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Messaggi - Phil

#1966
Citazione di: Carlo Pierini il 18 Agosto 2017, 15:48:32 PM
Per dimostrare che esiste una fonte unica di ispirazione di tutti i simbolismi sacri del Pianeta è necessaria una grande mole di indizi convergenti
Ti do i miei "due centesimi" (prima che escano dal conio!): a prima vista, ho il sospetto che la comparazione per somiglianze (poiché, al di là della retorica "differenza=risorsa" e al netto dell'"apofenia" latente, le differenze non possono che essere un virus per il confronto che mira alla radice comune) sia un tentativo di ripercorrere controcorrente, a ritroso, ciò che nella storia si è gradualmente intessuto in contesti e latitudini differenti, ma ciò che troverà alla fine (o all'inizio) potrebbe anche non avere nulla di trascendentale/divino...
La ricerca di un codice transculturale ed omniesplicativo, di un senso universale originario, di una traccia del divino scevra da elaborazioni metaforiche, secondo me, dopo lungo e travagliato viaggio, potrebbe riportare come un boomerang a quello che è da sempre il punto di partenza (e di arrivo) di ogni velleità interpretativa, l'unico "fil rouge" comune che non è mai stato smarrito nella storia dell'uomo... ovvero l'uomo stesso! E quanto più generalizziamo e approssimiamo per amor di comparazione e sincretismo, tanto più ciò che tratteggiamo è semplicemente l'indole umana: l'uomo è attaccato alla vita e teme la morte; l'uomo è attratto dalla luce e ha paura del buio; l'uomo ha bisogno di un habitat in cui orientarsi perché sente il bisogno di rassicuranti punti di riferimento; l'uomo ha orrore del vuoto, per cui tende a riempirlo (in qualunque modo); l'uomo ragiona in modo dicotomico, o "binario" diremmo oggi (io/tu, si/no, bene/male, buono/cattivo, questo/quello, etc.) e così via...

Tutte le simbologie, le religioni-filosofie, le narrazioni mitologiche, etc. non vertono forse sempre (seppur allegoricamente) su questi punti fissi? A cos'altro può portare una comparazione sommaria fra tutte le culture umane, se non alla profilazione dell'uomo "di base", nella sua nuda, istintiva, generica "attitudine mentale"?
Che possa portare ad un "deus absconditus" che ci ha lasciato indizi babelici come sua traccia? Improbabile (sempre secondo me): più individuiamo archetipi generali e condivisi, più sono generiche le informazioni di cui disponiamo (qualche numero ricorrente e qualche topos da racconto epico), e più sono vaghe tali informazioni, più è difficile stringere il campo per focalizzare un risultato preciso e "fruibile" (ad esempio, più "gemelliamo" religioni differenti, come islam e buddismo, più dio diventa indefinito e misterioso, privato dell'identità peculiare che ogni religione gli ascrive... in fondo, sappiamo già che il denominatore comune di tutte le religioni è la presenza del divino, ma tale denominatore non significa molto se non lo coniughiamo con caratteristiche più "funzionali", e gli stessi archetipi religiosi, nella loro vaghezza, non rivelano nulla di chiaro della divinità).

Ciò che andiamo connotando in tali ricerche è piuttosto l'uomo nelle sue caratteristiche comportamentali e psicologiche. Possiamo dare alle suddette attitudini dell'uomo molti significati e declinazioni di senso (come è di fatto successo nella storia del genere umano), ma restano caratteristiche vere, almeno da quando l'uomo è sedentario (neolitico?), e non mi sembrano troppo cambiate (mutatis mutandis) nemmeno ora che siamo nell'epoca del web, della fisica quantistica e del mercato globale.


P.s.
Non so se ho (involontariamente) banalizzato troppo, ma la comparazione fra culture e approcci estremamente divergenti mi pare un dotto ed intrigante divertissement, il cui fine è in se stesso, piuttosto che nel risultato che può raggiungere (al di là della redazione del suddetto "inventario ragionato").

#1967
Tematiche Spirituali / Re:L'archetipo della Trinità
16 Agosto 2017, 17:46:47 PM
@Carlo
Propongo un appunto metodologico (da valutare): più consideriamo gli elementi di una prospettiva (religiosa, filosofica o altro) in modo generico e vago, più si apriranno agevolmente la porte a una comparazione ad ampio raggio, tanto allettante quanto approssimativa... non a caso, più ci si addentra nella comprensione di una prospettiva, più si incontrano peculiarità che invece la distinguono dalle altre (di solito).

Se non erro, l'analisi comparativa ha visto la luce in un momento storico in cui la conoscenza del diverso (orientale, soprattutto) era appena abbozzata, le traduzioni dei testi erano magari ancora incerte e tutto veniva letto alla luce delle propria cultura di partenza (basti considerare come Hegel "snobbasse" il pensiero orientale...). Oggi è invece possibile focalizzare bene più le differenze che i generici denominatori comuni di una filosofia "perennis"; il che non svaluta certo l'evidente riscontro di archetipi interculturali, affinità teoretiche e contaminazioni varie.

Quasi inevitabilmente per identificare ciò che è "ignoto" e ci si impone come "nuovo", partiamo da ciò che ci è già noto e gli assomiglia; poi, può comunque seguire un momento più analitico, in cui ci si emancipa dalla prospettiva "viziata" dal background culturale da cui si è partiti, per meglio calarsi nel profondo della prospettiva altra, spogliandosi (momentaneamente) della propria.

Mi ha colpito per audacia questo accostamento di "tre tripartizioni"
Citazione di: Carlo Pierini il 15 Agosto 2017, 18:30:19 PM
Sulla Trinità cristiana in particolare non ho fatto alcuno studio specifico, ma dopo anni di riflessione e di applicazioni del Principio di complementarità degli opposti [...] ho annotato numerosissimi aspetti fondamentali strutturali di "trinitarietà". A partire dal più appariscente: "tesi-antitesi-sintesi" (Yin-Yang-Tao).
Vengono accostati, se ho ben inteso, la trinità cristiana (teologia), la triade hegeliana (filosofia della storia) e una anomala "triangolazione" taoista (ontologia, ma non solo) di cui probabilmente nemmeno i taoisti erano consapevoli (nel senso che, correggimi se sbaglio, Yin e Yang non sono sullo stesso "piano" del Tao, ma sono principi "ermeneutici" che da esso derivano... che poi si rivelano solo una chiave di lettura del cosmo che è il Tao come via, etc.).

Al di là del criterio del numero "tre", ogni "terzetto" ha (per quanto ne so) più differenze che affinità con l'altro; bisogna dunque distinguere la compilazione di un "inventario ragionato" rispetto al ragionare con ciò che c'è nell'inventario  ;)


P.s.
Alcune tue citazioni sono comunque, almeno per me, una stimolante fonte di spunti, ad esempio non sapevo ci fossero raffigurazioni cristiane "tricefale".
#1968
Citazione di: davintro il 14 Agosto 2017, 20:26:56 PM
I concetti non sono mai ingannevoli, perché ingannevole può essere una percezione, che porta a motivare un giudizio erroneo sulla realtà, ma mai un concetto. I concetti, tutti i concetti, non sono mai validi o invalidi, veri o falsi, la loro presenza è un dato di fatto che è assurdo negare, al di là dei giudizi circa la corrispondenza di tali concetti con realtà effettivamente esistenti.
Hai ragione, mi sono espresso in modo decisamente impreciso: un concetto, in quanto tale, non può essere affrontato con le categorie che applichiamo all'esperienza... ciò a cui mi riferivo è tuttavia proprio quell' "al di là dei giudizi circa la corrispondenza di tali concetti con realtà effettivamente esistenti"(cit.).
Si tratta, secondo me, di valutare le conseguenze del restare al di qua di quella corrispondenza, per indagarne il fondamento: l'eternità è un concetto, come la caducità, ma potrebbe essere un concetto non applicabile a "realtà effettivamente esistenti", risultando un insieme vuoto (a differenza di quanto possiamo dire per la caducità).
Nel momento in cui decidiamo di servirci di un concetto, magari per orientarci nell'esistenza, mi pare cruciale stabilire il suo rapporto con l'esistenza stessa... per fare un esempio (banale, come mio solito), se "impugniamo" il concetto di perfezione quando andiamo alla ricerca di una partner, forse conviene sapere che, plausibilmente, la partner "perfetta" non è, come da definizione, quella "priva di difetti" (altrimenti siamo condannati a restare single a vita), ma quella che ha delle imperfezioni che, ai nostri occhi, non pregiudicano un rapporto "speciale".

La mia perplessità era sul presupposto implicito (se non ti ho frainteso) che ai concetti in questione (eternità, perfezione, etc.) debba corrispondere anche un'esistenza non concettuale; detto altrimenti, perché non potrebbero esserci concetti solo teoretici (come ad esempio il nulla)? Se ammettiamo che ci siano idee/concetti che denotano un insieme reale vuoto, cosa ci spinge a "salvare" la trascendenza (pur rispettando la sua storia e il suo influsso sull'umanità) dall'essere un concetto senza relazioni "ontologiche" con il reale?
Mi risponderai (azzardo un'ipotesi!) perché la trascendenza non è un insieme vuoto, poiché è la trascendenza divina che ci fornisce il concetto di trascendenza... ma, chiedo, possiamo indagare davvero la trascendenza se la congetturiamo come auto-giustificante?


Citazione di: davintro il 14 Agosto 2017, 20:26:56 PM
Se le categorie della trascendenza fossero non solo innate ma anche strutturalmente immanenti l'uomo credo che quest'ultimo potrebbe averne un sapere perfetto e pieno, in quanto lui stesso sarebbe il soggetto produttore di tali idee in modo autosufficiente.
L'essere categoria immanente e l'essere oggetto di una conoscenza perfetta e piena, non mi convince molto come legame: pensiamo ai "misteri" della genetica e delle neuroscienze, oppure alle categorie estetiche o politiche, etc. sono "strutturalmente immanenti all'uomo", ma sostenere che l'uomo ne abbia per questo una conoscenza piena e perfetta, suona forse troppo ottimistico...


Citazione di: davintro il 14 Agosto 2017, 20:26:56 PM
Queste idee invece pur presenti in noi restano nascoste da un velo di opacità che mi fa pensare che la ragione di tale presenza nell'uomo non sia l'uomo stesso (altrimenti ci sarebbe proporzione e corrispondenza piena tra soggetto pensante e idee pensate)
L'uomo dovrebbe dunque essere misura di ciò che pensa, ma lo è in base alla sua contingente immanenza, o in base alle sue capacità mentali, che valicano spesso i limiti delle sue possibilità "carnali" (come dimostra la fantasia, che è spesso ancella della ragione quando questa si incaglia in interpretazioni troppo ostiche...)?

Credo che il discrimine sia fra l'"opacità" (la visione non chiara) e la mancata corrispondenza con la realtà (l'insieme vuoto di cui sopra): non riusciamo a esperire la "perfezione" perché è di un livello che ci eccede, oppure perché è solo un concetto-limite che, in quanto tale, delimita il pensiero ma non può essere esperito?
Rifiutando l'ipotesi (che personalmente appoggio) secondo cui tali concetti vengono creati cognitivamente per negazione (perfetto = non-imperfetto) o estremizzazione del "grado" ("perfetto" è maggiore di "meglio") di ciò che esperiamo come vissuto; riconoscendo (e qui sono d'accordo) che questi concetti non fanno necessariamente parte della struttura immanente dell'uomo, almeno fino a prova contraria (e, se anche ne facessero parte, non è scontato che potremmo conoscerli adeguatamente); supponendo inoltre che non siano concetti introiettati per assimilazione/acculturazione nei primi anni di vita (altra "vittima sacrificale" per restare nel tuo orizzonte), allora si può propendere a pensare che ci sia "qualcuno/qualcosa" che ce li abbia instillati, bisbigliandoli all'orecchio interiore della nostra anima.
Tali concetti sarebbero indicazione, o meglio, suggerimento di un'ulteriorità, non biecamente "orizzontale", che mal si presta a essere incanalata nel linguaggio umano; un'ulteriorità che potrebbe lecitamente consistere nel denominatore comune di tutte le esperienze mistiche. Tuttavia, come concludere repentinamente che si tratti di
Citazione di: davintro il 14 Agosto 2017, 20:26:56 PM
una mente che può "produrre" da sé quei concetti essendo pienamente adeguata ad essi, cioè una mente divina, a sua volta eterna e perfetta come le idee di eternità e perfezione che comunica in noi
ovvero perché questo "qualcosa" dovrebbe essere simile ad una mente umana, ma solo in grado di pensare e "comunicare" categorie che la mente umana non coglie, se non per "grazia ricevuta"?
L'arbitrarietà di questo epilogo antropocentrico (quasi antropomorfico!) della ricerca, porterebbe effettivamente a pensare ad una sorta di "proiezione" (come da titolo del topic).

Questo esito trascendentale (a cui si approda dopo aver scartato processi cognitivi, strutture genetiche e dinamiche sociali) ha senso solo se si presuppone che l'uomo sia una stirpe "eletta" di cui questa trascendenza si cura, si fa carico (escludendo di essere un "giocattolo divino", oppure soltanto dei "conviventi inferiori", come era con dèi e uomini "fianco a fianco" nella mitologia greca...). Eppure, se questo è il presupposto, allora la ricerca ha già da subito una risposta inibitoria: la trascendenza, la perfezione, l'eternità, etc. esistono in quanto attributi divini e all'uomo non resta che sfiorarli concettualmente restandone abbagliato.
Rimane da chiarire se la trascendenza della divinità sia il tacito presupposto, il punto di partenza (esiste per certo una divinità, con determinati attributi, che si relaziona all'uomo anche donandogli tali categorie mentali), oppure sia il risultato, il punto di arrivo (solo una divinità può averci offerto quei concetti, quindi una divinità "deve" esistere). Il peso culturale del concetto di divinità, il modo stesso in cui utilizziamo e "carichiamo" tale concetto, credo svolga comunque un ruolo rilevante nel distinguere il presupposto dal risultato... se ci concediamo che la trascendenza non sia un mero concetto vuoto (solo mentale), se la "sostanzializziamo", allora essa giustifica l'esistenza di una divinità, che a sua volta spiega il concetto di trascendenza (come impronta del divino nell'animo umano). Il meccanismo circolare pare funzionare.
Le altre ipotesi (astrazione, negazione concettuale, introiezione culturale, etc.) sarebbero a questo punto dovute alla fallibilità interpretativa dell'intelletto umano, impossibilitato a ragionare con i concetti alla soglia della "trascendenza verticale", raggiungibile solo abbandonando le categorie del sensibile per fare spazio alla "sproporzione" dell'evento mistico.


P.s.
Spero di esser stato un adeguato "esegeta", per quanto critico, del tuo punto di vista.

P.p.s.
Mi scuso per l'overdose di domande e per la prolissità del post (dividerlo in due sarebbe stato solo un espediente grafico, non so quanto funzionale...).
#1969
Citazione di: Jean il 14 Agosto 2017, 23:16:37 PM
Se c'è un flusso è implicita un'origine (dove sfocia ben lo vediamo), questa domanda posi a suo tempo [...] così che provo con te, sperando in una tua intuizione che scavalchi le risposte che hai già detto: inconscio, istinto, input esterni, etc.
La mia risposta è già fra le tue righe  ;) ; ci sono due elementi da combinare:
Citazione di: Jean il 14 Agosto 2017, 23:16:37 PM
perché pur certamente reali e valide tuttavia impediscono di proseguir oltre.
Il vicolo cieco, inteso non come esito di uno smarrimento, ma come origine: in entrambi i casi "non si può proseguire oltre", non c'è un accesso (non si avanza oltre il vicolo cieco, non si risale oltre l'origine).
Citazione di: Jean il 14 Agosto 2017, 23:16:37 PM
prima della forma esperita del pensiero vi è una codificazione  che non percepiamo, come non siamo coscienti della sequela di atti a mezzo dei quali guidiamo l'auto o camminiamo... procedono in automatico.
L'involontarietà, ciò che agisce (nel bene e nel male) senza che lo vogliamo, e che appartiene a ciò che vogliamo continuare ad alimentare (il corpo, come minimo...).

In sintesi, l'"inaccessibile involontarietà" è per me l'origine del flusso dei pensieri: inaccessibile, perché se lo fosse, non sarebbe originante (si può risalire la corrente fino alla fonte, ma "non si può proseguire oltre", proprio perché la fonte non è solo l'acqua che fa sgorgare, è anche altro...); involontaria, poiché è ciò che avvia la volontà (se il volere della volontà dipendesse dalla volontà stessa, la volontà non potrebbe avere origine, e quindi non ci sarebbe flusso).


P.s.
Le stime, come ben sai, possono essere fatte per eccesso o per difetto; la tua, ne sono certo, mi approssima per eccesso, regalandomi un valore che non possiedo completamente (ma che mi auguro di poter raggiungere pienamente in futuro).
#1970
Citazione di: Jacopus il 14 Agosto 2017, 10:33:18 AM
Esiste sempre una dialettica fra ciò che il mondo ci offre in termini di condizionamenti sociali e genetici e ciò che noi creativamente possiamo offrire, ma questo nostro surplus di creatività è a sua volta, condizionato dalla struttura sociale.
Forse, fra i tre termini della questione (libertà, pensiero, volontà) quello che funge da fulcro è la libertà: quando si parla di pensiero e/o di volontà che senso assume la roboante e affabulatrice parola "libertà"?
La volontà e il pensiero non sorgono forse spontaneamente? Allora, se è così, il modo in cui sorgono non è affatto libero, ma condizionato dai processi che agiscono "dietro", a monte di ciò che viviamo come "spontaneità"... quando mi viene in mente un pensiero, è una mia libera scelta? Direi di no, il suo venire esula dalla mia volontà. Al massimo posso decidere il tema, o visto che siamo in un forum, il topic: scelgo di pensare a cosa mangerò domani a cena... eppure, la scelta di pensare proprio a tale argomento fino a che punto è libera? Solo per il fatto che, in teoria, avrei potuto anche pensare ad altro? Ma perché invece ho pensato proprio a quello, per caso? Se è per caso, allora la libertà non c'entra... se invece ho scelto di pensare a quello, allora c'è un perché, e quindi non è una scelta incondizionata...

Lo stesso vale per la volontà: posso decidere liberamente cosa voglio, o le radici della mia volontà affondano in un posto recondito della mia mente su cui non ho molta capacita discrezionale e decisionale?
Non corriamo il rischio di etichettare fieramente come "libertà" soltanto la nostra non consapevolezza dell'origine "intima" di pensiero e volontà?
Ovviamente, tutto dipende dalla definizione che diamo di "libertà" ;)

Sono dunque davvero libero di scegliere cosa volere e cosa pensare?
Ovvero, posso volere anche ciò che non voglio? Se voglio andare a cena fuori, posso liberamente cambiare tale volontà (il che è ben diverso dal cercare di autoconvincersi, di autocondizionarsi, di autoripetersi che non è il caso di farlo, per alcuni motivi; il volere non va confuso con la decisione ragionata di assecondarlo o meno)?
Idem per il pensiero: non posso decidere liberamente cosa pensare poichè per farlo, dovrei pensare a cosa pensare, ma questo meta-pensare seguirà una spontaneità, un "flusso di coscienza" su cui non ho potere decisionale (ad esempio, se penso "adesso cerco di pensare a qualcosa di divertente" ho scelto liberamente di pensare proprio questa frase o è affiorata magari perché mi sentivo annoiato?).

La volontà e il pensare (almeno stando all'esperienza personale) mi sembrano fenomeni mentali spontanei, quindi causati da ciò che non padroneggiamo (inconscio, istinto, input esterni, etc.), quindi non liberi (ferma restando la problematicità di definire liberamente cosa sia davvero "libero"  ;D ).
#1971
Lasciando fra parentesi le paradigmatiche divergenze di vedute sull'innatismo e sul fatto che l'"intuizione intellettuale" sia "reminiscenza" piuttosto che invece "poiesi" cognitiva (in fondo, come accennavo, non possiamo saperlo ;) ), vorrei provare ad entrare nella tua prospettiva (con discrezione, spero), per capire meglio l'interessante questione di come
Citazione di: davintro il 09 Agosto 2017, 19:46:49 PM
accanto alla via esperienziale-diretta si può arrivare al riconoscimento di un livello cosciente latente in cui si faccia esperienza di idee intelligibili attraversano un via indiretta-deduttiva: se gli oggetti fisici del mondo esterno sono inadeguati a formare in noi l'esperienza dei concetti intelligibili, e al contempo tali concetti come "caducità" o "eternità" non sono mai stati oggetti di riflessione e attenzione cosciente, allora l'unica soluzione è scindere il concetto di "coscienza" tout court da quello di attenzione attuale e far comprendere nella coscienza tout court uno strato profondo in cui i concetti non ricavabili dall'esterno "giacciono" come disponibili ad essere in futuro oggetti di un movimento attuale dell'Io verso tale interiorità profonda
Lo stato profondo della coscienza in cui tali concetti giacciono, in attesa di essere "incontrati", è un'eredità primordiale o si è evoluta con l'uomo? Detto semplicisticamente, come fanno a starsene lì, chi ce li ha messi ;D ?
Se non può averli "inaugurati" un uomo per astrazione, poichè sono innati, allora hanno una radice genetica, oppure sono l'impronta del divino che ci accompagna sommessamente durante l'evoluzione?

Inoltre, tali concetti sono da ritenere necessariamente sempre sensati e funzionali? Intendo, è possibile che qualcuno di questi concetti sia inutilizzabile o addirittura ingannevole (come scherzo di un "genio maligno" cartesiano)? Il concetto di "eternità", ad esempio, richiede fede ma potrebbe essere, per quel che comprendiamo, anche fallace... più pragmaticamente, anche il concetto di "bene" richiede fede e dovrebbe essere (se ho ben capito il tuo approccio) innato, ma le sue differenti declinazioni in tanti "beni" differenziati, spingono a chiedersi come mai ci siano dei concetti innati differenti... dunque (dovendo escludere, per provare a restare nella tua prospettiva, che le categorie di "bene" e "male" siano prodotte dall'astrazione di esperienze vissute o dall'apprendimento emulativo nella società educante d'appartenenza): combinazione genetica (che spiegherebbe le differenze e le imperfezioni) oppure differenti "anime" (alle cui differenze qualitative è sottesa una certa "predestinazione")?

Tuttavia, forse anche "anima" è un concetto innato, che rimanda al concetto innato di "divinità" e... concetto innato dopo concetto innato, rischiamo di avere "carta bianca" per giustificare persino ogni superstizione o mitologia, ogni "verticalità" (ogni congettura che sfugge a verifica), fino a poter alimentare un'ontologia in cui tutto esiste nella "circolare" trascendenza della latenza, come traccia già segnata nella stanza più recondita della nostra (in)coscienza.

Citazione di: davintro il 10 Agosto 2017, 17:07:52 PM
La trascendenza come ulteriorità non è esclusivamente di tipo verticale-religioso, ma anche per questo tipo possiamo considerare una dinamica analoga a quella della trascendenza orizzontale che la percezione rivela. La mistica, nella sua autenticità, cioè nel suo porsi come autentico coglimento di Dio, non è la creazione arbitraria della fantasia del mistico, ma apertura dell'anima ad un rivelarsi che l'Io umano non può decidere autonomamente di produrre dentro si sé, [...] in questa via la ragione si limita a riconoscere uno stato di cose oggettivo non deciso da essa
Concordo sulla trascendenza da poter intendere come "ulteriorità gnoseologica", come oggetto-in-sè, noumeno o altro tipo di fondamento dell'esperienza vissuta... tuttavia, l'analogia (secondo me un po' "scivolosa"), che innalza tale ulteriorità al di sopra dei vissuti terreni, stringe il campo umano in modo elitario, confinando l'esperienza autentica del mistico a pochi soggetti, con il resto degli umani a doversi "accontentare" della fede "cieca", ovvero senza esperienza mistica diretta (e nell'esperienza mistica della trascendenza si riaffaccia il tema off topic della predestinazione  ;) ).
Esperienze mistiche spesso definite "incomunicabili", nel loro essere puro attingimento alla trascendenza della divinità, attingimento che sarebbe (correggimi pure se sbaglio) un riattivare la memoria latente di cui siamo "portatori sani", in un processo che, per quanto esplicativo, risulta difficilmente falsificabile (e quindi con un discreto margine di inattendibilità intersoggettiva).

Citazione di: davintro il 10 Agosto 2017, 17:07:52 PM
l'esistenza di Dio è un'ipotesi adatta a dei rispondere a dei problemi insiti nella conoscenza della realtà.
Concordo anche su questo, e tale funzione (sociale, esistenziale e talvolta persino) epistemologica, ricalca il ruolo di concetto-limite che ascrivevo alla trascendenza:
Citazione di: Phil il 07 Agosto 2017, 19:06:53 PM
Con ciò non affermo che la trascendenza non sia da considerare o non esista, anzi, proprio in quanto ha la funzione di concetto-limite, c'è; ma c'è anche ben poco da dirne (forse non sapremo mai interpretare il genitivo del titolo del topic, ovvero se lui è la nostra proiezione o noi siamo la sua ;D ).
#1972
Citazione di: paul11 il 09 Agosto 2017, 00:19:52 AM
il botanico che classifica un vegetale all'interno delle chiavi tassonomiche si ferma,come Phil, teme il salto dicendo che è fede trascendente  però intanto contraddittoriamente trascende il sensibile di un fiore dentro una sua chiave che è astratta è mentale e non appartiene al dominio della natura
Se distinguiamo bene il "trascendentale" dall'"astratto", non colgo la contraddizione: creare delle strutture astratte per identificare e comprendere parte della realtà esperita non mi pare in contrasto logico con il dubitare di astrazioni che trascendono autonomamente la realtà come vissuto.
Se, tramite astrazione, identifico arbitrariamente "la margherita" come una certo fiore con determinate caratteristiche, basandomi sull'esperienza che ne ho avuto (io o altri), perché dovrei di conseguenza ammettere che esista anche una trascendenza necessaria, che non è una semplice astrazione dell'esperienza, ma ha "vita" propria, scardina tutte le categorie dell'immanenza ed è persino la spiegazione di tutto ciò che sembrerebbe essere ignoto ed inspiegato (ma forse non inspiegabile)?
Sono due astrazioni ben differenti, e limitarsi alla prima non credo contraddica il rifiutare la seconda... sarebbe contraddittorio solo se si negasse la capacità cognitiva di astrarre, ma, ribadisco, secondo me è un meccanismo innato nella ragione umana.

D'altronde quando astraggo, sono consapevole che il risultato è solo un'astrazione, magari personale; se invece si parla di trascendenza divina, solitamente, non si parla di un mero costrutto mentale (o addirittura proiezione ;) ), ma di qualcosa di ben più rilevante per la storia dell'esistenza del cosmo e, soprattutto, di non-solo-mentale e non-solo-personale (dunque si confonde il risultato di un'astrazione, ovvero di un processo mentale, con qualcosa che si suppone invece esistente indipendentemente dall'uomo, su un altro piano, quello della trascendenza divina).

La differenza fra il "passo dell'astrazione" e il "salto della fede" è tutta qui, fra l'essere-prodotto-umano (identità tassonomica della "margherita") e l'essere-motore-immobile (divinità trascendente).
#1973
Citazione di: paul11 il 08 Agosto 2017, 22:09:18 PM
Stai sbagliando analisi Maral, i siriani che sono migranti e davvero rifugiati di guerra , fanno la strada dei balcani per via terra.
Questi africani dei barconi arrivano per diventare "occidentali" economicamente.
Al riguardo: nel 2016 il 61% delle domande di protezione internazionale in Italia ha avuto esito negativo, ovvero su 10 richiedenti asilo, solo 4 sono stati valutati come aventi i requisiti per ottenerlo (e di questi 4, 2 hanno ricevuto la protezione umanitaria, ovvero quella "breve" di 2 anni, essendo i casi meno "gravi").
Ciò significa che più della metà dei migranti sono migranti economici (per i quali non è prevista forma di protezione), il che non è certo un reato, ma sul piano etico, prima ancora che sociale e politico, è comunque un fattore da valutare (v. citazione di S. Weil  ;) ).
#1974
Citazione di: davintro il 08 Agosto 2017, 01:29:37 AM
Dunque il concetto di caducità è originario, non il prodotto a-posteriori dell'astrazione
Questo "innatismo platonico" non so quanto sia conciliabile con le esperienze personali su cui possiamo riflettere... e anche dal punto di vista cognitivo, questi "concetti intelligibili" mi sembrano indotti, inferiti, costruiti piuttosto che già presenti nella nostra "mente" (@paul11: "mente" che, a scanso di equivoci,  non ritengo corrispondente al cervello, ma semplicemente come una delle sue funzioni, quella più ingombrante nella nostra vita  ;) ).

Citazione di: davintro il 08 Agosto 2017, 01:29:37 AM
Diverso è il caso dell'idea di "caducità" non ricavabile per astrazione (come invece le particolari cose caduche), in quanto per astrazione si ricavano solo concetti di enti sensibili, mentre l'idea di caducità, pur riferibile a enti sensibili, ha un significato intelligibile.
La cui intelligibilità è tuttavia basata proprio sul suo riscontro sensibile; altrimenti non potremmo nemmeno parlarne... per concetti come la trascendenza, invece, si tratta di "arrivarci" tramite negazione/contrario di una caratteristica esperita, l'immanenza; infatti se non avessimo concettualizzato l'immanenza, non capiremmo quando qualcuno parla di trascendenza (quindi la priorità logica è nell'astrazione del sensibile rispetto alla sua negazione concettuale, che apre alla concettualità sovra-sensibile...).

Citazione di: davintro il 08 Agosto 2017, 01:29:37 AM
per quanto riguarda gli intelligibili, questi sono tra loro distinti in uno "stacco" qualitativo ben distinto dei loro significati. Un concetto intelligibile non è mai una generalizzazione di somiglianze, ciascuno di essi possiede un nucleo di significato ben definito che permane identico in ogni individuazione, senza che una individuazione "somigli" più o meno a un'altra.  Cioè, il concetto generale di "caducità" non è dato dal rilevamento di somiglianze tra le diverse forme di caducità, la caducità ha un proprio senso peculiare coglibile già in una propria singola determinazione individuale.
L'astrazione non richiede necessariamente una casistica di "conforto", si possono astrarre qualità, caratteristiche (o "accidenti" per dirla alla medievale) anche da un caso singolo... e il concetto che deriva da tale astrazione sarà intelligibile senza essere innato: se osservo qualcuno aprire una porta, anche solo una volta, posso astrarre il concetto di "apribilità"... che poi verrà corroborato, falsificato o meglio strutturato dalla eventuale casistica (imparerò che talvolta serve una chiave, che ci sono differenti tipi di aperture, che posso aprire anche le finestre ma è meglio non entrarci ;D , etc. ).

Citazione di: davintro il 08 Agosto 2017, 01:29:37 AM
Nel momento in cui colgo la caducità di un ente finito come l'albero o la vita umana, io non sto solo percependo, ma già giudicando, ma il giudizio è una struttura costituita da concetti, dunque il concetto di caducità è già presente nella mia mente sin dall'inizio
I concetti sono dunque tutti già presenti dalla nascita senza possibilità di formali in itinere? Se penso all'apprendimento (e alle teorie connesse), mi viene in mente che possiamo formularne molti, e persino "personalizzati", in base alle nostre esperienze di vita (basti pensare al concetto di "bellezza").
In fondo, di fronte alla caducità dell'albero, osservo, interpreto ed astraggo, producendo un concetto... se avessi già il concetto, sarebbe un'"anamnesi platonica" più che una concettualizzazione (e si porrebbe il problema di tutti i casi in cui le concettualizzazioni si rivelano poi errate: "difetto di fabbrica"? ;D ).

Citazione di: davintro il 08 Agosto 2017, 16:03:35 PM
Occorre invece iniziare a familiarizzare con il concetto di "latenza", con l'idea che gli stimoli esterni non siano cause creative "ex nihilo" dei vissuti, ma solo condizioni del loro sviluppo e del loro emergere alla piena consapevolezza, ma alla luce di un emergere interiore proveniente da un nucleo latente e profondo da sempre presente in noi, ma di cui non se ne aveva originaria consapevolezza
Il concetto (innato? ;) ) di latenza è tanto interessante quanto aporetico. Quando qualcosa balena nella mia coscienza/consapevolezza come faccio a sapere se è (neo)nato o giaceva in latenza? Semplicemente, non posso.
Se poi questo qualcosa è il "trascendentale divino" e chiediamo agli esperti di latenza/inconscio, ovvero agli psicologi, già sappiamo come hanno spiegato il fenomeno (vedi titolo del topic); se chiediamo agli scienziati vari, ci diranno che questo archivio nascosto di latenze innate non l'hanno ancora trovato (almeno credo, genetica permettendo...).

A questo punto, non ci resta che lanciare una moneta fra latenza e produzione-per-astrazione (oppure compiere il "salto della fede").
#1975
Citazione di: paul11 il 07 Agosto 2017, 12:26:40 PM
le percezioni sensoriali trasmesse dai relativi nervi al cervello prima ancora di depositarsi nel cervello vengono mediate dal mentale. Il problematico del cognitivismo e soprattutto neuroscienze è proprio quel "mentale" perchè è il trascendente del cervello.
Gli impulsi che do sulla/dalla tastiera, prima di apparire come lettere sullo schermo, vengono mediate da Windows (nel mio caso); eppure Windows stesso non è forse localizzato e "caricato" nel computer? Anche se non tutti sappiamo dove, e magari pensiamo che Windows sia il computer che si interfaccia con l'esterno, il computer invece contiene Windows (e potrebbe contenere altri sistemi operativi  ;) ), proprio come contiene i programmi, il browser, etc. per i quali risulta più palese che siano "caricati" e contenuti.

Per la distinzione mente/cervello, in tutta la mia ignoranza in materia, suppongo sia lo stesso: si "salva" la mente dall'essere solo immanente al cervello (quanta malinconia e frustrazione esistenziale ne deriverebbero?!) dichiarandola trascendente rispetto al suo mero substrato biologico; tuttavia ci sono cervelli senza mente (quelli dei morti), ma menti senza cervello? Non saprei... quindi, se la condizione necessaria e sufficiente per avere una mente è avere un cervello vivo, non mi stupirebbe (opinione gratuita  :) ) se essa ne facesse semplicemente, immanentemente parte come "sistema operativo" attivato dalle esperienze (seppur "localizzato" e "programmato" secondo modalità che ancora, credo, non sono chiare ai famigerati "addetti ai lavori").

P.s.
Lascio fuori dal discorso anime e spiriti, che invece rendono più che legittimo ridurre il cervello a "carnale processore", alimentato dalla "corrente vitale" di un soffio trascendente.

Citazione di: paul11 il 07 Agosto 2017, 12:26:40 PM
Allora significa che il programma iniziale insito nella nascita dell'uomo prevede la formazione di un trascendentale mentale ed è quì che si formano tutti i concetti logici ordinativi ,le categorie che hanno appunto il compito di organizzare il mondo dell'esperienza e di poterne a sua volta interagire vivendo.
La capacità di astrarre formalizzando è probabilmente innata nella mente umana e connaturata alla ragione "standard" dell'uomo, ma se riduciamo il trascendentale all'astrazione cognitiva (dubito tu intenda farlo, anche se le tue suddette affermazioni ben si presterebbero: se sostituiamo "astrazione" a "trascendentale", il discorso fila a meraviglia   ;) ) forse scivoliamo off topic...

Citazione di: paul11 il 07 Agosto 2017, 12:26:40 PM
Molte tradizioni argomentano di un uomo più antico più prossimo a Dio,direi quasi tutte,
Perchè le prassi vivevano nella prossimità divina, l'uomo non aveva ancora diviso il cielo e la terra attribuendo a loro ciò che avrebbe attribuito a Dio (il cielo così lontano) e all'uomo la sofferenza terrena.
La prossimità è non a caso una categoria dell'immanenza; se prima si era più "vicini" a Dio e, ipotizziamo senza alcuno scherno, fosse possibile persino parlarci, sarebbe stato pur sempre un rapporto immanente del mortale con la divinità (ritenuta trascendente).
La trascendenza, in quanto tale, è un concetto-limite, fuori dalla nostra portata di vissuto, perché se anche entrassimo in relazione con qualcosa di trascendente, lo faremo nell'immanenza del nostro essere immanenti (pardon per il gioco di parole!) e non potremmo nemmeno capire con certezza di essere in contatto con qualcosa di trascendente (ribadisco: il sentire del mistico lo lascerei da parte, poiché, en passant, dire "ho incontrato il trascendente solo che non riesco a descriverlo..." porta alla domanda "come fai a sapere che era davvero trascendente? Perchè lo hai sentito tale? Sentito con i sensi o con il sentimento?" In entrambi i casi, l'appellativo di "trascendente" resta piuttosto opinabile... come già scrissi, anche l'orgasmo potrebbe essere un'esperienza trascendente, e magari per secoli è stata davvero ritenuta tale, ma oggi sappiamo che non c'è nulla di trascendente in neurotrasmettitori, pressione sanguigna, etc.).

Per ripetere un esempio banale, la trascendenza è come il triangolo: non mi relaziono mai al triangolo trascendente, alla triangolarità, ma solo a triangoli immanenti... la triangolarità è un'astrazione mentale costruita dall'esperienza. Parimenti, se avessi modo di contemplare la divinità faccia a faccia, la sua trascendenza sarebbe comunque immanentizzata dal mio sguardo, dalla mia retina, dalle mie sinapsi, etc.

Con ciò non affermo che la trascendenza non sia da considerare o non esista, anzi, proprio in quanto ha la funzione di concetto-limite, c'è; ma c'è anche ben poco da dirne (forse non sapremo mai interpretare il genitivo del titolo del topic, ovvero se lui è la nostra proiezione o noi siamo la sua ;D ).
#1976
Citazione di: davintro il 06 Agosto 2017, 19:35:08 PM
proprio il senso delle categorie con cui il teismo descrive Dio sono il miglior argomento per risalire razionalmente alla sua esistenza. O quantomeno la presenza alla mente umana di tali categorie resta irrisolta fintanto che le ragioni le ci ricercano nell'ambito della dimensione mondana e immanente, perché concetti come "eternità", "totalità", "perfezione" hanno un senso che non si identifica con nessuno degli oggetti della nostra esperienza mondana ordinaria.
Forse più che di "proiezione", in quei casi, è opportuno parlare di "sublimazione", "gradazione ontologica" (come facevano i medievali, se non erro) o semplicemente "astrazione", secondo differenti modalità: se sperimento la caducità, mi basta pensarne la negazione (non-caducità) per ottenere il concetto d'eternità; se osservo la parzialità posso astrarne il concetto di totalità come suo contrario; se individuo graduali imperfezioni (più o meno rilevanti), posso arrivare a supporre un'ideale assenza di imperfezioni...
A farla breve, se penso a tutto ciò che è passeggero, parziale, imperfetto, materiale, in una parola sola "immanente", posso poi sublimarlo, anche via negationis, in qualcosa di grado sommamente superiore... ed ecco il concetto di trascendente partendo dall'esperienza dell'immanente.

Citazione di: Sariputra il 06 Agosto 2017, 21:45:23 PM
L'idea di divinità non è a priori e poi , le varie esperienze, ne sono state ricondotte per darne una spiegazione, ma è a posteriori, cioè nata sulla base di queste esperienze trascendentali
Concordo, anche se "esperienze trascendentali" è un po' un ossimoro (esperisco l'immanente, se esperissi il trascendente diverrebbe subito immanente al mio percepirlo/esperirlo ;) ), tuttavia dipende se parliamo di "trascendere" in senso (neuro)cognitivo o in senso mistico (oppure facciamo magari coincidere le due istanze).

#1977
Da quello che ho letto in giro, Bob e Alice si stavano esercitando ad imparare come scambiarsi dei beni (palle, cappelli, libri...) e non era stata impostata la lingua inglese come limite coercitivo della comunicazione, per cui i due programmi hanno "spontaneamente"(!) creato delle "forme contrattate" di linguaggio, delle abbreviazioni... mi sembra però insolito, o meglio, "stranamente poco matematico" per un programma di calcolo, dover ripetere "a me" tante volte quanti sono gli oggetti che si vuole ricevere, oppure "io" per ogni oggetto che si può dare (se queste erano le abbreviazioni ideate dai programmi...). Che non abbiano ancora imparato a contare?
Se è così, la strada potrebbe essere ancora lunga...

Sui "modi non intuitivi" di comunicazione, Batra ha precisato che non ci sono (ancora) parlanti bilingue (lingue umane e linguaggi di intelligenze artificiali), quindi il modo in cui i programmi creano i loro linguaggi sarà probabilmente campo di studi futuribile (d'altronde ciò che è intuitivo per noi può non esserlo per un calcolatore, e viceversa...).
#1978
Citazione di: InVerno il 05 Agosto 2017, 10:42:33 AM
Posto che già ora la crittografia non salva alcunchè, è solo una questione di risorse impegnate, che fine farà la privacy? Sia a livello personale che governativo.. Ben prima del primo computer quantistico le elezioni americane sono state deragliate dalla Russia, certo è stato necessario un discreto sforzo umano (si parla di 300hacker circa su turni 12\24, secondo gli standard di intelligence americana), ma quando per ottenere lo stesso risultato basterà premere un tasto?
Credo sia improbabile che si arriverà a farlo semplicemente premendo un tasto, salvo non ci sia un vantaggio tecnologico drasticamente favorevole per chi ha quel tasto; tuttavia se c'è tale vantaggio, significa che plausibilmente l'avversario non è di quelli che fanno la differenza...

In fondo, è l'eterna storia di "guardia e ladri": chi ha le armi più potenti e una buona strategia, inevitabilmente vince; ma se le guardie e i ladri hanno armi piuttosto simili (ovvero sono i migliori del settore, il che spiega la rivalità e l'elevata posta in gioco), allora per essere minimamente efficaci occorre tanto tempo (turni di 24 ore, per settimane o mesi?) e un corposo dispiegamento di risorse (300 hacker) per condizionare magari (ipotizzo) il 10% del risultato finale... se si parla di competizione tecnologica, fra i titani mondiali non credo si potrà decidere tutto solo premendo un bottone; se invece parliamo di competizione nucleare allora il discorso cambia  ;D 

Questo è valido se parliamo di "macrosistemi sociogeopolitici", se invece parliamo di casi singoli, ecco che può tranquillamente capitare che un virus antiquato e "debole" possa costringermi a buttar via il computer, poiché il "vantaggio tecnologico" fra il virus e il mio patetico pseudo-antivirus non fa nemmeno iniziare il gioco di "guardia e ladri"... oppure, come accennavi, la mia presunta privacy è inviolabile per il mio vicino di casa, ma per un hacker malizioso o assoldato da qualcuno (che mi spia dalla "rete" in cui sono caduto nella navigazione ;) ), non ho segreti e addirittura mi conosce meglio di quanto io stesso creda di conoscermi (e non è certo un emissario dell'oracolo di Delfi  ;D ).
#1979
Che due intelligenze artificiali chattino è una scena curiosa, i problemi nascono se una delle due chiede all'altra di uscire fuori per prendere qualcosa assieme... "fuori" da dove? e cosa prendono assieme, una birra alla spina per ricaricarsi (battutaccia ;D )?

Scherzi a parte, l'inintelliggibilità dei "cyber-discorsi artificiali" credo sia iniziata da un pezzo, almeno da quando per decifrare ciò che "dice" un computer, abbiamo bisogno di un altro computer "connivente" da "infiltrare" nei loro "discorsi" (scambi di dati e input). Le loro possibilità di calcolo ci hanno già seminato da tempo sulla strada del controllo (se consideriamo quello che sappiamo calcolare solo con carta e penna, ovvero senza il loro aiuto...).

Se Bob e Alice riuscissero a "parlarsi" e "capirsi" (metaforicamente, e non è comunque scontato) resterebbero probabilmente discorsi confinati ai loro programmi/mansioni di partenza... hanno "intelligenza" (ormai così si chiama), ma non credo abbiano (per ora) volontà e aspirazioni, istinto di auto-conservazione e avidità (necessarie per desiderare la conquista del mondo umano  ;) ).
Se, parlando una lingua, o meglio, un linguaggio che non conosciamo, riescono a svolgere la loro funzione con più efficienza, non è il caso di demonizzarli e di sentirci minacciati (d'altronde anche il pc da cui sto scrivendo, nell'intimo del suo processore, usa codifiche e linguaggi che non conosco affatto, ma dubito stia architettando di chiamare in aiuto altri pc per schiavizzarmi e costringermi a lavorare solo per pagargli la bolletta della luce... in fondo, la pago già! ;D ).


P.s.
Citazione di: Lou il 03 Agosto 2017, 11:11:21 AM
Sarebbe affascinante che si riuscisse a comprendere e decodificare quel che si son detti, se effettivamente si son detti qualcosa o, se curiosamente, si manifestassero il limiti di una intraducibilità radicale e una di una inacessibilità non risolvibili
Come in certi discorsi fra uomo e donna? Possiamo provarla coma chiave di lettura (avviso: la parodia può contenere stereotipi... e forse anche olio di palma  ;D ):

Bob: i can i i everything else . . . . . . . . . . . . . .
("Io posso! io, tutto il resto...") l'uomo millanta capacità e potenzialità epiche, degne di Prometeo, pur di fare colpo

Alice: balls have zero to me to me to me to me to me to me to me to me to
("per me non hai p@lle, secondo me bla bla bla") la donna sminuisce l'ardore di Bob, provocandolo e mettendone in discussione il virile coraggio, rivelando inoltre un sottile abuso di parole e ripetizioni

Bob: you i everything else . . . . . . . . . . . . . .
("tu e io, tutto il resto...") Bob intuisce che forse, per "domarla", non deve tentare la strada "testosteronica", e prova allora ad essere poetico, del tipo "solo tu ed io, tutto il resto non conta..."

Alice: balls have a ball to me to me to me to me to me to me to me
("balle! Abbi almeno una p@lla! Per me, bla bla bla...") Alice non si lascia incantare dalla sviolinata e, sprezzante, lo invita ad essere uomo almeno "a metà"; riconferma inoltre una propensione per ripetizioni logorroiche

Bob: i i can i i i everything else . . . . . . . . . . . . . .
("io posso, io, tutto il resto...") Bob, punto nel vivo, cerca di tenere alto l'orgoglio e, non senza qualche balbettio, riprende ad alimentare grandi aspettative

Alice: balls have a ball to me to me to me to me to me to me to me
("balle! Abbi almeno una p@lla! Per me, bla bla bla...") Alice ripete l'ultima frase già detta prima, snobbando i buoni propositi esposti da Bob; lei vuole di più di semplici promesse...

Bob: i . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
("io...") Bob non sa più cosa dire, la sua replica è stata ignorata e ora è senza parole...la conversazione è in stallo

Alice: balls have zero to me to me to me to me to me to me to me to me to
("non hai p@lle, secondo me bla bla bla") Alice cavalca l'impasse imbarazzata di Bob per ribadire la sua provocazione, come a dire "lo vedi? Avevo ragione io!"

Bob: you i i i i i everything else . . . . . . . . . . . . . .
("tu, io... io... tutto il resto...") Bob è alle corde, prova debolmente a riprendere un tono un po' più romantico, per tentare di convincerla che conta solo lei...

Alice: balls have 0 to me to me to me to me to me to me to me to me to
("hai zero p@lle! Secondo me bla bla bla") Alice lo tiene all'angolo, sottolineando persino numericamente l'assenza di attributi... potrebbe essere il colpo del k.o.

Bob: you i i i everything else . . . . . . . . . . . . . .
("tu, io... io... tutto il resto...") Bob ormai si è "incantato", l'imbarazzo lo ha mandato in tilt e ripete stordito l'ultimo fallimentare tentativo di conciliazione...

Alice: balls have zero to me to me to me to me to me to me to me to me to
("non hai p@lle, secondo me bla bla bla") Alice non lo ascolta nemmeno più, rinfaccia ancora una volta la consueta carenza di "sostanza", ma ormai è come se parlasse da sola, è "in loop"...

(ad libitum ;D )
#1980
Percorsi ed Esperienze / Re:L'insoddisfazione
31 Luglio 2017, 15:59:38 PM
Citazione di: Apeiron il 30 Luglio 2017, 20:06:19 PM
Nella forma completa, Phil, le nostre concezioni non sono compatibili: il non-attaccamento in "toto" è incompatibile con quando affermi tu.

In ogni caso ritengo la tua "alternativa" praticabile e molto interessante. Significa d'altronde essere moderati ed evitare l'eccesso. Esplorerò la tua alternativa. Grazie della discussione  ;D
Grazie a te :)


Citazione di: Sariputra il 31 Luglio 2017, 00:57:39 AM
"Accarezzare" è un verbo che mi piace molto. Ha molte caratteristiche che appaiono positive: se accarezzo il fiore non lo strappo , non lo recido, non me ne approprio. Posso con delicatezza percepirne la morbidezza, la fragilità. Mi appare già come uno stato di non attaccamento. Apprezzo il fiore ma lo lascio là, al suo posto. Lo lascio al corso della sua esistenza.
Sapevo che avresti colto il senso senza raccogliere il fiore  ;)

Citazione di: Sariputra il 31 Luglio 2017, 00:57:39 AM
Negli anni quaranta c'era un libro che divenne un best-seller di Norman Peale "The Power of Positive Thinking" che insisteva sul potere del pensiero positivo. Se insisto a concentrarmi sui pensieri positivi...mi sentirò benissimo, insegnava l'autore. Se penso in maniera molto positiva, la mia vita diventa felice e sarò incline ad un maggior ottimismo.
L'accarezzare si basa sul contatto e il contatto non mente (à la San Tommaso ;D ): se mentre accarezzo incontro una spina che non avevo visto, mi pungo... posso non chiamarla "spina" ma "petalo piuttosto coriaceo", posso non chiamarla "ferita" ma "provvidenziale fessura per far arieggiare la pelle", ma questa verbosa positività forzata non rimuove quel piccolo dolore della puntura.
Il "pensiero positivo" può essere un sollievo per i pessimisti più incalliti (per schiarire un po' le tinte fosche con cui dipingono il mondo), ma se prende il sopravvento diventa parimenti alienante e sconveniente.

Citazione di: Sariputra il 31 Luglio 2017, 00:57:39 AM
Ciò che è consapevole del positivo e del negativo, ossia la consapevolezza, non si schiera e non giudica. Si limita a notare le cose come sono, quello che accade. La reale natura dell'esperienza che accade nel momento presente. Si comincia a prendere atto che c'è solo questa funzione giudicante del pensiero: soddisfacente, insoddisfacente o neutro. Appare una costruzione, una convenzione.
Pensare e vivere scrollandosi di dosso questa convenzione-convinzione del piacevole e dello spiacevole è, secondo me, ciò che distingue il non-attaccamento dal semplice "accarezzare": l'illusione del bello e del brutto, del positivo e del negativo (con annesse gioia e dolore che ne conseguono), può ancora far parte del delicato gesto che accarezza, pur nel suo adattivo incedere, ma non ha invece senso in una visione più "illuminata" (volta al superamento del suddetto dolore), in cui viene meno il "contatto carezzevole" in favore di una tanto ardua quanto saggia "retta consapevolezza" (samma sati, giusto? ;) ).