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Messaggi - odradek

#211
a Phil
 
Il campo della AI è il campo in cui ha "realmente e concretamente" senso parlare di ontologia, in quanti poi si tratta di implementare in un codice macchina questa ontologia; incarnarla.
 
Mi spiego : se all' interno di un sistema di tubature vogliamo inserire un "sensore mobile", quindi un emittente (il robot,  oggetto di poche decine di decimetri quadrati) che segnali una immissione nel circuito di un qualche componente nocivo (diciamo tre), trasmettendo al ricevente, sia il componente immesso, sia la locazione dove l' immissione avviene, abbiamo bisogno di "qualcosa" che dica al robot "cosa è" un componente nocivo; lo specificheremo esattamente ed inequivocabilmente attraverso un codice che implementeremo fisicamente sul robot.
Sensore-odore-bip.
A questo stadio di implementazione logica -accessibile al fai da te casalingo, come complessità di codice- il robot ha un "livello ontologico" che contempla tre "cose", di cui ha totale ed assoluta conoscenza e di cui può riferire, nei limiti che gli sono stati imposti; indubitabilmente ed inequivocabilimente, saprà riconoscere i tre componenti nocivi e saprà come relazionarsi ad essi.


Il problema della AI non è quindi spedire robottini di pochi decimetri quadrati in giro per l'universo a fare certe "cose" e instaurare certe "relazioni" con "oggetti"; esistono già "creature" ad ontologia limitata, ovvero in grado di trasmettere informazioni sulla base di un codice, che interpretano "sezioni" di "ambiente" sulla base di precise, determinate e ridicolmente primitive "ontologie".

Per farla breve, la ricerca della AI non è altro che la ricerca della "ontologia perfetta", che riesca a fornire al "robot" le basi che gli possano far decidere "le differenze" tra un masso oblungo di medie dimensioni, una statua, un quadro di una statua, ed un uomo che si è addormentato su una panchina invece che un manichino appoggiato su una panchina.
Quanto sia "immensa" -c'è chi dice insensata, e non sono pochi- questa ipotesi di lavoro risulta evidente dallo stato dell'arte della AI, nonostante i prodigi inconcepibili delle reti neurali, ma quello è intelletto, non è mente e non è ontologia.
 
Fornire ad un "robot" una "ontologia" è il sacro graal delle ricerche sulla AI; senza ontologia, diventa impossibile  solamente parlare di funzioni visive, anche relative ad un semplice sistema ottico implementato su un "oggetto statico".
La AI riflette sulla filosofia il suo problema che a sua volta è quello della filosofia e che consiste:
 
intorno ad un tavolo con dieci fisici nucleari (uno per quantistica), quattro filosofi, due rabbini, sei gesuiti, due biologi, Foucalt e Lacan, ci si aspetterebbe che esca una definizione esatta -codificabile- di cosa sia una mela. Questo non è ancora successo.
 
Una volta che gli informatici (persone di una concretezza imbarazzante) abbiano una esatta definizione di "cosa sia" una mela, che possa quindi essere implementata su una "cosa" che abbia, indipendentemente da una volontà esterna, delle "relazioni con una mela", allora più nessuno al mondo avrà bisogno di avere a che fare con le mele e se questo vi sembra ridicolo in effetti sembra così, ed anche a qualche informatico, ma campandoci, ben si guardano da sfiorare l'argomento; attitudine che pare abbiano immediatamente assorbito dai filosofi, risultando questa l'immediata risultanza degli studi interdisciplinari.
La ricerca sulla AI riflette gli stessi identici problemi della filosofia: nessuno sa precisamente definire (e quindi trasferire in codice) cosa sia "precisamente" una mela.
Nessuno per ora è in grado di fornire una "ontologia perfetta" della mela.

Al contrario, ognuno di noi, anche gli assenti, ha una precisa cognizione di cosa sia una mela e con essa si relaziona, ontologicamente consapevole, eppure non codificabile ne riducibile.
#212
a davintro.

Gli universali esistono, stia pure saldo e sereno nelle sue convinzioni.
Un esempio banale; per la scelta dell'esempio da proporre, siccome siamo persone "vecchie" e superate, non andremo a cercare tra le "questioni" di moda al momento, ma ci limiteremo al campo della cognizione ovviamente correlato alla semantica. Entrambe presentano aspetti specifici o legati al linguaggio (più o meno complesso), o legati alla cultura (più o meno tecnicizzata).
Volendo trasferire concetti da un linguaggio all'altro (non informazioni che per quello ci sono i codici) abbiamo bisogno di una base (\nucleo\grumo-germinante) di concetti universali ( nel senso che valgono sulla terra, non su betacygni14, o forse chissà) che occorre definire, e in semantica vengono definiti concetti universali; valgono per me, per lei e per i primitivi.
Si giunge così al metalinguaggio semantico naturale (nsm in inglese), perfetto esempio di universale utilizzato nella pratica filosofica accademica.  Esistono anche i finti universali come la politica ed i falsi universali come l'inconscio della vulgata psicoanalitica; come vede se ne ha in abbondanza.

Per quanto riguarda la modernità così "assillante" ptrei dirle che per me l'esistenzialismo è stata una delle peggiori iatture capitate alla pratica filosofica, perchè, dall'esistenzialismo in poi, nel comune sentire, è venuta in qualche modo radicandosi la convinzione che la filosofia-metafisica, potesse essere di qualche aiuto a lenire, quando non addirittura a risolvere, i problemi delle persone; qualcosa che riguardasse lo "star bene" -cosa questa oltremodo curiosa perchè di filosofi che "stessero bene" si son avute rare notizie e tra gli esistenzialisti sopratutto- e che nulla ha a che fare con il "bene" che i greci intendevano discendesse da una corretta pratica filosofica;  confondendolo invece (esistono anche i piani di slittamento, una faccenda quasi geologica, di stratificazione) con il "bene" che lenisse o guarisse i mal-esseri dell'alienazione sociale.

La seconda fase "demolitrice" si è abbattuta sulla filosofia con lo strutturalismo, poi il 68 francese, non bastando quello la disillusione del 68, poi il modernismo e poi il post-modernismo; sincronicamente "esplodono" i media, nuovi canali di informazione scavano nuovi strade nel corpo sociale, nuove energie si liberano, e diffondono della "filosofia", acriticamente, quello che l'utenza dimostra di gradire maggiormente.
Tutto quello che di buono è stato prodotto negli ultimi cinquant'anni di filosofia ti viene oscenamente strombazzato (ovviamente nelle sue più deformi e distorte "interpretazioni" di singole frasi estratte da costruzioni complesse) via forum, radio\tv\riviste\discorsi, andando a formare quella filosofia "fai da te" che viene rimpallata da un campo polarizzato all' altro.
Contemporaneamente tutto quello che di buono è stato compiuto dal medio-evo in poi diventa ciarpame per collezionisti di conchiglie.
 
Questa non è però la realtà; gli studi ontologici godono ottima salute e dal duemila in poi solo in Italia sono stati pubblicati non meno di cinquanta libri dedicati all'ontologia, di cui solo un paio traduzioni; si tengono convegni, e la filosofia come la intende lei non è affatto morta, anche se effettivamente non è che sia poi così popolare al di fuori dei circuiti accademici, ma a questo lor signori sono ormai abituati.
Per quanto riguarda lo stato dell'arte, datosi che in fin dei conti quella era la domanda, questi due link dovrebbero grosso modo rappresentare il punto in cui gli addetti ai lavori pensano di essere giunti.

https://www.ontology.co/
https://journals.openedition.org/estetica/index.html  .

Esiste un prezzo da pagare però; gli studi ontologici non consentono la presa sul reale, non riusciranno mai a dar conto delle trasformazioni sociali, ma potranno solo coglierne i riflessi provenienti dai roghi che scatenano. Non è possibile seguire la corrente ontologica degli studi filosofici e contemporaneamente seguire gli studi ( a proliferazione batterica ) di filosofia sociale.  Troppo tempo, troppi libri e troppo studio, bisogna scegliere.
#213
a Phil

citazione : "Non è sogno, piuttosto divertissement (à la Pascal); d'altronde la cultura e il linguaggio sono forse gli unici "giochi di società" in cui le regole possono venir cambiate dai giocatori stessi nel corso della propria partita; è forse proprio tale instabilità che spinge alcuni (ma non tutti) ad anelare a una (pre)supposta "regola aurea" che stabilizzi il gioco, rendendolo meno problematico e più automatico.
In fondo non dovrebbe stupire più di tanto che in questo "gioco" ci siano sofferenza, conflitto, soddisfazione, asimmetria, collaborazione, etc. i giocatori fanno le regole (e il gioco) inevitabilmente secondo la loro natura (che logicamente non può essere scelta, essendo un a priori della soggettività)."

Affermazioni che a prima vista sembrano messe lì, tra l'etereo ed il sofisticato (ed ovviamente lo sono anche), ma che invece restituiscono anni di studio e riflessione.
Dar conto di ogni singola frase del post significherebbe riaprire, ridiscutere e quindi riformulare tutto ciò che è stato "pensato", a partire da A=A.

citazione : Rilancio: l'ermeneutica in che orizzonte "serve"?
«Fate il vostro gioco...».
il gettare lo sguardo sull'aporia serve per avere una coordinata-limite (così com'è "autoconservativo" non indugiarvi troppo), altrimenti si finisce ipnotizzati dal regresso ad infinitum della ragione e dei suoi "perchè?", da cui solo una «metafisica 1.0» (con il suo assoluto originario da postulare, la sua "matrix") può consentire di distogliere lo sguardo, per poterlo poi rivolgere al "nostro giardino da coltivare" (Voltaire) prima che vada in malora, "espropriato" dalla Natura."

E' un rilancio fatto con la certezza del punto vincente. L'ermeneutica è "tutto", il giardino è "tutto".
"Gettare lo sguardo", connesso a "coordinata-limite", è un buon inizio per innescare il lento processo (ma potrebbe anche essere un intuizione e non un "processo", una fuga in avanti, fortunata o benedetta) nel quale l'aporia possa diventare una delle tante traiettorie che intersecano il piano di esistenza (altre parole sarebbero maggiormente precise ma come giustamente premesso "propedeuticamente", stiamo solo gettando lo sguardo), ed il regressum ad infinitum della ragione (anello uroborico auto-generativo, quindi auto-limitativo; anello uroborico come membrana lipidica del nostro "io") diventerà solo un piccolo ingranaggio ormai inutile, dismesso dal pensiero come limite ormai superato.
E' un compito difficilissimo, la natura è ciclica, il pensiero no.
#214
A davintro;

Ho letto con interesse quello che lei ha scritto, in quanto all'interno di una piacevole esposizione, ha mantenuto un filo logico costante, che ha permesso di seguire il discorso attraverso tutte le argomentazioni in cui ha voluto articolarlo. Ho preso ( e ne ho assunto anche da parte sua ) l'accezione di religione e religiosità non nel senso di "religio", ma nel senso che include grossolanamente le "tematiche spirituali" e la questione dell'esistenza o no di Dio.
 
Di alcuni passaggi non sono però riuscito a rendermi conto e vorrei capire dove ho mancato di comprendere.
Le cito i passi in cui non sono riuscito a chiarirmi la sua posizione, a cui seguono le ragioni per cui non son riuscito a farlo. Lei afferma che:

 "Il Dio che la metafisica prende in considerazione non è indagato nelle stesse proprietà in cui lo si considera per fede."

Non comprendo se, nella sua concezione, la metafisica  "prende in considerazione" il concetto di Dio per affermarlo, per demolirlo o per indagarlo. 
Se lo prende in considerazione per affermarlo ne assume l'esistenza.
Se lo prende in considerazione per demolirlo ne assume la non esistenza.
Da un punto di vista metafisico quindi si potrebbe solo discutere della esistenza di Dio e di come esso si manifesti nel
uomo, nella natura, nel mondo, e nell'universo.
 
Poi dice ancora :
"Che in moltissimi casi a occuparsi esplicitamente di metafisica siano stanti credenti, uomini di chiesa appartenenti a una certa confessione religiosa non implica la necessaria identificazione tra argomentazione filosofica e adesione fideista alle stesse verità che si argomentavano,"

La frase sostiene che argomentavano delle verità.
Quindi non discutevano, argomentavano verità. E questa è la teologia aristotelica. Argomentare "verità" non è filosofia; discutere verità è filosofia, e discutere "verità" concettuali è metafisica; quando appunto ci si ritrova a dover argomentare verità date per fede, qualunque sia, si fa la peggior metafisica concepibile, o la miglior poesia concepibile.

In seguito dice :
"Non tenendo conto di questa fondamentale distinzione, il metafisico viene confuso con una sorta di apologeta che subordina la razionalità all'assunzione aprioristica del compito di supportare le verità di fede, e per questo viene attaccato con argomenti simili a quelli con cui la retorica anticlericale, non sempre a torto, inveisce contro la religione e le chiese: oscurantista, retrogrado, nemico delle scienze e delle tecniche ecc."

Esattamente è quello che succede quando il metafisico argomenta delle verità che ritiene eterne, universali, divine.
Non si possono opporre altri argomenti (a livello amatoriale) che la retorica anticlericale (o qualcosa di analogo)laddove esistono "verità" che debbano essere solo argomentate e non discusse. 

citazione: "L'illuminismo è un perfetto esempio: il deismo, la credenza riguardo l'esistenza di un Dio entro i limiti della pura ragione, è a tutti gli effetti una posizione metafisica che si è sviluppata proprio all'interno di un filone culturale caratterizzato proprio dalla critica, anche violenta, verso le religione rivelate, le chiese..."

Il deismo non "determina" o "dimostra" l'esistenza di Dio, semplicemente ammette l'esistenza di un essere supremo; il deismo era il tentativo di far cessare le guerre di religione che ponevano ostacoli quasi impossibili allo sviluppo commerciale.Il deismo significava : lasciateci commerciare in pace, Dio esiste, esiste una legge universale (che provvederemo a codificare nel corso dei decenni che verranno, cementificando così il Dio che prevarrà -calvinista o cattolico- ed il nostro commercio),cerchiamo di rispettarci uno con l'altro (stabilire contratti commerciali, missioni, e centri di raccolta, umana e materiale) perchè gli eserciti mercenari costano un occhio della testa e quando non vengono pagati devastano le città.
Il deismo consisteva in questo. Non era una posizione filosofica, era "per pietà smettetela con questi massacri in europa (leggasi guerra dei trent'anni) quando fuori dalle nostre nazioni c'è tutto un mondo da massacrare che in confronto a quel che faremo noi, spagnoli e portoghesi saranno considerati touring gentlemen ".

E infine :
" Questo mostra quanto sia impropria la sovrapposizione degli argomenti polemici nel conflitto religione-scienza alla valutazione della metafisica. Questo errore non sempre è esplicitato da chi lo commette, eppure a mio avviso, è presente più di quanto si possa pensare "

Si, è assolutamente impropria qualsiasi sovrapposizione.
Questa è pero la frase che son riuscito meno a comprendere e sicuramente devo aver male interpretato.
Lei parla di conflitto religione-scienza. Non riesco a vedere i termini del conflitto, o almeno riesco a intravederli nel senso in cui le conclusioni della scienza (ma più spesso quelle dello scientismo, che oppone fideismo a fideismo) possano confliggere o minare le assunzioni religiose, ma è un problema di religiosi e scientisti, non riguarda la metafisica.

La scienza segue il suo corso e avendo la teknè come addetta marketing, accoppiate, risultano nefastamente dotate di una "potenza" ed una "portata", che possiamo equiparare a quella di Giove ed Atena nei tempi omerici.
All'interno della stessa frase poi trasferisce questo conflitto sulla metafisica.
Così facendo lei impone un compito alla metafisica che risulta gravato, e viziato in partenza, dal conflitto religione-scienza e ne demanda ad essa la risoluzione.
A questo punto ci si ritrova al punto di partenza e la metafisica rimane bloccata nell'impasse religione-scienza, inconciliabili per definizione.

Sono queste le considerazionio che volevo sottoporre alla sua attenzione.
Mi chiedevo anche (ma questa è solo una curiosità) come mai invece che il deismo degli illuministi a lei non sia venuto in mente Spinoza come esempio di metafisica riguardo alla questione di Dio;  poi mi son reso conto di come in effetti Spinoza abbia risolto, metafisicamente, la esistenza di Dio e quindi avremmo già una risposta, mentre invece lei giustamente ritiene ancora aperta la questione della esistenza di Dio e che debba essere affrontata senza confondere fede e razionalità all'interno del logos.