Citazione di: donquixote il 15 Luglio 2016, 10:31:34 AMCitazione di: Phil il 14 Luglio 2016, 23:25:31 PMMi/ti chiedo: può esserci un tempo storico "giusto"? Si può uscire dal relativismo etico(-politico), oppure il "non-giusto" è soltanto un giudizio personale... probabilmente, per chi ha il potere, i tempi sono più che giusti...Per "giusto" intendo ovviamente "conforme a giustizia": e cos'altro è la giustizia se non "dare a ciascuno il suo"? (suum cuique tribuere) Al di là di tutte le altre considerazioni che si possono fare la proclamazione, in questo tempo, dell'uguaglianza di tutti gli esseri umani è esattamente l'opposto della giustizia, perchè chiunque può accorgersi che ognuno è diverso (sotto molteplici aspetti) da chiunque altro, e un'idea che afferma che bisogna dare le stesse cose a persone diverse persegue l'ideale dell'ingiustizia. Un tempo storico "giusto" (per quanto non assolutamente ma solo relativamente, come del resto tutto ciò che accade nel mondo del divenire) è dunque quello che persegue tendenzialmente l'ideale opposto a quello attuale. Per fare l'esempio legato all'attualità "dare a ciascuno il suo" significa non consentire che i "mercanti" possano determinare le sorti di un popolo, poichè essendo essi più di altri mossi dall'avidità e dalla ricerca del profitto non potranno certo perseguire l'interesse comune, anche magari a scapito del proprio.Citazione di: Phil il 14 Luglio 2016, 23:25:31 PMP.s. Tutto questo per chiederti di spiegare meglio a cosa alludi con "cultura divisiva e distruttiva"...Ferdinand Tonnies, nel famoso saggio Gemeinschaft und Gesellschaft scriveva: "La teoria della società riguarda una costruzione artificiale, un aggregato di esseri umani che solo superficialmente assomiglia alla comunità, nella misura in cui anche in essa gli individui vivono pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità essi restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono" Le aggregazioni umane moderne, basate sulla teoria del "contratto sociale" che chiunque può sottoscrivere e che da quel momento lo consacra appartenente alla "società" di riferimento sono fondate sull'idea che il singolo individuo (libero, indipendente, autonomo ed eguale) sia più importante di tutto, e che l'unione sia solamente temporanea e strumentale al soddisfacimento di determinate esigenze dei singoli; nessuno quindi dovrà "sacrificarsi" in nome della società se non nella misura stabilita dal "contratto" sottoscritto. Tale idea, che parte dalla considerazione dell'individuo, dei suoi diritti e della sua libertà come elaborata nel XVII e XVIII secolo e codificata in opere quali quelle di Benjamin Constant (La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni) e Stuart Mills (saggio sulla libertà) e portata ad esaltazione nei tempi recenti da autori influenti come Stirner (L'unico e la sua proprietà), ha depotenziato il ruolo della comunità umana rendendolo funzionale alla mera espressione individuale. Le moderne costituzioni degli stati affermano in pratica che "ciascuno è libero di esprimersi come vuole a patto che ciò non impedisca in qualche modo l'espressione di un altro" che significa poi che ognuno è libero di elaborarsi una propria filosofia di vita, una propria morale, un proprio schema di giudizio sui fenomeni eccetera, e di condividerlo o meno con altri. Dunque mentre nelle comunità l'individuo poteva esprimersi solo al loro interno e siccome esse sono animate da una visione "organica" del mondo (vedi ad esempio il famoso apologo di Menenio Agrippa), ognuno doveva mantenere il proprio ruolo compatibilmente con le proprie attitudini e capacità e la comunità stessa si occupava di riconoscerlo e valorizzarlo come funzionale al benessere complessivo della medesima. Nelle società moderne, dominate invece da una visione meccanicistica ed egualitaristica ove tutti sono fungibili come ingranaggi di un meccanismo, ognuno, indipendentemente dai talenti individuali, può "scegliere" autonomamente quale ruolo ricoprire, scontrandosi quotidianamente con la realtà di una società che necessita di 1000 persone adatte a ricoprire un certo ruolo e magari gli aspiranti sono 1.000.000, e con l'estrema concorrenza di altri che anzichè puntare sui propri talenti (che non hanno) punteranno invece sul "fascino", sul "carisma", sulla "capacità di comunicazione" e su altre "doti" del tutto aleatorie e totalmente disfunzionali al ruolo ricoperto, quindi nel complesso deteriori per l'intera società. In una aggregazione umana che non postula principi di unità su cui basarsi e riconoscersi come appartenenti a quella data aggregazione (la nostra è fondata sul "lavoro": ma che cosa significa? il lavoro è un mezzo: ma qual è il fine "sociale"? Quella tedesca è fondata sulla "dignità umana": altra locuzione che non significa nulla) poichè ognuno è libero di organizzarsi la vita come crede e lo stato deve garantire tale diritto è facile immaginare come tendenzialmente ognuno potrà avere come punto di riferimento solamente il proprio ego e le sue esigenze, che si scontrerà quotidianamente con le esigenze degli ego altrui. Anche l'idea, anch'essa del tutto moderna, di "salvaguardia delle minoranze (culturali o addirittura di altro genere)" in quanto tali, contribuisce per parte sua ad aumentare la confusione intellettuale perchè una società dovrebbe avere come riferimento una "verità", o ciò che crede essere tale e che deve essere condivisa dai propri appartenenti, ma il conferimento alle minoranza di una dignità intellettuale pari a quella della maggioranza non fa che contribuire ulteriormente alla distruzione culturale e allo spezzettamento della "maggioranza" in minoranze sempre più esigue che via via non avranno più alcuna "verità" come punto di riferimento ma solo i propri interessi egoistici. Per divisione dunque intendo l'enunciazione di "principi" che esaltano l'individualità a scapito della comunità, che inevitabilmente porteranno al non riconoscimento del proprio vicino come appartenente alla stessa collettività, anche se si parla la stessa lingua. Per "distruttiva" intendo invece una "cultura" che esaltando le pulsioni umane più deteriori (perseguimento degli interessi personali o di casta a qualunque costo, mancanza totale di rispetto verso visioni diverse dalla propria, esaltazione dell'avidità, dell'invidia e della competizione poichè funzionali al "mercato") e impostata com'è sull'idea di "crescita" esponenziale, di progresso infinito, di totale rifiuto di ogni e qualsiasi equilibrio avrà buon gioco a distruggere in breve tempo tutte quelle culture che hanno impiegato secoli per trovare un proprio equilibrio educando i propri appartenenti a rendersi consapevoli che loro non sono i padroni del mondo e che devono rispettare le leggi della natura a cui loro si devono sottomettere e che non vanno piegate ai propri desideri. E dopo aver distrutto tutte le altre culture non potrà che distruggere se stessa, perchè nel frattempo i conflitti interni saranno diventati talmente numerosi e pervasivi da farla esplodere. Tutto quanto sopra, coniugato con il "materialismo" di cui dicevo nel messaggio precedente, realizzerà anche la distruzione del mondo fisico; tuttavia questo si può considerare in qualche modo un epifenomeno, anche se in definitiva sarà probabilmente quello che darà il colpo di grazia alla tanto esaltata "modernità".
Forse per analisi un pò diverse, ma arrivo anch'io a queste conclusioni.
Il problema nasce dal logos greco,dividendo astrazione e materia, ponendo l'uomo continuamente alla ricerca di una verità ora fra questi estremi. Il problema culturale nasce da lì e continua tuttora. Prima l'uomo era corpo fisico abitato dal soffio della vita, i due aspetti convivevano e non da"separati in casa" .
Quando sostieni che i concetti valoriali non sono nella realtà, è proprio questo il problema del logos, hanno proseguito persino nella cultura scientifica,nella modernità a separare la teoria dalla pratica in cui la conoscenza esperienziale umana continua a circolo chiuso a portare continue esperienze che modifcano le teorie ,ma senza mai poter mutare il modello che diventa enorme e complesso.L'individuo era in comunità, la comunità divenne società, il contratto sociale divenne stato politico in Hegel .
Si è perseguito il medesimo errore portandolo ad un livello di complessità maggiore.
Sono perfettamente d'accordo, la comunità è l'equilibrio ami sura d'uomo anche per l'individuo e solo fino a questa misura funziona la morale e l'etica perchè vige il controllo sociale dove tutti si conoscono, dove un tempo vi era il forno comune, il pozzo comune, i sentieri comuni, i riti comuni, le preghiere comuni. L'errore è pensare che la forma antiquata debba mutare per la tecnologia, errato. La tecnologia può aiutare ad avvicinare spazi incolmabili a dialogare per comunità e non questa globalizzazione che pialla l'umanità standardizzandola dentro un modello scientifico.
Sono ancora d'accordo per un aspetto perspicace:"nessuno sa più stare al suo posto"
Fino agli anni Cinquanta, primi anni dei Sessanta i cortili della case aringhiera erano colme di persone che solidarizzavano.
Il boom economico ha creato l'illusione individualistica per cui tutti i figli dei poveri sarebbero diventati ricchi.
Non avevano capito che invece avrebbero dovuto fare l'inverso, distribuire meglio le ricchezze sociali.
La meritorcrazia è una farsa storica, perchè l'importante nella grande kermesse è che tutti siano contro tutti.
Hanno insegnato che vince il furbo, raccomandato, venditore di fumo, asservito al più potente, menefreghista di un etica sociale.
Questo tipo di socialità ha insegnato che non c'è limite, dove prima esisteva un tabù sociale, quello del rispetto della persona a prescindere dallo status sociale. Rotto il limite, spacciata per libertà senza responsabilità, un nugolo di umani prostituiti alle tecnocrazie del privato e del pubblico statale hanno formalizzato un ordinamento basato sulla possiblità della mobilità sociale verticale, cioè puoi diventare ricco se sei furbo e spietato senza remore.
Ma attenzione all'errore di pensare che dignità, fratellanza.solidarietà,uguaglianza siano da sempre astrazioni, è proprio la cultura che ha separato spirito ed etica dalla materialità e dei desideri senza limiti, che volutamente ha reso indeterminabili nel concreto della vita quei valori, è come se avessero detto" credi a dei principi impossibili? Vivi invece fregandotene di quelle cose inarrivabili, guarda il paese dei balocchi, prendili se vuoi", Così hanno prostituito un'umanità.
Questo è il gioco degli illuminati a prescindere se esistano o meno.Hanno ridotto l'uomo e la sua umanità,facendogli vomitare l'anima, a un animale intelligente,Ma questa intelligenza è incapace di equilibrare il concreto materiale l'astratto dello spirito, dell'anima,non sa coagularli, per cui accumula continuamente conoscenze senza poter dare una ragione di senso alla sua esistenza.