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Messaggi - Sariputra

#211
La mia fonte è Cathopedia , l'enciclopedia online cattolica. Che dice:

Il Concilio di Gerusalemme fu una importante riunione della comunità cristiana del periodo apostolico, ed ebbe luogo intorno al 50 d.C.
Tra la Chiesa di Gerusalemme e Paolo di Tarso si giunge all'accordo ufficiale sulla ripartizione delle missioni: i gerosolimitani (i seguaci di Giacomo il Minore "fratello del Signore") e Pietro verso i giudei circoncisi, e Paolo verso i pagani.
Il Concilio venne presieduto da Pietro.
Si tiene una disputa tra chi vorrebbe imporre la legge mosaica ai pagani convertiti e chi considera questa un "giogo" insopportabile. Pietro richiama tutto il collegio a rispettare la volontà di Dio, chiaramente manifestatasi in occasione della sua visita a Cornelio, dove lo Spirito Santo era disceso anche sui pagani non facendo "alcuna distinzione di persone". Dopo Pietro intervennero Paolo e Barnaba, i più attivi evangelizzatori dei gentili, i quali raccontarono i segni e la fede che riscontrarono tra i pagani convertiti. Infine prese la parola anche Giacomo il Minore, capo della Chiesa di Gerusalemme (probabilmente, in un primo tempo, il leader di quanti volevano imporre la legge mosaica, come pare anche nella lettera di San Paolo ai Galati che richiamandosi a Pietro aggiunse la proposta di una soluzione di compromesso che prevedeva la prescrizione ai pagani convertiti di pochi divieti tra cui l'astensione dal nutrirsi di cibi immondi e dalla fornicazione.
Le cause e le determinazioni
Gli Atti degli Apostoli e la Lettera ai Galati presentano, da due punti di vista diversi, il primo problema dottrinale del cristianesimo nascente, che in sintesi può essere così espresso:
Il cristianesimo è solo una filiazione, un ramo del giudaismo? Oppure è qualcosa di diverso, di discontinuo con la tradizione giudaica, dunque qualcosa di nuovo?
 Di conseguenza, il cristianesimo è riservato a chi è divenuto un proselita del giudaismo? Oppure è possibile essere seguaci di Cristo senza osservare i rituali e le tradizioni della fede giudaica? Cioè per essere cristiani bisogna prima essere ebrei, oppure possono diventare cristiani anche i non ebrei?
È evidente che dalla risposta a tali quesiti dipendeva l'universalità del messaggio di Cristo.
E ancora: se un cristiano doveva essere circonciso, allora il sacrificio di Cristo perdeva di valore e la redenzione veniva drasticamente ridotta di significato e subordinata all'osservanza della Legge Mosaica. Non si trattava più di Grazia ma del risultato delle opere prescritte dalla Legge. Non si trattava del mettere in atto l'etica cristiana, ma del concetto che portava a ritenere opere meritorie quelle che attenevano ai rituali ed ai cerimoniali dell'ebraismo. Quando Pietro ritornò da Ioppe a Gerusalemme, venne contestato dai credenti circoncisi (At 11,1-3) per il fatto di essere entrato in casa di pagani incirconcisi, e questo dimostrava il persistere della diffidenza nei confronti degli esterni al mondo giudaico; pur tuttavia questi si rallegrarono quando egli spiegò loro che quelli avevano ricevuto la stessa Grazia e la stessa benedizione.
Paolo di Tarso riferisce (Gal 2) di un episodio avvenuto ad Antiochia nel corso di una visita di Pietro che, mentre prima aveva manifestato comunione con i credenti gentili, appena arrivarono da Gerusalemme quelli provenienti da Giacomo si intimorì e se ne stava in disparte. Ciò aveva provocato la dura reazione di Paolo. Nello stesso capitolo Paolo definisce Pietro apostolo dei circoncisi e se stesso quello degli incirconcisi, intendendo con ciò una vocazione più etnica che religiosa. Questo scontro tra Pietro e Paolo manifesta una dialettica interna alla Chiesa nascente, dialettica che andava necessariamente chiarita.
Il concilio di Gerusalemme evidenzia chiaramente che tutta la problematica non nasceva da posizioni preconcette degli apostoli (che pur c'erano), ma era frutto del massiccio ingresso di farisei convertiti nella comunità di Gerusalemme (At 15,5). E l'intransigenza tipica dei farisei provocava e manteneva viva la diatriba. Proprio alcuni di essi erano andati ad Antiochia, ambiente "sospetto" perché ellenista, per fare opera di proselitismo tra i credenti perché si circoncidessero; erano stati ancora loro a far recedere Pietro dal vivere la comunione di mensa con i credenti non circoncisi quando questi si recò in visita nella fiorente comunità; efu sempre loro la richiesta di circoncidere tutti quelli che avevano accompagnato Paolo e Barnaba venuti da Antiochia a Gerusalemme proprio per discutere del serio problema.
Lo svolgimento del dibattito, pur nella sintetica relazione lucana, dimostra come la comunità di Gerusalemme abbia una conduzione ancora collegiale, come Pietro, pur sempre pronto a parlare per primo, non sia però colui che tira le somme o le conclusioni, cosa che invece in questo caso fa Giacomo.
La formula di concordia del concilio di Gerusalemme di At 15 dimostra, comunque, che il problema venne superato solo in parte, perché di fatto una divisione permase e ne troviamo traccia nella maggior parte delle Lettere di San Paolo, nelle quali risalta la sua continua lotta contro le problematiche create nelle Chiese dai credenti giudaizzanti. Ciononostante non vi furono due movimenti cristiani antagonisti; l'unità della Chiesa rimase intatta. 
Namaste
#212
Paolo non scriveva sul 'nulla'. La fonte Q è contemporanea alla prima predicazione e quindi è ragionevole pensare che abbia influenzato anche la riflessione paolina. Sicuramente non poteva ignorarla o discostarsene filosoficamente troppo, visto che era la fonte principale cui attingeva la predicazione stessa del primissimo Cristianesimo Poi non è vero che Paolo non conosceva gli apostoli e i discepoli diretti di Yeoshwa. In occasione del Primo Concilio di Gerusalemme, detto anche Concilio degli Apostoli, Paolo e il suo braccio destro Barnaba scendono a Gerusalemme pe dirimere le controversie che riguardavano il comportamento da tenere verso i pagani convertiti. Il concilio viene presieduto da Giacomo il Giusto e da Pietro e giunge alla risoluzione di non imporre la circoncisione e la legge mosaica anche ai pagani, ma di raccomandare loro solo di seguire una condotta morale confacente l'insegnamento. In quest'occasione Paolo prende la parola e racconta dei 'prodigi' che secondo lui Dio ha compiuto per mezzo loro tra le genti pagane . Quindi per sentire il parere di Pietro e Giacomo e il consiglio sul da farsi, e relativo pesante viaggio allo scopo, perlomeno possiamo azzardare che Paolo non fosse ritenuto il "capo" della nascente chiesa. Che la riflessione teologica paolina sia il fondamento dottrinale è peraltro logico, in quanto Paolo è dotto e istruito, è un ebreo ellenizzato ,  viene da Tarso, fiorente cittadina dove ha seguito gli studi e, cosa non di poco conto, è un cittadino romano.
Non sembra che la piccola chiesa di Gerusalemme avesse un studioso pari a Saulo. Quindi la sua influenza sulla dottrina divenne enorme perché in pratica  i tre evangeli sinottici non presentavano una vera dottrina , ma erano solo narrazioni di fatti ed eventi a scopo di catechesi e per "dar ragione di una speranza", come si soleva dire. Dire che la teologia di Paolo non è quella di Yeoshwa è pertanto senza senso, proprio perché la teologia cristiana inizia con Paolo, per così dire. La quale sarà base e spunto per le ramificazioni dei due millenni successivi. Yeoshwa non formulò una teologia e anche a riguardo di Paolo non si tratta di una vera teologia, intesa come ricerca razionale e studio sulla natura  di Dio, ma assume più il carattere di 'esortazione'...
Che Paolo non fosse particolarmente amato dalla chiesa di Gerusalemme è probabile, ma è solo un'ipotesi. I primi anni del Cristianesimo infatti sono segnati dalla diffidenza degli ebrei convertiti verso i pagani che abbracciavano questa nuova fede e che si rifacevano a Paolo, che li seguiva e consigliava continuamente attraverso le lettere che inviava loro , anche dalla prigionia.
Se però riteniamo che sia tutta una montatura l'esistenza fisica stessa di Yeoshwa e la sua predicazione. Un'invenzione di una setta di ex farisei megalomani...beh! Direi che preferisco attenermi all'antropologia cristiana...perché l'ipotesi mi sembra piuttosto inverosimile, proprio per i paradossi e le contraddizioni dei testi stessi che nel caso non sarebbero certo così numerose. Secondo me, proprio le contraddizioni e le diverse 'visioni' dei fatti avvenuti di cui si è stati testimoni o uditori danno l'idea del "primo magma", per così dire...
Anche la datazione degli evangeli è datazione riferita a quelli che sono pervenuti, ma non è certo affatto che non fossero tratti da fonti scritte anteriori e, visto che c'è moltissima concordanza, tutto lascia pensare che abbiano attinto a forme di proto-vangeli già circolanti . Ma siamo nel campo delle ipotesi, che possono essere ritenute più o meno verosimili. Tra l'altro lo "scritto" non era così importante in un movimento che, almeno all'inzio, si presentava come escatologico.
Paolo stesso nelle sue lettere dà voce con forza a questa originaria speranza nel 'ritorno' immediato del Cristo.  Se fosse tutta farina del suo sacco, sarebbe caduto in questa banale contraddizione del suo stesso credo? Dubito assai...
Namaste
#213
Percorsi ed Esperienze / Re:La magia del Natale
02 Dicembre 2019, 11:19:15 AM
Ho un ricordo particolare di un Natale passato da convalescente, in giovinezza. Un ricordo legato ad un animaletto particolare. Mi vedo alla finestra adagiato sullo sdraio da spiaggia che mia mamma aveva imbottito di cuscini per farmi stare comodo. Le tende della finestra aperte per guardare fuori. Il giorno prima ero stato dimesso dall'ospedale della Contea dopo una brutta polmonite , conseguenza del morbillo che avevo ricevuto come dono natalizio dai miei fratelli. Mi avevano concesso di tornare a casa per la festività con l'impegno di non uscire e non prendere freddo. Guardavo la neve che scendeva. Un miracolo della vigilia. Raramente nevica a Natale, se non nei film e nelle cartoline. Poco sotto la finestra c'era il recinto della coniglia nana "testa di leone". La bestiola aveva scavato, come fanno i conigli, un tunnel sotto terra dove si rintanava per fuggire il gelo. All'improvviso, forse mi ero distratto o appisolato un attimo,  guardo fuori e vedo quattro batuffoli di pelo che saltano nel recinto. Salti inverosimili per animaletti così piccoli e appena nati. Erano quattro coniglietti che uscivano dalla tana per la prima volta. Proprio alla vigilia di Natale. Ricordo che mi commossi osservandoli e poi...chiamai mia mamma e i miei pestiferi fratellini ché venissero a guardare. Nessuno si aspettava questa cosa, questa nascita natalizia. Non ricordavamo più che poco tempo prima mio papà aveva concesso un pò di "divertimento" a Fiocco, il coniglio maschio di casa, avendolo visto decisamente depresso osservare un libro...
Ricordo ancora che due dei quattro erano completamenti neri e infatti, uno dei due, decidemmo di chiamarlo Black. Dell'altro non ricordo il nome...Gli altri due invece erano macchiati.
Il giorno dopo, era Natale, i miei fratelli portarono i due macchiati in casa e me li posarono sulle ginocchia, sopra la coperta che non volevo e che mia mamma mi costringeva a tenere addosso. Mi concessero di battezzarli. Il più vispo dei due, quello che non stava fermo e tentava di 'scalarmi' lo chiamai Vercingetorige. All'epoca leggevo e fantasticavo la storia romana sul Conoscere, la mitica enciclopedia (che conservo ancora...).
I due neri invece non li portarono mai dentro. Stranamente...Che sfortuna dev'essere nascere nero. Anche per un coniglio...Ricordo solo che mio fratello minore diceva di non capire dov'era la testa, perché non si distinguevano le orecchie dal codino...
Però cadde pochissima neve. Solo una spruzzata...che presto venne bevuta dalla terra...
Fu un Natale molto bello, nonostante le mie precarie condizioni di salute. Un ricordo struggente, soprattutto di mia mamma affacendata sulla cucina a legna.  Aveva invitato per il pranzo suo papà, il vecchio Toni, detto "Schena" (schiena) perché si raccontava che da giovane arava da solo i campi, senza il cavallo, tirando l'aratro.
Ricordo che mia mamma, quando entrò, gli andò incontro e con fare severo gli intimò di non fumare la pipa nella stanza, come faceva di solito, chè non dovevo respirare il fumo...
E lui disse solo:"Posso sputare almeno?". Questo me lo ricordo bene... ;D
#214
I tre evangeli detti '"sinottici" (Matteo,Marco e Luca/no)si ritiene siano basati su dei documenti scritti che iniziarono a circolare nelle prime comunità cristiane  poco dopo la morte di Cristo. Queste fonti scritte formano quello che gli esegeti biblici e gli studiosi di antropologia cristiana chiamano "La fonte Q", ossia di una versione del Vangelo di Marco anteriore a quella che ci è giunta.
"Q" (Quelle in tedesco) sarebbe una raccolta di detti, parabole e racconti sulla vita di Yeoshwa ben Youssef  e sui fatti della sua vita. La narrazione a volte diversa dei quattro evangeli andrebbe a sottolineare quindi alcuni avvenimenti tralasciandone altri, anche, ovviamente, per la motivazione per cui vennero scritti. Considerando poi che probabilmente riflettevano interpretazioni teologiche 'in fermento' del primo cristianesimo e problemi locali delle prime comunità, si ha un'idea più verosimile delle varie dissomiglianze.
La "fonte Q" è nota anche come "Vangelo dei detti" ed è ormai considerata la fonte originaria dell'intero 'sistema' 'storico' sulla vita del Cristo, così come narrato nei quattro.
Fu H.Marsh che ipotizzò per primo questa fonte ai primi dell'ottocento ma rimase per gli studiosi una semplice ipotesi finché F. Schleiermacher pensò di individuare, a sostegno di questa , una frase di Papia di Ierapoli che, essendo ritenuto da tutti uno dei primissimi scrittori cristiani,se non il primo (125 d.C.), riportava:
""Matteo quindi raccolse i detti nella lingua del Signore, traducendoli ognuno come poteva".
Gli studiosi allora iniziarono ad interpretare questo passo di Papia come un indizio dell'esistenza di qualcosa di scritto antecedente gli evangeli; una sorta di "proto-vangelo che l'autore del "Matteo" aveva usato per trarre l'evangelo che ci è pervenuto. Il proto-vangelo sarebbe quindi una raccolta di detti e fatti sulla vita del Cristo cosi come raccontati dall'apostolo diretto del Maestro, ossia di Matteo l'esattore delle tasse.
C'è da dire che alcuni studiosi rifiutano questa tesi e sostengono che Papia si riferisse anche al vangelo di Marco come fonte del Matteo, per un errore di traduzione dello scritto dell'antico autore. Quello che è importante per noi è sapere che, al di là delle controversie esegetiche specifiche, c'è unanimità sull'esistenza della "fonte Q" , scritta in aramaico e poi in greco  e conosciuta anche dall'autore del "Luca".
Weisse propose l'interpretazione detta "delle due fonti", ossia che Matteo e Luca si siano serviti entrambi del più antico evangelo di Marco e insieme anche dei detti di questa "Fonte Q". Questa è l'ipotesi maggiormente seguita e accreditata. Quindi non è corretto dire che i vangeli siano semplicemente opera fantasiose di narrativa del primo cristianesimo, nati per sostenere alcuni punti o controversie teologiche. C'è sicuramente una fonte comune a cui si sono ispirati ed è certo che vennero scritti, soprattutto i sinottici, sulla base del proto-vangelo esistente e sulle testimonianze di coloro che avevano sentito narrare i fatti dai discepoli diretti del maestro.
Come ogni narrazione , essendo libri ritenuti come 'ispirati' e non 'dettati' direttamente da Dio (come nel caso dell' Al-Qur'an islamico..) c'è anche molto degli autori nel testo e soprattutto molto della comunità a cui appartenevano che ovviamente , sulla base dei testimoni in seno che accoglieva, prediligeva e approfondiva alcuni aspetti a scapito di altri. Possiamo però rilevare che quasi tutti gli episodi presenti in Marco sono presenti anche in Matteo e Luca. Questi ultimi due però sono più coloriti e ricchi "letterariamente" enfatizzando aspetti del Marco che invece è piuttosto 'asciutto'. Da qui l'ipotesi, ormai accettata da tutti gli studiosi, che il Marco abbia fatto da guida e ispirazione agli altri.
La "Fonte Q" sarebbe dunque la sorgente del materiale prevalente in Matteo e Luca , ma non in Marco dove si pensa che questa fonte si combini sicuramente con un proto-vangelo.
C'è da dire che materialmente non è stata mai rinvenuta questa  cosiddetta "Fonte Q". Addirittura alcuni esperti pensano che si tratti di uno schema di esposizione in forma orale usato dai primi discepoli di Yeoshwa utile per ricordare e soprattutto per uso di catechesi. C'è anche un cenno in Luca a suffragio di questa tesi.
Si tratterebbe in sostanza di una raccolta di detti e aneddoti in forma orale poi messi per iscritto ad un certo punto. Questa ipotesi è sostenuta dal fatto che l'autore del Matteo aveva l'abitudine di esporre e riunire per argomento, caratteristica che indicherebbe una fonte scritta già esistente da lui seguita nel comporre il suo evangelo.
La Fonte Q sembra sia chiaramente scritta in ambiente palestinese e antifarisaico, pur rispettosa della Legge mosaica. Sembra indirizzata soprattutto verso i convertiti di Israele e che sia del Nord del territorio . Altri studiosi, anche qui, sono più titubanti a collocarla in Palestina e pensano anche all'ambiente ellenico, visto che due vangeli sono stati scritti in quel contesto...Una cosa però potrebbe non escludere l'altra; ossia che sia originaria della Palestina (la conoscenza dell'ambiente ebraico, e la sua critica, è rilevantissima..) e poi tradotta nelle comunità greche.
La datazione è data a prima del 70 d.C., si pensa tra il 40 e il 50, quindi sicuramente prima della distruzione del Tempio. Si parla quindi di soli vent'anni dopo la morte di Yeoshwa. Molti apostoli e primi discepoli erano ancora vivi sicuramente...
Che all'inizio il Cristianesimo si basasse sostanzialmente su una tradizione orale è perfettamente comprensibile dal fatto che si trattava di una predicazione in prevalenza errante di questo movimento, sorto sulle orme del Cristo, anche se le prime comunità si pensa siano nate addirittura prima della morte di questi...cioè prima della Passione (c'erano case in cui già si ritrovavano, usate per l'ultima cena, per esempio, o per rifugiarsi temendo la persecuzione post supplizio, ecc.). Era una tradizione orale, e poi scritta si pensa in lingua aramaica che conteneva riferimenti continui alla Bibbia dell'Ebraismo. La traduzione in greco venne poi per favorire la missione evangelizzatrice agli ebrei della diaspora e ai sempre più numerosi 'pagani', così come poi viene documentata negli Atti e nelle lettere di Saulo e altri..
Namaste :)
#215
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
30 Novembre 2019, 14:00:57 PM
Partendo dal presupposto che la perfezione non esiste , nella condizione umana (nemmeno Michelangelo era un 'perfetto' scultore...)  penso che un 'precetto morale' debba necessariamente sottostare all'interpretazione, meglio se di un'autorità saggia, se c'è, o del sano buon senso in caso contrario. Non nuocere , premesso che per non nuocere in modo "perfetto" bisognerebbe non esistere , allora diventa responsabilità dei limiti del tuo nuocere necessario. Se posso cioè vivere cagionando la minor sofferenza possibile o viceversa se vivo non preoccupandomi affatto della sofferenza che infliggo, o che faccio infliggere al posto mio. E non è una differenza da poco...
Infatti la necessità non è un'infrazione al precetto, ma lo è invece l'intenzionalità di nuocere.
Come non è di poco conto la sostanziale consapevolezza di quel che tocca fare per sopravvivere. Un giudizio sulla sofferenza che infliggiamo agli altri esseri è già piuttosto contro-naturale, non viene spontaneo di solito. E ciò va bene...causa molta frustrazione il rifletterci quotidianamente e quindi fa bene...
Nella pratica spirituale, in generale, bisogna abbandonare l'idea di "perfezione". La perfezione non esiste, è un concetto astratto...il "risveglio", l'"illuminazione", l'accensione della lampada, non sono sinonimi di perfezione.
P.S. tra un piatto d'insalata e una bella fetta di cingh...maiale la 'bestia' che è in noi sa benissimo cosa preferire, purtroppo... :(
#216
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
30 Novembre 2019, 11:42:46 AM
Spero si sia capito che il Sari di questo topic non rispecchia necessariamente e sempre il sottoscritto, che ovviamente non si chiama Sariputra... ;D
E' un personaggio in cui c'è molto di mio , ma anche dell'altro, più "letterario" si potrebbe quasi dire (senza aver la pretesa di far della letteratura, ovviamente...).
Me lo studio in funzione catartica, direi... :-[

I precetti in realtà sono un "aiuto" per seguire , per quanto possibile, visto che purtroppo viviamo in un universo condizionato, una via il più possibile 'etica'. Proprio per questa indicazione 'sostengono' la pratica buddhista, che ha bisogno di reggersi su solide gambe. E non sono "comandi" ( o comandamenti..).
Essendo essi stessi 'pratica' puoi verificare di persona la loro utilità. Basta fare una settimana seguendoli e poi ritornare a non seguirli e noti la differenza ( di lucidità mentale).
Come in tutte le situazioni esistenziali, ci saranno persone più o meno coerenti nel seguirli, o più o meno coerenti in varie fasi della propria vita. Naturalmente è un problema karmico, secondo la visione buddhista...
Bisogna anche distinguere la persona dal discorso che fa. La benevolenza che merita, e l'amicizia che si può dare non possono per questo giustificare un chiacchericcio frivolo e stupido, che non è un problema ( se non come semplice fastidio passeggero..) per chi lo subisce, ma 'intossica' invece senza volerlo l'autore dello stesso...
Il problema è che diventa una vera abitudine in cui la mente si perde. C'è molta inconsapevolezza in questo continuo chiaccherare...Però concordo che spesso, dietro questo bisogno, o sullo sfondo per così dire, c'è molta sofferenza interiore. Ecco, mi sembra che, vedere la sofferenza sottostante, in molti casi, inviti a riflettere sull'importanza dell'uso del linguaggio , al quale non siamo educati e abituati a dare 'peso', se non come convenienza sociale. E anche allora... :-\
L'indicazione più importante del quarto precetto buddhista è "non mentire", ma ampliandolo, come non sempre si fa, anche all'attenzione/consapevolezza dell'uso del linguaggio in un certo modo, con un vigile controllo su di esso, diventa un fattore del Nob.Ott.Sentiero, il terzo per l'esattezza. Quindi un fattore per il 'risveglio'...
#217
Tematiche Spirituali / Re:Sono un essere inadeguato
30 Novembre 2019, 01:11:30 AM
La volontà di non nuocere è scommessa persa. L'ho proprio persa, perchè mai son riuscito a vivere un sol giorno senza nuocere a qualche essere. Che sia vegetale o animale, piccolo o pezzo di grosso,  foglia o bistecca, sempre ho dovuto far violenza a qualche essere . Non mi va di vivere facendo violenza, ma è impossibile farlo senza. Che tristezza!..Ok, dovrei non pensarci e godermela, come fan tutti. Adesso arriva Natale e già ho ricevuto un invito per il cenone della vigilia da uno dei miei fratelli che ha una casa nuova, con una taverna nuova, col caminetto nuovo...E' una pena per me, come ogni anno di 'sti tempi. Son tipo solitario e quando mi trovo in compagnia tendo ad esagerare con le battute, vorrei ingraziarmeli tutti, vorrei forse ...sì insomma, che mi volessero bene, trovandomi persino simpatico, soprattutto le donne...dell'opinione dei maschi non mi interessa granché...non mi sento mai in competizione con loro perchè ho fatto scelte precise, mi son chiamato fuori . Uno dei vantaggi dell'età che avanza è quello di non essere più preoccupato dell'opinione altrui, uno dei pochi vien da dire, insieme con la saggezza...per chi ce l'ha ovviamente. Dicevo del cenone...Com'è possibile evitare queste necessità sociali? Cioè, io lo dico: non invitatemi, vi prego!...Non ce la faccio a vedere tutti quegli esseri morti sul piatto, cotti, gustosi, invitanti,ributtanti...Mi sembra pure che mi guardino , davvero!...Eccololà il buddhista pare che dicano, guardate l'ipocrita. Cosa dice il primo precetto? Astenersi dal nuocere agli esseri viventi? E guardalo col tovagliolo infilato nel colletto della camicia, pronto a infilzarci con la forchetta in mano!..Il saio color zafferano l'ha lasciato a casa? Mi pare quasi che ridano di me, che mi scherniscano. Allora dico sempre: non mangio carne, vi prego, ti prego...non mangio carne. Ma è pesce! Il pesce lo mangi vero? Gianna ha lavorato due giorni per prepararlo, non vorrai che si offenda? Proprio lei che mi chiede sempre come stai...Non deve offendersi...le voglio bene..cioè...in senso fraterno, ovviamente, non guardarmi così...con metta...ma se mangiassi solo verdura? Tanta verdura, tanta, perché passa...Ho il metabolismo così rapido che, dopo una mezz'ora che ho mangiato verdura, ho di nuovo fame e, prendendo un pasto solo al giorno diventa dura. Lo vedi che non ce la fai? Non mi hai detto una volta che un buddhista mangia tutto quello che viene donato e messo nella ciotola della questua? Anche la carne? Che anche Buddha...sì sì, è così, anche Buddha...ma se fosse possibile, se non è disturbo eviterei, capisci? La violenza sugli esseri senzienti. E i vegetali? Non sono esseri senzienti? Filosoficamente no, perchè senziente è riferito ad esseri in grado di provare sensazioni, come le bestie, il cinghiale per esempio...Lascia stare 'sta ossessione del cinghiale! Non lo cuciniamo quest'anno. Stai tranquillo...Beh! Dai...cerca di venire...ti preparo un secchio di insalata con semi di girasole tritati e fagioli messicani. No i fagioli! ..Sì, i legumi sono importanti per le proteine vegetali, ma durante il cenone, con Stefania vicina che mi guarda come se fossi un vero bodhisattva...capisci? I fagioli no...
E' così ogni anno. Una lotta... Non è facile seguire i precetti. Il primo già mangiando te lo giochi. Il secondo è più facile rispettarlo, come il terzo peraltro, anche se, con la Stefi vicina bisogna lavorar di sati . Il quarto...ahia!Il quarto...chiariamo:io non sono mai volgare.Odio la volgarità. Ma il quarto è forse il più difficile da seguire: astenersi dal mentire e dall'eloquio offensivo, inutile, petulante, frivolo, eccetera eccetera. Esattamente quello che scatena subito la curiosità delle donne. Perché non parli oggi Sari? Sei triste ? Raccontaci qualcosa di divertente. Ma stai bene? Ti vediamo strano e silenzioso... Di solito sei così scherzoso..E come fai a dir loro che è il quarto precetto?...E poi arriva il de profundis con il quinto. Il quinto è il nemico giurato delle feste e dei cenoni della vigilia. Il quinto ti rimbomba nella zucca vuota non appena vedi tirar fuori lo spumantino. "Astenersi dall'alcool o dalle sostanze che alterano la lucidità mentale" recita il quinto. E quando ti passano il calice e provi a dire "Non pos..." apriti cielo! Tutti a  urlare: ma dai, ma su, ma no, ma perché, solo un dito, in orizzontale, uhhhh! Che dolcetto, è vino da donne...che buono! Ma son buddh...e ti dan di spalla, e la Stefi vuole intrecciare il braccio con il tuo, ma ti versa addosso mezzo spumantino...

Non invitatemi più. Sto così bene con le quattro capriole di fumo del focolare... :-\
#218
La difficoltà di queste concezioni  è che non spiegano in maniera convincente il perché sorge l'"illusione".  Nell'Advaita Vedanta, ossia in un sistema monistico metafisico, Shankara deve introdurre un elemento dogmatico (la rivelazione-sruti) per spiegare il perché l'Assoluto 'illuda se stesso'. Se prendiamo 'questo' come reale e il 'serpente-corda' immaginato dalla mente illusa come falso, o viceversa, non abbiamo un motivo per giustificare l'illusione, se non ritenere che sia spiegabile con un preconcetto a favore della conoscenza, oppure con un preconcetto a favore della volontà. Si è insomma costretti a scegliere una spiegazione preconcetta come l'unica vera. C'è da dire che, anche se postuliamo due realtà, una realtà 'reale' e una 'illusoria' creata dalla mente, questo non ci dice niente del contesto dell'illusione, in quanto questa in sé non 'scopre' la mente, la sua 'essenza' intima; ma si giunge al concetto stesso di 'illusione' o di 'virtuale' con una mente già preconcetta. La spiegazione dell'illusione sulla realtà può essere allora giustificata solo su questa base di preconcezione...
Però come giustificare il preconcetto iniziale? Possiamo solo fare ipotesi nel dare una spiegazione dell'illusione, si teorizza e ci si abbandona alla speculazione (ditthi).
La stessa 'illusione' mostra , al contrario, che i due termini del 'reale' (soggettivo e oggettivo- 'questo' e il 'serpente-corda'- realtà e realtà virtuale...) sono relativi l'uno all'altro.
Si può allora salvare qualcosa dalla relatività dei due termini? Non i due momenti riflessivi essendo entrambi relativi e privi di natura propria. Ma la coscienza riflessiva alla quale entrambi appaiono è assoluta, perché si trova fuori del conflitto. Con un'immagine , in un duello tra uguali, entrambi i duellanti cadono esausti; lo spettatore è il residuo. La consapevolezza riflessiva del conflitto antinomico della ragione è, allo stesso tempo, al di sopra del conflitto ed anche una "visione profonda" di esso.
Non possiamo fare a meno di questa consapevolezza critica 'alla quale' appare il conflitto tra le due 'realtà', e che compie una valutazione di esso. Non può essere 'posseduta' come cosa, ma è presente come atteggiamento più profondo e più intimo delle cose.
Semplificando: immaginiamo un bimbo che gioca a nascondino con se stesso e con nessun altro. Perché l'"Assoluto" o la "Coscienza Cosmica" gioca a nascondersi da se stesso? Visto che pure il suo contrario, l'inconsapevolezza, è una sua manifestazione?...Diverso il caso del bimbo solo che gioca a nascondino con se stesso consapevole di star giocando a nascondino solo con se stesso...e questa è la consapevolezza riflessiva o critica, che è il 'residuo' del gioco... :)
Namaste
#219
Il poeta e drammaturgo russo Majakovskij non era molto tenero con la specie degli intellettuali :

"In una nave che affonda gl'intellettuali sono i primi a fuggire, subito dopo i topi e molto prima delle puttane."

In effetti è interessante vedere come gli intellettuali che parlano di politica e di cose che gli altri dovrebbero fare siano pronti ad abbandonare la nave che imbarca velocemente acqua e, fingendosi quasi esser stati prigionieri della stessa, siano pronti a farsi 'salvare' da quella che invece veleggia col vento in poppa...
Spesso questi personaggi dall'acuto intelletto, che erano pappa e ciccia col potere avendo da questi  ricevuti fama e agiatezza, alla rovina del medesimo ne siano diventati i più fieri avversari. Mostrando inediti scritti, apparsi per miracolo, diventano pronti a rendere giustizia del loro operato di eroici oppositori e dirsi 'usati' dall'infame potere, che invece per loro, se fosse stato possibile, se...

Naturalmente ci sono anche intellettuali intellettualmente onesti...che è come dire che ci sono contadini agricolturalmente onesti o prostitute p....mente oneste. Sì...ma nel resto del tempo?
Ecco cosa dice P.P.Pasolini, uno che più intellettuale di così si muore:

Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero. Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere.

Pierpaolo parla di 'mestiere'. Usare il cervello è un mestiere e il vero intellettuale sa perché lo usa, mentre il bifolco chiaramente no. E' per questo motivo che il buzzurro segue le idee dell'intellettuale, non essendo sicuro delle proprie, non sapendo manco perché gliene vengano di proprie in testa.
Ma che succede se uno è scemo e pensa invece di essere un acuto intellettuale? Almeno uno scemo che sa di essere scemo è uno scemo puro e onesto. Ma uno scemo che si crede intellettuale mi sembra quasi scemo due volte (è vero, questa l'ho biecamente tratta da Moliere...ma è troppo vera!  :) ).
#220
Il problema principale che si riscontra in moltissimi intellettuali è l'ipocrisia. I filosofi poi sono , tra gli intellettuali, i più ipocriti. Se invece di leggere i loro testi filosofici si leggono le loro biografie vien spontaneo esclamare: "dio! Che razza di ipocrisia!"...E' vero che lo siamo un pò tutti, ipocriti intendo, ma in un tipo intellettuale è ben più disgustoso, perchè queste persone pretendono di avere una sorta di 'autorità' data dal loro saper usare meglio di altri l'intelletto...Così, come dice quel famoso passo evangelico, più ti 'elevi' più vieni 'abbassato' dalla tua miseria esistenziale stessa. E' vero che queste persone son capaci di farti credere, con incredibili giravolte e ghirighori linguistici, che anche l'ipocrisia non è un male, semmai un vezzo, un tocco di classe; e mentre son capaci di stigmatizzare l'incoerenza del poveraccio, del buzzurro, non vedono letteralmente la "trave nei loro occhi". Poi c'è anche questa idea che l'intellettuale, in fin dei conti,  è importante per le sue idee e non è così determinante che le metta in pratica. E' come se un tuo amico ti consigliasse un certo ristorante, ma che lui si tenesse  ben lontano dal frequentare, preferendone altri...
L'intellettuale poi ama la politica. Forse sarebbe più esatto dire che usa la politica. Non sei un intellettuale serio se non ti occupi di politica e non la usi per farci su una bella carriera da intellettuale che si occupa di politica. L'importante è occuparsene, non importa da che parte, ma occupatene perdiana...
Quando sono triste mi guardo delle belle scene in tv di intellettuali che discutono sui problemi del mondo e fanno politica. Devo dire che , per un pò, funziona...è rasserenante. Dopo tutto...vedere che ci sono persone così argute che si occupano del bene comune ti tira su...senti nascere quasi una speranza...quasi...per un pò...poi iniziano a litigare fra loro, ad insultarsi, a fare commedia grottesca, a latrare indispettiti e capisci che, se queste sono le persone che sanno usare l'intelletto meglio della massa dei pecoroni, si comprende il perché siam messi così bene... :(
Ci sono però anche intellettuali che adoro. Per esempio c'è un tale Guido che mi telefona spessissimo e che vorrebbe che lo aiutassi a convincere medici e farmacisti, o loro apprendisti, a dedicare parte del loro preziosissimo tempo gratis per le persone che sono nel bisogno e che non hanno i centocinquanta euri minimi a 'botta' che ci vogliono per farti visitare da cristiano (o da musulmano , se preferite...). E' un filosofo laureato che non ha potuto far fortuna negli ambienti intellettuali, me è preparatissimo, sissignori...Se ho un dubbio...che so...su Fichte (non è che mi vengano spesso dubbi su Fichte o chi per lui, devo ammetterlo, ma è per fare un esempio...) Guido mi tiene due ore al telefono per spiegarmi l'evoluzione del pensiero filosofico dalla caduta dell'Impero Romano d'Occidente ai giorni nostri. E' un mito... ma non è ancora riuscito a convincere uno, che sia uno, medico o farmacista a dare del tempo gratis per i poveracci..
Ecco, Guido è un vero intellettuale coerente. Ha classificato e messo in ordine una biblioteca ridotta al lumicino solo per il piacere di farlo. Peccato che, vista l'età, non possa più guidare l'auto col buio, come il sottoscritto peraltro, e questo lo fa soffrire parecchio. Sto tentando di convertirlo al Buddhismo, ma è troppo intellettuale per farlo. Se gli dico "lascia andare" lui istintivamente afferra ancor più saldamente il libro che ha in mano e se lo nasconde nel cappotto... :) Eh il karma non è ancora 'maturo' per lui.
#221
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
26 Novembre 2019, 10:44:03 AM
cit.:Certo...Adolf Eichmann non era sanguinario e violento. Non era lui che massacrava in prima persona gli ebrei. Lui, però, si muoveva nella logica del "branco" e lasciava ad altri il lavoro sporco.

C'erano anche grandi filosofi che seguivano Hitler. C'era M. Heidegger, c'era E. Junger...c'era moltissima gente comune che, non solo non considerava gli ebrei dei nemici pericolosi, ma prima dell'avvento del nazionalsocialismo ne era amica, sposa, parente...La questione è molto più complessa per l'essere umano che non per il leone. C'era gente che pensava ci volesse un dio per salvarci (anche se poi forse s'è capito di quale "dio col baffetto" s'intendeva parlare...), e nel frattempo sottoscriveva le leggi razziali . Tutti poi, sopravvissuti all'uragano di fuoco e di morte, negarono, abiurarono , dissero di esser stati costretti, di aver avuto paura...

Se la collaborazione di un intero popolo a un totalitarismo è un enorme problema, lo è a maggior ragione se riguarda i filosofi, un gruppo «particolarmente schivo e tranquillo» che godeva (e ha goduto nel dopoguerra) di un enorme prestigio.
(Yvonne Sherratt- "I Filosofi di Hitler"-Yvonne Sherratt ha scritto il libro di sintesi che mancava nello scaffale del cultore italiano di studi filosofici: la storia di come la filosofia tedesca, la filosofia per il ruolo che per lungo tempo ha ricoperto nella storia della cultura europea, sia stata coinvolta in tutte la vicende di violenze e violazioni dell'umano che iniziano con l'esaltazione nazionalista e attraverso il razzismo sfociano nel genocidio. La storia a cui ha girato intorno chiunque si sia formato dal dopoguerra in ambiti filosofici, con livelli di rimozione più o meno inversamente proporzionali al proprio livello di impegno politico in senso antifascista.
Ignorando di avere scheletri sepolti nel giardino ci siamo difesi da quella storia, a volte usando l'interpretazione come alibi, altre volte distinguendo gli uomini dai testi, in ogni caso ignorando alcuni dati fattuali incontrovertibili. Benché queste possano essere operazioni talvolta legittime se fatte con accortezza, consapevolezza e dichiarate in ambiti di ricognizione teorica ben circoscritti, non si può ignorare il radicamento del nazismo in determinato ambienti culturali; e viceversa all'interno di un sistema totalitario non si può non pensare alle pratiche politiche e agli atti di rilevanza istituzionale di studiosi intenti a opere di ingegno, che tendenzialmente aspirino ad avere risonanze esistenziale ed etiche.
Anche senza contare le interpolazioni e le reinterpretazioni ideologiche del nazionalismo, diverse ad esempio in Fichte o in Hegel, Nietzsche non avrebbe avuto bisogno del lavoro di riedizione della sorella per diventare un punto di riferimento antimoderno e reazionario. Durante la Grande guerra 150 000 copie di Also spracht Zarathustra vennero distribuite ai soldati tedeschi al fronte, in contesto e con effetti diversi comprensibilmente diversi da quelli che ha avuto sui post-strutturalisti francesi (o sugli allievi dei corsi di Teoretica della stagione 1992/96 che ho seguito).


Scrive Sherratt: «il passato della nazione brulicava di teorie riguardanti lo Stato forte, la guerra, il Superuomo, l'antisemitismo e, infine, il razzismo biologico. Al di sotto del nobile retaggio tedesco si celava questo lato oscuro. Dimentichi dei principi morali e senza alcuna preoccupazione concreta, i filosofi tedeschi avevano porto alla civiltà europea un calice avvelenato che Hitler avrebbe presto sfruttato a suo vantaggio».
«Quando Jaspers, uno dei colleghi a lui più vicini [caduto in disgrazia per aver sposato un'ebrea], gli chiese (a M.Heidegger): "Come può pensare che una persona priva di cultura come Hitler possa governare la Germania?", Heidegger, con gli occhi che scintillavano, rispose: "La cultura non ha importanza. Osservi le sue meravigliose mani!"».
Nell'assumere il rettorato, il professore aveva fatto stampare sul programma della cerimonia l'inno del partito nazista con l'indicazione che venisse cantato dopo il discorso del Führer; queste le parole: «Alzate le bandiere, serrate le file! Il reparto d'assalto marcia con passo fermo e coraggioso, i camerati, assassinati dal fronte rosso e dalla reazione, marciano con noi tra le nostre file».
A settant'anni di distanza dalla guerra, saltando fuori dal cerchio dell'indignazione o da una difesa istintiva del proprio canone formativo, in presenza di una documentazione molto vasta e articolata, è auspicabile anche in altri campi disciplinari l'apertura di ragionamenti seri sulla validità di teorie intrecciate a biografie intellettuali moralmente inaccettabili nei loro presupposti. Ne va della capacità di distinguere il senso delle parole delle vittime da quelle dei persecutori.

Nell'uomo l'intreccio di cultura e natura è estremamente complesso e spesso non è dato discernere quale elemento prevalga sull'altro. Per questo la riflessione etica assume grande importanza.

P.S. C'è qualcosa che mi ribolle in pancia quando penso che, grazie alla propaganda e all'opera di persuasione condotta anche da "maiali" come Heidegger (senza offesa per i porcastri, di cui ho intessuto un peana in difesa del nobile cinghiale..) qualche bambino sia finito nudo e tremante di paura in una camera a gas, mentre il nobile grande filosofo sia stato riverito e omaggiato (come altri che però, forse, erano meno compromessi..) poi in tutto il mondo...Scusate le sfogo!...

L'articolo completo:
https://www.doppiozero.com/materiali/teorie/i-filosofi-di-hitler


un saluto
#222
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
25 Novembre 2019, 21:21:28 PM
"Morte" è un termine convenzionale per definire la cessazione delle funzioni vitali in un organismo vivente o di parte di esso ("quel ramo dell'albero è morto").Non significa ovviamente che si scompare nel nulla, come nella 'nascita' non si proviene dal nulla. Gli elementi che compongono il corpo cadaverico accelerano la loro trasformazione, mutano., si decompongono. Il termine 'de-composizione' illustra l'esito di questo processo che è la morte. Un corpo che si è composto si de-compone. Viene a mancare la necessaria correlazione funzionale tra gli organi che formano un 'vivente'. C'è qualcosa che cessa (la necessaria attività e correlazione funzionale degli organi). Questa è la morte. Dire che "in realtà non esiste la morte o la nascita" significa non osservare che qualcosa viene in essere ( l'inizio della necessaria attività e correlazione funzionale degli organi) e qualcosa cessa .
Il temine 'morte/death/mortem/मौत'' '  è una designazione mentale per quel particolare stato degli organi che compongono un corpo che cessano la loro attività e correlazione funzionale. Non si forma e cessa per 'magia' ma seguendo un processo. E' evidente che la realtà è un susseguirsi e intrecciarsi di processi, ma il linguaggio 'ferma' in definizioni questi processi che sfuggono altrimenti alla possibilità di conoscere che è de-finire. Quando conosco? Quando de-finisco , cioè quando descrivo con parole precise e appropriate le qualità, le caratteristiche essenziali di qualcosa. Naturalmente posso essere consapevole che nascita e morte sono processi e che non esiste un punto preciso (se non in senso convenzionale..) di nascita e uno di morte, ciononostante nascita e morte sono forme della conoscenza.
#223
Tematiche Filosofiche / Re:La morte
24 Novembre 2019, 01:35:17 AM
La vita se ne sta nella morte quasi come una piccola isola all'interno di un mare che pare oscuro. Indagare questo, compito del marinaio umano, sia pure posto sugli orli o sulle cinture delle maree, è vera scienza, rispetto alla quale tutta la fisica e la tecnica non sono che bagatelle, trastulli d'animali.
Se superassimo questa volgarità in sembianze di bontà, celata in asettiche grida che si perdono in vuoti indifferenti, avremmo un'immagine diversa dell'uomo. Ma il tedio e la noia corrompono tutto e così non facciamo che correre su e giù lungo la sponda...
Alcuni, pochi, troppo nobili per assecondare la volgarità della vita o semplicemente troppo stanchi per combatterla, cercano il bianco, la solitudine. La nobiltà di questi esseri, che si puliscono con la luce dal sudiciume, risalta in maniera meravigliosa sulla loro maschera mortuaria o nelle foto lavate dalla pioggia su lapidi abbandonate.
Così che, anche se passi forestiero e di fretta, improvvisamente ti colgono..e ti fermi impietrito ad osservarle. Qualcosa nei volti ti parla e ti chiama. Così assapori la loro essenza al di là della morte, e la tua comunanza con loro. Sono volti o maschere in cui l'amore è divenuto un riflesso, reso opaco dal tempo.
Questa impressione è così forte che, talvolta, mi muove al pianto. Un'essenza densa impregna queste immagini. Quasi come sembianze primordiali che ci diventano nuovamente presenti in una specie di gioco magico. Un senso di vertigine ci coglie, mentre cadiamo in quest'aura, che però zampilla come fontana.
Assai atroce, davvero, è l'eterno divenire. Sempre di nuovo e di nuovo scorre, nello spazio ghiacciato, in una monotona ripetizione, in una canzone glaciale, questo morire grigio, demoniaco, senza alcuna sublimazione, senza riflesso...senza alcuna consolazione.
Ehi, marinaio!..Quando salpa la nave per l'altra riva?..
#224
La filosofia ha ancora molta importanza, secondo me. Basti pensare che la scienza studia e si dà da fare per salvare vite umane (per es. la ricerca medica) o per distruggerle (per es. la ricerca militare), ma non sa dire perché lo fa (al netto dell'interesse economico s'intende...). Il perché la vita sia o non sia un valore è infatti un problema filosofico e non una questione scientifica.
La scienza ci dimostra la complessità della vita e delle leggi che la regolano, ma non basta un generico 'senso di meraviglia' personale (opinabile tra l'altro..) per 'infondere' un valore alla stessa...
#225
Tematiche Spirituali / Re:Resurrezione
22 Novembre 2019, 14:45:30 PM
cit.:alcune scorie sono state eliminate, ma ne restano altre, che necessitano di un nuovo inferno.
 

-Amico mio, la vera verità è sempre inverosimile, lo sapete questo? Per rendere la verità più verosimile è indispensabile mescolarci un pò di bugia. Ed è quel che la gente ha sempre fatto. Forse c'è qui qualcosa che noi non comprendiamo. Che ne pensate: c'è in questo guaire vittorioso  qualcosa che non comprendiamo? Vorrei che ci fosse. Lo vorrei.
Io tacqui. Anch'egli tacque a lungo.
-Dicono che sia lo spirito francese...-mormorò a un tratto, come se avesse la febbre. -E' una bugia: è sempre stato così. Perché calunniare lo spirito francese?...E' la nostra umiliante impotenza a produrre un'idea. Il nostro disgustoso parassitismo...
(F.M.Dostoevskij- "I Demoni"-La notte )