Caro bobmax, senza troppe pretese di convincerti dal momento che non si possono razionalmente confutare credenze irrazionali ma al massimo se ne può evidenziale l' assurdità, l' essere autocontradddittorie, insensate, soprattutto allo scopo di una reciproca migliore comprensione nei limiti del possibile, espongo pignolescamente i miei notevolissimi dissensi.
bobmax:
Sì, Giopap, in effetti ho esagerato parlando di "contraddizione" in Parmenide e in Eraclito...
Perché seguendo il loro pensiero non si tratta proprio di andare "contro" il principio di non contraddizione, ma di andarvi "oltre".
Leggendo Il Parmenide di Platone, possiamo secondo me seguire il pensiero logico che giunge al proprio limite. Dove il pensiero stesso cessa, e non vi è più contraddizione possibile, nessuna negazione possibile, e quindi alcuna determinazione.
giopap:
E nemmeno alcuna affermazione possibile.
bobmax:
Il poeta Platone, e gli autentici poeti sono senz'altro dei massimi logici, ci conduce al cospetto dell'Uno. Almeno sino a limite del logicamente possibile. E lo fa con una lucidità ammirevole.
giopap:
Secondo me i poeti raramente sono logici eccellenti, nel fare poesia, potendone in molti casi farne a meno almeno in qualche misura; anche se in teoria nulla vieta che lo siano.
bobmax:
Occorre riuscire a vedere l'impossibilità del molteplice. E cioè la sua intrinseca contraddittorietà. Proprio attraverso lo stesso principio di identità!, facendolo giungere al dissolvimento.
giopap:
Questo più che Platone mi sembra Parmenide.
Il quale scrisse in versi la sua opera maggiore, purtroppo quasi interamente perduta, facendo un uso propriamente mnemonico della scrittura in versi stessa che é proprio del genere "didascalico" anticamente molto diffuso probabilmente anche per ovviare alla difficoltà di produrre molteplici stesure scritte di opere scientifiche o filosofiche in assenza della tecnica della stampa; un esempio sublime ne é il De rerum natura di Lucrezio, "del tutto casualmente" (non era per niente inevitabile che lo fosse) anche di elevatissimo, inestimabile valore estetico (poetico nel senso in cui si intende anche oggi la poesia), oltre che scientifico o meglio filosofico; esteticamente buone, anche se non a tale livello né a quello dell' Eneide, sono le Georgiche e le Bucoliche di Virgilio, nelle quali si insegnava l' agricoltura e la pastorizia (ma la stessa Eneide aveva un intento didascalico, di esposizione storica, per quanto encomiasticamente, propagandisticamente assai distorto, ideologicamente celebrativo, nel modo, assai poco critico e scientifico, nel quale la storiografia era allora concepita).
bobmax:
Il molteplice riguarda sia l'essere sia il divenire. Fisicamente la determinazione, quindi la scissione, è sia spaziale sia temporale. Ma è un atto arbitrario, anche se indispensabile, per la nostra comprensione del mondo. Parmenide con il suo "l'essere è il non essere non è" negava che ciò che è, potesse non essere. Ossia negava il divenire: nessuna cosa diviene. Mentre Eraclito con il suo "Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume" negava che vi fosse qualcosa che permanesse. Ma la sostanza del messaggio è la stessa: Non vi è nessuna cosa!
giopap:
Al contrario!
A me par proprio che entrambi affermassero che vi é qualcosa; più veracemente descrivendo il "qualcosa reale" nella sua complessità, nei suoi aspetti più generali astratti Eraclito, molto più falsamente Parmenide; come empiricamente constatabile a posteriori.
bobmax:
Emanuele Severino, buon'anima, ha molto approfondito Parmenide. Ma è rimasto ancorato a quel "essere è, il non essere non è".
Secondo lui, e pure secondo me, la fede nel divenire è all'origine del nichilismo. Una fede erronea, a suo e mio parere, perché niente in realtà diviene. Negava perciò il divenire, e così si è inventato gli "eterni"...
giopap:
Queste mi paiono proprio tesi empiricamente falsificate al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il nichilismo non é affatto professato da una moltitudine di credenti nel divenire naturale (credenti correttamente, veracemente; al contrario di Parmenide e di Severino).
La falsità delle tesi dei due fissisti, antico e moderno, é empiricamente provata, anche se pretende di fondarsi su un paralogismo, su un logicamente scorrettissimo e falsissimo giudizio analitico a priori, banalissimo, direi anzi penoso (alla faccia della presunzione dei suddetti personaggi e del largo seguito di cui godono fra i "professori di filosofia"; che é concetto ben diverso da quello di "filosofi"); precisamente su una petizione di principio per la quale il demostrandum (l' incompatibilità del mutamento e dunque del tempo con la realtà, con ciò che é realmente, l' "essere") é implicitamente assunto come demostratum, ciò che si deve provare essere vero é scorrettamente usato come prova della verità di se stesso.
bobmax:
Evitando però così affrontare il secondo corno della questione: l'essere molteplice. Ho avuto modo di confrontarmi più volte con lui. Perché non vi è solo la fede nel divenire, ma pure quella nel molteplice a dar linfa al nichilismo. Comunque non si è schiodato, restando fermo, nonostante i tanti saggi che ha scritto, a quanto detto in Essenza del nichilismo 50 anni fa.
giopap:
Il divenire del reale non lo si crede per fede (credo che di fatto nessuno l' abbia mai fatto, anche se sarebbe teoricamente possibile; ma del tutto irrilevante).
Idem per quanto riguarda la molteplicità del reale.
Entrambi fatti reali li si constata empiricamente.
Nè l' uno né l' altra portano alcuna acqua al mulino del nichilismo, o linfa al nichilismo stesso.
Tant' é vero che vi sono tantissimi sostenitori della valenza etica dell' agire umano (e forse in qualche misura non solo) che, come la stragrande maggioranza delle persone di buonsenso, credono nel divenire e nella molteplicità del reale.
Almeno il buon vecchio Parmenide ci risparmiava quest' ulteriore assurdissima pretesa...
bobmax:
Zenone non è banale come si potrebbe pensare ad un primo acchito. Neppure la fisica degli infinitesimi riesce a risolvere il paradosso.
Paradosso che è tutto racchiuso nella inconciliabilità di finito con infinto. Tutti e due sono necessari, ma insieme si contraddicono a vicenda. Zenone non negava l'evento "freccia che raggiunge il bersaglio", ci mancherebbe altro. Negava che la freccia, considerata distinta dal tutto il resto, cioè "finita" potesse davvero muoversi. E' il qualcosa, distinto da tutto il resto, che Zenone negava. Il problema, cara Giopap, è proprio il qualcosa...
giopap:
Penso di aver brillantemente confutato il pur non banale Zenone nell' intervento precedente.
Che una freccia che non si muove dall' arco sito in un luogo distante da quello del bersaglio (entrambi ovviamente finiti e distinti da tutto il resto) possa raggiungere il bersaglio medesimo mi sembra un paralogismo dei più sgangheratamente contraddittori ed assurdi (oltre che la negazione dei fatti empiricamente verificabilissimi sinteticamente a posteriori).
bobmax:
Sì, Giopap, in effetti ho esagerato parlando di "contraddizione" in Parmenide e in Eraclito...
Perché seguendo il loro pensiero non si tratta proprio di andare "contro" il principio di non contraddizione, ma di andarvi "oltre".
Leggendo Il Parmenide di Platone, possiamo secondo me seguire il pensiero logico che giunge al proprio limite. Dove il pensiero stesso cessa, e non vi è più contraddizione possibile, nessuna negazione possibile, e quindi alcuna determinazione.
giopap:
E nemmeno alcuna affermazione possibile.
bobmax:
Il poeta Platone, e gli autentici poeti sono senz'altro dei massimi logici, ci conduce al cospetto dell'Uno. Almeno sino a limite del logicamente possibile. E lo fa con una lucidità ammirevole.
giopap:
Secondo me i poeti raramente sono logici eccellenti, nel fare poesia, potendone in molti casi farne a meno almeno in qualche misura; anche se in teoria nulla vieta che lo siano.
bobmax:
Occorre riuscire a vedere l'impossibilità del molteplice. E cioè la sua intrinseca contraddittorietà. Proprio attraverso lo stesso principio di identità!, facendolo giungere al dissolvimento.
giopap:
Questo più che Platone mi sembra Parmenide.
Il quale scrisse in versi la sua opera maggiore, purtroppo quasi interamente perduta, facendo un uso propriamente mnemonico della scrittura in versi stessa che é proprio del genere "didascalico" anticamente molto diffuso probabilmente anche per ovviare alla difficoltà di produrre molteplici stesure scritte di opere scientifiche o filosofiche in assenza della tecnica della stampa; un esempio sublime ne é il De rerum natura di Lucrezio, "del tutto casualmente" (non era per niente inevitabile che lo fosse) anche di elevatissimo, inestimabile valore estetico (poetico nel senso in cui si intende anche oggi la poesia), oltre che scientifico o meglio filosofico; esteticamente buone, anche se non a tale livello né a quello dell' Eneide, sono le Georgiche e le Bucoliche di Virgilio, nelle quali si insegnava l' agricoltura e la pastorizia (ma la stessa Eneide aveva un intento didascalico, di esposizione storica, per quanto encomiasticamente, propagandisticamente assai distorto, ideologicamente celebrativo, nel modo, assai poco critico e scientifico, nel quale la storiografia era allora concepita).
bobmax:
Il molteplice riguarda sia l'essere sia il divenire. Fisicamente la determinazione, quindi la scissione, è sia spaziale sia temporale. Ma è un atto arbitrario, anche se indispensabile, per la nostra comprensione del mondo. Parmenide con il suo "l'essere è il non essere non è" negava che ciò che è, potesse non essere. Ossia negava il divenire: nessuna cosa diviene. Mentre Eraclito con il suo "Non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume" negava che vi fosse qualcosa che permanesse. Ma la sostanza del messaggio è la stessa: Non vi è nessuna cosa!
giopap:
Al contrario!
A me par proprio che entrambi affermassero che vi é qualcosa; più veracemente descrivendo il "qualcosa reale" nella sua complessità, nei suoi aspetti più generali astratti Eraclito, molto più falsamente Parmenide; come empiricamente constatabile a posteriori.
bobmax:
Emanuele Severino, buon'anima, ha molto approfondito Parmenide. Ma è rimasto ancorato a quel "essere è, il non essere non è".
Secondo lui, e pure secondo me, la fede nel divenire è all'origine del nichilismo. Una fede erronea, a suo e mio parere, perché niente in realtà diviene. Negava perciò il divenire, e così si è inventato gli "eterni"...
giopap:
Queste mi paiono proprio tesi empiricamente falsificate al di là di ogni ragionevole dubbio.
Il nichilismo non é affatto professato da una moltitudine di credenti nel divenire naturale (credenti correttamente, veracemente; al contrario di Parmenide e di Severino).
La falsità delle tesi dei due fissisti, antico e moderno, é empiricamente provata, anche se pretende di fondarsi su un paralogismo, su un logicamente scorrettissimo e falsissimo giudizio analitico a priori, banalissimo, direi anzi penoso (alla faccia della presunzione dei suddetti personaggi e del largo seguito di cui godono fra i "professori di filosofia"; che é concetto ben diverso da quello di "filosofi"); precisamente su una petizione di principio per la quale il demostrandum (l' incompatibilità del mutamento e dunque del tempo con la realtà, con ciò che é realmente, l' "essere") é implicitamente assunto come demostratum, ciò che si deve provare essere vero é scorrettamente usato come prova della verità di se stesso.
bobmax:
Evitando però così affrontare il secondo corno della questione: l'essere molteplice. Ho avuto modo di confrontarmi più volte con lui. Perché non vi è solo la fede nel divenire, ma pure quella nel molteplice a dar linfa al nichilismo. Comunque non si è schiodato, restando fermo, nonostante i tanti saggi che ha scritto, a quanto detto in Essenza del nichilismo 50 anni fa.
giopap:
Il divenire del reale non lo si crede per fede (credo che di fatto nessuno l' abbia mai fatto, anche se sarebbe teoricamente possibile; ma del tutto irrilevante).
Idem per quanto riguarda la molteplicità del reale.
Entrambi fatti reali li si constata empiricamente.
Nè l' uno né l' altra portano alcuna acqua al mulino del nichilismo, o linfa al nichilismo stesso.
Tant' é vero che vi sono tantissimi sostenitori della valenza etica dell' agire umano (e forse in qualche misura non solo) che, come la stragrande maggioranza delle persone di buonsenso, credono nel divenire e nella molteplicità del reale.
Almeno il buon vecchio Parmenide ci risparmiava quest' ulteriore assurdissima pretesa...
bobmax:
Zenone non è banale come si potrebbe pensare ad un primo acchito. Neppure la fisica degli infinitesimi riesce a risolvere il paradosso.
Paradosso che è tutto racchiuso nella inconciliabilità di finito con infinto. Tutti e due sono necessari, ma insieme si contraddicono a vicenda. Zenone non negava l'evento "freccia che raggiunge il bersaglio", ci mancherebbe altro. Negava che la freccia, considerata distinta dal tutto il resto, cioè "finita" potesse davvero muoversi. E' il qualcosa, distinto da tutto il resto, che Zenone negava. Il problema, cara Giopap, è proprio il qualcosa...
giopap:
Penso di aver brillantemente confutato il pur non banale Zenone nell' intervento precedente.
Che una freccia che non si muove dall' arco sito in un luogo distante da quello del bersaglio (entrambi ovviamente finiti e distinti da tutto il resto) possa raggiungere il bersaglio medesimo mi sembra un paralogismo dei più sgangheratamente contraddittori ed assurdi (oltre che la negazione dei fatti empiricamente verificabilissimi sinteticamente a posteriori).
