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Messaggi - Jacopus

#1966
Per Socrate. L'esempio di Dahmer mi fa dire che si è trattato, anche in questo caso, di un bambino abusato, a cui è stato dato il supporto materiale ma non quello affettivo. È un dato verificato che da bambino torturava ed uccideva piccoli mammiferi come rane o gatti. Questo è un tipo di comportamento predittivo rispetto all'insorgenza del disturbo della condotta e di quello antisociale. Piuttosto che il demonio, chiamerei in causa due genitori lontani empaticamente. Mi ha fatto riflettere anche le lamentele della nonna nei suoi confronti per il tanfo che proveniva dalla cantina dove abitava, senza che facesse nulla (tanfo che derivava dalla putrefazione, quindi un odorino pungente!). Lo stesso abbandonare il figlio dalla nonna, esprime chiaramente il processo di abbandono di Dahmer da parte di entrambi i genitori. All'età di 7 anni fu lasciato solo dalla madre per due giorni e fu in quell'occasione che il padre lo trovò affamato mentre cercava di comunicare con i morti ( visto che i vivi di riferimento non comunicavano con lui).
Un uomo senza una solida base affettiva è come un albero senza radici. A questo handicap se ne possono aggiungere altri che non fanno che peggiorare le cose. Un incidente stradale ad esempio può compromettere il senso etico delle persone, se il trauma avviene nella regione orbitofrontale e le persone traumatizzate dai genitori hanno una possibilità statistica di incappare in incidenti in auto  più alta della media. Invece vi possono essere, nella vita delle persone traumatizzate, eventi che curano il trauma, come ad esempio una fidanzata o un professore o un sacerdote particolarmente empatico. Si chiamano fattori di rischio e fattori di protezione rispetto al trauma.
Una  volta iniziati gli omicidi, bisogna considerare un secondo processo che corre parallelo al primo: i pattern comportamentali. Dahmer dopo il primo omicidio vomitó, ma con l'affinarsi dell'esperienza divenne per lui sempre più una routine. Per certi versi funziona esattamente come una droga: per ottenere lo stesso effetto sui recettori dopaminergici bisogna incrementare le uccisioni e renderle più fantasiose. Lo stesso processo avveniva in un'altra epoca, alle SS, che si abituavano alla violenza, anch'essi sottoposti all'inevitabile legge dei pattern comportamentali ( oggi ritradotti anche con il termine di memi comportamentali).
A proposito della obiezione che gli psichiatri non forniscono prove organiche della malvagità,  mi  vien da dire "e meno male". Immagina un mondo dove i malvagi sono individuati per via di differenze organiche. Che possibilità vi sarebbero di reintegrarli? In realtà però,  neppure questo è vero, poiché dai tempi di Lombroso sono stati fatti molti passi avanti, ed è possibile individuare i circuiti neuronali dell'empatia, della violenza, dell'aggressività,  così come i processi epigenetici che mantengono la memoria della violenza inferta e subita per almeno tre generazioni.
Ciò che bisogna chiedersi è se queste variazioni sono innate o si modellano sulla base delle esperienze, vista l'enorme capacità plastica dei nostri 100 miliardi di neuroni e 300 miliardi di sinapsi.
#1967
Per Socrate: non si può esportare la democrazia, figurarsi il pensiero scientifico. Ognuno è libero di pensarla come vuole. Ritengo però, in armonia con il pensiero greco, che le idee debbano essere confrontate in un pubblico dibattito per eventualmente adottare quella più persuasiva.
In ciò il pensiero ateo ha la stessa legittimazione del pensiero orientato teologicamente, a meno che non si voglia ripristinare insieme agli esorcisti anche la Santa Inquisizione.
Detto ciò,  sulla origine umana della malvagità sono certo, così come su meccanismi di difesa della negazione, proiezione e rimozione. La copertura data attraverso la possessione demoniaca "rimuove" spesso ben altri tipi di possessione, avvenuti in tenera età. Il bambino però ha una capacità interpretativa limitata di ciò che accade. Inoltre non è detto che scoprire ciò che gli è accaduto gli possa fare davvero bene. In gergo, "slatentizzare i ricordi", ovvero farli riemergere, può provocare break up disastrosi, fino al suicidio. Su tutto ciò  fortunatamente esiste ormai una letteratura solida, confortata anche da prove fisiche ( fmri, pet) e da documentazione clinica ormai con quasi duecento anni di storia.
Personalmente cerco di essere molto rispettoso di tutti i tipi di credenti, ma in questo caso, questo particolare tipo di credenza ( l'indemoniato come espressione del malvagio) pregiudica in modo sostanziale la comprensione del fenomeno della devianza e della criminalità in tutte le sue modalità.
Su lievitazioni e comprensione di linguaggi antichi o conoscenze dei peccati altrui da parte di indemoniati, aspetto le prove, ovvero la riproduzione di questi fenomeni in ambienti verificabili e imparziali, magari con l'ausilio di videoregistrazione ed ogni altro apparato che permetta la documentazione di eventi così importanti, da dimostrare, almeno indirettamente, la stessa esistenza di Dio. Insomma non stiamo parlando di quisquilie.
#1968
Per Anthony. Rischiamo l'Ot, ma vorrei sottolineare che la psichiatria si occupa del corpo ma anche della società, ed è per questo che è guardata con estremo sospetto dai tutori dell'ordine, salvo poi riscattarsi ai loro occhi, se assume le sembianze di gendarme in camice bianco.
Ed è per questo che è spesso descrittiva, non avendo alcun valore esplicativo,  misurare la glicemia ad uno schizofrenico. La malattia mentale, proviene nella stragrande maggioranza dei casi da una sofferenza ambientale e in una minoranza di casi da altri fattori. Essere nati da una donna alcoldipendente, ad esempio, aumenta notevolmente la possibilità che il feto diventi un soggetto psichicamente problematico. Lo dicono le statistiche ma anche la risonanza magnetica, la Pet, ed altri strumenti per la rilevazione fisica del SNC. Proprio questi strumenti hanno evidenziato che il cervello di uno schizofrenico è strutturato in modo diverso da quello di un soggetto di controllo. Quello che va indagato è capire perché vi sono queste variazioni. Una ipotesi   che condivido, è quella che ritiene la modifica della struttura neuronale, condizionata dalle esperienze del soggetto e da quelle di almeno due precedenti generazioni, capaci di incidere sul patrimonio genetico del singolo a livello epigenetico. Tanto per fare un esempio, il fascismo continua a sopravvivere epigeneticamente anche se è terminato nel 1945.
Pertanto la psichiatria non si limita a descrivere sintomi ma cerca l'eziologia delle malattie, ma essendo queste connesse con la storia e la società,  risultano meno "scientifiche" di una banale terapia anti-influenzale. Ma se l'alternativa è accettare gli esorcismi, direi che di spiegabile vi è ancor meno. È molto più credibile e noto agli specialisti, che i pensieri deliranti che hanno ad oggetto Dio, il demonio, i santi, sono diffusi fra le persone "fragili". È maestoso il caso del presidente Schreber, rispetto al quale Canetti rappresentò una grande metafora del potere.
#1969
Anthony. Alcune persone fortemente traumatizzate vivono esperienze di dissociazione. Per superare la sofferenza di una situazione si riesce ad esempio a pensarsi altrove. In questo stato di trance si possono commettere delitti. Il disturbo borderline di personalità come il disturbo dissociativo sono i candidati ideali, senza dover scomodare la schizofrenia. In quest'ultimo disturbo infatti la perdita di contatto con la realtà è strutturato e (quasi) definitivo, mentre nel dissociato e nel  borderline è possibile, anzi è normale, recuperare il principio di realtà.
Ogni storia ha le sue peculiarità. Nel caso di Bilancia siamo in un ambito non ancora dissociato, ma  molto vicino ad esso. Per  certi aspetti la sua esperienza ricorda il delinquente "per senso di colpa", teorizzato da Freud. Ovvero chi, essendo stato colpevolizzato in modo estremo, non fa altro che cercare di essere punito. E Bilancia si è sempre autopunito,  sia con storie sentimentali sbagliate, sia con il gioco d'azzardo. Ad un certo punto vi è stato un passaggio ad un livello di autopunizione superiore, dovuto a contingenze vitali, a passaggi tipici nella storia di ogni uomo (fare il bilancio della propria vita) e ad un innesco contingente, la classica goccia che fa traboccare il vaso.
#1970
CitazioneTu hai richiamato il caso di Donato Bilancia, caso estremamente interessante per le mie argomentazioni, quando venne catturato disse ai carabinieri di sentirsi sollevato perché finalmente l'avevano fermato. Disse che si sentiva dominato da una forza interiore che gli imponeva di commettere i crimini seriali che aveva commesso e alla quale non riusciva a resistere.


Donato Bilancia, nelle lettere inviate al suo perito, Vittorino Andreoli, parla di una personalità B1, che era la sua personalità pseudo-normale, di un ladro professionista, con una vita piuttosto strampalata, dedita al gioco d'azzardo e alle donnine allegre, a cui si sostituì negli ultimi sei mesi, prima del suo arresto, una personalità B2, a cui effettivamente non seppe resistere, dominata da una furia omicida. Parlare di influsso del maligno però non spiega granchè.
E' molto più illuminante sapere qualcosa dell'infanzia di Bilancia, che ci perviene dalla testimonianza dello stesso Andreoli. Bilancia proveniva da una famiglia del sud, trasferitasi a Genova nei primi anni '60. Il padre era un oscuro ma onesto impiegato e la madre casalinga. Bilancia assistette lungo tutta la sua infanzia e adolescenza ai litigi dei genitori che si concludevano regolarmente con l'aggressione violenta del padre contro la madre. Già questo è ormai considerato un fattore estremamente critico per la sopravvenienza di un comportamento delinquenziale, ovvero aver assistito ripetutamente a violenze fisiche di un genitore contro l'altro o di entrambi.
Bilancia, fra i suoi ricordi, ripete ossessivamente, che la madre esponeva, in segno di scherno, le sue lenzuola bagnate, a causa dell'enuresi notturna, per umiliarlo di fronte a tutto il quartiere e lui provava, quando si accorgeva di ciò, ad asciugare l'urina, anche con il calore del suo corpo. Ricorda inoltre, altrettanto dettagliatamente come il padre avesse l'abitudine, quando lui era bambino, di abbassargli le mutande e di mostrare il suo pene piccolo alle sue cuginette. Un atto di una violenza enorme, nella mente di un bambino e non a caso Bilancia, non solo si ricorda di questi episodi, ma fu tormentato, nel corso della sua vita sentimentale dal continuo dubbio che il suo pene non fosse adeguatamente grande e quindi che fosse incapace di amare le donne. Tra i 20 e i 30 anni subì il suicidio del fratello che si buttò sotto il treno insieme a suo figlio, l'unico nipote, amato e viziato da Bilancia. Bilancia ricorda anche che il trasferimento dal sud al nord avvenne per motivi non bene identificati, come se vi fossero dei segreti in famiglia e ricorda anche che il padre era geloso della madre, che si intratteneva a lungo con il vicino, piuttosto che con il fruttivendolo o con il giornalaio. In tutto ciò il padre risulta come un grande assente, portatore onesto della "pagnotta" ma incapace di svolgere il ruolo di "guida" che ogni figlio richiede al proprio padre.
In qualche modo la personalità di Bilancia si struttura come quelle di molte persone profondamente ferite: pochi o nulli rapporti, spesso improntati sulla manipolazione. Desiderio di riscattarsi in modo del tutto disfunzionali, come, nel suo caso, attraverso i furti, il gioco d'azzardo o l'attività sessuale sfrenata. Nella sua ricostruzione Bilancia è anche onesto, scrive che probabilmente altre persone con le sue stesse esperienze non sono per questi diventati dei serial killer. Però di fattori critici per diventare un soggetto violento ce ne sono molti:
1) trasferimento da un luogo d'Italia ad un altro, con interruzione di tutti i legami familiari e amicali. Va ricordato che una grande percentuale di reati ed atti violenti nel nord Italia è stata la conseguenza di una difficile integrazione dei flussi di migranti da sud a nord.
2) Violenza assistita di un genitore.
3) Umiliazioni in pubblico da parte di coloro che invece dovrebbero proteggerti e credo che questa da sola basti a produrre una rabbia enorme, che se non gestita può fare sfaceli.
4)Assenza di un padre capace di fare da guida.
5)Influenza dell'ambiente della periferia di Genova, che lo allontanò in fretta dalla scuola e da ogni percorso eventuale di integrazione.
6)Apprendimento di un ruolo deviante attraverso le progressive esperienze di carcerazione.


Un menù di ingredienti molto potente fra cui spicca, ripeto, per importanza, il punto 3). Infatti fu il tradimento di un amico a scatenare la furia omicida di Bilancia, un tradimento che in una particolare epoca della sua vita, fu la replica del tradimento originario dei genitori.
In quell'epoca in cui Bilancia stava rendendosi conto che la sua vita stava passando, senza che fosse riuscito a costruire qualcosa nel mondo degli affetti, senza una compagna, senza figli, senza amici. In questo particolare momento passò dalla personalità B1 a quella B2, con la precisa intenzione di farsi punire, o meglio di punire e farsi punire contemporaneamente. Infatti tutti i delitti commessi da Bilancia furono improntati alla massima leggerezza e incompetenza, e solo il fatto che fossero commessi senza alcun movente (tranne i primi 3) rese difficile la sua identificazione. A leggere il carteggio con Andreoli, si resta invece stupiti e anche morbosamente curiosi, di come progettava i suoi furti, ovvero con una preparazione degna di un ingegnere, furti da professionista che gli fruttavano entrate cospicue, tanto che all'apice della sua ricchezza possedeva diversi appartamenti e aveva conti bancari importanti. Ricchezza che poi dilapidava al gioco.
Non vedo neppure in questo caso l'intervento del maligno, ma solo l'intervento di una famiglia disfunzionale, l'aver subito diversi traumi piuttosto importanti, un ambiente sensibile al richiamo della devianza e forse anche una certa predisposizione caratteriologica, che si armonizzò con gli altri punti critici indicati.
#1971
Casualmente, sto leggendo un libro che tratta, in chiave psicologica, di invidia sociale, che credo abbia molto a che fare con il duplice omicidio di Lecce.
Fra i casi riportati vi è quello di Bianca, una donna dell'upper class, che si ritrova con un figlio (Carlo) di 6 anni, improvvisamente sadico e successivamente ipocondriaco.
Per capire cosa è accaduto bisogna risalire almeno ai genitori di Bianca e nonni di Carlo. Il nonno, in origine contadino, riuscì, attraverso il sottobosco politico-clericale, a diventare commesso in parlamento, in un ambiente dove tutti erano raccomandati. Un notevole salto sociale a cui corrispondeva il malessere di sapere che il suo merito era stato solo quello di leccare i piedi giusti. La figlia fu educata quindi in un orizzonte secondo il quale contava solo l'appagamento materiale, il rispetto esteriore della morale e soprattutto della ricchezza altrui.
Un brodo di coltura ideale per il narcisismo. Ed infatti, dopo essersi sposata, attraverso un matrimonio combinato dal padre, con un ricco borghese, scattò subito il meccanismo di sentire il marito non alla sua altezza, poiché probabilmente anche il marito era affetto dallo stesso narcisismo, e quindi, dopo la nascita del figlio, maturò la separazione. Fatto sta che il figlio fu visto subito come un inciampo dalla madre e come una ferita da parte del nonno, poiché gli ricordava il divorzio e quindi il fallimento della figlia. Per emendare, a questo figlio non amato, furono imposte attività sportive e intellettuali di ogni genere, oltre a dover accontentare gli hobbies del padre e del nonno, come il calcio o imparare a memoria canti tradizionali. A un bambino in queste condizioni può accadere che diventi masochista, accettando di non essere amato, e facendo di quel non amore, il perno per poter continuare a vivere, oppure identificarsi con l'aggressore e umiliare i più deboli ( c'è anche una terza via, ovvero quella del masochista, che quando si dice che "la misura è colma", diventa un efferato aggressore, come è  accaduto ad esempio a D. Bilancia). È questa seconda strada quella che scelse, in un primo tempo Carlo, infliggendo delle prepotenze ad alcuni compagni di scuola. Scoperto, e non potendo accettare questo suo lato "malvagio", si rifugiò nell'ipocondria, come disperato tentativo di farsi amare.
Questo è quanto accade in una famiglia molto benestante, con tutti i paracadute immaginabili (che non sempre sono sufficienti, basti ricordare i fatti del Circeo). In contesti diversi, dove quel bambino poteva essere quotidianamente malmenato o umiliato dai genitori e diretto da messaggi ambivalenti (ad esempio, devi studiare....non guadagni niente...), e dove magari esiste una predisposizione ereditaria verso una certa fragilità psichica, e dove sempre si ascoltano storie di invidia rancorosa (preferibilmente verso parenti), ecco che può crearsi un assassino come quello di Lecce, senza scomodare in questo caso, Mefistofele.
Per chi vuole approfondire, il libro è di Nicola Ghezzani, relazioni crudeli, franco angeli.
#1972
Viator. Considerato che tu ti stai portando dietro il retaggio epigenetico di almeno due generazioni, niente potrà essere velocissimo. Questa tua prima affermazione in realtà è molto imbarazzante. Inoltre voler dedurre quello che volevo dire è altrettanto poco rispettoso. Non sono certo le  comuni in stile '68 ciò che prefiguravo, bensì un sistema di "cura", che accompagni le famiglie, attraverso servizi che già esistono ma che sono stati ridimensionati e delegittimati.  Si tratta inoltre di agire sul substrato culturale italiano, assonante con quello mafioso, secondo il quale i panni sporchi si lavano in famiglia.
#1973
Per Ipazia. Sono sostanzialmente d'accordo. Ma non sottovaluterei il passaggio da una colpa trascendentale e metafisica ad una colpa esistenziale, rispetto alla quale forse è più corretto usare il termine "responsabilità". È ormai un dato oggettivo, aver appurato che ogni nostra anche minima esperienza modifica il nostro plastico sistema nervoso per sempre. Addirittura incide anche sull'epigenetica, influenzando i comportamenti anche dei nostri nipoti. Quel "è colpa mia" ha una verità di fondo insopprimibile, verificata neuroscientificamente, per quanto il narcisismo della nostra epoca ce lo voglia far dimenticare.
Ed è quindi una responsabilità anche collettiva, il male che il singolo commette, senza nulla togliere al principio inevitabile del diritto penale, per il quale vi è sempre una responsabilità individuale.
La colpa, lo sa bene il cristianesimo, induce a riflettere sull'unità sociale, sul prendersi cura l'uno dell'altro, perché nessuno può scagliare la prima pietra. Una concezione del mondo che se applicata coerentemente azzererebbe i fondamenti economici di gran parte del mondo odierno.
Anche da questo conflitto, sempre latente emergono improvvisi gli scoppi di rabbia e la violenza dei serial killer, i quali non fanno altro che agire il sintomo. Attraverso il crimine vorrebbero, in modo del tutto disfunzionale ricreare quell'unità scissa, sia a causa delle proprie esperienze familiari, sia a causa dei meccanismi di trasmissione culturale, messi molto bene in evidenza da un precedente intervento di Inverno.
#1974
Tornando al primo intervento di Anthony. Non credo che il maligno abbia voce in capitolo e cercherò di fornire una spiegazione diversa.
La felicità crea felicità, come un circolo virtuoso che si autoalimenta. Ma tutti gli osservatori di quella felicità ne devono aver goduto a sufficienza, chi più chi meno, sanno cosa sia la felicità e possono immaginare che far parte, anche solo da spettatori, della felicità altrui sia comunque appagante.
Winnicott, se non sbaglio, ma potrebbe essere Bowlby, diceva che l'amore genitoriale se correttamente dato, era simile alla pentola d'oro delle fiabe irlandesi, pentola che continua a riempirsi di monete, frutto degli incantesimi degli gnomi. La nostra capacità di essere felici se gli altri sono felici dipende da questa pentola d'oro delle cure genitoriali ( e anche sociali), che riesce ad autorigenerarsi anche di fronte ai lutti, alle ferite, al disincanto della vita.
Purtroppo non tutti noi abbiamo accesso a quella pentola. C'è chi ha un pentolino, chi ce l'ha bucata, chi fatta di cartone e chi proprio non ce l'ha. A scorrere le storie dei serial killer si scopre proprio l'assenza di quella pentola d'oro, storie dove i genitori invece di essere amorevoli sostenitori, sono persecutori sadici. Staremo a vedere, ma sono certo che anche questo assassino non sarà una eccezione alla regola.
Questa è la trama principale, ma come Shakespeare insegna ( ci sono più cose nell'anima umana che stelle in cielo), tante sono le vie attraverso le quali ci si può trasformare in assassini.
Altro problema connesso è cosa fare dopo. Perché se il maligno non c'entra e non servono gli esorcismi o le preghiere, allora bisogna intervenire in altro modo.
L'unico modo davvero funzionante sarebbe quello di vivere in un mondo più equo e condiviso, e in secondo luogo, un mondo dove le famiglie non devono più essere pensate secondo il proverbio "tra moglie e marito....", perché dentro alcune di quelle famiglie covano proprio ora i futuri serial killer.
#1975
La dialettica (dia) non a caso ha un pò a che fare con il diavolo (dia), ma è la dialettica a salvarci da ogni pensiero autoritario e distruttivo, solo credendo nel dialogo (dia) e non nel monologo, possiamo costruire il bene comune. Una dialettica che deve essere esercitata anche nei nostri confronti, nella nostra stessa mente. In fondo non è altro che riscoprire Socrate, cioè il fondamento di ogni conoscenza. E' l'unus ego et multi in me, che la Yourcenair mette in bocca ad Adriano, e che è uno degli atti creativi fondanti dell'Occidente.

#1976
Tematiche Culturali e Sociali / La sessualità
01 Ottobre 2020, 17:34:53 PM
Una frase in un'altra discussione mi ha dato l'estro per iniziare a parlare di un nuovo argomento. Nuovo si fa per dire. Ovvero la sessualità.
Come intendete la sessualità? Ha sempre bisogno di un cappello sentimentale ovvero di amore, oppure è possibile esercitarlo come semplice divertimento, o come facevano gli antichi greci, per rinsaldare "lo spirito di corpo"? C'è qualcosa di perverso nel fare sesso senza che esso sia connesso a due persone che si amano? Ed ancora, queste ipotetiche perversioni sessuali, andrebbero curate, condannate dal codice penale o semplicemente dall'opinione pubblica? E se l'amore unisce due esseri dello stesso genere? O un transessuale e una donna? Quali sono i limiti, e chi li detta?
#1977
Per Anthony. I miei riferimenti, ovvero i libri che sto leggendo negli ultimi anni sono principalmente di filosofia e psicologia e in questi ambiti mi sono imbattuto spesso in dissertazioni sui termini compassione ed empatia, mentre la simpatia non è molto considerata.  Senza fare uno studio comparato, volevo solo evidenziare la mia soluzione definitoria, anche come stimolo a cercarne altre.
#1978
Effettivamente con questo tipo di discorsi  i termini mutano spesso di significato, anche se in modi quasi impercettibili. Quello che ho adottato personalmente è il seguente.
Empatia è la capacità di "mettersi nei panni degli altri", una capacità innata di cui siamo dotati tutti attraverso i neuroni specchio, ma che possiamo aumentare o silenziare sulla scorta della nostra esperienza organico/ambientale. Può essere utilizzata sia per sintonizzarsi sui bisogni di un neonato per appagarlo,  sia per prevedere le mosse del proprio rivale ed ucciderlo.
Compassione è invece la capacità di entrare in contatto con lo stato emotivo dell"altro e soffrire per la sua sofferenza o gioire per la sua felicità. La Compassione è quindi uno stato etico a differenza dell'empatia, che è un suo presupposto, ma non sufficiente per mettere in campo le azioni di avvio alla "cura" della compassione. È possibile però, secondo altri, considerare la compassione in modo neutro come l'empatia e quindi entrare in contatto anche con le passioni negative, come l'ira o l'invidia. In ogni caso la differenza, schematizzando,  si può ridurre in attivazione dell'emisfero sinistro (razionalità) per l'empatia e attivazione dell'emisfero destro (emotività) per la compassione.
La simpatia sarebbe letteralmente una esperienza di passioni uguali, sym-pathos, dove non c'è né una esperienza empatica, né una esperienza di condivisione profonda come nella compassione. La simpatia però ha mantenuto un significato più quotidiano, senza essere inserito fra quelle parole più tecniche che si usano nei discorsi psicologici. Si può dire che definisce una affinità fra due persone che emerge spontaneamente e immediatamente.
#1979
Se vuoi ti offro un ulteriore elemento di riflessione. L'assoluto, in psicoanalisi, è interpretabile come la nostalgia per l'età della prima infanzia, quando ogni richiesta minima del neonato è un ordine imperioso di intervenire, che sia fame, che sia sonno, che sia mal di pancia o voglia di coccole. Il cervello sperimenta in quei primi due anni di vita una condizione irripetibile di sentirsi al centro del mondo, una visione assoluta, anche per mancanza di conoscenza dell'altro. Da questo stesso modello interpretativo è riconducibile il mito dell'età dell'oro, replicantesi in molti miti, religioni e semplici credenze quotidiane (quando c'era lui...).
#1980
Il pensiero relativista non è relativista in modo assoluto. Questa è  una obiezione tipica, ma priva di senso. Altrimenti se fosse tale non potrebbe esserci azione umana dotata di senso, potendo essere vero, degno, logico, razionale, giusto, tutto e il contrario di tutto.
Il relativismo in realtà, in campo sociale e non solo, espone il superamento della concezione alienata di ogni principio. Nessun principio può essere "sciolto" (ab-solutus), ma deve raggiungere in qualche modo la propria legittimazione. E pertanto le leggi, i costumi, le regole vanno contrattate e inevitabilmente mutano nel corso dei secoli, lasciandoci privi di ogni sicurezza di stampo religioso o ideologico.
È faticoso, spesso ci conduce verso direzioni errate, ma è l'unico modo da me conosciuto per affermare la maggiore età dell'uomo.