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Messaggi - Phil

#2026
Citazione di: quasar97 il 30 Maggio 2017, 23:27:35 PM
Posso essere d'accordo con il dover tagliare con il richiamo metafisico e sulla temporalità (ottimo esempio anche questa volta), però mi viene spontaneo chiedermi: stiamo rincorrendo la tartaruga di Zenone?
Direi di no, piuttosto (stavolta l'esempio non è mio, ma del neopositivismo) ci troviamo in mezzo al mare e dobbiamo tappare le falle nello scafo della nostra nave, potendo usare solo quello che abbiamo a bordo, ingegnandoci al meglio  ;)

Citazione di: quasar97 il 30 Maggio 2017, 23:27:35 PMSappiamo di non poterla raggiungere ma vogliamo avvicinarci sempre di più, perchè?
Questa "volontà (di) metafisica" e lo pseudo-problema che essa pone, dovrebbero essere un buon motivo per ripensare "a monte" la metafisica stessa...


Citazione di: baylham il 30 Maggio 2017, 10:05:01 AM
Il quinto  «tropo» riguarda il «diallele», che si verifica quando, per voler dar ragione della cosa ricercata, la si presuppone dalla ragione stessa che si adduce per spiegarla, o, meglio ancora, quando la cosa che si assume per spiegazione e la cosa di cui si vuole dare spiegazione hanno bisogno l'una dell'altra.

Qualche esempio?

Questo potrebbe essere un buon esempio di diallele (niente di personale, Paul :) )
Citazione di: paul11 il 31 Maggio 2017, 00:39:41 AM
Senza la metafisica non è possibile cogliere l'archè.
ovvero senza metafisica non ha senso l'archè, senza l'archè non ha senso la metafisica... eppure di nessuno dei due riusciamo a trovare un senso senza chiamare in causa l'altro (circolo vizioso).

Citazione di: paul11 il 31 Maggio 2017, 00:39:41 AM
Il fatto che indipendentemente da come la si pensi ,il mondo funzioni nonostante noi e i nostri pensieri, significa che c'è un principio ordinativo,originario e intelleggibile
Sicuramente significa che non è il nostro pensiero (o la nostra interpretazione) a far "funzionare" il mondo; da qui a (pre)supporre un principio originario e, curiosamente, anche intelligibile pur non avendolo ancora colto (allora come possiamo saperlo?), è solo una questione di fede metafisica (che non è un peccato capitale  ;) ). Proprio la molteplicità delle prassi in atto, come giustamente osservi, dimostra l'irrilevanza funzionale di presunti valori assoluti (extra-contestuali, meta-temporali, etc.), salvo ritenere assoluti quelli della propria cultura e della propria tradizione (metafisica inclusa).
#2027
Citazione di: quasar97 il 30 Maggio 2017, 01:10:35 AM
ma se la verità assoluta non esiste. come possiamo discriminare tra ''verità parziali''?
Secondo me, sul tema della "verità assoluta", è necessario fare un passo indietro (fenomenologico) per riconoscere il "pregiudizio metafisico" che (pre)suppone tale verità: una verità fuori dal tempo (eterna, trascendente) è il "sogno proibito" della filosofia classica, mentre una (o più) verità nel tempo (attuale, immanente) è ciò che la filosofia attuale riscontra, di volta in volta, come operativa... siamo quindi sicuri che cercare la verità assoluta non sia un vano andare a caccia di mitiche chimere?

Il tema della temporalità credo sia il fattore cruciale (anche se non può di certo essere sbrogliato qui in poche righe) e, tanto per cercare di meritarmi il tuo generoso appellativo, provo a spiegarmi con un esempio: molti, presi dal pathos di un momento felice, dicono "ti amerò per sempre!", salvo poi accorgersi (al momento del divorzio, o dopo aver conosciuto un'altra fanciulla) che quel "per sempre" è stata una specificazione quantomeno sprovveduta e ingenua... parimenti, se la verità viene declinata nella temporalità (e perché non dovrebbe?), non c'è una verità per sempre (e dobbiamo ammettere che se anche ci fosse non potremmo certo verificarla con certezza!), ma sempre in itinere, provvisoria, contestualizzata dai criteri di verificazione usati (che, ci insegna la storia, possono cambiare di molto nel tempo).

D'altronde, provando una dimostrazione per assurdo: possiamo ragionare sensatamente senza una verità assoluta? Se rispondiamo "no", significherebbe che allora non ragioniamo mai sensatamente, quindi propenderei piuttosto per un "si" (che non è ovviamente un "si, sempre", ma un "si, è possibile", il che comprende dunque la possibilità dell'errore...). Ciò dimostra che non c'è alcuna necessità pratica (e nemmeno teoretica!) di una verità assoluta, ma è necessaria e sufficiente una "verità debole" (e qui scatta la rasoiata firmata Ockham), "verità debole" che poi, senza ossequi per il passato e per "disambiguarla", potremmo anche ribattezzare in altro modo...


@acquario69
Su Panikkar: giocare la carta jolly del divino, semplifica e contemporaneamente complica il discorso (a seconda di dove si rivolge l'attenzione...).

Inoltre se, da un lato,
Citazione di: acquario69 il 30 Maggio 2017, 04:40:55 AM
Non esiste la verità di un oggetto "in sé", proprio perché, come abbiamo visto, non esiste alcun oggetto "in sé": la realtà è simbolica.[/i][/font][/size][...]il simbolo è per me ciò che non ha bisogno di nessuna interpretazione.[/i][/font][/size]
dall'altro lato, bisogna pur riconoscere che tale interpretazione è invece un bisogno cogente per il soggetto, per strutturare il suo orizzonte di senso, per orientarsi, etc. per cui, il "terzo", la relazione, non è affatto indifferente se lo si identifica con
Citazione di: acquario69 il 30 Maggio 2017, 04:40:55 AMDio, Verità, Logos, karman, provvidenza, compassione o in qualunque altro modo
la differenza fra tutte quelle (ipotetiche) identità è esattamente ciò che è problematico per la ragione umana (almeno per quella classicamente metafisica...).
#2028
Commento
Citazione di: quasar97 il 29 Maggio 2017, 21:23:18 PM
devo per forza dedurre che tra noi (anche il più razionalista) ed un credente (ad es.) non c'è alcuna differenza, il che mi rende alquanto pensieroso.
e
Citazione di: paul11 il 29 Maggio 2017, 18:46:14 PM
Se tutto è falso, daccapo, allora tutto è anche vero.
Non vorrei deviare il discorso verso sentieri già ampiamente battuti (in altri topic), ma se la Verità Assoluta non c'è, allora diventa ancor più importante discriminare le gradazioni delle "verità relative": per questo, in alcuni casi, espressioni come "fino a prova contraria" sono un fattore più rilevante del famigerato "inconfutabilmente", pur non essendo parimenti assolute. 
Ci sono gradazioni di falsità e di verità che prescindono dall'identificazione della verità assoluta e, anzi, in sua assenza, sono quanto di più funzionale, prezioso e plausibile la nostra ragione possa offrire. Propongo un esempio sciocco ma, spero, adeguatamente allusivo: dire che sto scrivendo tirando i peli di un gatto a tre code, o sostenere che sto scrivendo usando un computer vecchio di 10 anni, sono due affermazioni entrambe false, ma possiamo concludere davvero che una vale l'altra? Direi di no: se non avessi svelato che sono entrambe false, da una delle due può partire un'indagine di verifica, l'altra indica invece che sono un soggetto burlone, fantasioso o sotto effetto di stupefacenti  ;D  
Detto in altro modo: appiattire tutte le verità e tutte le falsità (valore "1" vs valore "0") funziona (forse) nella compilazione delle tavole di verità, ma nella vita umana le ripercussioni nella prassi (sociale o individuale) delle "differenti sfumature di falsità" sono ben più sfaccettate...

Citazione di: paul11 il 29 Maggio 2017, 18:46:14 PM
Ma soprattutto, e questo è il punto fondamentale dell'attuale cultura, ritenere che non essendovi una verità costituiva originaria, allora tutto è opinione. se così fosse vince la forza bruta , non la forza del ragionamento.
Non saprei... stando alla nostra società, direi che, in assenza di valori forti, non vince affatto la forza bruta (che era più diffusa all'epoca dei valori forti, se non erro  ;) ), ma domina proprio il ragionamento-come-discorso, tuttavia non quello logico e orientato di verità, bensì quello retorico, affabulatore, strumentale, che impregna la "società delle comunicazioni forti installate su pensieri deboli" (il vecchio adagio "ne uccide più la lingua che la spada" è forse più attuale oggi che in passato...). 
Così come, nella vita vissuta, una falsità non vale l'altra (vedi sopra), ugualmente un'opinione non vale l'altra...
#2029
Citazione di: baylham il 29 Maggio 2017, 15:20:51 PM
Le tesi scettiche di Agrippa sono autoreferenziali.
Citazione di: quasar97 il 29 Maggio 2017, 12:11:08 PMQualcuno mi catalogherà nell' '' autocontraddittorio mondo degli scettici '' , però, in un certo qual modo, credo che anche il ragionamento e la fede nell'intelletto siano dei dogmi.
Quando si tenta di giustificare logicamente i fondamenti, gli assiomi normativi del discorso, si incappa nell'indecidibilità (v. Godel). Come dire che nel momento in cui analizziamo una lingua, non possiamo che farlo ricorrendo alla lingua stessa, o ad un'altra lingua, poiché per parlare sensatamente è inevitabile usare una lingua (o un linguaggio)... parimenti, per ragionare logicamente è inevitabile ricorrere ad una logica, che sarà fondata su alcuni assiomi, che all'interno di quella logica restano inverificabili (in quanto la fondano ed essa li presuppone). Differente è la questione se mettiamo in gioco anche il mistico, il religioso, l'extra-logico...

Allora non resta che la sospensione del giudizio, l'epochè, l'atarassia, l'afasia, l'aponia, etc.? Direi di no, questi sono tutti approcci molto bilanciati e statici, ma la vita è invece dinamica ed esige di sbilanciarsi... e sbilanciarsi nella prassi quotidiana con la consapevolezza dell'imperfezione, dell'arbitrarietà, della "relatività", proprie dell'impostazione che si adopera, è secondo me più un valore aggiunto che un limite (per chi crede ancora nell'ottimismo illuministico, ovviamente la questione è meno pacifica).
A farla breve, per ragionare sulla ragione occorre la ragione, in tutta la sua autoreferenzialità e in tutte le sue declinazioni possibili, non se ne esce...
#2030
Citazione di: green demetr il 28 Maggio 2017, 19:41:53 PM
L'ambizione di cui parlo è invece esattamente questa, che la relazione non centra con nessuna terzo.
Proviamo a pensare quando amiamo una donna o un uomo, quale terzo può intenderla?
Diciamo "ti amo", ma è una parola troppo stretta per contenere l'infinita gamma di sensazioni che proviamo.
Certo è un terziario, detto amore....ma non è la relazione stessa. Il "terziario" è un tentativo di tassonomica, aporetico, in quanto riguarda ciascuno e ciascuna
Per "terzo" elemento non credo vada inteso il "terzo incomodo" di un triangolo ( ;) ), ma l'esser terzo fattore costituito dal vissuto di relazione: non c'è amore o amicizia che si fondi solo sulla diade io/tu, senza il vissuto della relazione come terzo elemento imprescindibile (come nella "trinità incendiaria" combustibile, comburente e innesco  ;D )


Citazione di: green demetr il 28 Maggio 2017, 19:41:53 PMripeto il controllo è un meta-controllo sulla ermeneutica
Forse in Chaim Perelman puoi trovare spunti interessanti al riguardo (gemellaggio fra epistemologia ed ermeneutica...).

Citazione di: green demetr il 28 Maggio 2017, 19:41:53 PM
cit Phil

"Cosa, quali indizi, ci fanno pensare che oggi (o domani), sia realmente possibile degerarchizzare il nostro approccio al mondo e all'altro uomo? Davvero è possibile una dimensione sociale, logica o anche solo linguistica che non richieda l'imprescindibile presenza di una gerarchia (più o meno latente o implicita, più o meno personale o condivisa, più o meno dogmatica o "fluida", etc.)?"

Ma gli indizi ce li ha dati la filosofia in questi 2400 anni della sua storia! ;)
La storia della filosofia ci fornisce indizi sulla possibilità di un pensiero non gerarchico? Non so, ma direi che quella storia dimostra piuttosto, fino a prova contraria, che ogni forma di comprensione è sempre gerarchica, sempre com-presa in una gerarchia (anche quando prova ad essere svincolata: nel momento in cui si struttura propositivamente, e non solo criticamente, la sua assiologia, la sua simbologia, è inevitabilmente la matrice di una ulteriore gerarchizzazione...).
D'altronde, la gerarchia non è altro che la coniugazione del pensiero dicotomico che fonda la cultura occidentale (giusto/sbagliato, vero/falso, etc.), per cui mettersi fuori dalla gerarchia è uscire dalla dicotomia, e uscire dalla dicotomia è uscire dal discorso logico (ed ecco che fa prontamente capolino l'estetica, con la sua leggerezza malinconica...). Sarebbe come se un computer volesse rinnegare il suo codice binario: smetterebbe di essere programmato/programmabile (e non sarebbe più un computer... forse un oltre-computer?  ;) ).
Comunque, restando nell'umano, ciò che non ha gerarchia è ciò che non è stato ancora compreso, ovvero il casuale (il lancio della moneta, vera o falsa che sia): ciò che non è compreso non può essere preso dalle maglie della gerarchia, ma ciò che non è compeso non è fruibile, non è controllabile, non è inquadrabile nettamente (per questo gli antichi cercavano di esorcizzarlo caratterizzandolo con "il fato", "il destino", o "la volontà degli dei": per capirlo, carpirlo, padroneggiarlo, nei limiti della possibile ragionevolezza, non potevano che gerarchizzarlo...).
#2031
@green demetr
Sullo stare "spalle al muro",  mi permetto di ricordarti l'osservazione di Sun Tzu: "se poni te tue truppe in una situazione senza uscita, daranno sicuramente prova di coraggio immortale" e per questo ammoniva: "al nemico accerchiato, lascia una via di fuga"  ;)
Il muro che ti senti alle spalle potrebbe essere scalato (come farebbe il Nietzsche amante delle vette), decostruito (à la Derrida, per poi scavalcarne i ruderi), "ingegnerizzato" (come fanno gli epistemologi, per decidere dove costruire un varco), trasceso (come il "muro senza porta" del Wumen Guan zen), e magari anche altro... trovare il proprio muro è la "fortuna" di trovare qualcosa su cui lavorare  :)

Citazione di: green demetr il 25 Maggio 2017, 11:58:19 AMSe fosse così però rimarremmo nel "prendere atto di". Come se il simbolo sia solo il pretesto per il gerarchico
Direi addirittura che il simbolo è il pre-testo del gerarchico, ovvero la cornice "testuale"(semantica) che precede l'installazione del gerarchico, in assenza di simbologia non può esserci gerarchia... non a caso, nel mondo animale la gerarchia c'è solo se lo leggiamo con lo sguardo simbolico umano, che distingue preda/predatore, maschio dominante/gregario, etc. ma nell'ombra gettata da quello sguardo tassonomico, nell'angolo cieco della visuale gerarchizzante, non ci sono categorie gerarchiche, ma solo istinto, fame e "programmazione genetica"... una volta istituito il simbolico, invece, la gerarchizzazione trova terreno fertile: tracciata una linea, ha poi senso parlare di aldiqua e aldilà, e la linea singola, se non erro, sia per gli egizi che per i popoli orientali, simboleggiava (intuitivamente) il numero uno, che è il concetto-simbolo per eccellenza, quello che fonda il principio di identità (che fonda la logica per come la conosciamo)

Citazione di: green demetr il 25 Maggio 2017, 11:58:19 AMMa il simbolo diventa rito, struttura, linguaggio e perde l'ascolto.
Qualcosa di quell'equilibrio natura (umana) e tecnica (sequenza dei simboli) viene a mancare.
Dando una rapida scorsa a Mauss, vedo che il progetto (che indicava Agamben) allora consisterebbe di controllare come la società si strutturi a partire da simboli  (scudi che non si possono portare, oggetti inutili) e poi ne perda le sue radici.
Emanciparsi dalla gerarchia come struttura di senso, forse significherebbe abbandonare la dimensione simbolica, dunque compromettere la funzionalità della logica come strumento di indagine... senza più gerarchie, che fine fa il senso?

Citazione di: green demetr il 25 Maggio 2017, 11:58:19 AM(è possibile interagire con gli altri senza un terzo?)
Probabilmente no, perché il terzo è la relazione stessa  ;)


Citazione di: green demetr il 26 Maggio 2017, 18:49:58 PMDunque l'ambizione è quello di trovare un linguaggio che controlli il soggetto, il ragionante, ossia di chi critica, ragiona etc...sulla scienza etc....
SENZA farla diventare a sua volta una POLITICA una scelta di partito, schieramento etc...
Per fare questo devo creare un discorso che metta dei paletti, il più precisi possibili affinchè il soggetto, il criticante, il ragionante si chieda sempre COSA STA INDICANDO, quali operatori logici sta mettendo in campo, il fine di questo indicare e operare, ossia il suo limite invalicabile, PRIMA DI DIVENTARE presa di parte, politica, critica SU QUALCOSA.
Insomma il soggetto, il ragionante, il criticante, il politico (finanche) DEVE ESSERE CONSAPEVOLE delle trappole a cui si va incontro con il linguaggio stesso
Maral ha ricordato il ruolo dell'estetica nel discorso gerarchico, e questa riflessione semiologica che proponi se coniugata con l'estetica diventa ermeneutica, allontanandosi quando basta dall'esattezza formale della logica epistemica (quasi "computazionale"), per aprire temi e problemi la cui soluzione non può essere trovata in un uso impeccabile dei meccanismi semantici... e ciò non riguarda solo l'estetica: ad esempio, il linguaggio influenza la politica, e viceversa, ma la soluzione ai problemi politici non è mai esclusivamente linguistica, perché "la giustizia" o, tornando agli antichi, "la saggezza", non è una questione di variabili o costanti, di fallacie, o di compilazione di assiomi con tavole di verità (la differenza fra la ragione dell'uomo e l'intelligenza artificiale è forse tutta qui...).

Citazione di: anthonyi il 27 Maggio 2017, 08:38:04 AMLa domanda di superamento delle gerarchie io la condivido, a tutti e tre i livelli. Per me però sono fondamentali due domande: L'uomo è pronto? L'uomo è capace? Con l'ultima domanda io intendo l'uomo ha le capacità di reggersi in un mondo privo di strutture gerarchiche.
Domande ostiche, ma ne rovescerei l'ordine, o meglio, ne rovescerei la gerarchia ( ;D ): quella essenziale mi pare la seconda, ovvero se sia davvero possibile uscire dalle gerarchie, senza ritrovarsi a sostituirle con altre (più o meno speculari alle precedenti). C'è mai stata una cultura, una società, o solo una visione del mondo, priva di gerarchie? Cosa, quali indizi, ci fanno pensare che oggi (o domani), sia realmente possibile degerarchizzare il nostro approccio al mondo e all'altro uomo? Davvero è possibile una dimensione sociale, logica o anche solo linguistica che non richieda l'imprescindibile presenza di una gerarchia (più o meno latente o implicita, più o meno personale o condivisa, più o meno dogmatica o "fluida", etc.)?

Citazione di: maral il 26 Maggio 2017, 23:54:02 PMAlla domanda su come si faccia a innalzare propriamente e concordemente il livello dei discorsi Carrera trova che non sia possibile dare risposta
e questa stessa domanda presuppone una gerarchia, o meglio, molteplici gerarchie... altrimenti diventa una domanda che non ha condizioni di possibilità di risposta...
#2032
Varie / Re:Varie
23 Maggio 2017, 21:50:07 PM
Non ho visto il film (ma ho recuperato lo spezzone su youtube) e anche stando al link che hai postato, mi sembra verosimile l'ipotesi di un indovinello allusivamente senza soluzione, senza verità... una verità irraggiungibile che, curiosamente, è anche collegata al nome del personaggio che pone l'indovinello: Lessing, oltre a essere il nome del nazista che interroga l'ebreo, è anche il nome del pensatore illuminista famoso per il suo aforisma in cui la ricerca fallimentare della verità viene preferita alla verità stessa (coincidenza?): "Se Dio tenesse nella sua destra tutta la verità e nella sua sinistra il solo eterno impulso verso la verità con la condizione di dover andare errando per tutta l' eternità e mi dicesse : " scegli ! " , io mi precipiterei umilmente alla sua sinistra".
#2033
Tematiche Filosofiche / Re:Al di là dell'aldilà
23 Maggio 2017, 18:52:24 PM
Sono assai perplesso... prima di verificare l'effetto a distanza, non so se abbiano verificato l'effetto diretto, ovvero se un gruppo di persone che si concentra su dell'acqua per 15 minuti è in grado di modificarne il ph... se l'intenzione impressa in una memoria da computer (tutta questione di omonimia?!) può fare effetto a distanza (di spazio e di tempo), dovrebbe essere almeno altrettanto efficace l'intenzione che "arriva" direttamente all'oggetto... oppure no?
Inoltre, ma forse è solo una questione soggettiva, come si pensa "l'intento di modificare il ph"? Nel mio piccolo, potrei sforzarmi di pensare di spostare un oggetto, cambiargli il colore, deformarlo, ma... per modificare il ph di qualcosa che nemmeno ho sotto gli occhi, non saprei "strutturare" e focalizzare un intenzione mentale precisa su cui indugiare per un quarto d'ora  ;D

P.s.
Il fatto che l'anno dopo quell'esperimento sia andato in pensione e si sia dedicato all'esoterismo, aumenta la mia perplessità sulla questione  ;)
#2034
Citazione di: HollyFabius il 22 Maggio 2017, 08:06:41 AM
Non fatevi trarre in inganno. L'originalità che deve essere presente nell'opera d'arte è quella caratteristica che arricchisce la storia complessiva dell'arte ma non può essere l'unico tratto distintivo dell'opera. Se in un manufatto esiste solo originalità vengono a mancare i presupposti per porta all'interno di una qualsivoglia "storia". Per fare un paragone comprensibile pensate al progresso scientifico. E' chiaro che ogni "cosa", o "tecnologia" nuova inventata possiede qualche elemento di originalità, altrimenti non sarebbe una "evoluzione" rispetto al passato ma una semplice riproposizione di qualcosa di già esistente. Però non tutto ciò che viene inventato sarà utile e degno di far parte del progresso tecnologico. Se invento la macchina per far sbadigliare i gatti probabilmente non avrà un grande futuro. Similmente in Arte esiste una originalità degenere che viene spesso sbandierata ma che non porta ad un reale accrescimento della Storia dell'Arte complessiva ed esiste una originalità 'sana' che comporta una aggiunta di contenuti.
Concordo con l'ultima frase, tuttavia mentre in campo tecnologico è proprio il criterio dell'utile che consente di soppesare il valore della novità, in campo artistico invece (essendo "fuorigioco" l'utilità ed essendo la bellezza soggettiva per definizione) valutare la portata artistica dell'originalità è sempre un giudizio insidioso...
Ad esempio, il già citato "sterco di autore" mi ha fatto tornare in mente l'"aria di Napoli", molto simile per dissacrante e sarcastico senso allusivo... l'"aria partenopea" è stata ideata ben prima (stando alle fonti, circa 1946 da Gennaro Ciaravolo) dell'opera di Manzoni (1961), ma forse non è stata ritenuta arte perché le confezioni non sono a "tiratura limitata", oppure perché non è stato ideato un evento pubblico di presentazione ufficiale, che consentisse ai critici di confrontarsi sull'opera? Ai posteri l'ardua sentenza  ;)

Oppure l'altra opera d'arte (considerata tale, se non erro) "the great wall of vaginas" (Jamie McCartney, 2008) che mi ha fatto tornare in mente una scena del film (si, all'epoca guardavo ancora la tv  ;D ) "il conte Max" (1991), in cui, se non sbaglio, la stessa idea era declinata al maschile, ma si era ben lontani dal parlare di opera d'arte...

Sembra quindi che talvolta conti davvero più la firma che l'originalità dell'idea, più il contesto "settoriale" in cui viene proposta una sedicente opera artistica piuttosto che il senso a cui essa allude... non voglio dire che oggi l'arte la fa soprattutto l'approvazione dei critici (con i contesti e requisiti dovuti), ma forse c'è un certo sbilanciamento, un certo "complesso dell'originalità" che sta demolendo i confini dell'arte, semmai ne abbia avuti di definiti(vi), che la rende ancora più indefinibile e arbitraria (vedi ad esempio Milo Moire e la sua "Plop egg"... e avviso che quel "vedi" potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno/a  :o ).
Inoltre, con il tempo, secondo me, ci si anestetizza all'originalità fine a stessa, al netto di tutti i significati reconditi che le si possano affibbiare (per questo parlo di "Rorschach")... e allora che ne è dell'arte? Sta tutta nell'esaltazione del simbolico, dell'interpretazione e dell'eclatante? Intendiamoci, se così fosse, niente di male  :)
#2035
Citazione di: Vito J. Ceravolo il 21 Maggio 2017, 11:34:41 AM
Frasi come queste sono prettamente dialettiche "Il non essere assoluto é per definizione il non esistere/accadere realmente di alcunché e non affatto l' impossibilità di predicazione." Frasi come questa tua hanno una sintattica pari ad A=non-A
Non ne sono convintissimo, quindi chiedo chiarimenti (e mi scuso per eventuali errori formali  ;) ): la suddetta frase mi pare suoni piuttosto come "A = A", ovvero "insieme vuoto = insieme vuoto" ("Ø = Ø"), oppure "non esiste alcuna x che appartiene a A", cioè "∄x : x ∈ A" (dove "x"= "ente" e "A" = "insieme degli enti esistenti"), oppure "∄ x : F(x)", dove "F" è "funzione di esistenza"... insomma, il "non esistere" è un concetto definibile formalmente (tautologicamente), proprio come l'esistere... oppure no?

P.s.
Per essere "A = ¬A" la frase dovrebbe affermare: "Il non essere assoluto è per definizione il non l'esistere/accadere realmente di alcunché di qualcosa", giusto?
#2036
Non sono pratico in materia, quindi più che considerazioni propongo domande su un paio di spunti interessanti:
Citazione di: HollyFabius il 20 Maggio 2017, 18:53:37 PM
Puoi metterci anche una grande passione a fare qualcosa ma se manca il talento non vai lontano.
Nell'arte contemporanea quanto è opaco e indefinito il talento? Il talento di un Michelangelo o di un Caravaggio (a prescindere dai gusti personali) lo vede anche un uomo qualunque... oggi, invece, non sarà forse che persino i critici più affermati, prima di intravvedere il tocco talentuoso in un quadro, danno comunque una furtiva sbirciata alla firma nell'opera (l'allontanamento dalla rappresentazione del reale in favore della simbolizzazione di un senso nascosto, sempre più "à la Rorschach", è forse la causa principale di tale sfaldamento dei canoni del talento?).
Ovviamente ogni arte è figlia dei suoi tempi, quindi è inevitabile che cambino gli stilemi e i parametri, e quelli dell'arte contemporanea riflettono immancabilmente alcune categorie paradigmatiche della società attuale: ambiguità, "slittamento di senso", poliedricità, sincretismo, sarcasmo/parodia, opinabilità, mercificazione, citazione, sensazionalismo, etc.

Citazione di: HollyFabius il 20 Maggio 2017, 19:03:11 PM
In ogni caso però, sia nell'era precedente che in quella contemporanea l'arricchimento globale delle forme d'arte implica l'importanza dell'originalità
Questa "(s)mania dell'originalità" quanto ha inciso sullo statuto dell'arte? Non si sta forse assistendo ad una fase in cui l'importanza dell'originalità e il suo abuso (il voler essere originali spinge sempre più verso una sperimentazione che spesso aliena il fine dal mezzo) vanno a discapito della fruibilità dell'arte, che non è più appannaggio di pochi competenti con solida formazione (che possono mediarne il senso e il valore alla massa di appassionati), ma diventa quasi un oracolo dagli esiti sibillini, la cui sacralità richiede più fede (nell'autorità "competente") che senso estetico?
#2037
Citazione di: green demetr il 16 Maggio 2017, 01:45:58 AM
Sì il testo è quello on line "Verità. Unione fra realismo e costruttivismo"
Una 20ina di pagine. ;)
Contro ogni pronostico, sono riuscito a leggere il saggio e, considerato che ha già avuto un riconoscimento ufficiale per la sua qualità, non mi dilungo negli elogi. Propongo invece (soprattutto a @Vito J. Ceravolo) qualche osservazione (anche per accertarmi di aver ben capito il testo ;D ):

Cap 3
"l'accadere dell'oggetto conferisce un valore di realtà all'oggetto stesso"(cit.)
Secondo me, occorre forse differenziare l'oggetto dall'accadere, ovvero il mondo-degli-oggetti nella sua auto-nomia, dall'empirico-soggettivo (l'accadimento di cui si può parlare ha sempre uno "spettatore"  ;) ).
L'accadere è il "lato oggettivo" dell'esperienza del vissuto, ma né l'accadere (né tantomeno il vissuto) sono pacificamente l'"oggetto" (inteso come ente, non credo venga inteso come sinonimo di evento/fatto) di cui si possa predicare valore di verità (o non-valore di verità). La tensione dialettica fra accadere(a/per qualcuno) ed essere("oggettivamente") resta ancora in gioco: come insegnano in India (se non ricordo male), il vissuto mi parla di un serpente, ma poi scopro che non è un serpente, bensì è un bastone; eppure il primo vissuto reale era "vero" per me, prima che accadesse il secondo a falsificarlo, svelando la verità... il problema dell'identificazione reale dell'oggetto (ma non del vissuto, che è lampante), prima ancora della "verità redarguens" (cit.) che gli compete, è la verifica della "testimonianza di verità"(cit.): il nodo da sciogliere è una verità di secondo grado, ovvero decidere della verità che sta nel dire "la verità è che la neve è bianca" o "quello è un serpente vero!" (altrimenti restiamo ancora aldiqua dell'intenzionalità di Husserl...).

L'attribuzione del valore di realtà (psicofisico, come si ricorda nell'articolo) parte dal presupposto che "è la realtà dell'oggetto a garantire la verità della descrizione del soggetto"(cit.), ma se l'oggetto è già postulato come reale (reale è certamente il vissuto, non l'ente), allora la verità assume valore meramente "compilativo" (e un bastone può essere per qualcuno veramente un serpente...). Se, invece (parafrasando), "è la realtà dell'evento-vissuto a garantire la verità della descrizione del soggetto" resta aperto l'annoso problema di andare oltre la semplice rettificazione e sistematizzazione formale dell'esperienza individuale (ovvero andare oltre il serpente, per scorgere il vero bastone che il reale serpente era...).

Cap 4
"in vero, l'oggetto è l'inemendabile luogo in cui può esercitarsi la descrizione del soggetto".
Concordo, ma è un luogo decisamente inospitale, polimorfo e caleidoscopico... lo storico dibattito epistemologico sull'oggettività, sul "mito del dato", etc. è eloquente.

Cap 5
"La verità oggettiva (dell'oggetto) è sostanziale alla realtà in sé dell'oggetto descritto" (cit)
Qui direi che si attivano tutti i problemi riguardanti il noumeno, l'oggettivismo, il relativismo cognitivo, etc. se con un colpo d'occhio si può arrivare alla verità oggettiva, allora la gnoseologia è pomposo "flatus vocis" ;D

"realismo compartecipato dal soggetto un real-costrutto. Dove, per "compartecipazione" si deve accettare che ognuno, oggetto e soggetto, partecipa alla costruzione della verità, cioè della realtà, entro quei limiti in cui la verità non si contraddice per non essere falsa."(cit.)
La partecipazione mi pare significativamente sbilanciata: la necessità del formalismo (logico) approccia e (s)piega l'oggetto alle nostre esigenze cognitive, al punto che la reale modalità d'esistenza dell'oggetto (la differenza fra oggetto "vero-reale" e oggetto "falso-immaginario" o fantastico/mentale) diventa persino irrilevante, poiché conta solo come ce ne appropriamo logicamente (conta di più il rimbalzo della "verità lucens" che invece il luogo su cui tale luce rimbalza...).
Per verificare che accada davvero "il decadimento dell'uomo quale osservatore privilegiato rispetto agli altri esseri, il decadimento della sua abbagliante illusione d'esser "[l'unica] misura di tutte le cose""(cit.) dovremmo disporre di un punto di vista non umano che osservi la questione e tragga la suddetta conclusione, ma temo non sia possibile, per cui siamo costretti a guardare la (nostra) realtà in modo inaggirabilmente umano/(inter)soggettivo...

Cap. 6
"la realtà è il senso del rapporto inscindibile e inesauribile tra l'umano e la verità"(cit.)
Eppure la verità appartiene già all'umano, è una delle sue declinazioni formali, non è qualcosa di esterno all'umano (salvo postulare una Verità mistica), per cui il rapporto implode nell'autoreferenza del pensiero umano (basti pensare alle verità astratte formali...).
Inoltre, direi che la realtà, essendo (plausibilmente) eccedente l'umano, non può detenere il senso di un rapporto intimamente umano (dell'uomo con una sua stessa produzione/interpretazione mentale), ma può solo fornire il suddetto rimbalzo che innesca l'astrazione formale... ma tale rimbalzo è "semantico" solo per l'uomo, non per la realtà (vedi suddetta asimmetria). Lo stesso concetto di "fenomeno-in sé"(cit.) come sintesi, non è l'ipostasi della diade umana originaria dello psico-fisico? Il vero problema non sta dunque tutto in quei trattini che uniscono due dimensioni problematiche, e nel capire come funzionino tali trattini?
Forse le risposte a queste domande sono nel libro "Mondo strutture portanti"  :)

#2038
Citazione di: green demetr il 15 Maggio 2017, 18:37:33 PM
cit phil
"Nella fattispecie, la coincidenza fra "reale" e "mentale" mi sembra non il punto di arrivo, ma piuttosto il punto di partenza del problema (che forse è un'aporia invalicabile...)."

ma è proprio questo il punto! che non si deve argomentare come se fosse già il punto di partenza, in quel caso saremmo nella "petitio principii"  8)
Da qualche parte bisogna pur cominciare  ;) , l'importante è che il viaggio non riporti esattamente al punto di partenza (questa sarebbe "petitio principii"), o almeno, se riporta lì, accorgersene  ;D
A scanso di equivoci, per "punto di partenza" non intendevo "assioma fondante", ma semplicemente indizio, spunto, convocazione alla riflessione...

Citazione di: green demetr il 15 Maggio 2017, 18:37:33 PM
Se si risolve in un aporia...non sarebbe scienza, ma il libro ha vinto il secondo premio. e anche per me, Ceravolo è stato bravo a non cadere nella trappola.
non c'è aporia nella sua tesi dimostrata.  8)

non ti rimane che andare a leggere come se la cava.
Direi di si; il mio discorso non era infatti riferito al testo di Ceravolo (con cui mi congratulo per l'ottimo risultato), ma piuttosto una "risposta aperta" alle considerazioni che avevi posto rispondendo ad Angelo... il testo di Ceravolo che ti ha fatto una buona impressione, e a cui ti riferisci, è "Verità. Unione fra realismo e costruttivismo"? Se "si", cercherò di leggerlo on-line (anche se temo che i tempi saranno, come sempre, lunghi...).

Citazione di: green demetr il 15 Maggio 2017, 18:37:33 PM
Se il reale è del soggetto epistemico non può che essere a mio avviso, che del suo reale.
[...] Ma il reale del soggetto epistemico non è il reale.  >:(
Eppure quale altro reale possiamo affrontare, vivendo, se non quello nostro (della nostra cultura, dei nostri tempi, etc.)?
Postulare una Realtà assoluta che attenda di essere scoperta, come "terra promessa" della conoscenza perfetta, in cui il prospettivismo venga lasciato alle spalle automaticamente, è un gesto mistico, più poetico che filosofico, sovra-umano... quindi forse fuori dalla nostra portata umana (fino a prova contraria...).


Citazione di: green demetr il 15 Maggio 2017, 18:37:33 PM
Questo è il mio pregiudizio, in attesa che però poi mi indichi (sempre che l'hai pensato, o lo stai pensando, o lo penserai) il tuo percorso, che volontieri leggerò.
Grazie per la fiducia  :) , ma il mio umile percorso (ancora in corso) non riesco a (de)scriverlo (non avendo modo di farlo), anche perché rischierei di sottrarre tempo all'ascolto e alla lettura (per quanto so bene che la scrittura agevola molto l'autocomprensione). Comunque, attualmente, la mia posizione è piuttosto "debole", in tutti i sensi del termine  ;)
#2039
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 21:45:56 PMHai perfettamente ragione, se lo intendiamo nel mentale, ma nel formale lo poniamo come necessario. Se no, non possiamo determinare che il nostro mentale, coincida con un reale, che è poi la tesi di fondo, a cui vogliamo arrivare. 
Mi asterrei da questo "(noi) vogliamo arrivare": se si mira ad un punto di arrivo predefinito, la ricerca è già impostata sulla chiusura ad altre possibilità, latenti e/o emergenti (come capita sempre nella chiusura formale autoreferenziale della logica, e qui la decostruzione trova terreno fertilissimo); preferisco le ricerche più aperte, anche a rischio di avere meno paletti entro cui muoversi (si diceva di non temere i labirinti  ;) , ma forse è più difficile non temere gli spazi troppo aperti...).
Nella fattispecie, la coincidenza fra "reale" e "mentale" mi sembra non il punto di arrivo, ma piuttosto il punto di partenza del problema (che forse è un'aporia invalicabile...).

Non mi è chiaro il ruolo che ascrivi alla metafisica (e come intendi quest'ultima):
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 21:45:56 PMcit phil "Per "rifarsi al concetto di essere"(cit.) bisogna rifarsi alla metafisica in cui è incastonato, e per rifarsi alla metafisica bisogna indagare se essa sia "epos" (analitici) o "episteme" (continentali, con le dovute eccezioni)... lanciamo la moneta (falsa ;D )?" Quale metafisica? L'essere è una analitica. [...] Una analitica dell'indagante e non dell'indagato.
"indagante", quindi soggetto... soggetto non trascendentale, ma ente:
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 21:45:56 PM
il soggetto esistente. L'ente soggetto. Non il soggetto stesso.
dunque, il problema verte sull'ente conoscitore, quindi, per definizione, problema epistemologico... eppure poi mi spiazzi con:
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 21:45:56 PMtu credi che il problema sia epistemologico. Ma non lo è affatto. Il problema è metafisico.
problema "metafisico"? Si parlava di un' "analitica del soggetto in quanto ente conoscitore", quindi il piano è squisitamente attualmente epistemologico, non più metafisico... perché (e parlo più da analitico che da continentale  ;D ) trastullarsi con i meccanismi metafisici, cigolanti e poco efficienti nonostante il loro innegabile fascino di filosofia/estetica vintage? O meglio, come tu stesso suggerisci (pur parlando d'altro):
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 21:45:56 PM
Perchè incasinarsi con un altra mediazione. 8) 
?
#2040
Tematiche Filosofiche / Re:L'elemosina di Hobbes
14 Maggio 2017, 15:40:29 PM
Citazione di: green demetr il 14 Maggio 2017, 02:44:21 AMChi fa elemosina ha un obiettivo chiaro in testa. (levarsi dalle palle il tipo davanti)
Generalizzando troppo forse sembrerebbe di si, ma è anche vero che spesso per lasciarsi alle spalle il mendicante basta accelerare un po' il passo, senza (con)cedere denaro... quindi già la scelta del modo in cui ci si congeda dalla richiesta di moneta è significativa, sintomatica di un determinato tipo di approccio all'altro in quanto "incursore" nella nostra vita (economica, ma non solo...). 

E quando invece non è la domanda di denaro a venire da noi, ma siamo noi a cercare l'occasione per offrirlo? Quando non è lo sguardo del povero a cercarci, ma siamo noi a cercarlo? Non sono rarissimi i casi in cui qualcuno cerca un modo per donare (denaro o altro) senza che gli venga chiesto... come decifrare l'egoismo insito in questa attitudine propositiva? Non nego che ci possa essere, ma verte probabilmente su altri meccanismi rispetto al "donare richiesto"...


Citazione di: maral il 14 Maggio 2017, 10:23:38 AM
contabili molto razionali specialisti in partita doppia gli diranno che l'ha fatto solo per avere un ritorno, perché solo questo spiega bene tutto e così tutto torna senza resti, mentre in realtà non spiega assolutamente nulla, a parte l'esigenza di una contabilità.
La questione del resto mi pare sia cruciale: ogni dono presuppone un "resto" (magari non economico, ma psicologico) che ritorna al mittente come ricevuta, sotto forma di plus-valore (magari non spirituale, ma solo esistenziale) che rende il dono sempre un investimento (quasi un "puntare dei soldi" in una relazione, ricavandone "interessi" non monetari) specialmente nelle situazioni faccia-a-faccia... fare i conti con le monete è facile, farli con gli effetti collaterali (umani) del donare ha ben altra difficoltà: si passa dalla partita doppia, alla doppia partita (quella con se stessi e con gli altri...).