L'ultima decina di messaggi (circa) verte sul problema della definizione (e conseguente differenziazione), fra "simbolo" e "segno", a dimostrazione di come definire adeguatamente le parole-chiave di un discorso non sia una "perdita di tempo" o uno "sterile astrattismo", ma invece rappresenti indubbiamente una doverosa fase metodologica, ineludibile per impostare un dialogo chiaro e con riferimenti semantici condivisi.
Il problema, secondo me, nasce dall'appellarsi a "vocabolari" differenti per rintracciare le suddette definizioni: c'è il "vocabolario" di Jung, quello di De Saussure, quelli di altri linguisti, quello della lingua italiana, quello delle espressioni popolari, etc.
A questo punto quale scegliere? Per me la questione è risolvibile scegliendo una definizione su cui tutti i dialoganti siano consenzienti e concordi, senza ritenere più autorevole quella di un autore specifico (a cui potrebbe essere contrapposta quelli di altri autori pertinenti, e a quel punto diverrebbe una faccenda di posizioni personali...). Moltiplicare il reperimento di fonti, citazioni e definizioni a disposizione, probabilmente renderebbe solo più inibitoria l'impasse "semiologica"...
Propongo quindi una riflessione estemporanea: la croce è un simbolo cristiano e ci si fa il segno della croce... un gesto o un rituale, come scambiarsi un "segno di pace" può avere valore simbolico (non diremmo "segnico")... al segno linguistico è solitamente connesso anche un fonema (o una dimensione fonetica), come accade per le lettere dell'alfabeto, mentre spesso i simboli hanno a loro volta un proprio nome segnico (grafemi e fonemi) nel linguaggio di riferimento (senza addentrarsi nei temi della traduzione o degli ideogrammi)... il significato simbolico di una poesia non è il significato segnico/letterale...
Provo allora ad abbozzare una proposta: se i segni sembrano essere l'elemento basilare della comunicazione (linguistica e non), il simbolo forse si differenzia per un "plus-valore semantico" che rimanda ad almeno un ulteriore significato (o più) già costituito ed indipendente dal simbolo stesso: il cristianesimo non è il "significato" del crocifisso, ma il crocifisso, nella sua autonoma identità formale/materiale, rimanda simbolicamente al cristianesimo (che esiste a prescindere da, e non si riduce a, tale riproduzione simbolica); mentre il significato intrinseco al segno della croce è "riprodurre", "raffigurare" le linee della croce, creando una simbiosi forte fra il segno e il suo significato (nel senso che il segno non è scindibile dal suo significato, come invece accadeva con la croce, che ha comunque un suo significato di base, un "referente" letterale, autonomo: struttura in legno usata per uccidere i malfattori ai tempi dei romani...).
Ma allora i segni linguistici per eccellenza, le lettere, che significato hanno/rappresentano? Direi semplicemente quello di un determinato suono che, combinato con altri suoni, forma parole significanti, quindi frasi, etc. non a caso, l'alfabeto fonetico, che si propone di unificare la traslitterazione "universale" dei suoni, è piuttosto recente (fine '800).
Dunque, interpretato così, il simbolo sarebbe più prossimo all'allegoria piuttosto che ad un semplice segno arbitrario e convenzionale, come le lettere, o il segno che ci fa il vigile quando dobbiamo accostare con l'auto, per poi mostrargli il simbolo del nostro essere legittimi automobilisti (con la speranza di non averlo lasciato a casa sul comodino
).
Il problema, secondo me, nasce dall'appellarsi a "vocabolari" differenti per rintracciare le suddette definizioni: c'è il "vocabolario" di Jung, quello di De Saussure, quelli di altri linguisti, quello della lingua italiana, quello delle espressioni popolari, etc.
A questo punto quale scegliere? Per me la questione è risolvibile scegliendo una definizione su cui tutti i dialoganti siano consenzienti e concordi, senza ritenere più autorevole quella di un autore specifico (a cui potrebbe essere contrapposta quelli di altri autori pertinenti, e a quel punto diverrebbe una faccenda di posizioni personali...). Moltiplicare il reperimento di fonti, citazioni e definizioni a disposizione, probabilmente renderebbe solo più inibitoria l'impasse "semiologica"...
Propongo quindi una riflessione estemporanea: la croce è un simbolo cristiano e ci si fa il segno della croce... un gesto o un rituale, come scambiarsi un "segno di pace" può avere valore simbolico (non diremmo "segnico")... al segno linguistico è solitamente connesso anche un fonema (o una dimensione fonetica), come accade per le lettere dell'alfabeto, mentre spesso i simboli hanno a loro volta un proprio nome segnico (grafemi e fonemi) nel linguaggio di riferimento (senza addentrarsi nei temi della traduzione o degli ideogrammi)... il significato simbolico di una poesia non è il significato segnico/letterale...
Provo allora ad abbozzare una proposta: se i segni sembrano essere l'elemento basilare della comunicazione (linguistica e non), il simbolo forse si differenzia per un "plus-valore semantico" che rimanda ad almeno un ulteriore significato (o più) già costituito ed indipendente dal simbolo stesso: il cristianesimo non è il "significato" del crocifisso, ma il crocifisso, nella sua autonoma identità formale/materiale, rimanda simbolicamente al cristianesimo (che esiste a prescindere da, e non si riduce a, tale riproduzione simbolica); mentre il significato intrinseco al segno della croce è "riprodurre", "raffigurare" le linee della croce, creando una simbiosi forte fra il segno e il suo significato (nel senso che il segno non è scindibile dal suo significato, come invece accadeva con la croce, che ha comunque un suo significato di base, un "referente" letterale, autonomo: struttura in legno usata per uccidere i malfattori ai tempi dei romani...).
Ma allora i segni linguistici per eccellenza, le lettere, che significato hanno/rappresentano? Direi semplicemente quello di un determinato suono che, combinato con altri suoni, forma parole significanti, quindi frasi, etc. non a caso, l'alfabeto fonetico, che si propone di unificare la traslitterazione "universale" dei suoni, è piuttosto recente (fine '800).
Dunque, interpretato così, il simbolo sarebbe più prossimo all'allegoria piuttosto che ad un semplice segno arbitrario e convenzionale, come le lettere, o il segno che ci fa il vigile quando dobbiamo accostare con l'auto, per poi mostrargli il simbolo del nostro essere legittimi automobilisti (con la speranza di non averlo lasciato a casa sul comodino
).

), "libero" di giocare spensieratamente con accostamenti semantici decisamente problematici (cito: mente femminile, evoluzione culturale, animalità non-etica, etc.), "libero" di preferire un approccio epistemologicamente "debole" (ovvero che spalanca le porte alla trascendenza e alla mistica perché forniscono risposte che non devono rendere conto alla confutazione razionale), e soprattutto "libero" di sentirti "libero" nel fare tutto ciò...