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Messaggi - giopap

#211
Scienza e Tecnologia / Re:Inflazione cosmica
01 Maggio 2020, 17:04:50 PM
Caro bobmax, senza troppe pretese di convincerti dal momento che non si possono razionalmente confutare credenze irrazionali ma al massimo se ne può evidenziale l' assurdità, l' essere autocontradddittorie, insensate, soprattutto allo scopo di una reciproca migliore comprensione nei limiti del possibile, espongo pignolescamente i miei notevolissimi dissensi.

bobmax:
Sì, Giopap, in effetti ho esagerato parlando di "contraddizione" in Parmenide e in Eraclito...
Perché seguendo il loro pensiero non si tratta proprio di andare "contro" il principio di non contraddizione, ma di andarvi "oltre".

Leggendo Il Parmenide di Platone, possiamo secondo me seguire il pensiero logico che giunge al proprio limite. Dove il pensiero stesso cessa, e non vi è più contraddizione possibile, nessuna negazione possibile, e quindi alcuna determinazione.

giopap:
E nemmeno alcuna affermazione possibile.



bobmax:
Il poeta Platone, e gli autentici poeti sono senz'altro dei massimi logici, ci conduce al cospetto dell'Uno. Almeno sino a limite del logicamente possibile. E lo fa con una lucidità ammirevole.

giopap:
Secondo me i poeti raramente sono logici eccellenti, nel fare poesia, potendone in molti casi farne a meno almeno in qualche misura; anche se in teoria nulla vieta che lo siano.



bobmax:
Occorre riuscire a vedere l'impossibilità del molteplice. E cioè la sua intrinseca contraddittorietà. Proprio attraverso lo stesso principio di identità!, facendolo giungere al dissolvimento.

giopap:
Questo più che Platone mi sembra Parmenide.
Il quale scrisse in versi la sua opera maggiore, purtroppo quasi interamente perduta, facendo un uso propriamente mnemonico della scrittura in versi stessa che é proprio del genere "didascalico" anticamente molto diffuso probabilmente anche per ovviare alla difficoltà di produrre molteplici stesure scritte di opere scientifiche o filosofiche in assenza della tecnica della stampa; un esempio sublime ne é il De rerum natura di Lucrezio, "del tutto casualmente" (non era per niente inevitabile che lo fosse) anche di elevatissimo, inestimabile valore estetico (poetico nel senso in cui si intende anche oggi la poesia), oltre che scientifico o meglio filosofico; esteticamente buone, anche se non a tale livello né a quello dell' Eneide, sono le Georgiche e le Bucoliche di Virgilio, nelle quali si insegnava l' agricoltura e la pastorizia (ma la stessa Eneide aveva un intento didascalico, di esposizione storica, per quanto encomiasticamente, propagandisticamente assai distorto, ideologicamente celebrativo, nel modo, assai poco critico e scientifico, nel quale la storiografia era allora concepita).



bobmax:
Il molteplice riguarda sia l'essere sia il divenire. Fisicamente la determinazione, quindi la scissione, è sia spaziale sia temporale. Ma è un atto arbitrario, anche se indispensabile, per la nostra comprensione del mondo.  Parmenide con il suo "l'essere è il non essere non è" negava che ciò che è, potesse non essere. Ossia negava il divenire: nessuna cosa diviene. Mentre Eraclito con il suo "Non  ci si può bagnare due volte nello stesso fiume" negava che vi fosse qualcosa che permanesse.  Ma la sostanza del messaggio è la stessa: Non vi è nessuna cosa!

giopap:
Al contrario!
A me par proprio che entrambi affermassero che vi é qualcosa; più veracemente descrivendo il "qualcosa reale" nella sua complessità, nei suoi aspetti più generali astratti Eraclito, molto più falsamente Parmenide; come empiricamente constatabile a posteriori.



bobmax:
Emanuele Severino, buon'anima, ha molto approfondito Parmenide. Ma è rimasto ancorato a quel "essere è, il non essere non è".
Secondo lui, e pure secondo me, la fede nel divenire è all'origine del nichilismo. Una fede erronea, a suo e mio parere, perché niente in realtà diviene. Negava perciò il divenire, e così si è inventato gli "eterni"...

giopap:
Queste mi paiono proprio tesi empiricamente falsificate al di là di ogni ragionevole dubbio.

Il nichilismo non é affatto professato da una moltitudine di credenti nel divenire naturale (credenti correttamente, veracemente; al contrario di Parmenide e di Severino).

La falsità delle tesi dei due fissisti, antico e moderno, é empiricamente provata, anche se pretende di fondarsi su un paralogismo, su un logicamente scorrettissimo e falsissimo giudizio analitico a priori, banalissimo, direi anzi penoso (alla faccia della presunzione dei suddetti personaggi e del largo seguito di cui godono fra i "professori di filosofia"; che é concetto ben diverso da quello di "filosofi"); precisamente su una petizione di principio per la quale il demostrandum (l' incompatibilità del mutamento e dunque del tempo con la realtà, con ciò che é realmente, l' "essere") é implicitamente assunto come demostratum, ciò che si deve provare essere vero é scorrettamente usato come prova della verità di se stesso.



bobmax:
Evitando però così affrontare il secondo corno della questione: l'essere molteplice.  Ho avuto modo di confrontarmi più volte con lui. Perché non vi è solo la fede nel divenire, ma pure quella nel molteplice a dar linfa al nichilismo. Comunque non si è schiodato, restando fermo, nonostante i tanti saggi che ha scritto, a quanto detto in Essenza del nichilismo 50 anni fa.

giopap:
Il divenire del reale non lo si crede per fede (credo che di fatto nessuno l' abbia mai fatto, anche se sarebbe teoricamente possibile; ma del tutto irrilevante).

Idem per quanto riguarda la molteplicità del reale.

Entrambi fatti reali li si constata empiricamente.

Nè l' uno né l' altra portano alcuna acqua al mulino del nichilismo, o linfa al nichilismo stesso.
Tant' é vero che vi sono tantissimi sostenitori della valenza etica dell' agire umano (e forse in qualche misura non solo) che, come la stragrande maggioranza delle persone di buonsenso, credono nel divenire e nella molteplicità del reale.

Almeno il buon vecchio Parmenide ci risparmiava quest' ulteriore assurdissima pretesa...



bobmax:
Zenone non è banale come si potrebbe pensare ad un primo acchito. Neppure la fisica degli infinitesimi riesce a risolvere il paradosso.
Paradosso che è tutto racchiuso nella inconciliabilità di finito con infinto. Tutti e due sono necessari, ma insieme si contraddicono a vicenda.  Zenone non negava l'evento "freccia che raggiunge il bersaglio", ci mancherebbe altro. Negava che la freccia, considerata distinta dal tutto il resto, cioè "finita" potesse davvero muoversi. E' il qualcosa, distinto da tutto il resto, che Zenone negava.  Il problema, cara Giopap, è proprio il qualcosa...

giopap:
Penso di aver brillantemente confutato il pur non banale Zenone nell' intervento precedente.

Che una freccia che non si muove dall' arco sito in un luogo distante da quello del bersaglio (entrambi ovviamente finiti e distinti da tutto il resto) possa raggiungere il bersaglio medesimo mi sembra un paralogismo dei più sgangheratamente contraddittori ed assurdi (oltre che la negazione dei fatti empiricamente verificabilissimi sinteticamente a posteriori).
#212
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
01 Maggio 2020, 16:00:50 PM
Citazione di: giopap il 30 Aprile 2020, 09:30:18 AM
Citazione di: davintro il 29 Aprile 2020, 19:05:38 PM

c'è un implicazione logica necessaria tra illusorietà dei fenomeni e posizione di una realtà extrafenomenica, ma non nel senso che quest'ultima sia un pregiudizio arbitrario già contenuta nel riconoscimento della possibile illusorietà dei fenomeni, condizione che porterebbe a un circolo vizioso, ma nel senso, se si vuole, inverso, che è la possibile illusorietà dei fenomeni la base da cui dedurre l'esistenza della realtà extrafenomenica, in quanto se i fenomeni fossero l'unica realtà possibile, sarebbe impossibile concepire torti e ragioni, dato che non esisterebbe nessun criterio oggettivo in base a cui giudicare un'opinione corretta o scorretta, e dunque la stessa opinione per la quale non esiste alcuna realtà extrafenomenica, cioè extrasoggettiva, dovrebbe autoinvalidarsi, mancando del riconoscimento del principio logico che ne garantirebbe la correttezza e di converso sancirebbe l'illusorietà della tesi opposta. Resterebbe, a sua volta un fenomeno, un'impressione, non un giudizio in senso stretto, come invece si presenta. E, come logica insegna, se una tesi è autocontraddittoria, cioè falsa, necessariamente sarà vera l'opposta, cioè "esiste una realtà extrafenomenica". Quindi, se i fenomeni sono l'unica realtà verificabile empiricamente (ma io non parlerei di "realtà", ma di vissuti, manifestazioni, i fenomeni sono per definizione i contenuti di esperienza, per cui, come tali, diventa tautologico dire che i fenomeni sono i soli contenuti che l'esperienza ci offrirebbe), la dialettica (verificazione logica di una tesi dopo aver ridotto ad absurdum la tesi opposta) invece comprova l'esistenza di una realtà oggettiva, extrafenomenica ed exstrasoggettiva, come criterio necessario su cui fondare ogni possibile giudizio

Dal fatto che se i fenomeni fossero l'unica realtà possibile non esisterebbe nessun criterio oggettivo in base a cui giudicare la natura illusoria-onirica (cioé meramente soggettiva, constatabile unicamente nella singola esperienza postulabile essere propria di ciascun unico soggetto) oppure non fittizia (cioé postulabile essere constatabile in linea di principio nell' ambito di qualsiasi esperienza propria di qualsiasi soggetto) dell' esperienza dei fenomeni stessi consegue non che esiste la realtà in sé oltre ai fenomeni, ma che l' esistenza (comunque indimostrabile né tantomeno -per definizione- empiricamente provabile) della realtà in sé deve necessariamente essere creduta (sempre e comunque per fede) se si crede alla possibilità di compiere veracemente questa distinzione fra esperienza fenomenica non fittizia (intersoggettiva) e fittizia (meramente soggettiva) e si vuole essere logicamente coerenti, evitando di cadere in contraddizione.
Dunque il carattere non illusorio delle esperienze non fittizie non é perciò garantito con certezza, otlre ogni possibile dubbio dall' esistenza delle cose in sé, anche se ne ha bisogno; si tratta di una condizione necessaria ma non sufficiente.

Nella tua affermazione finale [che per parte mia correggerei solo marginalmente in questo modo: Quindi, ***se*** i fenomeni sono l'unica realtà verificabile empiricamente in quanto vissuti, manifestazioni, i fenomeni essendo per definizione i contenuti di esperienza, per cui, come tali, diventa tautologico dire che i fenomeni sono i soli contenuti che l'esperienza ci offrirebbe, la dialettica (verificazione logica di una tesi dopo aver ridotto ad absurdum la tesi opposta) invece comprova l'esistenza di una realtà oggettiva, extrafenomenica ed exstrasoggettiva, come criterio necessario su cui fondare ogni possibile giudizio] per quanto mi riguarda evidenzierei fortemente il "se": non é certo che così stiano le cose, ma devono stare così qualora questo criterio di valutazione fonata circa i fenomeni fosse (come credo per fede) effettivamente possibile (a rigore grammaticalmente é un periodo ipotetico della possibilità, non della realtà).


Devo correggermi, richiamando in articolare l' attenzione di Davintro, discutendo con il quale avevo sostenuto queste affermazioni che ritenendo errate e false.

Infatti a pensarci bene non ritengo vero che:


il carattere non illusorio delle esperienze non fittizie non é perciò garantito con certezza, oltre ogni possibile dubbio dall' esistenza delle cose in sé; e nemmeno ne ha necessariamente bisogno; si tratta di una condizione non sufficiente ma nemmeno, a ben considerare la questione, in modo logicamente corretto, necessaria.


Ovvero che:


Dal fatto che se i fenomeni fossero l'unica realtà possibile non esisterebbe nessun criterio oggettivo in base a cui giudicare la natura illusoria-onirica (cioé meramente soggettiva, constatabile unicamente nella singola esperienza postulabile essere propria di ciascun unico soggetto) oppure non fittizia (cioé postulabile essere constatabile in linea di principio nell' ambito di qualsiasi esperienza propria di qualsiasi soggetto) dell' esperienza dei fenomeni stessi consegue non che esiste la realtà in sé oltre ai fenomeni; ma nemmeno che l' esistenza (comunque indimostrabile né tantomeno -per definizione- empiricamente provabile) della realtà in sé deve necessariamente essere creduta (sempre e comunque per fede) se si crede alla possibilità di compiere veracemente questa distinzione fra esperienza fenomenica non fittizia (intersoggettiva) e fittizia (meramente soggettiva) e si vuole essere logicamente coerenti, evitando di cadere in contraddizione.


Al contrario ritengo sensata, ed indimostrabile sia essere vera sia essere falsa, e che dunque potrebbe tanto darsi quanto non darsi in realtà, anche l' ipotesi di una corrispondenza intersoggettiva di fatto di tutte le esperienze non fittizie (nel solo ambito di quelle esteriori o materiali e non mai comunque nel caso di le interiori o di res cogitans) anche in assenza di cose in sé.


Cioé una perfetta corrispondenza fra tutte le esperienze materiali non fittizie, secondo quanto raccontatoci dagli altri uomini (indimostrabilmente ammettendone la autentica natura linguistica e la verità in generale, salvo eccezioni, e comunque in linea di principio appurabile), potrebbe anche darsi (il pensarlo essendo logicamente corretto, non contraddittorio, sensato) anche in assenza di realtà in sé, per pura e semplice "coordinazione dell diverse esperienze coscienti, eventualmente anche qualora queste esaurissero integralmente la realtà in toto, ovvero in assenza di loro oggetti e soggetti in sé.



Questo per portare conseguentemente fino in fondo la critica razionale delle nostre convinzioni o credenze (e non per negarla o per pretendere impossibilmente di dimostrarla falsa), evidenziandone ogni possibile aspetto di indubilitabilità, di incertezza teorica.



#213
Scienza e Tecnologia / Re:Inflazione cosmica
30 Aprile 2020, 21:28:43 PM
Citazione di: bobmax il 30 Aprile 2020, 19:34:17 PM
Citazione di: giopap il 30 Aprile 2020, 10:16:35 AM
Secondo me di per sé, come meri concetti o "contenuti di pensiero a prescindere dalla realtà" sia l' essere che il non essere integrali, assoluti hanno senso, conferito loro dalla loro reciproca negazione (Parmenide errava, secondo me, perché l' empiria ne falsificava le tesi, ma non diceva assurdità insensate, autocontraddittorie).
Così come non é un' assurdità autocontraddittoria, insensata l' ipotesi di un mutamento assoluto integrale, caotico; il cui non accadere realmente é conditio sine qua non della conoscibilità scientifica del mondo materiale naturale, ma non solo non é impensabile in modo sensato, logicamente corretto come ipotesi, ma nemmeno é dimostrabile non accadere (né accadere, per fortuna!) realmente.

Sono viceversa dell'idea che il pensiero di Parmenide sia auto contraddittorio, così come contraddittoria è pure l'idea di un divenire assoluto.

Questo però non significa che Parmenide ed Eraclito avessero torto... anzi, tutt'altro.

Perché è proprio il Principio di non contraddizione ad essere messo in discussione!
Nello specifico la sua formulazione più semplice: il Principio d'identità.

Il principio d'identità è a fondamento del nostro pensare determinato.
Tuttavia, questo principio non soddisfa la realtà empirica.
Ed è proprio la sua incompatibilità con la realtà che viene denunciata da Parmenide e da Eraclito.

L'A = A è indispensabile per il pensare.
Difatti il pensiero necessita di negare continuamente che A possa essere diverso da A.
Se cedesse, se ammettesse la possibilità che A è pure non A, il caos si impadronirebbe della mente, e nessun pensiero intellegibile sarebbe più possibile.

Tuttavia la realtà non sottostà all'A = A.

Zenone, discepolo di Parmenide, con i suoi paradossi metteva in discussione proprio quel A = A.
Attenzione! Diceva, la freccia raggiunge il bersaglio perché la freccia, che siamo abituati ad intendere come un oggetto in sé, determinato, non esiste.
Se davvero Freccia = Freccia, nessun movimento sarebbe possibile.

A non è mai uguale a A. 
E lì è la liberazione...


Ma non si può stabilire attraverso constatazioni empiriche a posteriori la validità o meno di un principio logico a priori che nulla dice della realtà, ma solo del corretto modo di ragionare, pensare logicamente, parlare; attraverso constatazioni empiriche a posteriori si può invece stabilire la verità o meno di ma invece di giudizi sintetici circa come é o non é la realtà.

In particolare il principio di identità/non contraddizione, arbitrariamente stabilito a priori nelle definizioni di "negazione" e di "essere" e "non essere" non può essere falsificato da alcuna osservazione empirica circa la realtà, né può esserne verificato o altrimenti dimostrato semplicemente perché nulla dice (di verificabile o falsificabile empiricamente a posteriori) circa la realtà, ma invece stabilisce una regola a priori del discorso corretto (sensato).

In Parmenide (di cui non sono particolarmente esperta) non colgo alcuna contraddizione; semplicemente trovo l' ignoranza, e anzi la negazione errata, falsa del dato empirico del divenire nel tempo della realtà: l' essere non può non essere (e fin qui sono d' accordo); però si constata a posteriori che il mutamento c' é, che l' essere a un determinato tempo t0, oltre a non potere non essere al medesimo tempo t0, può benissimo non essere in qualsiasi altro tempo ...t-3, t-2, t-1, t+1, t+2, t+3...

I paradossi di Zenone secondo me sono invece veri e propri paralogismi, ragionamenti logicamente scorretti, contrariamente alle tesi del suo maestro che vorrebbero sostenere.
Il loro errore fondamentale a tutti comune é di dividere tratti di spazio e lassi di tempo finiti in un numero infinito di parti per affermare che a velocità finita non potrebbero essere percorsi un tempo finito; ma senza rendersi conto che tali parti di spazio (distanze) e di tempo di numero infinito (ricavate dividendo all' infinito, in infinite parti segmenti e lassi di tempo finito) sono anche infinitamente piccole (brevi), oltre che infinitamente numerose; di modo che inevitabilmente l' infinito loro numero (al numeratore) si elide con l' infinita brevità di ciascuno di loro (al denominatore), ridando distanze finite, percorse a velocità finite (da frecce, Achilli piè veloci, ecc.) in tempi finiti.
#214
Scienza e Tecnologia / Re:Inflazione cosmica
30 Aprile 2020, 10:16:35 AM
Caro bobmax, mi piace innanzitutto manifestare la mia soddisfazione per il fatto che, dopo qualche leggero e veniale sbandamento, la discussione sia tornata su binari di pacatezza e perfino cordialità grazie a qualche sforzo di entrambi.


Secondo me razionalità é anche e forse soprattutto consapevolezza dei limiti, "senso del limite".
Dunque credo che non sia razionalistico, ma invece irrazionalistico, pretendere che tutto sia razionale, integralmente comprensibile (a noi umani) e men che meno praticamente dominabile (qui si cadrebbe addirittura nel delirio di onnipotenza; o nella delirante volontà di potenza).
Per me il razionalismo é molto umile, consapevole dei suoi propri limiti; a cominciare dal fatto di non essere un atteggiamento razionalmente dimostrabile essere "giusto" o "da assumersi", ma invece irrazionalisticamente assunto d parte di chi lo assuma.


Concordo che La determinazione di qualcosa non é (precisamente) negazione del nulla, ma negazione di ciò che quel qualcosa non è (io ho scritto "di qualcos' altro" che mi sembra lo stesso concetto espresso con altre parole); la negazione del nulla (di reale) é invece la determinazione definitoria di "tutto" (di reale).
La negazione della realtà non sempre necessariamente é rivolta a qualcosa di parziale, a una qualche parte (del reale e/o del pensato); può benissimo essere riferita anche alla totalità (del reale e/o del pensato), e in questo caso definisce, determina concettualmente il "nulla".


Secondo me il permanere (essere) e il divenire non sono verità assolute di fatto, ***se*** é vera la conoscenza scientifica della natura materiale (che per me non esaurisce la realtà in toto); infatti conditio sine qua non (indimostrabile logicamente, né empiricamente constatabile) ne é il divenire ordinato, ovvero il mutamento "eracliteo" nei particolari concreti e la fissità "parmenidea" delle astratte modalità universali e costanti.


Secondo me di per sé, come meri concetti o "contenuti di pensiero a prescindere dalla realtà" sia l' essere che il non essere integrali, assoluti hanno senso, conferito loro dalla loro reciproca negazione (Parmenide errava, secondo me, perché l' empiria ne falsificava le tesi, ma non diceva assurdità insensate, autocontraddittorie).
Così come non é un' assurdità autocontraddittoria, insensata l' ipotesi di un mutamento assoluto integrale, caotico; il cui non accadere realmente é conditio sine qua non della conoscibilità scientifica del mondo materiale naturale, ma non solo non é impensabile in modo sensato, logicamente corretto come ipotesi, ma nemmeno é dimostrabile non accadere (né accadere, per fortuna!) realmente.


Concordo che La stessa verità (minuscolo) vive solo in contrapposizione con la falsità. Infatti il vero è tale solo perché nega il falso. La negazione della falsità è condizione necessaria per la verità.
E' quanto lucidamente evidenziato da Spinoza: "omnis determinatio est negatio".
Ma nella mia pignoleria credo che si possa dire che Il nostro mondo è fondato sugli opposti (essere – divenire, finito- infinito, materia-vuoto, vero – falso...) solo nel senso de "il mondo in quanto da noi conosciuto", ovvero "ciò che possiamo conoscere del mondo", potendone sensatamente parlare, predicare l' esistenza reale o meno (credo che apprezzerai l' umiltà razionalistica, il senso del limite di questa pignola precisazione).


Nel discorso sulla Verità con l' iniziale maiuscola, da razionalista impenitente non posso seguirti.
Comunque il nulla (non realtà di alcunché) é un concetto sensato dal momento che non é assoluto ma relativo a, determinato dalla, negazione del concetto di tutto (realtà di ogni e qualsiasi cosa; di ogni e qualsiasi cosa pensabile e di ogni e qualsiasi cosa effettivamente reale).
#215
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
30 Aprile 2020, 09:30:18 AM
Citazione di: davintro il 29 Aprile 2020, 19:05:38 PM

c'è un implicazione logica necessaria tra illusorietà dei fenomeni e posizione di una realtà extrafenomenica, ma non nel senso che quest'ultima sia un pregiudizio arbitrario già contenuta nel riconoscimento della possibile illusorietà dei fenomeni, condizione che porterebbe a un circolo vizioso, ma nel senso, se si vuole, inverso, che è la possibile illusorietà dei fenomeni la base da cui dedurre l'esistenza della realtà extrafenomenica, in quanto se i fenomeni fossero l'unica realtà possibile, sarebbe impossibile concepire torti e ragioni, dato che non esisterebbe nessun criterio oggettivo in base a cui giudicare un'opinione corretta o scorretta, e dunque la stessa opinione per la quale non esiste alcuna realtà extrafenomenica, cioè extrasoggettiva, dovrebbe autoinvalidarsi, mancando del riconoscimento del principio logico che ne garantirebbe la correttezza e di converso sancirebbe l'illusorietà della tesi opposta. Resterebbe, a sua volta un fenomeno, un'impressione, non un giudizio in senso stretto, come invece si presenta. E, come logica insegna, se una tesi è autocontraddittoria, cioè falsa, necessariamente sarà vera l'opposta, cioè "esiste una realtà extrafenomenica". Quindi, se i fenomeni sono l'unica realtà verificabile empiricamente (ma io non parlerei di "realtà", ma di vissuti, manifestazioni, i fenomeni sono per definizione i contenuti di esperienza, per cui, come tali, diventa tautologico dire che i fenomeni sono i soli contenuti che l'esperienza ci offrirebbe), la dialettica (verificazione logica di una tesi dopo aver ridotto ad absurdum la tesi opposta) invece comprova l'esistenza di una realtà oggettiva, extrafenomenica ed exstrasoggettiva, come criterio necessario su cui fondare ogni possibile giudizio

Dal fatto che se i fenomeni fossero l'unica realtà possibile non esisterebbe nessun criterio oggettivo in base a cui giudicare la natura illusoria-onirica (cioé meramente soggettiva, constatabile unicamente nella singola esperienza postulabile essere propria di ciascun unico soggetto) oppure non fittizia (cioé postulabile essere constatabile in linea di principio nell' ambito di qualsiasi esperienza propria di qualsiasi soggetto) dell' esperienza dei fenomeni stessi consegue non che esiste la realtà in sé oltre ai fenomeni, ma che l' esistenza (comunque indimostrabile né tantomeno -per definizione- empiricamente provabile) della realtà in sé deve necessariamente essere creduta (sempre e comunque per fede) se si crede alla possibilità di compiere veracemente questa distinzione fra esperienza fenomenica non fittizia (intersoggettiva) e fittizia (meramente soggettiva) e si vuole essere logicamente coerenti, evitando di cadere in contraddizione.
Dunque il carattere non illusorio delle esperienze non fittizie non é perciò garantito con certezza, otlre ogni possibile dubbio dall' esistenza delle cose in sé, anche se ne ha bisogno; si tratta di una condizione necessaria ma non sufficiente.

Nella tua affermazione finale [che per parte mia correggerei solo marginalmente in questo modo: Quindi, ***se*** i fenomeni sono l'unica realtà verificabile empiricamente in quanto vissuti, manifestazioni, i fenomeni essendo per definizione i contenuti di esperienza, per cui, come tali, diventa tautologico dire che i fenomeni sono i soli contenuti che l'esperienza ci offrirebbe, la dialettica (verificazione logica di una tesi dopo aver ridotto ad absurdum la tesi opposta) invece comprova l'esistenza di una realtà oggettiva, extrafenomenica ed exstrasoggettiva, come criterio necessario su cui fondare ogni possibile giudizio] per quanto mi riguarda evidenzierei fortemente il "se": non é certo che così stiano le cose, ma devono stare così qualora questo criterio di valutazione fonata circa i fenomeni fosse (come credo per fede) effettivamente possibile (a rigore grammaticalmente é un periodo ipotetico della possibilità, non della realtà).
#216
Scienza e Tecnologia / Re:Inflazione cosmica
29 Aprile 2020, 15:42:25 PM
Il "nulla", ovvero il non essere (assolutamente indeterminato), il non essere di alcunché, proprio esattamente come l' "essere" di Parmenide (l' essere assolutamente indeterminato, l' essere di tutto), é per definizione fisso, immutabile, non ne segue alcunché di diverso da esso stesso.


In entrambi i casi si tratta di concetti dei quali non esiste alcuna denotazione o intensione reale.
Infatti empiricamente si constata che esiste qualcosa di mutevole nel tempo.
#217
Scienza e Tecnologia / Re:Inflazione cosmica
29 Aprile 2020, 08:40:55 AM
Citazione di: bobmax il 28 Aprile 2020, 19:50:00 PM
@Giopap

Questo giochino che fai con il Nulla e il limite è voluto o semplicemente una tua svista, simile a quando mi attribuivi di aver detto che l'universo è infinito?

Il limite rimanda al Nulla!
Mi sembra lapalissiano.

Se non è una svista possiamo chiudere qui.


Io nutro sempre molto rispetto per gli interlocutori, che non significa far finta di ignorare "diplomaticamente" le divergenze e minimizzare gli errori che ritengo facciano, come ovviamente ne commetto io stessa, e spero non vengano "diplomaticamente" ignorati ma francamente evidenziati e corretti; rispetto che impone anzi di esprimersi con franchezza.


Perciò "giochini" con te o con latri qui nel forum non ne ho mai fatti; oltre che per il rispetto verso ogni interlocutore anche per un altro importante motivo, e cioé che non aiutano a ricercare la verità, che é lo scopo che mi prefiggo, in particolare in questo forum.


In uno sforzo di "traduzione" mi sembra di capire che tu, secondo me con un lessico tutto tuo personale, forse per "niente" ovvero "niente di reale" intendi il "limite che determina" concettualmente il "qualcosa di reale", nel senso che, poiché "omnis determinatio est negatio" (Spinoza), il senso di "qualcosa di reale" si stabilisce (per lo meno anche) in rapporto di negazione - opposizione (contrario) a quello di "nulla di reale".
A questo proposito (e se così é) rilevo che in realtà "nulla di reale" é negazione - opposizione assoluta (é il contrario) di "tutto di reale" e non di "qualcosa di reale" (con cui é invece in rapporto di negazione soltanto relativa, non assoluta; ovvero non ne é il contrario); mentre negazione - opposizione assoluta (il contrario) di "qualcosa di reale é "qualcosa (d' altro) di non reale".



A qualcosa di reale (e qualcos' altro di non reale) che diviene nel tempo può logicamente (ed eventualmente anche realmente) darsi (anzi: per definizione di "divenire" necessariamente deve) che succeda nel tempo qualcos' altro di reale rispetto a ciò che reale era prima e qualcosa di non reale altro rispetto a ciò che non era reale prima.
Mentre al nulla di reale, che non può implicare per definizione alcun divenire (oltre che alcun permanere), alcun tempo, alcun successivo futuro, non può succedere alcunché.
#218
Scienza e Tecnologia / Re:Inflazione cosmica
28 Aprile 2020, 19:32:50 PM
bobmax:

Il relativismo in realtà è uno solo: è sempre etico.

Il Nulla non è "negazione del limite" ma suo riconoscimento. Appunto, in quanto limite invalicabile.
Ed è invalicabile razionalmente.

giopap:

Stavolta credo proprio di non essermi sbagliata nell' attribuirti la negazione del limite; copio/incollo (scritto da te)

<<Questo Nulla non è un qualcosa, se lo fosse sarebbe infatti un'altra "verità". E' invece il limite. E il limite, quando avvertito come tale, quando accettato come Nulla, ha un effetto prodigioso sullo stesso relativista.">>

Dire che "nulla é il limite" e ribadire che (il) nulla "va accettato come limite" in italiano significa negare il limite, dire che il limite non esiste.




bobmax:
E' emblematico come le implicazioni della teoria del Big bang vengano costantemente ignorate dal pensiero che si dichiara razionalista. Così come qualsiasi prospettiva, scientifica, etica, spirituale, che porti ad affrontare il limite.
E' infatti tipico del razionalista scartare tutto quello che non può comprendere in quanto non razionalizzabile.

giopap:
Sempre in lingua italiana queste affermazioni mi sembrano con tutta evidenza negare la razionalità (= affermare l' irrazionalità) delle teorie cosmogoniche del Big bang con precedente nulla: su questo concordo convintamente!
Al contrario che su quella per cui il razionalismo escluderebbe il limite: al contrario!





bobmax:
Ritengo di parlare a ragion veduta riguardo al pensiero logico/razionale, avendo guadagnato il pane per una vita proprio nell'uso della logica. Cioè sul campo, dove le soluzioni devono poi funzionare davvero. Diversamente da quanti che ne vantano la competenza, acquisita però soltanto teoricamente...

giopap:
Immodestamente (senza falsa modestia) penso di non essere da meno.





bobmax:
Ho già spiegato il significato che do ai termini che scrivo in maiuscolo.
Immagino che per te, in quanto dichiarata razionalista, questo significato sia oscuro, proprio in quanto il razionalista non può cogliere le implicazioni del limite, ma non ci posso far niente.

giopap:
Tutto al contrario: proprio perché solo il razionalista può coglierle.




bobmax:
D'altronde, da parte mia incontro difficoltà a seguire le tue argomentazioni. Che mi ritrovo a dover leggere più volte per non perdere il filo. Senza riuscire a giungere ad una soddisfacente chiarezza.

giopap:
Purtroppo é il mio modo di argomentare (e in proposito chiedo scusa anche ad Ipazia, poiché a quanto pare con le parentesi ho gli stesse  problemi di quel suo vecchio compagno; di idee mi pare evidente).
#219
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
28 Aprile 2020, 19:06:24 PM
Citazione di: davintro il 28 Aprile 2020, 17:56:30 PM

la necessità di un passaggio logico verso il riconoscimento di una realtà extrafenomenica sta proprio nella definizione di "fenomeno", cioè "ciò che si manifesta". "Ciò che si manifesta implica l'esistenza di un soggetto dotato di coscienza che riceve la manifestazione (come si può parlare di manifestazione senza nessuno a cui la manifestazione è data?), avente una propria realtà sostanziale. Nessun fenomeno sussiste di per sé, come sostanza reale, ma solo come accadimento,evento psichico il cui essere è tale come interno alla coscienza, non trascendente questa. Per negare la necessità logica della realtà extrafenomenica, dovremmo ammettere come sensata l'ipotesi che il complesso dei fenomeni abbia in se stesso la sua ragion d'essere, la sua causa come immanente ad esso, senza bisogno di postulare una realtà ulteriore ad essi che sia la causa che li produce. Ma se accettassimo questo autofondarsi dei fenomeni, dovremmo escludere in assoluto proprio la possibilità dell'illusione, dell'inganno, di fenomeni che non corrispondono al reale, come nel caso dell'allucinazione o del daltonismo. Essendo i fenomeni l'unica realtà possibile, il loro coincidere con la verità sarebbe una proprietà essenziale ad essi, senza possibilità di deviazioni, dato che un giudizio vero è definito come quello che predica un contenuto fenomenico corrispondente alla realtà oggettiva. Ogni fenomeno, come tale esprimerebbe sempre il vero. Questa ipotesi è assurda, dato che resta sempre la possibilità di immagini sulla realtà tra loro contrastanti, che non possono dunque tutte essere vere, ma che dovrebbero porsi a diversi livelli di distanza rispetto a un riferimento extrafenomenico, in relazione a cui le idee (fenomeni) sarebbero più o meno rispecchianti la verità. Inoltre, lo stesso Giopap (come chiunque altra/o) ogniqualvolta esprime una sua opinione, come in questa discussione, in opposizione ad altre considerate erronee, sta implicitamente e necessariamente affermando questa realtà extrafenomenica, come criterio regolativo in relazione a cui la sua opinione sarebbe vera, cioè aderente ad esso, mentre le opposte, essendo nel torto, divergerebbero. Negando questa trascendenza del reale rispetto ai fenomeni, anche solo a livello generico-formale, questi rimarrebbero l'unica realtà possibile e avrebbero in se stessi, nelle coscienze di cui sono il contenuto, in quanti tali il criterio di verità, rendendo impossibile che alcuni possano contravvenire al criterio, scadendo nel torto, o anche ad un livello di verità inferiore o meno "centrata" rispetto ad altri. La possibilità dell'illusione, dell'errore è ciò che dimostra che il criterio di verità dei fenomeni non è ad essi immanenti, ma consiste in una realtà oggettiva extrafenomenica, di fronte a cui i fenomeni possono assumere livelli di maggior o minor concordanza, ma sempre in relazione a un principio non da essi posto


Secondo me il fenomeno ("ciò che appare", "ciò il cui essere reale consiste nell' apparire") non necessita necessariamente, oltre all' esperienza cosciente di cui fa parte, nell' ambito della quale accade, di un ulteriore suo soggetto: l' ipotesi che solo i dati sensibili ("ciò che appare e basta") e null' altro di ulteriormente persistente anche in loro mancanza, sia reale non é logicamente scorretta, contraddittoria, insensata; dunque ciò cui allude può ben realmente darsi.
La questione del parlare di "manifestazione -sottinteso: a qualcuno- senza nessuno cui la manifestazione sia data" é puramente "tecnica linguistica": la forma personale si può benissimo sostituire con quella impersonale, "apparenza" come accadimento integrale in se stesso, non bisognoso di alcunché di ulteriore per darsi realmente.

Pretendere che una coscienza sia necessariamente le coscienza di qualcuno (di qualche soggetto) é pretendere che quanto sarebbe da dimostrare sia dimostrato (una petizione di principio).

La questione delle allucinazioni, sogni, ecc. si pone solo una volta ammesso (per fede, indimostrabilmente) l' esistenza di "cose in sé" indipendenti dalle percezioni fenomeniche coscienti.
Infatti un' allucinazione o un sogno non si distingue in alcun modo da un' esperienza "autentica" in sé e per sé (prescindendo da qualsiasi altra considerazione), ma invece solo presupponendo l' esistenza di cose in sé reali che nelle sensazioni fenomeniche, di cui sono "oggetti", si "manifestano" ad altre (o riflessivamente a sé medesime a seconda dei casi), che ne sono soggetti; e in particolare:
ammettendo (indimostrabilmente, per fede) l' esistenza di se stessi come soggetti di esperienza cosciente, di altri soggetti da se stessi diversi e di ulteriori cose in sé che delle esperienze coscienti sono oggetti;
ed accettando per vero (indimostrabilmente, per fede) il carattere autenticamente linguistico di quanto (ci) dicono altri parlanti (fenomenicamente constatabili) e in generale, "di norma" la loro sincerità o veridicità;
date le quali premesse indimostrabili si può verificare empiricamente se i fenomeni miei sono meramente soggettivi (solo io li provo: allucinazioni o sogni), oppure intersoggettivi (analogamente presenti, in condizioni di osservazione appropriate, nell' abito anche di qualsiasi altro soggetto di esperienza fenomenica cosciente oltre a me) in quanto considerabili manifestazioni fenomeniche delle medesime cose in sé, che ne sono oggetti, a qualsiasi soggetto (li può provare chiunque: esperienze "autentiche").

Dunque concordo che "il criterio di verità [mi sembra più corretto dire "autenticità", riservando quello di "verità" a quei peculiari fenomeni che sono le proposizioni o giudizi"] dei fenomeni non è ad essi immanente, ma consiste in una realtà oggettiva extrafenomenica, di fronte a cui i fenomeni possono assumere livelli di maggior o minor concordanza"; solo che penso che non lo si possa dimostrare.

Per me i fenomeni non sono l' unica realtà possibile, ma ' unica realtà empiricamente verificabile, di cui può darsi certezza per immediata constatazione empirica (infatti non ho mai negato l' esistenza reale di me come soggetto né di altre cose come oggetti della mia esperienza cosciente, in certi casi a loro volta soggetti di altre).
Altre realtà extrafenomeniche credo pertanto esistano; solo mi rendo anche conto criticamente che questa credenza é "fideistica", indimostrabile empiricamente né logicamente.
#220
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
28 Aprile 2020, 18:21:31 PM
Citazione di: Phil il 28 Aprile 2020, 17:23:47 PM
Citazione di: giopap il 28 Aprile 2020, 09:40:47 AM
Dunque l' "io" o il "sé" non é né verificabile empiricamente, né provabile logicamente essere reale.
Si può crederci solo arbitrariamente, indimostrabilmente, per fede (cosa che *a quanto pare* fanno tutte le persone sane di mente).
Più che «per fede» (senza offesa per la sezione in cui siamo), essendo coinvolta comunque anche una certa autopercezione (con tutto il paradosso interpretativo che si porta dietro) direi per cultura e, più pragmaticamente, anche per linguaggio (che è sempre in rapporto dialettico con la cultura). Se si ragiona usando il linguaggio o le categorie del linguaggio (concordo con l'idea di fondo della tesi Sapir-Whorf, ma senza radicalizzarla), non può essere totalmente irrilevante se, ad esempio, l'arabo ha due forme per il «tu», una maschile, una femminile, per il «voi» e il «loro» ben tre (una maschile, una femminile, una generica, o meglio, di entrambi i generi), nel senso che, ad esempio, il dibattito sulle teorie gender tenderà a scontrersi con la tradizione (cultural-)linguistica araba anche linguisticamente più di quanto avvenga per i parlanti italiani (che discrimina solo «lui/lei», considerando «essi/esse» un po' desueto). Chiaramente, fra tante criticità del dibattito sulle teorie di gender, la questione strettamente linguistica non è certo la più condizionante o cruciale (non si modificano imprinting culturali retroattivamente semplicemente mettendo un asterisco al posto di un suffisso di genere). Parimenti, il fatto che Giapponesi e Vietnamiti abbiano una gestione "plurale" della prima persona singolare piuttosto differente dalla nostra (link), non può che rappresentare una interessante risorsa di senso già preinstallata nella lingua, che probabilmente paga dazio in una traducibilità che sacrifica, come quasi sempre, qualcosa del senso originario/originale in nome della comprensibilità.


Pur non negando di certo l' importanza della cultura e anche della lingua e perfino in particolare qualche influenza più o meno "indiretta" sul trattamento della questione dell' "io" o del "sè" ( influenze in genere difficilmente definibili, oltre che non generalizzabili ma invece variabili da soggetto pensante -filosofo de facto- a soggetto pensante), ritengo che la grammatica delle diverse lingue non sia determinante nel raggiungere le varie soluzioni possibili.
Anche perché ritengo che le diverse lingue, con un po' di buona volontà siano intertraducibili soddisfacentemente, cioé con buona possibilità di comprensione reciproca (che non può mai essere integrale e assoluta nemmeno fra parlanti la medesima lingua).


(Naturalmente il fatto che parli di "soggetti pensanti", che necessariamente sono pure "senzienti", e dunque che creda alla loro esistenza reale, non é minimamente in contrasto con la da me affermata indimostrabilità di tale esistenza reale; ma comunque credibilità per fede, sostanzialmente indipendente a mio parere dalle diverse influenze che culture e lingue possono esercitare in proposito).
#221
Scienza e Tecnologia / Re:Inflazione cosmica
28 Aprile 2020, 16:49:14 PM
Citazione di: bobmax il 28 Aprile 2020, 12:54:01 PM
@Giopap

Le teorie scientifiche non possono mai essere considerate Verità.
Il considerarle tali è superstizione. Superstizione scientifica non dissimile da ogni altra superstizione.

Di modo che pure il Nulla non può essere considerato un punto d'arrivo, una conclusione. Piuttosto il Nulla rappresenta il "limite" di fronte al quale occorre fermarsi e... resistere!

Il relativismo, a maggior ragione se etico, è indispensabile.
Perché il relativismo, se tenuto fermo, resistendo alla tentazione di abbracciare una "verità" che lo liberi dall'angoscia  e allo stesso tempo evitando di piombare nel nichilismo (che è comunque anch'esso una "verità"), ci fornisce un'occasione unica.

Perché il relativista autentico, che non deflette costi quello che costi dal proprio relativismo, si ritrova inevitabilmente ad affrontare il Nulla.
Questo Nulla non è un qualcosa, se lo fosse sarebbe infatti un'altra "verità".
E' invece il limite.

E il limite, quando avvertito come tale, quando accettato come Nulla, ha un effetto prodigioso sullo stesso relativista.
Respingendo infatti ogni sua possibilità di aggrapparsi a qualcosa, lo costringe a rivolgersi a se stesso.

"Conosci te stesso!"
E' l'invito che il limite inevitabilmente rivolge a chi cerca la Verità.

In questo modo, il relativista si ritrova a dover essere proprio lui! In perfetta solitudine a cercare in se stesso, a cercare se stesso!
Per affermare se il Bene davvero è.


Dissento su tutta la linea.


Dal nichilismo gnoseologico, in quanto, da razionalista (per una scelta inevitabilmente irrazionale; rendersi conto della qual cosa significa essere più conseguentemente razionalista che ignorarlo illudendosi di esserlo per una scelta razionale), credo che la verità, la conoscenza vera in generale sia possibile, anche se non certa; e che la conoscenza scientifica in particolare sia possibile alla condizione della verità di un "minimo sindacale" di condizioni indimostrabili (essere vere, ma pure essere false); in particolare l' intersoggettività del mondo fenomenico materiale naturale, la sua misurabilità secondo proporzioni quantitative espresse da numeri e il suo divenire ordinato secondo modalità astratte (astraibili mentalmente dai fatti particolari concreti) universali e costanti esprimibile mediante equazioni algebriche.
Invece superstizione é per me credere acriticamente vero non solo questo "minimo sindacale" di indimostrabile (che coincide fra l' altro con ciò cui a quanto pare qualsiasi persona comunemente ritenuta sana di mente di fatto per lo meno si comporta come se lo credesse), e inoltre nella chiara consapevolezza della suddetta indimostrabilità (e delle condizioni se fosse dimostrata la verità delle quali sarebbe dimostrata la verità di tutte le conoscenze credute); ma invece credere acriticamente "di tutto e di più" senza preoccuparsi circa la sua dimostrabilità in quanto verità (o magari in alternativa falsità) o meno.

Dal nichilismo etico in quanto ritengo che, malgrado dall' "essere" non sia possibile ricavare il "dover essere", dal come é la realtà non sia possibile dimostrare come debba essere (che cosa si debba fare in essa), tuttavia tutti avvertono "dentro di sé" imperativi morali che di fatto (e non di "diritto", non perché li si possa dimostrare) in una certa misura (nei loro aspetti più generale astratti), in conseguenza della storia naturale o evoluzione biologica, sono universalmente presenti in ogni uomo (e per qualche embrionale, limitatissimo aspetto anche in altri animali), mentre in altra misura (più particolare e concreta), in conseguenza della cultura o storia umana, sono limitati a gruppi e settori sociali più o meno grandi, variando col tempo e nello spazio.


Nessuno più e meglio del razionalista (negando il relativismo gnoseologico) avverte i limiti del conoscere (compresa l' indimostrabilità in ultima analisi della sua verità e i motivi di questa indimostrabilità di principio; men che meno il relativista gnoseologico per il quale qualsiasi pretesa "verità" (comprese quelle reciprocamente contraddittorie) sarebbe comunque ugualmente certa, ugualmente valida per l' appunto relativamente a ciascuno dei diversi soggetti di diversa credenza.

Nessuno più e meglio del razionalista (negando il relativismo etico) coglie i limiti dell' agire, in relazione (e non nella relativistica pretesa di ignorare le relazioni) con l' agire degli altri.

Nessuno più e meglio del razionalista può conoscere il senso del limite in generale, confrontarsi con il concetto del nulla e con la realtà della morte e conoscere se stesso, come qualsiasi altra cosa, riducendo in proposito al "minimo sindacale" le credenze in ciò che é degno di dubbio e dunque potrebbe benissimo essere falso.


A tratti mi é venuto peraltro il dubbio che tu per "relativismo" intenda quello che secondo me comunemente si intende per "razionalismo (secondo la definizione che ne ho dato all' inizio di questo intervento), che stiamo dicendo el stesse cose con diverse parole.
Ma probabilmente così non é, dal momento che affermi che il limite, in quanto avvertito come tale, sia da accettarsi come Nulla (avendo così un effetto prodigioso sullo stesso relativista).
Infatti il negare il limite (= avvertirlo come nulla; mi perdonerai, ma non conosco il concetto di "Nulla" con l' iniziale maiuscola; che così "a prima vista" mi sembrerebbe peraltro alquanto poco relativista) é effettivamente relativismo in generale.
E in particolare negare il limite della certezza delle conoscenze é relativismo gnoseologico, negare il limite della soddisfacibilità, della "liceità" dei desideri e dei diritti propri (talora detto "volontà di potenza") é relativismo etico.
#222
Tematiche Spirituali / Re:L'illusione dell'io
28 Aprile 2020, 09:40:47 AM
Secondo me si deve distinguere (mi rivolgo soprattutto a Davintro, ma mi sembra che anche altri lo seguano in questa che a mio parere é un' errata confusione) fra "intersoggettività" (termine che preferisco ad "oggettività" per ragioni che se spiegassi qui appesantirebbero troppo il discorso) e "realtà in sé" e fra "soggettività" e "realtà apparente o fenomenica" (e inoltre fra "meramente pensato" ed "effettivamente reale").

La materia (la res extensa) può essere postulata (non dimostrata) essere intersoggettiva, cioé in linea di principio interverificabile fra qualsiasi soggetto di esperienza cosciente: chiunque (salvo patologie egregiamente spiegabili), recandosi a Courtmayeur e guardando circa a nordovest in una giornata di cielo sereno, può vedere il monte Bianco.

Il pensiero (la res cogitans) no: i pensieri, sentimenti, "stati d' animo", ecc. di ciascun soggetto di esperienza cosciente possono essere verificati empiricamente solo ed esclusivamente da lui stesso, e gli altri possono credere esistano solo per fede nelle sue parole: "quando c' ho il mal di stomaco ce l' ho io, mica te, o no? Ce l' ho io, mica te, o no?" (Vasco Rossi).

Ma entrambe le cose, i fenomeni materiali e i fenomeni mentali, la res extensa e la res cogitans, sono reali solo e unicamente in quanto tali: fenomeni ovvero insiemi e successioni di sensazioni coscienti, realmente accadenti solo e unicamente nell' ambito di un' esperienza fenomenica cosciente "e basta"; quando non accadono non ci sono (ancora o più)


Un' ulteriore realtà in sé, persistentemente reale anche in assenza di fenomeni o sensazioni coscienti é bensì postulabile, credibile esserci (e ci sono "buoni motivi" per essere propensi a credere che ci sia) ma non é dimostrabile: l' ipotesi che non ci sia non é autocontraddittoria o insensata; né tantomeno, per definizione, é empiricamente verificabile. Ergo: in teoria potrebbe benissimo darsi sia reale.


Ma sia gli oggetti delle sensazioni "esteriori" o materiali, sia l' oggetto - soggetto di quelle "interiori" o mentali, se realmente esistenti, sono (intesi essere come) cose in sé, per l' appunto reali anche allorché (anche se e quando) non sensibilmente, fenomenicamente percepite.

E l' oggetto - soggetto di quelle "interiori" o mentali é quel che solitamente si definisce con il nominativo del pronome personale della prima persona singolare (io) o con l' accusativo di quello della terza (sé) a seconda dei casi.
Dunque l' "io" o il "sé" non é né verificabile empiricamente, né provabile logicamente essere reale.
Si può crederci solo arbitrariamente, indimostrabilmente, per fede (cosa che *a quanto pare* fanno tutte le persone sane di mente).
#223
Scienza e Tecnologia / Re:Inflazione cosmica
28 Aprile 2020, 08:49:28 AM
Citazione di: bobmax il 27 Aprile 2020, 23:05:14 PM
@Giopap

Il vuoto preesistente renderebbe altamente improbabile un radiazione cosmica di fondo isotropa.

Se vi fosse stato un vuoto preesistente, per rilevare l'isotropia della radiazione dovremmo noi trovarci nel punto dove è avvenuto il Big bang, o in sua prossimità.
Cioè prossimi all'unico centro dell'universo materiale.

Un caso davvero improbabile!

Viceversa, non essendoci un vuoto preesistente, qualunque punto è il centro. Quindi anche dove noi siamo.

So che è difficile afferrarlo, perché siamo condizionati dai qualcosa.
Se lo si afferra però, non può che nascere la meraviglia! E il nulla ritorna a giocare il suo ruolo.

Che la realtà sia nulla è lo scotto che bisogna pagare per superare il nichilismo.

Il nichilismo consiste nel convincimento che nulla ha valore.

La risposta, è nella constatazione che è invece il mondo fisico ad essere puro nulla!
Con questa constatazione, il gioco che il nichilismo chiudeva si riapre!


Cominciando dalla fine, credo che il nichilismo conoscitivo si superi con considerazioni logiche e gnoseologiche razionali.
Le quali portano a mio avviso allo scetticismo.
Il quale, contrariamente alla confusione che alcuni ingenuamente ne fanno, é l' esatto contrario del relativismo gnoseologico: quest' ultimo essendo la pretesa che tutte le possibili e reali teorie sono altrettanto sicuramente vere (anche quelle che sono reciprocamente contraddittorie: le tante "verità di questo e di quello", i tanti "saperi", al plurale, tutti ugualmente buoni...); quello invece é la consapevolezza che nessuna teoria é certamente vera, che nessuna conoscenza di come é o non é la realtà é esente dal possibile dubbio (teorico; dovendoci così accontentare di credere, se vogliamo, e comunque di agire in pratica per lo meno "come se lo credessimo", a quelle che siano certe soltanto "al di là di ogni ragionevole dubbio" pratico).

Invece il relativismo etico non si supera con ragionamenti (dato che dall' "essere" non é possibile ricavare i "dover essere", dal come é la realtà (la cui conoscenza é comunque in linea teorica di principio sempre dubitabile) non é possibile dimostrare come debba essere (cosa fare in essa); ma invece irrazionalmente avvertendo "dentro di sé" imperativi morali che di fatto (e non di "diritto", non perché li si possa dimostrare) in una certa misura (nei loro aspetti più generale astratti), in conseguenza della storia naturale o evoluzione biologica, sono universalmente presenti in ogni uomo (e per qualche embrionale, limitatissimo aspetto anche in altri animali), mentre in altra misura (più particolare e concreta), in conseguenza della cultura o storia umana, sono limitati a gruppi e settori sociali più o meno grandi, variando col tempo e nello spazio.

Secondo le teorie cosmogoniche e/o cosmologiche correnti la radiazione di fondo, isotropa, si é originata "un bel po' dopo" il Big bang, mentre il vuoto quantistico, per quelle che negano il nulla precedente il B. b stesso, ci sarebbe sempre stato, sarebbe sempre divenuto secondo le leggi "eterne" della meccanica quantistica.

Peraltro devo dire (cosa che non ho fatto, forse per timidezza, nei precedenti interventi) che per parte mia trovo per lo meno problematica se non decisamente assurda l' ipotesi che un vuoto quantistico ("pienissimo" di enti ed eventi, per quanto "virtuali", ma comunque in quanto tali realissimi), contrariamente al nulla (autenticamente "vuotissimo" -per parlare metaforicamente, sia ben chiaro!- di qualsiasi ente o evento, di qualsiasi cosa), possa esistere (possa essere esistito prima del B.b.) in assenza di "circostanti e più o meno distanti" enti ed eventi reali (e non "virtualmente tali"!) che vi generino campi di forza.

Quindi nemmeno le versioni "infinitistiche" nel tempo e nello spazio" delle cosmologie correnti mi convincono.
Ma ancor meno quelle cosmogoniche correnti che ritengo inficiate dal paradosso, anzi alla contraddizione insanabile di postulare un nulla a cui segua qualcosa di reale.
Da razionalista conseguente, piuttosto di accordare la mia fede a teorie che conducono a palesi contraddizioni logiche, ovvero insensate, preferisco sospendere il giudizio: come sia stato l' universo fisico materiale in un passato che non sia alquanto "prossimo" non lo so, ma tributo la mia credenza soltanto a ciò che la scienza mi dice (ragionevolmente, senza contraddizioni e nonsensi) del divenire della natura in un passato "non troppo remoto" e per il futuro. Altro non so (e non credo).
Nella consapevolezza che ciò é vero solo alla condizione (indimostrabile) che il divenire naturale stesso sia ordinato, regolare, che segua modalità generali astratte (astraibili da parte del pensiero dagli eventi particolari concreti) universali e costanti.

Non sarebbe la prima volta che teorie sostenute "quasi all' unanimità" dalla "comunità scientifica", magari per secoli, si rivelassero prima o poi errate e false.
#224
Scienza e Tecnologia / Re:Inflazione cosmica
27 Aprile 2020, 21:44:52 PM
giopap:
Nel tuo precedente intervento sei tu che hai definito "infinito" e non "illimitato" l' universo, credo rifrendoti all' ipotesi che la sua curvatura sia "zero", ovvero che sia piatto, ipotesi piuttosto "forte" fra i cultori della materia.
Un simile universo, se in esso ogni e qualsiasi punto ne é il centro, come da te affermato, allora proprio come quello di Giordano Bruno (al di là di differenze ovvie a quattro secolo di distanza) non solo é illimitato ma anche infinitamente esteso nello spazio.

bobmax:
Non mi pare di aver scritto che l'universo è infinito, non è questo ciò che penso, posso comunque essermi sbagliato a scrivere.
Se è così ti prego di dirmi dove, in modo che possa verificare e stare più attento a quanto scrivo.
Se mi si attribuisce un'affermazione che contraddice quanto invece vorrei dire, mi si fa un favore così posso correggermi, ma devo poterlo verificare..
Concorderai con me che la chiarezza di intenti è indispensabile per un autentico dialogo.


giopap:

Ho ricontrollato (e mi corre l' obbligo inderogabile di ammettere fermamente che) hai proprio ragione tu.
Chissà perché mi ero erroneamente convinta che avessi scritto che l' universo é infinito (cosa che invece hai inequivocabilmente negato! Sic!) e ogni suo punto ne é il centro ...sorry!




bobmax:

Non c'è bisogno di scomodare Giordano Bruno. Ogni punto è il centro non perché l'universo è infinito, difatti è finito, ma in quanto appunto non vi è alcun vuoto preesistente.
Questo è quanto dice la teoria del Big Bang originale, proprio in quanto la radiazione cosmica di fondo è isotropa.
Poi uno può inventarsi quello che vuole. Ma in questo caso si discute sul niente.


giopap:

Beh, si può discutere certamente anche sul Big bang "originale".
E mi sembra che la teoria del vuoto preesistente ne possa superare l' assurdità costituita dalla successione al nulla di reale dell' universo.





giopap:

Quindi (si può pensare che) l' universo é un "qualcosa" perché si può pensare anche ad altro (il nulla) malgrado il fatto che questo altro ("il nulla") non sia reale.
Quello di "infinito" é un concetto astratto avente una precisa connotazione o intensione cogitativa (la definizione nei vocabolari); la sua eventuale estensione o denotazione reale (come caratteristica astratta; del "tutto", l' universo in toto o di sue parti) é inverificabile di fatto da noi umani, ma pensabile.

bobmax:

Che il nulla e l'infinito possano essere pensati è solo un'illusione.
Infatti il pensiero o è determinato o non è.
Si può pensare solo ciò che è un "qualcosa"

L'infinito non è un qualcosa e quindi non può essere pensato.
E allora come mai compare questa idea dell'infinito?
Semplicemente in quanto negazione del finito.


Penso a ciò che è finito e poi provo a negarne la finitezza. Ci provo soltanto... perché il pensiero inevitabilmente si arresta.
Se poi qualcuno dichiara di riuscirci, chapeau! Ma non mi convince.

L'infinito è perciò una necessità logica. Trae la sua essenza nella negazione del finito, da nient'altro. Ed essendo esclusivamente una negazione... non c'è!

giopap:

Infatti, "omnis determinatio est negatio" (Spinoza): infinito é ciò che non é finito (e viceversa), e in quanto tale é una entità concettuale, la connotazione o intensione ben reale (in quanto tale!) di un sensatissimo concetto; ovviamente non é verificabile empiricamente di alcun aspetto della realtà (e in questo modo non é provabile che il concetto abbia anche una denotazione o estensione reale), essendo qualsiasi osservatore umano finito, vivendo tutti noi per un tempo finito (inattingibilità empirica dell' infinito in atto?).

Tuttavia può essere logicamente dimostrato del tempo della realtà in toto per il fatto che essa non potrebbe essere preceduta dal nulla, al quale non può succedere alcunché (realtà e conoscibilità dell' infinito in potenza? Non conosco a sufficienza Aristotele per rispondere?.






bobmax:

Lo stesso dicasi del nulla: Non può essere pensato.
Se ci provo, è solo perché sto negando la possibilità di ciò che potrebbe esserci.
Ma sto pensando al non esserci di qualcosa, non al Nulla!

La famosa domanda "Perché c'è qualcosa invece che il nulla?" non è affatto fondamentale come si è voluto far credere.
Perché il nulla non può proprio esserci! E' una questione di logica.
L'esserci è esserci di qualcosa. E il non esserci è il non esserci di qualcosa che avrebbe potuto esserci.
Il qualcosa è sempre indispensabile!
Mentre il Nulla non ha niente a che vedere con l'esserci o il non esserci (che alludono sempre a qualcosa).

Che il nulla sia impensabile lo si può cogliere vivendo l'horror vacui. Allora si può ben vedere che il pensiero non c'entra per niente.

Lo stesso "caso" non è pensabile. Però compare come possibilità in quanto negazione della necessità.


giopap:
Del nulla non può dirsi lo stesso che dell' infinito (che sia pensabile e anche reale).
Pensabile lo é: come negazione dell' esistenza reale di qualsiasi "cosa" (ente o evento), di tutto ciò che potrebbe essere pensato essere reale (oppure potrebbe essere pensato non essere reale): sensatissima connotazione o intensione cogitativa di un concetto effettivamente tale.
Invece che sia reale, stante la realtà di tutto ciò che realmente é/accade, di ogni ente o evento reale (che é constatata empiricamente), non può essere: il concetto di "nulla", contrariamente a quello di "infinito" non ha, oltre a una connotazione o intensione cogitativa, anche una denotazione o estensione reale.

Sulla questione per la quale la famosa domanda: "perché c' é quel che c' é anziché non esserci alcunché" non può avere risposta essendo malposta ho già ampiamente argomentato per parte mia che essa nasce dalla confusione fra la possibilità (necessitante di ragion sufficiente perché se ne dia denotato o estensione reale) propria del pensabile e la necessità propria del reale (non necessitante di alcuna ragion sufficiente oltre al fatto di accadere realmente -"esserci"- e al mero fondamentalissimo principio logico di non contraddizione).


Che il nulla non può proprio esserci (realmente; non cogitativamente, come oggetto di pensiero) é una questione empirica risolta sinteticamente a posteriori, dall' osservazione empirica dell' esserci di qualcosa; analiticamente a priori invece non é provabile per via logica, non essendo contraddittorio ma invece logicamente più che corretto, il pensiero, l' ipotesi che nulla sia.

Esso (il "nulla") allude al non esserci realmente o meno -di fatto meno- di qualsiasi cosa, al non darsi di alcuna denotazione o estensione cogitativa di tutti i connotati o intensioni cogitative di ogni e qualsiasi concetto si possa pensare, immaginare.
Perciò il "qualcosa di reale" (l' estensione o denotazione reale di qualche concetto; contrariamente alla sua intenzione o connotazione cogitativa, senza la quale non sarebbe un concetto per definizione) non é "sempre indispensabile" nel senso di "necessario a priori" (impensabile la sua negazione), essendo pensabilissimo il nulla, il non essere reale di alcunché, di tutto.

Poichè (mi sembra che tutti in questa discussione concordino su questo; però il clamoroso abbaglio di averti erroneamente attribuito l' infinità dell' universo mi impone qualche dubbio) il "vuoto" non é affatto "nulla" ma invece "qualcosa" credo che l' horror vacui" non sia (...per nulla!) rilevante in proposito.


Per tutte le considerazioni di semeiotica suddette il caso é altrettanto pensabile della necessità deterministica (per esempio, pur ritenendo errate e false le accezioni conformistiche ovvero maggioritarie, dell' indeterminazione quantistica, per parte mia non credo proprio se ne possa negare la sensatezza; contrariamente alla verità).
#225
Attualità / Re:Un virus manipolato? Ancora dubbi...
27 Aprile 2020, 18:37:43 PM
Segnalo (la fonte, anche per le critiche, non preconcette al contrario di altre che si leggono spesso, che muove al governo di Pechino) non credo possa essere considerata filocinese; casomai antiamericana):


https://www.ariannaeditrice.it/articoli/i-rischi-della-narrativa-del-covid-19-sull-origine-del-virus


Oltre a contenere un' analisi dei fatti a mio parere interessante ed equilibrata, smonta largamente la fiducia che nel primo intervento in questa discussione assegnavo a Montagnier.