a Phil
Il campo della AI è il campo in cui ha "realmente e concretamente" senso parlare di ontologia, in quanti poi si tratta di implementare in un codice macchina questa ontologia; incarnarla.
Mi spiego : se all' interno di un sistema di tubature vogliamo inserire un "sensore mobile", quindi un emittente (il robot, oggetto di poche decine di decimetri quadrati) che segnali una immissione nel circuito di un qualche componente nocivo (diciamo tre), trasmettendo al ricevente, sia il componente immesso, sia la locazione dove l' immissione avviene, abbiamo bisogno di "qualcosa" che dica al robot "cosa è" un componente nocivo; lo specificheremo esattamente ed inequivocabilmente attraverso un codice che implementeremo fisicamente sul robot.
Sensore-odore-bip.
A questo stadio di implementazione logica -accessibile al fai da te casalingo, come complessità di codice- il robot ha un "livello ontologico" che contempla tre "cose", di cui ha totale ed assoluta conoscenza e di cui può riferire, nei limiti che gli sono stati imposti; indubitabilmente ed inequivocabilimente, saprà riconoscere i tre componenti nocivi e saprà come relazionarsi ad essi.
Il problema della AI non è quindi spedire robottini di pochi decimetri quadrati in giro per l'universo a fare certe "cose" e instaurare certe "relazioni" con "oggetti"; esistono già "creature" ad ontologia limitata, ovvero in grado di trasmettere informazioni sulla base di un codice, che interpretano "sezioni" di "ambiente" sulla base di precise, determinate e ridicolmente primitive "ontologie".
Per farla breve, la ricerca della AI non è altro che la ricerca della "ontologia perfetta", che riesca a fornire al "robot" le basi che gli possano far decidere "le differenze" tra un masso oblungo di medie dimensioni, una statua, un quadro di una statua, ed un uomo che si è addormentato su una panchina invece che un manichino appoggiato su una panchina.
Quanto sia "immensa" -c'è chi dice insensata, e non sono pochi- questa ipotesi di lavoro risulta evidente dallo stato dell'arte della AI, nonostante i prodigi inconcepibili delle reti neurali, ma quello è intelletto, non è mente e non è ontologia.
Fornire ad un "robot" una "ontologia" è il sacro graal delle ricerche sulla AI; senza ontologia, diventa impossibile solamente parlare di funzioni visive, anche relative ad un semplice sistema ottico implementato su un "oggetto statico".
La AI riflette sulla filosofia il suo problema che a sua volta è quello della filosofia e che consiste:
intorno ad un tavolo con dieci fisici nucleari (uno per quantistica), quattro filosofi, due rabbini, sei gesuiti, due biologi, Foucalt e Lacan, ci si aspetterebbe che esca una definizione esatta -codificabile- di cosa sia una mela. Questo non è ancora successo.
Una volta che gli informatici (persone di una concretezza imbarazzante) abbiano una esatta definizione di "cosa sia" una mela, che possa quindi essere implementata su una "cosa" che abbia, indipendentemente da una volontà esterna, delle "relazioni con una mela", allora più nessuno al mondo avrà bisogno di avere a che fare con le mele e se questo vi sembra ridicolo in effetti sembra così, ed anche a qualche informatico, ma campandoci, ben si guardano da sfiorare l'argomento; attitudine che pare abbiano immediatamente assorbito dai filosofi, risultando questa l'immediata risultanza degli studi interdisciplinari.
La ricerca sulla AI riflette gli stessi identici problemi della filosofia: nessuno sa precisamente definire (e quindi trasferire in codice) cosa sia "precisamente" una mela.
Nessuno per ora è in grado di fornire una "ontologia perfetta" della mela.
Al contrario, ognuno di noi, anche gli assenti, ha una precisa cognizione di cosa sia una mela e con essa si relaziona, ontologicamente consapevole, eppure non codificabile ne riducibile.
Il campo della AI è il campo in cui ha "realmente e concretamente" senso parlare di ontologia, in quanti poi si tratta di implementare in un codice macchina questa ontologia; incarnarla.
Mi spiego : se all' interno di un sistema di tubature vogliamo inserire un "sensore mobile", quindi un emittente (il robot, oggetto di poche decine di decimetri quadrati) che segnali una immissione nel circuito di un qualche componente nocivo (diciamo tre), trasmettendo al ricevente, sia il componente immesso, sia la locazione dove l' immissione avviene, abbiamo bisogno di "qualcosa" che dica al robot "cosa è" un componente nocivo; lo specificheremo esattamente ed inequivocabilmente attraverso un codice che implementeremo fisicamente sul robot.
Sensore-odore-bip.
A questo stadio di implementazione logica -accessibile al fai da te casalingo, come complessità di codice- il robot ha un "livello ontologico" che contempla tre "cose", di cui ha totale ed assoluta conoscenza e di cui può riferire, nei limiti che gli sono stati imposti; indubitabilmente ed inequivocabilimente, saprà riconoscere i tre componenti nocivi e saprà come relazionarsi ad essi.
Il problema della AI non è quindi spedire robottini di pochi decimetri quadrati in giro per l'universo a fare certe "cose" e instaurare certe "relazioni" con "oggetti"; esistono già "creature" ad ontologia limitata, ovvero in grado di trasmettere informazioni sulla base di un codice, che interpretano "sezioni" di "ambiente" sulla base di precise, determinate e ridicolmente primitive "ontologie".
Per farla breve, la ricerca della AI non è altro che la ricerca della "ontologia perfetta", che riesca a fornire al "robot" le basi che gli possano far decidere "le differenze" tra un masso oblungo di medie dimensioni, una statua, un quadro di una statua, ed un uomo che si è addormentato su una panchina invece che un manichino appoggiato su una panchina.
Quanto sia "immensa" -c'è chi dice insensata, e non sono pochi- questa ipotesi di lavoro risulta evidente dallo stato dell'arte della AI, nonostante i prodigi inconcepibili delle reti neurali, ma quello è intelletto, non è mente e non è ontologia.
Fornire ad un "robot" una "ontologia" è il sacro graal delle ricerche sulla AI; senza ontologia, diventa impossibile solamente parlare di funzioni visive, anche relative ad un semplice sistema ottico implementato su un "oggetto statico".
La AI riflette sulla filosofia il suo problema che a sua volta è quello della filosofia e che consiste:
intorno ad un tavolo con dieci fisici nucleari (uno per quantistica), quattro filosofi, due rabbini, sei gesuiti, due biologi, Foucalt e Lacan, ci si aspetterebbe che esca una definizione esatta -codificabile- di cosa sia una mela. Questo non è ancora successo.
Una volta che gli informatici (persone di una concretezza imbarazzante) abbiano una esatta definizione di "cosa sia" una mela, che possa quindi essere implementata su una "cosa" che abbia, indipendentemente da una volontà esterna, delle "relazioni con una mela", allora più nessuno al mondo avrà bisogno di avere a che fare con le mele e se questo vi sembra ridicolo in effetti sembra così, ed anche a qualche informatico, ma campandoci, ben si guardano da sfiorare l'argomento; attitudine che pare abbiano immediatamente assorbito dai filosofi, risultando questa l'immediata risultanza degli studi interdisciplinari.
La ricerca sulla AI riflette gli stessi identici problemi della filosofia: nessuno sa precisamente definire (e quindi trasferire in codice) cosa sia "precisamente" una mela.
Nessuno per ora è in grado di fornire una "ontologia perfetta" della mela.
Al contrario, ognuno di noi, anche gli assenti, ha una precisa cognizione di cosa sia una mela e con essa si relaziona, ontologicamente consapevole, eppure non codificabile ne riducibile.