoni o dello spazio sarebbe, credo, altrettanto insensato quanto scrivere un trattato filosofico sull'assimilazione degli zuccheri. E ciò è quanto dire che la percezione appartiene di diritto al terreno della ricerca scientifica: i problemi di una teoria della percezione sono dunque problemi di natura psicologica, fisiologica, chimica e fisica".
Mi sembra assolutamente inequivocabile.
Ciò cui Spinicci, con Wittgenstein, circoscrive quello che, a suo avviso, è il terreno di una "filosofia della percezione" non é che analisi critica del linguaggio usato per parlare di scienza della percezione.
M la filosofia é tutt' altra cosa (per me di gran lunga più interessante)!

Naturalmente se parlo di scienza (che a me interessa assai meno della filosofia!) della percezione) non posso che basarmi sui dati empirici che -come in generale per la conoscenza scientifica- si assume (arbitrariamente, indimostrabilmente; e questa é filosofia della scienza!) come intersoggettivi.
Ma se parlo di gnoseologia (filosofica), allora non do nulla per scontato, nemmeno l' intersoggettività (e comunque ne nego recisamente l' oggettività!) dei dati empirici materiali di cui si occupa la scienza; e nemmeno del postulato del divenire ordinato della natura materiale e della verità dell' induzione. I quali della (possibilità della) conoscenza scientifica (vera) stessa sono (indimostrabili essere vere; né false) ineludibili, necessarie conditiones sine qua non.

In conclusione ciò che penso del modo accademico corrente (se, come credo anche per la fiducia che accredito alle tue considerazioni, é ben esemplificato da Spinicci), é che (esattamente come sulla questione dei rapporti mente-cervello o meglio coscienza-cervello nel campo della filosofia della mente) vi domina largamente una deteriore, errata e falsa tendenza veteropositivistica (ma come mi piace usare questo prefisso, solitamente agitato contro di me da politicamente corretti e "pensatori a là page in quanto "veteromarxista", "veterocomunista", ecc.!) a fidarsi ciecamente ed acriticamente (senza alcuna valutazione critica razionale, filosofica) della conoscenza scientifica e a considerare la filosofia (autentica; e non la critica a là Wittgenstein del linguaggio con cui al massimo sono disposti a -penosamente!- identificarla).
E' una tendenza talmente "vetero" che già il grande Friederich Engels nella lontanissima seconda metà del XIX° scolo così l' aveva stigmatizzata con giusta severità:


"Gli scienziati credono di liberarsi della filosofia ignorandola od insultandola. Ma poichè senza pensiero non vanno avanti e per pensare hanno bisogno di determinazioni di pensiero, essi accolgono queste categorie, senza accorgersene, dal senso comune delle cosiddette persone colte, dominato dai residui di una filosofia da gran tempo tramontata, o da quel po' di filosofia che hanno ascoltato obbligatoriamente all' Università (che è non solo frammentaria, ma un miscuglio delle concezioni delle persone appartenenti alle più diverse, e spesso peggiori, scuole), o dalla lettura acritica ed asistematica di scritti filosofici di ogni specie; pertanto essi non sono affatto meno schiavi della filosofia, ma lo sono il più delle volte, purtroppo, della peggiore; e quelli che insultano di più la filosofia sono schiavi proprio dei peggiori residui volgarizzati della peggiore filosofia..."

                                                                                (F. Engels, Dialettica della natura)
#1959
Tematiche Filosofiche / Re:Esistenza dell'eternità
19 Aprile 2018, 13:29:33 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Aprile 2018, 11:33:24 AM
CitazioneEsiste anche, sensatissimamente, il pensiero (la cartesiana "res cogitans"), oltre al mondo materiale naturale (la cartesiana "res extensa"), che ad essa non é affatto riducibile, né da essa "emerge" o ad essa "sopravviene" qualsiasi cosa questi concetti possano significare.

E che se il mondo materiale naturale é scientificamente conoscibile (ergo: causalmente chiuso) con esso non interferisce minimamente.

A mio parere, il dualismo cartesiano (come ogni altra forma di dualismo) porta a problematiche irrisolvibili oppure a incongruenze.
CitazioneConcordo limitatamente al dualismo cartesiano.

Infatti il mio non é un dualismo (dei fenomeni; e monismo del noumeno) cartesiano: per me res cogitans e res extensa (entrambe parimenti fenomeniche; contro Cartesio) non interferiscono reciprocamente ma invece divengono "parallelamente su piani ontologici diversi e incomunicanti", in corrispondenza biunivoca.

*************************

Se si ammettono due "res" che non interferiscono l'una con l'altra, sorge il problema di spiegare la corrispondenza fra pensiero e corpo: come posso anche solo decidere di alzare un braccio, se il mio pensiero non interferisce con il corpo?
CitazionePerché al mio pensiero "voglio alzare il braccio" nell' ambito della (parte mentale della) mia esperienza fenomenica cosciente corrispondono biunivocamente (almeno potenzialmente nella parte materiale di altre esperienze fenomeniche coscienti solitamente diverse dalla mia; potenzialmente e indirettamente anche nella mia) determinati eventi neurofisiologici del mio cervello includenti l' attivazione degli opportuni motoneuroni che determinano le opportune contrazioni degli opportuni gruppi muscolari: sono questi eventi neurofisiologici cerebrali (materiali naturali) e non la mia volontà di alzare il braccio (cui puntualmente ed univocamente corrispondono nell' ambito della mia esperienza cosciente) a causare, nel perfetto rispetto della chiusura causale del mondo fisico, il fatto che il mio braccio si alzi.

************************************

Per risolvere il problema, devo introdurre un terzo ente che si occupi di garantire la corrispondenza fra le due "res": per gli occasionalisti (ad es. Malebranche) questo ente è Dio. Anche tu Sgiombo introduci un terzo ente: tu lo chiami Noumeno, ma, consentimi di dire, svolge la stessa identica funzione di Dio per gli occasionalisti.
CitazioneSì (anche se in alternativa si potrebbe probabilmente ammettere anche una sorta di "leibniziana armonia prestabilita" fra (res cogitans e res extensa delle) diverse esperienze fenomeniche coscienti senza alcun noumeno).

E che male c' é?

*************************************

Ma il problema a questo punto è solo apparentemente risolto. Parliamo del Noumeno: se il Noumeno può interagire separatamente con entrambe le "res", significa che fra il Noumeno e ciascuna delle "res" esiste una relazione, una sostanza comune che consenta tale interazione. Se la sostanza del Noumeno è tale da essere in relazione con le due "res", ne consegue anche, però, che la sostanza delle due "res" è tale da poterle mettere in reciproca relazione. In conclusione, il Noumeno e le due "res" devono condividere una sola sostanza radice, più sottile di quella precedentemente ipotizzata. Il Noumeno e le due "res", allora, si rivelano solo tre differenti aspetti dell'UNO.

A nulla serve ipotizzare che il Noumeno abbia due "scompartimenti" riservati ai rapporti con ciascuna delle due "res": dovrei allora risolvere il problema di come questi due scompartimenti si riconducano all'unità del Noumeno. Se non risolvo il problema, il Noumeno si dissolve, e i suoi scompartimenti si rivelano solo propaggini delle "res", incapaci di comunicare...
CitazioneIl noumeno non interagisce (causalmente) con i fenomeni, ma vi corrisponde puntualmente e univocamente: una certa determinata situazione del noumeno e non altre, una certa determinata situazione dei fenomeni e non altre.

*********************************

Riassumendo, il rifiuto del monismo in favore del dualismo porta ad una trinità, che si rivela in definitiva un'unità...
CitazioneDualismo dei fenomeni (fenomenico), monismo del noumeno (in sé o noumenico).

#1960
Tematiche Filosofiche / Re:Fisica e Tempo
19 Aprile 2018, 11:26:05 AM
Trovo molto interessanti le ultime considerazioni de Il Dubbio (col quale dissento su quasi tutto in questa discussione).

E qui mi sbilancio su un terreno (l' entamglement quantisitico) che non conosco che dilettantisticamente, attraverso al divulgazione, esponendomi deliberatamente a possibili figuracce (se si vuole imparare a volte si deve avere il coraggio di far vedere quello che si é capito o meno di un argomento)..

Il Dubbio afferma:

che ci sia una correlazione questo è incontestabile, il problema sono le premesse. Se si sostiene che le proprietà, che saranno successivamente misurate, non sono reali (non sono possedute), la loro successiva correlazione rimane inspiegata, almeno secondo una spiegazione comune, direi quasi banale


Avendo detto che esisterebbero due particelle distanti che una volta osservate correlano le loro proprietà, il punto è: 
1) se le proprietà non sono reali vuol dire che per rimanere correlate devo scambiarsi l'informazione.
2) se le proprietà sono reali non c'è bisogno di uno scambio di informazioni

Per reali si intende dire che le proprietà che vengono osservate sono possedute dalle particelle quando sono allontanate fra di loro e quindi prima che siano osservate. Se queste non sono possedute, le proprietà sono non-reali (un po come lo spaghetto nel mio esempio). Se però la proprietà si realizza durante la misura dovendo, esistere una correlazione fra le due particelle distanti, vuol dire che le due particelle comunicano il loro stato anche piu velocemente della luce, anzi diciamo "SENZA TEMPO" 


Tu scrivi: "Riguardo alla non-località: per Bohm l'informazione - ovvero la connessione causale - si propaga a velocità superluminale"

Il problema che non capisco è che se per Bohm le proprietà delle particelle sono reali (nel senso fisico) non hanno bisogno di spedire l'ìnformazione a velocità superluminale. Ovvero se entrambe le particelle in ogni istante hanno la stessa proprietà (sono identiche per questo motivo) non fa differenza cosa succede durante una misura, per cui le particelle sono sempre correlate. La misura attesta soltanto la correlazione. 


Ed effettivamente anche a me (o solo a me, se lo fraintendo) sembra (l' ho sempre pensato, ma questa é la prima volta che mi capita di poterlo proporre all' attenzione di un professionalmente competente in materia come Apeiron) che se la caratteristica rilevata (misurata) nella particella-onda "a" determina istantaneamente (o comunque a velocità infinita, in tempo 0 o comunque infinitamente piccolo) la analoga caratteristica nella particella-onda "b" a distanza finita, allora:

o ("a là Copenhagen") la caratteristica rilevata non era reale in maniera determinata prima dell' osservazione (non esisteva come "variabile nascosta", ma si trattava di "sovrapposizione", ammesso e non concesso da parte mia, con Schroedinger e il suo celebre gatto, che si tratti di un autentico concetto sensato) e viene creata (fatta essere reale) istantaneamente, unitamente con l' analoga della particella-onda "b" al moneto dell' osservazione (in "a");

oppure ("a là Einstein-de Broglie-Scroedibger") esiste una qualche (ulteriore) reale, determinata caratteristica di ciascuna particella-onda (correlata con quella della particella con cui essa é entangled: un' ulteriore variabile nascosta) tale che la misura su "a" semplicemente la "manifesta" o "rivela" (la fa conoscere e non la crea) in "a" stessa; ed essendo (ed essendo "sempre stata" indipendentemente dalla rilevazione o meno) tale caratteristica di "a" correlata con quella analoga di "b" (pure sempre esistita, ovviamente), quest' ultima non può che essere (e dunque "rivelarsi" alla prima osservazione che si compia) tale quale l' osservazione in "a" (o meglio: la sua oggettiva correlazione con l' analoga caratteristica di "a") impone che sia (o meglio: che "si riveli essere"; ed essere "sempre stata, indipendentemente da qualsiasi eventuale osservazione o meno).

In questo modo non si avrebbe nessuna trasmissione di informazione a distanza (tantomeno istantanea, o a velocità infinita) e si salverebbe (oltre al realismo e al determinismo, anche) il localismo "einstaeiniano".
#1961
Tematiche Filosofiche / Re:Esistenza dell'eternità
19 Aprile 2018, 10:26:24 AM
Citazione di: Loris Bagnara il 19 Aprile 2018, 10:07:10 AM
Aggiungo questa ulteriore riflessione sull'ultimo post di Sgiombo, che a un certo punto così commenta una mia affermazione sulla simmetria:
CitazioneQueste evidenze scientifiche non implicano affatto che la simmetria sia necessaria al di fuori di esse.
Ma esse riguardano solo ciò che di fatto esiste (e si osserva; di materiale naturale), non anche ciò che potrebbe essere esistito o meno prima (e dopo; e oltre) ciò che di naturale materiale esiste.
Qui si sottintende una distinzione fra ciò che è "materiale e naturale" e qualcos'altro che può non essere "materiale e naturale".
Ma tutto ciò che esiste o può esistere è naturale, per il fatto stesso che esiste o può esistere: potrebbe forse esistere qualcosa di "innaturale"? Che senso ha?
Ma tutto ciò che esiste o può esistere è anche materiale, nel senso che è una particolare manifestazione (più o meno sottile) di una sostanza-radice unica.
Ammettere due o più sostanze-radice è una contraddizione in termini.



CitazioneEsiste anche, sensatissimamente, il pensiero (la cartesiana "res cogitans"), oltre al mondo materiale naturale (la cartesiana "res extensa"), che ad essa non é affatto riducibile, né da essa "emerge" o ad essa "sopravviene" qualsiasi cosa questi concetti possano significare.

E che se il mondo materiale naturale é scientificamente conoscibile (ergo: causalmente chiuso) con esso non interferisce minimamente.

Quanto alla simmetria, c'è questo esauriente saggio che spiega come i concetti di invarianza e simmetria siano basilari nella scienza moderna:
https://www.luisabonolis.it/A.I.F._Schools_files/AIFGruppi201410_098-113_Bonolis.pdf


Citazionenon posso che ripetere che 

Queste evidenze scientifiche non implicano affatto che la simmetria sia necessaria al di fuori di esse.
Ma esse riguardano solo ciò che di fatto esiste (e si osserva; di materiale naturale), non anche ciò che potrebbe essere esistito o meno prima (e dopo; e oltre) ciò che di naturale materiale esiste.
#1962
Tematiche Filosofiche / Re:Esistenza dell'eternità
19 Aprile 2018, 10:14:37 AM
Citazione di: Loris Bagnara il 18 Aprile 2018, 21:51:50 PM
Sgiombo ha scritto:
CitazioneS.:
Invece sostengo che l' ipotesi che il tutto esistente (l' esistenza della la realtà) sia preceduta da nulla di esistente é altrettanto plausibile [...]
L.B.:
Da cosa derivi la "plausibilità" di quanto affermi, resta da capire: certamente non dall'esperienza fisica, che da nessuna parte mostra cose che spuntano dal nulla. Una delle leggi fondamentali della scienza è "Nulla si crea, nulla si distrugge": non nel tuo universo, evidentemente, che sorge e scompare in clamorosa violazione di una sua stessa legge fondamentale; ma che però, per tutto il resto del tempo, la rispetta rigorosamente...
CitazioneS.:
Innanzitutto il "mio universo" non sorge e scompare dal nulla, in quanto fideisticamente (nell' impossibilità di risolvere il problema razionalmente) propendo per l' infinità nel tempo (e pure nello spazio) dell' universo fisico, in quanto ipotesi più razionalistica per il rasoio di Ockam (meno tesi indimostrate; e indimostrabili) della contraria -della finitezza- se credute insieme alla credenza nella -possibilità di- conoscenza scientifica di esso: appunto é più razionalistico (ma non più certamente vero) pensare che un universo che per tutto il resto del tempo, rispetta rigorosamente il principio generale "nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma secondo modalità universali e costanti", però sorga e scompaia in clamorosa violazione di esso.

Ovviamente tanto che l' universo fisico "spunti dal nulla", tanto che sia eterno non può essere né mostrato empiricamente (a meno di essere, letteralmente, il Padreterno), né dimostrato logicamente: tanto la finitezza nel tempo (e nello spazio) quanto l' infinitezza di esso sono concetti logicamente corretti, non contraddittori, perfettamente sensati, parimenti pensabili -ovviamente in reciproca alternativa-  come possibile caratteristica della realtà.



L:B.:
Quindi l'esistente, secondo te, ammettendo che possa essere preceduto dal nulla, come ritieni "altrettanto plausibile", sarebbe costituito da una serie di fenomeni, di cui

  • il primo non ha una causa che lo preceda;
  • l'ultimo non ha un effetto che lo segua;
  • quelli in mezzo, devono avere necessariamente una causa e un effetto se si ammette la "chiusura causale", ovvero la possibilità di conoscere l'universo.
Lasciami dire che la logica di quanto sopra lascia molto a desiderare...
CitazioneS.:
Non vedo dove né come la logica lasci a desiderare: mostrami la presunta contraddizione (o le presunte contraddizioni) in questa ipotesi.

Sarebbe contraddittorio per esempio dire che il primo evento non ha una causa che lo precede e inoltre ce l' ha (o viceversa); oppure che l' ultimo non ha un effetto che lo segua e inoltre ce l' ha (o viceversa); oppure che quelli in mezzo, devono avere necessariamente una causa e un effetto (se si ammette la "chiusura causale", ovvero la possibilità di conoscere l'universo) e inoltre non ce li hanno (o viceversa).

Per la logica uno stesso ente/evento non può contemporaneamente avere e non avere una casa e/o un effetto, ma di diversi enti/eventi gli uni possono benissimo averne e gli altri non averne.



L.B.:
Sarebbe più congruente supporre che anche tutti i fenomeni intermedi non abbiano né cause né effetti, e che l'universo sia inconoscibile.
CitazioneS.:
Non so che significhi "congruente".

Ma comunque di certo non é contraddittorio il contrario (né che non esista/accada alcun evento privo di cause - effetti, ovvero che l' universo sia eterno; il che, unitamente alla credenza nella -possibilità di- conoscenza scientifica -vera-, é solo più razionalistico, implicando un minore numero di tesi indimostrabili).


L.B.:
Anzi, si potrebbe supporre che l'universo venga cancellato e ricreato ad ogni "istante di Planck" (il più piccolo intervallo temporale), e che la consequenzialità causale sia solo un'illusione, frutto di un falso ricordo instillato nelle coscienze degli esseri senzienti che popolano questi effimeri universi... Magari gli universi si susseguono completamente differenti l'uno dall'altro... Assurdo, no?
CitazioneS.:
Per niente assurdo!

Dove starebbe mai la contraddizione logica che lo renderebbe assurdo?
(A parte l' assurdità del "falso ricordo -casomai la falsa induzione- instillato nelle coscienze degli esseri senzienti che popolano questi effimeri universi"), tutto ciò in teoria é perfettamente possibile (logicamente coerente).



L:B.:
Ma perfino un'assurdità del genere sarebbe più coerente di quel che sostieni tu.
Il principio di causalità o lo accetti fino in fondo, o ne fai del tutto a meno.
Ma prenderlo un po' si e un po' no, solo dove ci fa comodo, mi lascia perplesso.
CitazioneS.:
Sarebbe contraddittorio assumere il divenire ordinato ("principio di causalità") relativamente a parte della realtà complessiva e contemporaneamente negarlo relativamente alla stessa, medesima parte della realtà complessiva, oppure assumerlo relativamente alla totalità della realtà complessiva e contemporaneamente  negarlo relativamente alla (medesima) totalità della realtà complessiva: assumerlo relativamente a "qualcosa" e contemporaneamente negarlo relativamente al medesimo "qualcosa", ma non affatto assumerlo relativamente a "qualcosa" e contemporaneamente negarlo relativamente a un diverso "qualcosaltro".


************************************************

CitazioneL. B.:
Ma anche ammettendo la "plausibilità" che l'esistente sia scaturito dal nulla, allora, dico io, se è accaduto una volta, cosa vieta che accada ancora, dopo la scomparsa di questo attuale universo? E cosa vieta di pensare che sia accaduto anche prima di questo attuale universo? Anzi, se la cosa è plausibile, allora è del tutto naturale pensare che sia accaduto infinite volte prima di questa, e che accadrà infinite volte dopo di questa. Dunque, se è "plausibile" che l'esistente sorga dal nulla, e sparisca nel nulla, allora è altrettanto plausibile che questo ciclo si sia ripetuto infinite volte prima, e che si ripeta infinite volte dopo... Nulla lo vieta. Anzi, se può farlo, lo farà senz'altro, perché il nulla ne ha di pazienza, ha tutto il tempo che vuole...
S.:
Proprio così: nulla vieta tutto ciò; non concordo unicamente sull' ultima riga: pur essendo l' eternità "tutto il tempo che ci vuole" perché accada (o meglio: possa - e non. debba- accadere) qualunque evento, non é detto che (ciò non é sufficiente affinché) tutti gli eventi immaginabili accadano (in sequenza, non contemporaneamente quelli esprimibili con affermazioni reciprocamente contraddittorie); infatti non é contraddittorio, e dunque é plausibile che non accadano tutti.



L.B.:
Ma in questo modo si arriva a un Esistente che è fatto di infiniti esistenti intervallati da... nulla. E questo, come abbiamo convenuto, è semplicemente l'Esistente, infinito ed eterno, e senza "buchi" al suo interno...
CitazioneS.:
Ripeto (l' ho già argomentato in un altro intervento) che "esistenti intervallati da nulla", non ha senso: non si può parlare sensatamente di "intervallo" (reale) se in esso nulla accade, se esso é costituito da nulla
L.B.:
Ecco, a proposito di infinito: non hai toccato la questione dell'infinità dell'esistente, che va di pari passo con l'eternità.
S.:
Questa proprio non l' ho capita.



L.B.:
Questo, poi, è incomprensibile:
CitazioneS.:
Ma l' universo (materiale naturale) in divenire ordinato stesso non accade nell' ambito di alcunché d' altro di reale (che sia materiale naturale): universo (materiale naturale) = tutto ciò che accade, oltre il quale nulla d' altro accade (di materiale naturale).

Dunque la logica consente (non: impone) benissimo che se si tratta dell'universo, ci si deve accontentare di dire "Va be', l'universo esiste, punto e basta".

CitazioneS.:
Non comprendi che oltre al "tutto" non può esistere accadere "alcunché d' altro" (sarebbe contraddittorio un "tutto ciò che é reale" che contemporaneamente non é "tutto ciò che é reale" perché c' é qualcos' altro di reale)?

Dunque poiché una causa (o un effetto) possa darsi, non può trattarsi di una causa (o effetto) di tutto ciò che é reale, dal momento che oltre (in aggiunta) a tutto ciò che é reale non può essere reale alcunché.

E allora evidentemente se si tratta dell'universo, ci si deve accontentare di dire "Va be', l'universo esiste, punto e basta", anziché pretendere che abbia causa (o spiegazione) alcuna..
#1963
Citazione di: epicurus il 18 Aprile 2018, 11:08:14 AM


Qui non parlo di questioni epistemiche. Dico solo che una proposizione è vera se ciò che descrive corrisponde a come il mondo è fatto.
CitazioneSe ciò é certo allora é esattamente quello che ho sempre sostenuto io (e mi sembra tu abbia semère negato).



************************


Citazione
CitazioneIo parlo di avanzamento delle conoscenze quando vi è una utilità, che però va tarata rispetto a chi tale utilità la usa e la riconosce, per se, e non per altri, effettivamente utile.
Io invece parlo di avanzamento della conoscenza quando aumentiamo le verità che noi abbiamo scoperto. E per verità intendo l'accertamento di come stanno i fatti. Ma qui stiamo andando offtopic: la questione discussa qui non è ontologica, bensì gnoseologica.
CitazioneAnche se la conoscenza dei fatti non é ragionevolmente applicabile alla pratica?

Mi era sembrato il contrario...

Cioé che negassi autentica razionalità a credenze che applicate alla pratica non fossero ragionevoli (applicabili in pratica -e non credibili teoricamente- solo da pazzi).

Anche qui non stavo parlando di epistemologica, per questo dicevo che eravamo offtopic. "Io ho una madre" è vera se io ho una madre.
Citazione
CitazioneMa tu ammetti o no la verità che l ' induzione non é certa (e dunque che se non ti gettassi dal 100° piano di un grattacielo sul quale ti trovassi potrebbe teoricamente darsi che da un momento all' altro ti sfracelleresti contro il soffitto; anche se poi in pratica non ti getteresti)?
#1964
Citazione di: epicurus il 18 Aprile 2018, 11:00:28 AM
Più di una volta, hai richiesto di attenerci al "sodo" della discussione, evitando le questioni di mero linguaggio. Tuttavia non è ben chiaro dove finisca il nostro vero disaccordo e dove inizi la questione linguistica. Io riconosco che praticamente nessuna nostra conoscenza è esente dall'errore (più precisamente e tecnicamente, io sostengo il fallibilismo), pure tu condividi ciò, però continui a dire che per me la consapevolezza dei limiti della razionalità è del tutto irrilevante e di nessuna utilità. Lo credi davvero a fronte di quello che scrivo e, sopratutto, a fronte del fatto che sto discutendo con te da parecchi giorni proprio su questo argomento? Avere opinioni differenti su un argomento non significa essere disinteressato di quell'argomento.  :)
Citazione
CitazioneSgiombo:
Ciò che mi induce a crederlo é il fatto che non distingui fra conoscenza teorica pura (implicante l' insuperabilità razionale dello scetticismo) e comportamento pratico da sani di mente (implicante il superamento irrazionale dello scetticismo), come se il primo dovesse adeguarsi al secondo o essere ignorato come irrilevante.

**************************

Citazione di: sgiombo
Citazione di: epicurus
Naturalmente non ho mai pensato che tu sia malato di mente, anzi, tutt'altro. Quello che io ho detto è che la tua superrazionalità implica l'infermità mentale, e lo hai detto pure tu... che per vivere la vita di tutti i giorni si deve essere fideisti, cioè non essere razionali. Un superrazionalista puro sarebbe infermo mentalmente, anzi, sarebbe morto in pochissimo tempo. Ecco è in questo che io vedo una riduzione all'assurdo della tua concezione della razionalità: non vedo come possa essere chiamata "razionalità" ciò che ha tali conseguenze.
Qui si tratta di differenze meramente terminologiche; e mi sembra che siamo riusciti a "tradurcele" reciprocamente in maniera abbastanza soddisfacente.
Qui la questione non mi pare sia meramente linguistica, affatto. Se l'essere razionale implica l'essere non-razionale, allora c'è qualcosa di profondamente sbagliato nella caratterizzazione che tu fai della razionalità.
Citazione
CitazioneSgiombo:
Mai affermato (me ne guarderei bene!) che l'essere razionale implica l'essere non-razionale, ma casomai (ben diversa cosa!) che il comportarsi da sani di mente implica il superamento irrazionale dello scetticismo, l' assunzione di un atteggiamento pratico non conseguentemente razionale fino in fondo, ma solo "ragionevole"; e perfettamente compatibile con un atteggiamento teorico conseguentemente razionale fino in fondo, implicante la consapevolezza (per l' appunto teorica) dei limiti della razionalità (umana) e dell' insuperabilità razionale dello scetticismo (e non la coltivazione di pie illusioni in proposito).

******************************************

Tu scrivi che io confondo la razionalità pura dalla ragionevolezza pratica.

Ma tu come giustifichi l'utilizzo della ragionevolezza pratica? Non puoi, giusto? La ragionevolezza pratica altro non è che un comportamento irrazionale, fideistico, per te, è corretto?
CitazioneSgiombo:
Giusto; e me ne rendo razionalisticamente ben conto (cosa per me di grande importanza).

Citazione
CitazioneSgiombo:
Un comportamento non conseguentemente razionale fino in fondo.
In pratica, ogni tua azione in questo mondo sarebbe irrazionale, epistemicamente ingiustificata.
Citazione
CitazioneQueste espressioni mi sembrano un po' esagerate (anche se letteralmente vere: ogni mia azione non é razionale fino in fondo né epistemicamente giustificata; contrariamente -almenio lo spero- ad ogni mia credenza o sospensione del giudizio).

Il mio agire non é conseguentemente razionale fino in fondo.
Può essere (e cerca di essere) semplicemente "ragionevole".
Anche il tuo parlare del fatto che è molto più probabile morire per la caduta se ci si getta dal 100° piano (invece che, poniamo, trasformarsi in un gatto e teletrasportarsi in un castello fatto interamente di nutella sulla Luna), è un parlare irrazionale*, perché, come dicevo, non si può parlare di probabilità o meno di questo a voler essere rigorosi... ** A me pare, quindi, che il tuo parlare di "ragionevolezza pragmatica" è indistinguibile da "irrazionalità fideistica"***. E per me questo è un gran problema.
Citazione
CitazioneSgiombo:
* E'' un parlare non conseguentemente razionale fino in fondo.

** Esatto.

*** Esatto.
E per me non é per nulla problematico (é semplicemente consapevolezza dei limiti della razionalità umana).
Non lo trovo problematico se si distingue chiaramente fra teoria e pratica.

***************************


Citazione di: sgiomboNon si può essere certi che si sia effettivamente fatta una deduzione corretta o meno, anche (non solo) per la fallibilità della memoria (giudizio sintetico a posteriori circa come é-diviene o meno la realtà).
Ma si può essere certissimi che se la si fa, allora la conclusione dalle premesse é certa (certamente vera).

Il giudizio lo dobbiamo sospendere sulla circostanza di fatto reale o meno che la deduzione sia stata effettivamente fatta, e fatta correttamente.
Non sulla sua verità nel caso (ipotetico) sia fatta (in qualsiasi tempo).
Anche questa tua riflessione potrebbe essere sbagliata, non trovi? E questo ci provoca un certo disagio epistemico che, io credo, ci suggerisce che come stai impostando la questione è sbagliato.

Non solo. Tu dici, in pratica, "se non ci siamo sbagliati, allora la deduzione è certa". Ok, ma questo non cambia il fatto che la deduzione specifica non è certa, proprio perché possiamo sbagliarci. E' come dire "se non ci sbagliamo, allora i giudizi sintetici a posteriori sono certi"... ma in pratica se non ci sbagliamo, allora tutta la tua tesi è sbagliata, nel senso che tutto il tuo dubitare sarebbe sbagliato.
Citazione
CitazioneSgiombo:

NO!

Invece é come dire "se non ci sbagliamo, allora i giudizi analitici a priori sono certi", e non affatto quelli sintetici a posteriori (salvo al solita effimera eccezione), né qualora ci sbagliamo.

Se non ci sbagliamo la mia tesi é comunque corretta (e vera), poiché non sostengo che si sbaglia sempre ma solo che si può sempre sbagliare (é sempre dubbia la verità di un giudizio sintetico a posteriori*, della -eventuale- conoscenza della realtà): può anche benissimo darsi (ma non é mai certo!) che non si sbagli, che un giudizio sintetico a posteriori sia vero.

_______________________________
* Salvo la solita effimera eccezione.


**************************

Rimane il fatto che, per i tuoi standard, non si ha certezza che il razioscetticismo sgiombiano sia vero, quindi è una tesi come tutte le infinite altre logicamente possibili, perciò su di essa bisogna sospendere il giudizio (e non difenderla, come fai tu).
Citazione
CitazioneSgiombo:

No!

Trattandosi di un giudizio analitico a priori e non di conoscenza di come é-diviene o meno la realtà, ve n' é certezza.
#1965
Tematiche Filosofiche / Re:Esistenza dell'eternità
18 Aprile 2018, 12:00:17 PM
Citazione di: Loris Bagnara il 18 Aprile 2018, 10:05:43 AMSembri suggerire l'idea di una possibile sequenza di "esistenti" intervallati da "nulla". Ma questo, per me, non è altro che l'Esistente, appunto.
Gli intervalli di "nulla" farebbero parte dell'Esistente, anche perché gli intervalli di nulla sarebbero solo apparenti: un "filo" deve collegare tutti gli esistenti, un po' come la funzione "stand by" consente di riaccendere la tv dopo averla spenta.
E' precisamente questa la concezione dell'induismo, quando parla del respiro di Brahma, l'emissione e il riassorbimento dell'universo.
Fra un universo e il successivo, vi è una pausa, il pralaya, che non è davvero "nulla", perché conserva i "semi" del'universo successivo.

Comunque, se si considera che l'Esistente comprende infinite sequenze di universi, allora non c'è mai veramente un "momento" di "nulla": da "qualche parte" ci sarà sempre qualcosa in manifestazione.
CitazioneDavvero non riesco a capire dove e come sembrerei suggerire l'idea di una possibile sequenza di "esistenti" intervallati da "nulla".
Invece sostengo che l' ipotesi che il tutto esistente (l' esistenza della la realtà) sia preceduta da nulla di esistente é altrettanto plausibile (anche se meno razionalistica se considerata insieme a quella della possibilità della conoscenza scientifica) di quella che sia preceduta da qualcosaltro, ovvero che il tutto esistente, pur mutando, sia eterno.
 
Ha senso affermare che la funzione "stand by" consente di riaccendere la tv dopo averla spenta solo alla condizione che la funzione stand bay, finché accade realmente, non é tutto ciò che accade (il tutto) in quanto la durata (finita) dell' esistenza della funzione stand by può accadere (ha senso il pensarla) solo se accadono altri eventi oltre ad essa che "riempiano" (durino;e misurino) tale tempo finito.
Infatti anche tu affermi che "Fra un universo e il successivo, vi è una pausa, il pralaya, che non è davvero "nulla", perché conserva i "semi" del'universo successivo", i quali ultimi evidentemente sono qualcosa di reale, e non (sono) nulla.



Tu poi scrivi:
CitazionePerché mai affinché tutto ciò che esiste, onde iniziare ad esistere, deve per forza avere una causa iniziale che lo faccia esistere?
Proprio tu che insisti sulla "chiusura causale" dell'universo affermi una cosa del genere?
Certo che vi deve essere una causa affinché una cosa esista. Se vedo che fuori piove, mi domando perché piove, e la scienza mi dà una risposta.
E invece se si tratta dell'universo, mi devo accontentare di dire "Va be', l'universo esiste, punto e basta"?
Che razza di logica è questa?
CitazioneCredo nella chiusura causale dell' universo fisico materiale (che non esaurisce la realtà in toto) senza poterlo dimostrare; semplicemente rilevando che é necessaria se può darsi conoscenza scientifica dell' universo stesso.
Non deve necessariamente esserci una causa affinché una cosa esista (tranne che nell' ambito di un universo in divenire ordinato secondo leggi universali e costanti; se ciò accade).
Ma l' universo (materiale naturale) in divenire ordinato stesso non accade nell' ambito di alcunché d' altro di reale (che sia materiale naturale): universo (materiale naturale) = tutto ciò che accade, oltre il quale nulla d' altro accade (di materiale naturale).

Dunque la logica consente (non: impone) benissimo che se si tratta dell'universo, ci si deve accontentare di dire "Va be', l'universo esiste, punto e basta".

Quanto alla simmetria, è un mio senso "estetico" di cui potrei anche fare a meno, perché si possono far valere altri ragionamenti, come ho mostrato.

CitazioneDove e come?

Ma è anche vero che è l'osservazione stessa dei fenomeni dell'universo a suggerircelo.
Si pensi alla cosmologia relativistica: ogni punto dell'universo è equivalente all'altro nell'osservazione dell'universo stesso.
Questa è lampante simmetria.
E anche nel mondo delle particelle, vi sono interpretazioni che suggeriscono come le interazioni fra particelle si possano leggere anche facendo procedere il tempo al contrario, e considerando le particelle come antiparticelle. Anche questa è lampante simmetria.
CitazioneQueste evidenze scientifiche non implicano affatto che la simmetria sia necessaria al di fuori di esse.
Ma esse riguardano solo ciò che di fatto esiste (e si osserva; di materiale naturale), non anche ciò che potrebbe essere esistito o meno prima (e dopo; e oltre) ciò che di naturale materiale esiste.

P.S. Ripensandoci più attentamente, l'idea di "una possibile sequenza di 'esistenti' intervallati da 'nulla'", non ha alcun senso.
Dire che due cose sono separate da "nulla", è come dire che NON sono separate.
E pertanto, la conclusione necessaria è che NON esiste alcun "buco" nella manifestazione (l'Esistente)...
CitazioneCome sostenuto da me.

Ma un "buco" nell' ambito dell' (interno all') esistente =/= (un ipotetico) nulla prima e/o dopo (al di fuori dell') esistente.