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Messaggi - Jacopus

#1996
Presentazione nuovi iscritti / Re:Ciao dal pedante
05 Settembre 2020, 22:25:00 PM
La volgarità intesa come libertà di espressione va di pari passo con un concetto di libertà fasullo. Con le debite proporzioni non sono certo libero di fare del male agli altri. Inoltre, affrontare tematiche filosofiche (ma anche politiche o sociali) in modo volgare può essere divertente ma ben poco costruttivo. Francamente a me divertono molto più le cascate di citazioni,  anche perché conoscendole, posso confrontarle con altre e vedere come vengono rielaborate dentro di me, in un ideale dialogo con i grandi pensatori del passato. Leggere parolacce mi fa pensare di stare a dialogare con Tomas Milian, e con tutto il rispetto, preferisco Thomas Hobbes.
#1997
Attualità / Re:Auguri al Berlusca
04 Settembre 2020, 22:54:58 PM
L'eterno ritorno alle categorie assolute. Sembra quasi che il mondo dei modelli (filosofici, storici, economici, sociologici, politici) sia slegato da ogni possibilità di gestione pragmatica da parte degli uomini. Ecco allora arrivare l'Uguaglianza contrapposta alla Libertà e così via.
In realtà esistono degli strumenti del tutto umani che si chiamano leggi che permettono di "provare" a contrastare gli eccessi di ogni modello assoluto.
Ad esempio con il coefficiente di Gini si può provare a calcolare il livello di diseguaglianza di una società. Da questa mappa è evidente che dove il coefficiente è più basso si vive mediamente meglio, tanto che le parti in chiaro sono quelle prese d'assalto dai poveracci di tutto il mondo (fatta qualche eccezione che sarebbe da studiare, come l'Etiopia). Quindi senza nulla togliere alle virtù del libero mercato, è necessario che questo sia un pò addomesticato, per evitare che si creino quei mostri che già si affacciano all'orizzonte, in grado, potenzialmente, di divorarsi sia l'Eguaglianza sia la libertà.


#1998
Per Dante. Non vorrei sembrare scortese con un nuovo arrivato, ma credo che Nietzsche meriti un esame più approfondito. Inoltre qui stiamo parlando di una specifica tematica nietzschiana. Ciò che tu scrivi non è falso ma non serve certo ad arricchire la discussione ma solo ad aggiungere notizie che non dicono nulla di nuovo. La figura di Nietzsche è "sfaccettata" e le sue intuizioni per quanto possano essere state condizionate dalla sua biografia (come del resto è naturale), non possono essere ridotte ad essa. E te lo dico da una posizione molto critica nei confronti di Nietzsche, che però non può esimersi dal confrontarsi seriamente con il suo pensiero.
#1999
Nel breve testo offerto da Ipazia ci viene detto chiaramente come Socrate e Nietzsche siano due figure che si oppongono. Socrate rappresenta la sfida del pensiero che produrrà il mondo attuale. È il mondo di Athena a cui viene contrapposto il mondo di Dyonisos. È il mondo della cultura che "lega" i cittadini contrapposto al vitalismo che ubbidisce solo a sé stesso e alla forza che riesce ad esprimere.
Non sono un esperto di Nietzsche ma pur riconoscendone il valore, l'ho sempre letto con diffidenza, poiché il suo vitalismo alla fine è l'accettazione di ciò che è. È la legittimazione di chi può imporre la sua forza vitale. Il logos, al contrario, è la ricerca di ciò che è giusto, che si scinde così dalla forza, dando vita agli eterni binomi del potere e della sua legittimazione.
Ammetto la mia ignoranza sull'elogio della tragedia, che mi suona bizzarra, poiché la tragedia, o almeno una certa interpretazione della tragedia rientra a tutto tondo nel partito socratico. Cos'altro non è Edipo, se non un cercatore della verità,  che preferisce la conoscenza alla sua fortuna, fondata sulla forza e sull'omicidio?
Ma su questo tema, aspetto altri interventi più appropriati.
#2000
Quello che scrive Ipazia mi da l'estro per aggiungere una scoperta recente, in grado di mettere in luce una modalità tipica della trasmissione del male fra noi umani e che si riconnette alla domanda iniziale.
È un tema che è stato affrontato in modo perfetto dal film "american history x".


Immaginiamo di avere dei genitori amorevoli, accudenti, protettivi, dei genitori "quasi perfetti", per dirla come Bettelheim. Ma fra le cure ricevute, i genitori "quasi perfetti" ci trasmettono  "in continuazione", il messaggio che gli ebrei sono una razza inferiore, che dovrebbero essere tutti reclusi o sterminati. Questo messaggio che andrebbe elaborato in modo razionale, se viene fissato fin dai primi anni di vita, si struttura direttamente nell'emisfero destro, quello dell'emotività ed è direttamente connesso con l'amore che si è, a ragione, provato per i genitori. Diventa così una "credenza culturale" potentissima e che può essere destrutturata  talvolta, solo a seguito di traumi contrari, e sempre collegati all'emotività.
Spetterà poi all'andamento successivo della vita di quei figli, stabilire se quel male potenziale si concretizzi, magari a causa dell'avvento di un potere xenofobo o altro.


#2001
Tematiche Culturali e Sociali / Re:L'artista
28 Agosto 2020, 19:00:33 PM
CitazioneNel mondo del cinema, del teatro, delle canzoni è un dato di fatto. E' palesemente così. Ricevono sovvenzioni dallo Stato, in cambio offrono i loro voti elettorali alla sinistra, che li favorisce. Gli artisti che raggiungono la ricchezza e il successo, autosufficienti a mantenersi, sono pochi. Perciò tra la sinistra e gli artisti di serie B c'è il  "do ut des".


Interessante legame fra mondo dello spettacolo e sinistra a me sconosciuto. Se anche fosse davvero così (ma mi vien da ridere a pensare ai cantanti di oggi sovvenzionati dal PD) è assolutamente equo che ciò accada, per appoggiare, anche se in un modo davvero irrisorio, lo strapotere del mainstream culturale, nelle solide mani delle major holliwoodiane,  noto covo di piddini ed estremisti pronti a produrre film per preparare lo spostamento a sinistra in tutto il mondo, grazie ai loro agganci con i ricchi miliardari ebrei.
#2002
Senza nulla togliere alle gravi responsabilità culturali del cristianesimo e del cattolicesimo, non ultima quella di aver ritardato l'unità nazionale dell'Italia di almeno 350  anni, demonizzarli ripropone ulteriormente la stessa dinamica amico/nemico. Il cristianesimo e il suo messaggio evangelico, sono stati il necessario presupposto dell'illuminismo. All'interno del cattolicesimo vi sono state e vi sono persone dotate di un altissimo senso etico. Il cattolicesimo ha permeato gli italiani, nel bene e nel male. E va ricordato sia il bene, sia il male di questa eredità.  Questo lo dico non per "cerchiobottismo", ma perché solo in questo modo è possibile valutare una istituzione/ideologia così complessa e longeva come la Chiesa e il cattolicesimo (cristianesimo).
#2003
CitazioneIn conclusione direi che la naturale ferinità umana abbia molta meno responsabilità nel contenuto di male del mondo rispetto alle sovrastrutture ideologiche che hanno razionalizzato tale ferinità a fini malefici. Propendo quindi per la prima delle due opzioni proposte dalla discussione.


L'origine del male è un problema filosofico affascinante, se non il problema filosofico per eccellenza. Ma grazie a una miriade di studi, interdisciplinarmente, possiamo oggi avvalerci di costruzioni sociologiche, psicologiche, neuroscientifiche, antropologiche, criminologiche, e di quanto può essere ibridato, come per esempio, la neuro-etica o la psicologia sociale. Tutto ciò ha messo in luce la presenza dei più diversi fattori capaci di innescare il circuito del male.
Farlo risalire all'eterna lotta "esterna" fra un dio del bene e un suo antagonista caricaturale è un gioco adottato dal monoteismo al suo primo apparire.
Come fa notare Anthony, è un gioco potente. Fa sentire il senso di comunità, la possibilità di uno sguardo di reciprocità fra i confedeli. Attiva l'affetto e il senso di uguaglianza, al di là delle inevitabili differenze individuali.
Eppure tutto ha un costo e in questo caso il costo è pesantissimo, se portato alle sue estreme conseguenze. È la visione di un mondo scisso, dove la professione di fede permette di agire, senza più interrogarsi sul senso delle proprie azioni, perché il male è espunto dal proprio sé e proiettato sul nemico, che in questo caso diventa l'infedele, che sarebbe meglio definire come il fedele di altro credo.
La potente motivazione ad agire nel mondo provando affetto per i propri confedeli si paga così con la scissione netta amico/nemico e con uno stato sotterraneo di guerra permanente.
E qui entra in gioco la frase che ho riportato, di Ipazia. Poiché la manipolazione di questa divisione può essere usata vantaggiosamente da chi deve camuffare una divisione del mondo molto più terribile e che è incisa sulla pelle di noi tutti, quella fra potenti e diseredati.
#2004
CitazioneIn fondo, l'etica di una comunità non è mai né assoluta (essendo mutevole nel tempo), né relativa (non contemplando la possibilità di autarchia dei singoli). La convivenza sociale è una questione di compromessi e rapporti di forza, prima che di specifici valori etici da pulpito o da libro filosofico; so che suona male, ma la storia, finora, mi pare che questo ci insegni e la globalizzazione lo sta confermando piuttosto nettamente (la legge di mercato si fonda e si concretizza in miriadi di scelte umane che la appoggiano e la conformano, non è un leviatano dispotico dotato di autonoma volontà: è diventata "legge planetaria" perché gli umani l'hanno consentito e lo consentono; è un po' come quando in democrazia si elegge qualcuno e poi molti se ne lamentano: una questione di proiezione di responsabilità per esorcizzare il proprio pentimento, il proprio disimpegno o la propria frustrazione per non vivere nel mondo che si vorrebbe).


Una visione piuttosto hegeliana, Phil, ma se non vogliamo limitarci a "civettare" con la storia, dobbiamo riconoscere alla filosofia un compito pratico, proprio nel senso dell'antica praxis, una funzione critica e di orientamento, che non ha paura di denunciare l'irrazionalità del mondo, anche quando è sostenuta dalla maggioranza o per assurdo dell'unanimità dei senzienti.
La filosofia è uno sguardo profondo, mosso dalla conoscenza e dalle intuizioni accese da quella conoscenza. Non è detto che da quello sguardo la praxis migliori, lo sappiamo fin dal viaggio della speranza pedagogica di Platone a Siracusa. Ma allo stesso tempo non fu proprio la filosofia greca e i suoi ideali a permettere il grande salto in tre stadi: scolastica, umanesimo, illuminismo?
Ed oggi la filosofia, per tornare in tema, deve denunciare un fatto molto semplice e pericoloso, il soggetto è il protagonista della trama culturale, nelle sue diverse forme di eroe, individuo, free rider, uomo che non chiede mai, ab solutus da ogni altro soggetto, che si pone di fronte a lui come "diverso", "non equiparabile", "lontano", "concorrente", "rivale".
Il problema è che in questo modo, i valori della comunità, nella dinamica  di compromesso etico che giustamente è il risultato dell'interazione sociale, diventano cacofonici e mortiferi, sostenuti solo dal narcisismo del "io ti mostro quel che ho". Per questo sostengo la necessità di una mediazione fra valori assoluti e relativi, che non è altro che lo specchio di un altro binomio, quello fra soggetto e comunità, una dialettica che oggi rischia di polarizzarsi patologicamente, fra un soggetto/individuo osannato e una comunità considerata "gregge", "schiavitù", "assistenzialismo", "statalismo", in una accezione cioè essenzialmente negativa.
#2005
Le posizioni di Davintro e Phil sono connesse, pur giungendo a conclusioni (quasi) opposte. E la connessione è data dalla scissione fra il soggetto, posto in una posizione preminente, e la comunità. Davintro lo esplicita chiaramente: " l'assoluto è tale non intersoggettivamente, ma costruito in modo individuale, così da ipotizzare tanti assoluti quanti esseri umani". Va da sé che questa miriade di assoluti, oltre che a confliggere con lo stesso senso di assoluto, devono essere un semplice esercizio di stile, poiché altrimenti, se coerentemente equipaggiati come principi non discutibili (essendo assoluti), inevitabilmente porterebbero ad una letterale "bellum omnium contra omnes".
Phil nella sua difesa del relativismo, si accorge che ogni posizione, idea, principio ed azione non scaturiscono dal vuoto ma anche lui mi sembra che invochi, in nome dello stesso relativismo, una impossibilità a concordare un minimo comune divisore relativista, da condividere in un certo spazio e in un certo tempo con un gruppo più o meno esteso.
In effetti connettere i concetti assoluto/relativo all'etica non è semplice. Per due opposte ragioni. 1) Anche un'etica condivisa e quindi "relativamente assoluta" può essere ingiusta (nazismo, comunismo). 2) Qualsiasi etica individuale pur essendo percepita come la più  giusta dal suo singolo portatore, inevitabilmente dovrà confrontarsi con la galassia delle etiche altrui e da questo confronto non potrà che modificarsi, magari perdendo delle qualità uniche e preziose.
In altre parole, ciò che a me più preme è la questione di come poter concepire e conservare un'etica condivisa, né assoluta, perché foriera di totalitarismo, né relativa, perché foriera di una società senza governo, lasciata in preda ai singulti narcisistici e alla sottostante legge di mercato. Legge di mercato, che di etica/etiche non sa che farsene, a meno che non si parli dell'etica calcolatrice e strumentale, ovvero quella che Weber chiamava "azione orientata allo scopo", che distingueva dalla "azione orientata al valore."
#2006
Mi ritrovo nel tuo discorso Davintro, solo se applico la tua tesi al principio sperimentale scientifico. Pertanto ritengo assoluto il metodo scientifico moderno che si fonda sulla necessità di dimostrare empiricamente la tesi sostenuta. Tesi e dimostrazione empirica dovranno essere validate dalla comunità scientifica di riferimento. L'accettazione per "vera", di quella tesi, dopo questi tre passaggi (teoria, verifica empirica, consenso della comunità scientifica), non prescinde però dalla consapevolezza che quella è una verità temporanea, che può lasciare spazio ad una verità più stringente  che può modificare la prima verità o integrarla ( vedi Kuhn e la sua teoria dei "paradigmi scientifici).
Questo per quanto riguarda le scienze dure.
Nell'ambito dell'etica, o, se vogliamo ampliare lo sguardo, nel campo delle scienze sociali, l'assolutismo si può declinare solo come necessario confronto intersoggettivo fra i diversi partecipanti alle discussioni pubbliche, e dato questo suo status debole, non può fregiarsi di una natura oggettiva, salvo nel caso in cui non si voglia assolutizzare visioni del mondo, che necessariamente conducono a forme di autoritarismo. La complessità delle scelte etiche, a partire dalla debolezza del modello conoscitivo, implica altre conseguenze estremamente importanti e difficili da ottenere, come ad esempio la necessità di allargare il più possibile la cultura media, di sviluppare il senso critico nelle nuove generazioni, ma anche di cercare e trovare un nuovo modello politico universale, che superi l'attuale dominio mortifero del libero mercato, senza distruggere ciò che di buono c'è nel libero mercato. Già questo breve accenno dimostra come in etica non può esistere una verità che scotomizza le altre verità, perché le verità etiche sono verità che toccano dimensioni intricate nella vita intersoggettiva degli uomini e non possono essere pesate e suddivise in buone e cattive, o in vere o false. Sarebbe un modo ingenuo, o meglio, atto a manipolare il dominio di una parte della società contro un'altra.
Ps: la radice di verità in molte lingue indoeuropee è fede, ed un reperto di ciò è ancora presente nella lingua italiana, secondo la quale l'anello nuziale si può chiamare "la fede" ma anche "la vera" (cfr Benveniste, "vocabolario delle istituzioni indoeuropee").



#2007
CitazioneCiao Eutidemo, sei sicuro del dato che hai? Quattromilaseicento Euro. Ma nel conto è compreso anche il Billionaire di Briatore ? Comunque se le discoteche rendono così poco allora il governo chiudendole gli ha fatto un favore.


Il dato è esatto ed è una media nazionale. Il governo non ha fatto un favore ora alle discoteche, ma lo ha fatto in tutti i decenni in cui ha permesso loro, come a tante altre categorie, di usufruire di servizi pubblici (ospedali, strade, vigili del fuoco, tribunali, scuole, università,  forze armate, infrastrutture, pagamento del debito pubblico) senza pagarli, grazie alla tolleranza verso quel tipo di furto particolare, non meno dannoso di altri, che si chiama evasione/elusione fiscale.
#2008
Assoluto deriva dal latino e significa "sciolto da", ovvero senza un limite o limiti, a cui rimanda quel "da". Quindi etimologicamente, assoluto in realtà è un relativo anch'esso. In questo la cultura latina era più saggia della nostra, che invece ha ipostatizzato l'assoluto facendolo un facile eponimo del Dio monoteista, prima, del re dopo e di altri dittatori culturali e politici via via succedutisi nel tempo.
Psicologicamente l'assoluto è facilmente identificabile nel bambino nei primi anni di vita, quando gestisce come un tiranno la vita di due adulti, essendo sciolto da ogni limite, visto che lo scopo dei due adulti è il suo benessere non mediato da altri interessi. Una metafisica dell'assoluto è quindi, sotto svariate forme, un nostalgico richiamo ad una situazione del passato di ognuno di noi. Età dell'oro, belle epoque, nani che siedono sulle spalle di giganti. L'assoluto è un gioco psicotico che consola rispetto alla nostra ineludibile finitezza.
#2009
Storia / Re:Togliatti e la rivoluzione
15 Agosto 2020, 12:12:51 PM
Anthony. Siamo un popolo che ama poco le rivoluzioni. Siamo molto più disposti alle controrivoluzioni,  la controriforma fu la più importante, perché di fatto bloccò il processo di unificazione nazionale, trasformando per i successivi secoli l'Italia da centro dell'Occidente a sua periferia (vi sono altre cause ovviamente, ma questa non è secondaria). La rivoluzione fascista fu un altro movimento che guardava al passato, anche se in un modo piuttosto ambivalente.
A proposito delle motivazioni che adottò Togliatti, direi che potrebbero essere vere tutte e tre ed in fondo è andata bene così.  Passare da una dittatura a un'altra non ci avrebbe resi migliori.
L'equazione che proponi fra questa impronta iniziale, fondata sul compromesso, e i successivi cachemire color salmone portati dall'ineffabile Bertinotti di Rifondazione comunista ha un suo fondamento.
Ma la questione può essere interpretata anche in altri modi. La globalizzazione è una spiegazione importante, poiché il conflitto di classe, fino agli anni 50 dello scorso secolo era una dinamica interna di ogni stato. Ora vi sono interi stati/classe operaia e stati/benestanti e questa suddivisione, ben sostenuta dall'industria culturale, ha sottratto quella che veniva definita un tempo "coscienza di classe". Per lo stesso motivo un sottoproletariato italiano si sentirà minacciato da un sottoproletariato ghanese invece di considerarlo un suo potenziale alleato.
Il restringimento del consenso della sinistra massimalista deriva inoltre anche dalla fine del socialismo reale, che sopravvive in un modo piuttosto surreale in Cina e in modo più reale solo in piccoli stati come Cuba e Venezuela.
Un terzo elemento non meno importante è la curva demografica. Le rivoluzioni le fanno i giovani. I vecchi vogliono sicurezza anche se sono poveri e comunque non avrebbero le forze per affrontare un evento rivoluzionario.
Quello che, in tutto ciò,  è davvero mancato,  è stata una borghesia colta, illuminata e diffusa in tutto il paese, in grado di farsi carico responsabilmente della collettività. Solo attraverso di essa potevamo pensare di diventare uno stato di libero mercato, ben funzionante e aperto al benessere di tutti. Per motivi storici la suddetta borghesia non c'è stata, o meglio, la sua dimensione è sempre stata troppo piccola per incidere davvero sui destini dell'Italia. Era l'Italia rappresentata dal partito repubblicano e dal partito liberale, che insieme raggiungevano il 4-5 per cento dei voti. Il resto della borghesia in Italia è priva di questa coscienza di classe, direttamente proveniente dalla borghesia che promosse la rivoluzione francese e prima ancora la gloriosa revolution di O. Cromwell.
#2010
Se esistesse il qualcosa sarebbe comunque il tutto non essendoci qualcos'altro. Sarebbe un tutto provinciale, poco cosmopolita, attaccato a vecchie tradizioni e riti da ripetere in qualche borgo di campagna. Se oltre al qualcosa invece pensiamo che possa esistere anche un altro insieme: "il qualcos'altro", occorre decidere come entrano in relazione fra loro, se messi insieme formano il tutto, oppure un qualcosa/qualcos'altro, che non è ancora il tutto ma un allargamento,  che potrebbe aver bisogno anche di un "qualcosa d'altro ancora " per perfezionarsi verso una unità che sarà sempre più lontana ad ogni integrazione successiva.
Bisognerebbe anche ripensare allo stesso concetto di tutto, da differenziare rispetto al "t" al "tu" al "tut" e al "tutt",  concetti egualmente degni di essere pensati, nonostante le loro tare genetiche, che però ce li rendono più simpatici.  Il tutto mi sembra piuttosto presuntuoso, lui è tutto, ed io non posso far altro che inchinarmi. Il tutt lascia un po' di respiro, per non parlare del "t", modesto, quasi invisibile, che lascia fare a tutti i "tutti" possibili.