Citazione di: davintro il 14 Agosto 2017, 20:26:56 PMHai ragione, mi sono espresso in modo decisamente impreciso: un concetto, in quanto tale, non può essere affrontato con le categorie che applichiamo all'esperienza... ciò a cui mi riferivo è tuttavia proprio quell' "al di là dei giudizi circa la corrispondenza di tali concetti con realtà effettivamente esistenti"(cit.).
I concetti non sono mai ingannevoli, perché ingannevole può essere una percezione, che porta a motivare un giudizio erroneo sulla realtà, ma mai un concetto. I concetti, tutti i concetti, non sono mai validi o invalidi, veri o falsi, la loro presenza è un dato di fatto che è assurdo negare, al di là dei giudizi circa la corrispondenza di tali concetti con realtà effettivamente esistenti.
Si tratta, secondo me, di valutare le conseguenze del restare al di qua di quella corrispondenza, per indagarne il fondamento: l'eternità è un concetto, come la caducità, ma potrebbe essere un concetto non applicabile a "realtà effettivamente esistenti", risultando un insieme vuoto (a differenza di quanto possiamo dire per la caducità).
Nel momento in cui decidiamo di servirci di un concetto, magari per orientarci nell'esistenza, mi pare cruciale stabilire il suo rapporto con l'esistenza stessa... per fare un esempio (banale, come mio solito), se "impugniamo" il concetto di perfezione quando andiamo alla ricerca di una partner, forse conviene sapere che, plausibilmente, la partner "perfetta" non è, come da definizione, quella "priva di difetti" (altrimenti siamo condannati a restare single a vita), ma quella che ha delle imperfezioni che, ai nostri occhi, non pregiudicano un rapporto "speciale".
La mia perplessità era sul presupposto implicito (se non ti ho frainteso) che ai concetti in questione (eternità, perfezione, etc.) debba corrispondere anche un'esistenza non concettuale; detto altrimenti, perché non potrebbero esserci concetti solo teoretici (come ad esempio il nulla)? Se ammettiamo che ci siano idee/concetti che denotano un insieme reale vuoto, cosa ci spinge a "salvare" la trascendenza (pur rispettando la sua storia e il suo influsso sull'umanità) dall'essere un concetto senza relazioni "ontologiche" con il reale?
Mi risponderai (azzardo un'ipotesi!) perché la trascendenza non è un insieme vuoto, poiché è la trascendenza divina che ci fornisce il concetto di trascendenza... ma, chiedo, possiamo indagare davvero la trascendenza se la congetturiamo come auto-giustificante?
Citazione di: davintro il 14 Agosto 2017, 20:26:56 PML'essere categoria immanente e l'essere oggetto di una conoscenza perfetta e piena, non mi convince molto come legame: pensiamo ai "misteri" della genetica e delle neuroscienze, oppure alle categorie estetiche o politiche, etc. sono "strutturalmente immanenti all'uomo", ma sostenere che l'uomo ne abbia per questo una conoscenza piena e perfetta, suona forse troppo ottimistico...
Se le categorie della trascendenza fossero non solo innate ma anche strutturalmente immanenti l'uomo credo che quest'ultimo potrebbe averne un sapere perfetto e pieno, in quanto lui stesso sarebbe il soggetto produttore di tali idee in modo autosufficiente.
Citazione di: davintro il 14 Agosto 2017, 20:26:56 PML'uomo dovrebbe dunque essere misura di ciò che pensa, ma lo è in base alla sua contingente immanenza, o in base alle sue capacità mentali, che valicano spesso i limiti delle sue possibilità "carnali" (come dimostra la fantasia, che è spesso ancella della ragione quando questa si incaglia in interpretazioni troppo ostiche...)?
Queste idee invece pur presenti in noi restano nascoste da un velo di opacità che mi fa pensare che la ragione di tale presenza nell'uomo non sia l'uomo stesso (altrimenti ci sarebbe proporzione e corrispondenza piena tra soggetto pensante e idee pensate)
Credo che il discrimine sia fra l'"opacità" (la visione non chiara) e la mancata corrispondenza con la realtà (l'insieme vuoto di cui sopra): non riusciamo a esperire la "perfezione" perché è di un livello che ci eccede, oppure perché è solo un concetto-limite che, in quanto tale, delimita il pensiero ma non può essere esperito?
Rifiutando l'ipotesi (che personalmente appoggio) secondo cui tali concetti vengono creati cognitivamente per negazione (perfetto = non-imperfetto) o estremizzazione del "grado" ("perfetto" è maggiore di "meglio") di ciò che esperiamo come vissuto; riconoscendo (e qui sono d'accordo) che questi concetti non fanno necessariamente parte della struttura immanente dell'uomo, almeno fino a prova contraria (e, se anche ne facessero parte, non è scontato che potremmo conoscerli adeguatamente); supponendo inoltre che non siano concetti introiettati per assimilazione/acculturazione nei primi anni di vita (altra "vittima sacrificale" per restare nel tuo orizzonte), allora si può propendere a pensare che ci sia "qualcuno/qualcosa" che ce li abbia instillati, bisbigliandoli all'orecchio interiore della nostra anima.
Tali concetti sarebbero indicazione, o meglio, suggerimento di un'ulteriorità, non biecamente "orizzontale", che mal si presta a essere incanalata nel linguaggio umano; un'ulteriorità che potrebbe lecitamente consistere nel denominatore comune di tutte le esperienze mistiche. Tuttavia, come concludere repentinamente che si tratti di
Citazione di: davintro il 14 Agosto 2017, 20:26:56 PMovvero perché questo "qualcosa" dovrebbe essere simile ad una mente umana, ma solo in grado di pensare e "comunicare" categorie che la mente umana non coglie, se non per "grazia ricevuta"?
una mente che può "produrre" da sé quei concetti essendo pienamente adeguata ad essi, cioè una mente divina, a sua volta eterna e perfetta come le idee di eternità e perfezione che comunica in noi
L'arbitrarietà di questo epilogo antropocentrico (quasi antropomorfico!) della ricerca, porterebbe effettivamente a pensare ad una sorta di "proiezione" (come da titolo del topic).
Questo esito trascendentale (a cui si approda dopo aver scartato processi cognitivi, strutture genetiche e dinamiche sociali) ha senso solo se si presuppone che l'uomo sia una stirpe "eletta" di cui questa trascendenza si cura, si fa carico (escludendo di essere un "giocattolo divino", oppure soltanto dei "conviventi inferiori", come era con dèi e uomini "fianco a fianco" nella mitologia greca...). Eppure, se questo è il presupposto, allora la ricerca ha già da subito una risposta inibitoria: la trascendenza, la perfezione, l'eternità, etc. esistono in quanto attributi divini e all'uomo non resta che sfiorarli concettualmente restandone abbagliato.
Rimane da chiarire se la trascendenza della divinità sia il tacito presupposto, il punto di partenza (esiste per certo una divinità, con determinati attributi, che si relaziona all'uomo anche donandogli tali categorie mentali), oppure sia il risultato, il punto di arrivo (solo una divinità può averci offerto quei concetti, quindi una divinità "deve" esistere). Il peso culturale del concetto di divinità, il modo stesso in cui utilizziamo e "carichiamo" tale concetto, credo svolga comunque un ruolo rilevante nel distinguere il presupposto dal risultato... se ci concediamo che la trascendenza non sia un mero concetto vuoto (solo mentale), se la "sostanzializziamo", allora essa giustifica l'esistenza di una divinità, che a sua volta spiega il concetto di trascendenza (come impronta del divino nell'animo umano). Il meccanismo circolare pare funzionare.
Le altre ipotesi (astrazione, negazione concettuale, introiezione culturale, etc.) sarebbero a questo punto dovute alla fallibilità interpretativa dell'intelletto umano, impossibilitato a ragionare con i concetti alla soglia della "trascendenza verticale", raggiungibile solo abbandonando le categorie del sensibile per fare spazio alla "sproporzione" dell'evento mistico.
P.s.
Spero di esser stato un adeguato "esegeta", per quanto critico, del tuo punto di vista.
P.p.s.
Mi scuso per l'overdose di domande e per la prolissità del post (dividerlo in due sarebbe stato solo un espediente grafico, non so quanto funzionale...).

; ci sono due elementi da combinare:
).
) se essa ne facesse semplicemente, immanentemente parte come "sistema operativo" attivato dalle esperienze (seppur "localizzato" e "programmato" secondo modalità che ancora, credo, non sono chiare ai famigerati "addetti ai lavori").