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Messaggi - maral

#211
D'accordissimo Acquario, ma saper pensare con la propria testa è un'arte assai difficile da apprendere e coltivare, non si improvvisa, perché la si impara lentamente. In genere ahimè, si crede di pensare con la propria testa, mentre non si fa altro che tenere per buone roba masticata e rimasticata da altri che ce l'hanno rifilata in testa.
#212
Ti ringrazio Acquario per questa domanda che mi permette di affrontare direttamente un argomento a cui tengo molto, ma che ho sempre trattato a margine di altri temi, spesso polemizzando con Sgiombo. Cercherò per chiarezza, di partire fissando quelli che per me sono alcuni punti fondamentali per come attualmente si può tentare una conoscenza della conoscenza, partendo dalle tue osservazioni.
Ritengo che la conoscenza della cosa in sé, che identifico come conoscenza della totalità della cosa, sia una contraddizione che si può risolvere solo intendendola come un processo sempre in atto e quindi senza fine. Questo non significa che non è possibile alcuna conoscenza, ma che la conoscenza è appunto un processo di continuo apprendimento e comprensione che non può mai essere definitivo, non è mai un fatto assoluto, dato una volta per tutte, in quanto sarà sempre affetto da una parzialità che è dovuta alla prospettiva soggettiva in cui proprio per poter conoscere inevitabilmente ci si trova posti. La ragione che ci spinge a conoscere, pur consapevoli della inevitabile limitatezza che dà forma a ogni conoscenza, non dovrebbe a mio avviso più essere intesa come un'adesione alla realtà della cosa, ma come un indicarci reciprocamente le cose nel significato (essere fatto a segno) in cui le possiamo intendere nel mondo in cui viviamo. Le parole e i discorsi con cui le combiniamo, i testi che scriviamo sono i nostri mezzi di conoscenza fondamentali che abbiamo a disposizione, ma non riproducono comunque mai la cosa per come è in sé e per sé, bensì appunto ce ne fanno cenno l'uno all'altro, tra soggetti appartenenti a una stessa cultura e che praticano lo stesso linguaggio, la richiamano in presenza (la cosa che è sempre assente).
La conoscenza umana è fondamentalmente linguistica (anche quando usa il corpo, che è il  primo strumento di conoscenza) e ha un carattere originariamente connotativo atto a coordinarci a fare insieme qualcosa il cui progetto evoca e respinge il nostro umano venire a sapere di dover morire (la prima conoscenza possibile che sempre evoca la morte) e il terrore e il dolore che ne consegue. L'aspetto denotativo dei linguaggi si sviluppa poi su questa base connotativa al fine di rendere il gesto che indica sempre più preciso e quindi sempre più efficace il nostro fare, sempre più precisamente e analiticamente definibile, ma questa precisione non è nella descrizione della cosa in sé, bensì nella modulazione del gesto che la indica. E ogni cultura ha i suoi modi per realizzare questa precisione denotativa del gesto, sono riti, procedure ed esercizi da imparare e ripetere e proprio questi riti, procedure ed esercizi vengono a costituire le fondamenta della cultura stessa, la base condivisa e condivisibile di un reciproco farsi cenno l'un l'altro per sopravvivere.
Dovrebbe apparirti chiaro a questo punto il motivo per cui il processo di conoscenza, pur non permettendo di conoscere la realtà del suo oggetto, è fondamentale per l'essere umano tanto da perseguirla continuamente, anche se ognuno è già sempre nella verità e solo vuole sapere di esserlo. Conoscere è il modo che l'uomo ha a disposizione per tentare di sopravvivere  propriamente nel mondo, aggiustando la sua postura, i suoi gesti, il suo parlare per trovare un orientamento nel suo errare lungo il cammino che percorre, sentirsi così sicuro grazie alla risposta degli altri che ci corrispondono, anche se non vedrà mai l'oggetto in sé che questi gesti evocano e se capiterà sarà solo per un attimo, un attimo che per un po' lascerà un segno, ma che poi verrà dimenticato, come tutto il resto, e si potrà solo invocarlo a ripetersi, magari facendo festa. La conoscenza è anche (e forse soprattutto) questo: il lavoro per preparare la festa. Solo gli esseri umani infatti celebrano la festa.
#213
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
09 Maggio 2017, 10:25:31 AM
Vedo che tutti siamo più o meno d'accordo sulla necessità di trovare un equilibrio tra razionale e irrazionale. Però da inveterato provocatore mi viene da pensare che questo equilibrio non è semplicemente il razionale a stabilirlo. Ossia non è con un calcolo razionale dei pro e dei contro che lo si riesce a determinare. Credo sia piuttosto attraverso una riflessione su di sé acquisita con un attento e paziente esercizio di automodulazione in cui l'aspetto mentale razionale è solo uno dei fattori in gioco.
Si tratta forse di arrivare a conoscere la propria irrazionalità e quindi a comprenderla razionalmente per vedere come essa alla fine comprenda sempre la razionalità che la conosce.
#214
Uhssignur, Fharenight, ma che suscettibilità sensibile! E dire che speravo davvero di non aver urtato la sensibilità di nessuno. Non pensavo di offendere dicendo che presumo che tu non sia una di quelle persone che cambiano facilmente le proprie opinioni. Puoi prenderlo anche come un apprezzamento se vuoi e poi può sempre essere che io mi sbagli e che a fronte di un'eventuale mancanza di riscontri tu cambi volentieri opinione, anche se finora non l'ho mai potuto constatare, ma sarà certo solo per mia poca attenzione. In ogni caso mi pare che possa essere interessante per tutti noi e per il proseguo della discussione cercare questi riscontri, se ci sono, no? 
Comunque spero che la parentesi possa considerarsi conclusa: ognuno è libero di esprimere le opinioni che crede e pure di tenersele e ognuno è libero di chiedere riscontri su quelle opinioni, così tutti restano soddisfatti. Torniamo quindi all'argomento  :)
#215
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
09 Maggio 2017, 00:48:41 AM
Eppure, Sariputra, penso che anche l'uomo più irrazionale andrebbe da un bravo dentista (a meno di non essere un masochista naturalmente). Il fatto è che non penso che la scelta di evitare il dolore (e quindi colui che può arrecarlo) sia propriamente razionale o irrazionale, ma piuttosto appartenga alla dimensione primaria della vita, lo si fa comunque. Anche un bruco si ritrae davanti a ciò che lo punge e impara a evitarlo e non per questo lo fa perché considera la cosa razionale.  :)
#216
Sinceramente mi sfuggono le ragioni della "eventuale" polemica. Fharenight ha chiesto se si può condividere il suo parere critico sulla vera autrice del diario, Lou ha chiesto se vi siano contro studi rispetto a quelli accreditanti Anna Frank, ora Fharenight scrive che pure lei "desidera farsi un'opinione quanto più ampia possibile" e suppongo che sarebbe interessante pure per lei sapere se vi sono contro studi in merito che evidentemente andrebbero a corroborare il suo parere. Se poi non vi fossero sono più che convinto che la cosa non glielo farebbe cambiare per niente.
Nessuno mi pare abbia sostenuto che si debba essere tutti acritici. Quindi si è sempre stati d'amore e d'accordo, al di là delle suscettibilità personali che chissà perché vengono sempre enfatizzate nei paesaggi virtuali.

Acquario, Fharenight ha ragione, rischiamo di andare fuori tema, potremmo aprire una discussione specifica in merito alla critica, che peraltro ho sempre sentito fondamentale. Ma la critica bisogna saperla fare, occorre che sia fondata e non può fondarsi sui propri modi interiori e personali di sentire, anche se a questi farà inevitabilmente riferimento. Per criticare sensatamente occorre cominciare con il mettere in discussione i propri modi di sentire o almeno a sospenderli, cosa comunque difficile. Poi occorre che si conosca a fondo quello che si intende criticare e gli studi in merito, poiché quello che pensiamo, per quanto originale, non è nato per la prima volta nella nostra testa stanotte, e ancora bisogna rifletterci sopra cosicché non si finisca per criticare per il solo intimo piacere di farlo.
Come poi la scuola dovrebbe e potrebbe aiutare a crescere criticamente è appunto un tema interessantissimo, ma a parte e quindi chiudo qui, sperando di non avere urtato la sensibilità di nessuno. :)
#217
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
08 Maggio 2017, 23:41:31 PM
Citazione di: paul11La razionalità e l'irrazionalità più che essere complementari direi che convivono come ignoranza e conoscenza
Direi che sono strettamente necessarie l'una all'altra, come lo sono ignoranza e conoscenza: conosciamo in virtù della nostra ignoranza e ignoriamo in virtù della nostra conoscenza.

Citazione di: anthonyiRazionalità:Irrazionalità=Bene:Male

che ci portiamo indietro dalle origini del pensiero umano, dalla relazione:

Ordine:Caos
Non direi che la razionalità o l'irrazionalità siano da leggere in termini di proporzionalità con bene e male. Direi piuttosto che il bene accade quando si sa dosare in modo appropriato la razionalità con l'irrazionalità che ne è alla radice, quando la razionalità riesce a comprendere l'irrazionalità e riesce a salvaguardarla secondo equilibrio.
Lo stesso vale per ordine e caos, in fondo è il caos la matrice di ogni ordine ed è dove ogni ordine, anche il più rigoroso, inevitabilmente finisce.
#218
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
08 Maggio 2017, 23:20:57 PM
Citazione di: sgiombo il 07 Maggio 2017, 21:59:07 PM
In linea teorica chiunque, sottoponendo a critica razionale le varie "prospettive" (ovviamente non in maniera infallibile ma "salvo errori od omissioni").
Sgiombo, la critica razionale si colloca anch'essa in una visione prospettica, altrimenti non può andare oltre la tautologia, come tu stesso hai in passato osservato. l'ente è sempre l'ente che è, ma cosa è l'ente?

Il confronto con argomentazioni razionale e osservazioni empiriche secondo te è solo della scienza moderna? Prima della visione scientifica l'uomo dunque brancolava nel buio assoluto con qualche rara e del tutto casuale illuminazione? Bè se è così, bisogna dire che queste casuali illuminazioni nelle tenebre onnipervasive della conoscenza hanno funzionato egregiamente dato che l'essere umano è comunque sopravvissuto moltiplicandosi anche a dismisura.

E come si fanno a prendere le osservazioni empiriche senza che esse si presentino come significati? E non è proprio solo quei significati che tra loro si verificano, fissandone alcuni come unità di misura per gli altri? Cos'altro si va a verificare se non l'appropriatezza di un significato rispetto a un modo prestabilito e condiviso di significare? Anche chi contraddice il modo comune di pensare non può farlo in altro modo se non a partire da quel modo comune di pensare.

Sinceramente non ho proprio nessuna constatazione empirica che noi abbiamo imparato di più sulla realtà delle cose, quindi trovo assolutamente controvertibile affermarlo. Abbiamo imparato invece qualcosa di diverso che ha sostituito quello che si pensava prima e ci consente ora di vivere, al netto delle evidenti inadeguatezze che mostra la nostra attuale visione del mondo, ma non penso affatto che siamo più "realistici" rispetto ai tempi passati o che la sappiamo molto più lunga sulla realtà. Ognuno sa nella misura in cui sa vivere nei significati che gli presenta il suo mondo, secondo i modi in cui agisce e gli strumenti che usa e in rapporto a questo mondo verifica gli effetti del suo fare nei significati che facendo gli si presentano. Vale per noi come per gli antichi Egizi o per un indigeno che sa vivere perfettamente nel suo mondo con tutte le prospettive che gli sono necessarie per starci, finché non arriviamo noi a distruggerglielo per trasformarlo, bypassando tranquillamente millenni di storia, nel nostro mondo, a cui lui ovviamente non è per nulla adeguato. Questo saper funzionare in risonanza significante con il mondo in cui ci si trova a esistere è a mio avviso l'unico modo di essere realistici, non certo credere di arrivare a poter dire cos'è davvero la realtà, che è invece un sognare. Poi tutti più o meno sogniamo e pensiamo che i nostri sogni siano la realtà, l'importante è che i sogni possano funzionare. Quelli attuali funzionano? Temo, nonostante tutta la scienza, tragicamente poco. Non sarà che siamo poco realistici?

CitazioneCiò che é "franato" delle conoscenze (pre- e proto-) scientifiche degli antichi Egizi, e ciò che "franerà" delle conoscenze scientifiche attuali sono solo determinati elementi di falsità, superati da maggiori (ma pur sempre relative, limitate) acquisizioni di verità, le quali non negano integralmente e in assoluto le conoscenze scientifiche precedenti, ma le superano dialetticamente, sviluppandone e incrementandone gli elementi di verità.
Quali sono gli "elementi di verità"? C'è una tavola come per gli elementi chimici?
I dati di fatto? Ma i dati di fatto non sono altro che qualcosa che significa "dato di fatto" alla luce delle nostre mappature procedurali prestabilite e che variano da epoca a epoca, senza che vi sia un'epoca che stia sopra a tutte le altre a guardarle dall'alto in basso in nome della sua superiore conoscenza e scienza.

CitazioneOvviamente tutto ciò che diciamo lo diciamo mediante il linguaggio (compreso il linguaggio dei chimici, costituito in buona parte di formule chimiche).
Sì ma anche una formula chimica non significa nulla se non passa attraverso un senso comune, magari finendo poi con il modificarlo, è nel linguaggio comune che va cercato il mistero del significato con cui le cose vengono a rappresentarsi rappresentandoci a noi stessi.
#219
Acquario, la storia non la scrivono semplicemente una volta per tutte i vincitori come pare a loro e resta quella. E i milioni di morti Ebrei, le milioni di famiglie annientate nei campi di sterminio chi erano? Vinti o vincitori?
E in ogni caso anche per scrivere la storia occorre in ogni epoca una metodologia storica, altrimenti si scrive solo una mitologia che oltretutto vale solo per ognuno.
Nemmeno i metodi si decidono a tavolino di punto in bianco, nemmeno il metodo scientifico che è il metodo per eccellenza (nei termini di rigore) e verso il quale sono sempre stato molto critico. Restano comunque gli unici strumenti che abbiamo per costruire una condivisibilità che certo, è sempre relativa, ma permette di sfuggire agli incanti delle suggestioni istantanee, dettate da un gioco di opinioni preconcette del tutto personali che, forti del "così la sento io", non si pongono il problema di alcun riscontro di senso condivisibile. E' da qui che è nata la nostra cultura, è da qui che abbiamo potuto costruire una narrazione storica che prende l'avvio con la nascita della filosofia in Grecia ai tempi di Socrate e Platone, prima non c'era alcuna narrazione storica, solo genealogie mitiche.
Ad esempio, nel caso specifico, mettiamo che Tizio sostenga sulla base del suo modo di sentire, dopo aver letto il Diario, che è un'opera posticcia, mentre Caio sostenga, basandosi sulla sua lettura e sul proprio modo di sentire diverso da quello di Tizio, che l'ha scritto proprio Anna Frank. Entrambi hanno tutto il diritto di pensarlo se lo sentono così, ma è chiaro che il problema di chi ha scritto il Diario non è in questo modo per nulla risolvibile, occorrerà uno studio accurato che né Tizio né Caio hanno competenza a svolgere, occorrerà seguire un metodo chiaro e preciso se ci si tiene a stabilire qualcosa su cui si possa arrivare a convenire, altrimenti ognuno resterà della propria opinione che comunque, a parte che per chi la sostiene, non vale nulla, resta pura chiacchiera.
Che diamine si va a scuola a fare se non per imparare un metodo, fosse anche per poi metterlo in discussione, ma con la competenza che necessita per tentare di farlo sensatamente?
#220
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
07 Maggio 2017, 20:49:46 PM
Citazione di: sgiombo il 07 Maggio 2017, 10:40:24 AM
L' osservatore è sempre in una determinata posizione, ma ciò non implica che una prospettiva vale l' altra!
E sia pure, ma quale osservatore (dato che è sempre un osservatore che mappa, prospetta e verifica) può stabilire quale prospettiva vale di più?


CitazioneChe (ovviamente!) ogni forma di sapere è sempre limitata e relativa non significa, non implica affatto che la credibilità, e men che meno la verità (limitata e relativa) di ciascuna di esse dipenda dalla sua condivisibilità soggettiva, né che sia pari fra tutte.
Dalla condivisibilità soggettivamente stabilita dall'epoca in cui ci si trova. Da cos'altro altrimenti? Da come stanno le cose in sé, ossia in assoluto? Come sarà mai possibile se nessuno lo sa?

Che "con il tempo si impari qualcosa di più sulla realtà " è un dato di fatto solo in relazione alla nostra fiducia che con il tempo si impari qualcosa di più sulla realtà. 

CitazioneNon vedo alcuna "esperienza storica del franare di ogni disegno globale del sapere" scientifico, ma invece periodi di aumento del sapere alternati a periodi di stasi e a periodi di diminuzione (perdita di conoscenze), e in tempi lunghi una tendenza complessiva all' incremento.
Bè la conscenza degli antichi egizi è franata, ogni pretesa filosoficamente epistemica è franata, franerà pure quella delle scienze esatte, proprio perché la tecnologia avanza.



CitazioneNessun razionalista ha mai preteso che la verità circa la realtà possa avvicinarsi fino ad aderire alla (confondersi con la) realtà in sé delle cose, ma invece nel procedere di una parzialità di visione che riconosce la propria parzialità (e non è affatto dipendete da soggettivi consensi, né equivalente nei casi del mero senso comune, delle concezioni pre- e proto- -scientifiche e nelle varie fasi della storia della scienza; e magari perfino, come sembreresti suggerire, nei casi delle più disparate religioni e superstizioni di tutti i tempi).
Se la nostra visione (compresa quella scientifica) è sempre parziale come possiamo dire, da questa parzialità, che le altre visioni sono più parziali delle nostre? Le abbiamo forse comprese nella nostra visione facendone parte di essa? Non mi pare, anzi.
In realtà poi tutto quello che diciamo fa sempre riferimento al senso e alle costruzioni del linguaggio comune, anche tra chimici non si parla solo con formule chimiche per capirsi.


#221
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
07 Maggio 2017, 20:13:39 PM
Citazione di: anthonyi il 06 Maggio 2017, 18:58:24 PM
Citazione di: paul11 il 06 Maggio 2017, 17:21:27 PM
....Se la razionalità vincesse, non avremmo un mondo diviso, uomini divisi, guerre economiche ,militari e politiche.
E' l'irrazionalità che ci governa la cui fonte è la contraddizione umana

p.s. bentornata Gyta

Ne sei proprio convinto? Secondo me può essere l'esatto contrario. Supponi un mondo dove tutti gli individui hanno irrazionalmente fede in un'unica religione che parla di pace e di amore, sarebbe un mondo irrazionalmente pacifico e unito.
Supponi un mondo di individui perfettamente razionali ma con obiettivi conflittuali l'uno con l'altro, sarebbe un mondo di continue guerre.
Ma il primo mondo non c'è, né per quanto ne sappiamo c'è mai stato se non nei sogni del secondo: è solo un mondo di guerre che genera il sogno di un mondo di pace, ma la razionalità non fonda né l'uno né l'altro, ha sempre bisogno di partire dall'irrazionale per trovare la sua ragione e poi tornare a demolirla proprio in quanto prima o poi la scopre fondata sull'irrazionale.
#222
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
07 Maggio 2017, 20:02:07 PM
Citazione di: Gyta il 06 Maggio 2017, 01:42:27 AM
Cos'è l'uomo?
L'uomo è quel "luogo" dove tutto (o quasi?) è possibile.
Sta a chi legge gioire o.. rattristarsi.  ;)
Di sicuro il "luogo" dove si sperimenta l'arte dello sbilanciamento.. come prassi del reggersi in piedi.

Riprendo da questa considerazione di Gyta che penso dica qualcosa di fondamentale. Sì l'uomo è il luogo dove si sperimenta l'arte dello sbilanciamento come prassi per reggersi in piedi, ma varierei leggermente l'asserzione che afferma che "l'uomo è quel luogo dove tutto (o quasi?) è possibile" dicendo che è il solo luogo dove il possibile appare e apparendo chiede di essere fatto. Non so se Gyta concordi su questo modo di pensarla.
Il fatto di essere l'uomo il solo luogo in cui la realtà può apparire come possibilità (ed è quello che Severino considera follia assoluta, dunque l'uomo sarebbe innanzitutto la sua dolorosa follia), penso mi consenta di dire che l'uomo è diverso in modo radicale da ogni altro ente, per come ogni altro ente gli appare rispetto a lui, ed essendo esseri umani non ci è dato altro modo di sapere. L'essere umano è l'unico vivente di cui come esseri umani possiamo dire che il fluire delle immagini si trattiene ripetendosi in un rappresentarsi significando, cosicché nell'uomo il mondo viene messo in scena per essere tradotto in un altro mondo possibile ove le immagini tornano con altri significati e l'immaginare acquista la prospettiva di un senso.
In questo modo intendo l'essere umano come un unicum anche se, ripeto, non è separato dal mondo, ossia dalla totalità del reale così da poterla definire innanzi a sé come realtà, ma fa parte del mondo, fa parte della realtà, non la controlla, non la comprende, ma costantemente tenta di controllarla e comprenderla e a volte gli pare pure di esserci per un istante riuscito, finché l'istante successivo rimette tutto in dubbio. La nostra conoscenza non è in un altro mondo sovrastante il mondo, è sempre nello stesso mondo dell'animale, della pianta e del sasso e come loro (sasso compreso) si sa vivere, ma in questo mondo a cui tutti apparteniamo l'uomo si trova e vi si riconosce in un modo diverso che lo decentra mentre per la sua unicità ne è posto al centro. Non è un caso che i primi Dei che gli esseri umani invocarono si mostrassero appunto in forma di animali, piante e rocce e che in essi l'uomo abbia sentito originariamente risuonare il divino, l'Altro che manca, che non si vede, e per questo è da evocare per chiamarlo a rendersi presente attraverso il suono, il canto, il gesto ritmato.
Non è quindi la dimensione sensoriale dell'esperienza con cui dobbiamo fare i conti, ma con lo iato tra la dimensione sensoriale in cui come ogni altra forma di esistenza semplicemente si vive senza sapere di nulla e la dimensione del significato che da essa promana per poter sapere di essa, così che possa presentarsi in scena, davanti a tutti noi, così che tutti possano insieme parteciparvi e dunque continuare a vivere, non come singoli, non come bios individuali che sgomitano sperando di evitare il loro inevitabile morire, ma come vita condivisa che insieme ci sottende.
E' questa la frattura che continuamente ci decentra e, in bilico su di essa, danziamo insieme per poterci mantenere in equilibrio. Il canto, la musica e la danza sono le forme ancestrali che l'essere umano adotta per mantenersi in precario equilibrio in bilico sull'abisso, sono il suo primo linguaggio gestuale e il primo uomo nasce con la musica, il canto e la danza. Anche la meccanica quantistica viene da lì, da una danza ancestrale, dal ritmo di oggetti percossi con altri strumenti, fossero pure mani umane, un canto per richiamare gli antenati morti, affinché tornassero a danzare con noi nella festa che celebrava il loro sacrificio. La festa riproponeva l'ebbrezza del sacrificio affinché la vita venisse a mostrarsi nella sua primordiale eternità.
Per quello che ne sappiamo in tutto l'universo, solo nell'uomo la danza può accadere ed è questo che lo pone al centro e insieme torna a decentrarlo, non è una questione di fisica, né di biologia ma sta sotto a ogni fisica o biologia possibile.
Credo allora che conoscere bene abbia lo stesso senso da sempre, si tratta di ritrovarci nella comunità umana per poter fare festa insieme, ossia per poter ancora insieme vivere meglio restando in bilico.

P.S. sul ruolo fondante dell'etica rispetto a qualsiasi ontologia (di cui qualche traccia si può dedurre già da quel "vivere meglio") sarò più esplicito in altra occasione.
#223
Non credo che si tratti di accettare tutto quello che ci viene detto, anzi, l'esatto contrario. Certamente ognuno che legge il "Diario" ne ricaverà una sua impressione e magari ne chiederà conferma agli altri, sempre a livello di impressioni ovviamente. Poi c'è invece chi tiene in sospensione lo scambio di impressioni e chiede se esistono studi condotti con metodologie accurate che supportino queste impressioni piuttosto che altre, comprese in particolar modo le sue stesse impressioni, in modo da prenderne distanza così da poterle lui stesso valutare la cosa con maggiore obiettività, mettendosi in discussione come soggetto. Il tentativo è questo ed è il tentativo su cui è stata costruita tutta la nostra cultura occidentale come un supporto stabile a un corretto pensare da non lasciare al terreno estremamente scivoloso delle "impressioni" così da non ridurre tutto a pura chiacchiera più o meno polemica tra un'impressione e un'altra con costante manipolazione retorica.
Mi rendo conto che questa cultura "filosofica" è tramontata a tutto vantaggio del sofista popolare moderno che è ben peggio di quello antico, anche se animato dal medesimo intento, ma è ovvio che non si può deprecare tanto la "società liquida" in cui viviamo e poi contribuire, senza nemmeno accorgersene, a renderla ancora più liquida in nome del primato delle sacrosante impressioni che si sentono emergere dal proprio intimo e che in genere corrispondono al proprio indiscutibile pregiudizio sovrano.
E' più che giusto e doveroso a mio avviso quindi chiedere se vi sono studi seri in merito che supportino una o l'altra delle impressioni, altrimenti chiacchieriamo pure, ognuno con le sue impressioni.
#224
Tematiche Filosofiche / Re:Che è l'uomo?
06 Maggio 2017, 14:37:28 PM
Innanzitutto un bentornata a Guta, che è un piacere avere di nuovo con noi e alla cui interessante riflessione mi premurerò di dare risposta.
Comincio con Sgiombo, primo in ordine di tempo.
Certamente i miti dei popoli primitivi sono molto diversamente veri dalla scienza moderna, ma in minor misura solo dal punto di vista della scienza moderna appunto, che, come tu stesso dici, non aderisce alla realtà delle cose fino ad essere lo stesso con esse, con la realtà stessa. Se tu ammetti questo (e mi pare che lo ammetti), puoi anche vedere che miti e scienza moderna sono due modi diversi con cui la realtà risuona in noi facendosi discorsi diversamente significanti, ma senza preminenze (quello che ho indicato come "gerarchie"), perché se collochiamo la scienza moderna in una posizione preminente sul significato delle cose, dovremmo essere in una posizione neutra rispetto sia al mito che alla scienza, ma così non è, l'osservatore è sempre in una posizione, dunque gode di una prospettiva di parte e la parte in cui ci troviamo oggi è quella della scienza, non perché siamo tutti scienziati, lo sono pochissimi e anche quei pochissimi lo sono in termini estremamente limitati e specialistici, ma perché il nostro modo di cogliere le cose è nel significato di questa prospettiva che vanifica quella del mito.
In altre parole e come dici, ogni forma di sapere è sempre limitata e relativa, ma noi non siamo sempre in una forma di sapere che è una visione del mondo ed è a partire da questa che giudichiamo le altre rispetto alla nostra che assumiamo come unità di misura valida per tutti, poiché si dà tra noi come condivisibile. E solo in questa condivisibilità soggettiva e delimitata sta ciò che ritieniamo oggettivamente valido, dunque "normale" (ossia secondo norma, ove la "norma" un tempo indicava una specie di squadra che serviva a misurare se l'angolo di costruzione era o meno retto).
Per questo non è che con il tempo si impari qualcosa di più sulla realtà secondo una visione positivistica e a mio avviso molto ingenua del sapere, ma piuttosto che in ogni tempo si praticano le esperienze di quel tempo ("Esse est percipi", ma ancor più l'essere è fare, ossia ci rimbalza come significato dal diverso fare proprio di ogni tempo) e in quelle esperienze si stabilisce un senso retto (quindi normale) prt quel contesto. E proprio perché vivo in questo contesto posso dire pure queste cose, non potrei dirle se vivessi nell'Egitto dei Faraoni o ai tempi di Carlo Magno o in un villaggio del Neolitico. E' la lunga esperienza storica del franare di ogni disegno globale del sapere, per come oggi lo percepisco che mi dice questo e mi permette di vedere che ogni preminenza gerarchica di una forma di sapere sull'altra è solo una superstizione. Ma nello stesso tempo mi permette di pensare che ogni sapere nel suo errare è sempre in un cammino di verità, nel suo errare è sempre una parzialità in atto della realtà.
Se è così allora la verità non sta nell'avvicinarsi fino ad aderire alla realtà in sé delle cose, ma nel procedere di una parzialità di visione che riconosce la propria parzialità e riconosce se stessa vera in ciò che concretamente sa fare, pensare e dire e misura la propria giustezza nella propria postura lungo il percorso che la trasforma. E questo significa a mio avviso oggi farsi filosofi: trovare se stessi nel mondo e in rapporto al mondo in cui si esiste   facendo e pensando insieme con i suoi co-abitanti e per come le nostre pratiche ci permettono di fare e pensare. Sono le cose stesse che maneggiamo che ci parlano e ci ispirano i significati con cui evocarle, non siamo noi ad attribuirglieli ad esse arbitrariamente o casualmente, come da sopra.
Nulla è un puro oggetto passivo che assume forma secondo il nostro progetto, è esso stesso a determinare, con il significato, il nostro stesso progetto, ma un significato è solo un modo della cosa per farci segno e lasciare un segno.
   
#225
Citazione di: green demetr il 05 Maggio 2017, 21:19:31 PM
Scrive Agamben che la zoe è la nuda vita.
Scriveva Focault la battaglie contemporanee sono atte al dominio del bios inteso coem riducibile a mera zoe.
Dico solo questo. Mi sono stufato di litigar per oggi.
E quindi? Ho solo detto che la zoé si trova per l'uomo nella dimensione dionisiaca dell'esistenza. Che ci sarebbe da litigare?

Citazioneil divenire è la contradizione assoluta dell'essere, e necessita di tale contradizione per essere vera.
Non possiamo farne a meno. Non ci sarebbe "destino" senza contraddizione.
Direi piuttosto e solo per inciso che per Severino il Divenire è pura autocontraddizione e che nel Destino si manifesta la contraddizione C che non è autocontraddizione, ma contraddizione tra la fenomenologia dell'apparire e l'identità assoluta di ogni ente a se stesso.

CitazioneIn una sola parola Severino non ha capito niente di Nietzche. Sebbene la sua teoria del ritorno fa i conti con i precedenti paragrafi, e quindi giustamente è correlata alla volontà di potenza, e quindi mi sembra più logica di TUTTE le altre: rimane il fatto che lo scritto dice esattamente il contrario, non che il tempo viene battuto dal divenire, ma che il divenire si ripete come una clessidra. E quindi il divenire è all'interno del tempo. Passaggio oscuro e che non si vede come possa centrare con il fatto che la volontà vuole sorpassare il tempo. Ma evidentemente non ci riesce. Dunque Severino non ha capito nulla.
Mi suona piuttosto heideggeriana questa tua interpretazione, se si dà l'equivalenza tra tempo e Essere. Ma per Nietzsche la volontà di potenza deve (vuole) superare il tempo, non può starvi limitata trovandosi così annullata.
CitazioneE non avete capito nulla nemmeno voi naturalisti che credete accecati che la volontà di potenza sia un fatto biologico.
(e invece è il bio-potere che vi fa dire così)
E' un fatto biologico, ma non nel senso riduttivo dell'attutale scienza biologica.
Mi chiedo chi per te ha davvero capito Nietzsche? E cosa gli fa pensare di averlo capito?

Citazionecosa è uno zombie??? finisce ma torna????
Torna ogni volta finendo. Non possiamo darlo per certo, ma regge e dà un senso profondo e non semplicemente polemico al pensiero di Nietzsche. Lui stesso avvertiva l'eterno ritorno come il suo pensiero davvero abissale. Cos'era? Forse solo l'idea balzana di un matto?

CitazioneL'immanente in sè non vuol dire niente.
Pure il trascendente in sé non vuole dire niente. Né l'uno né l'altro sono unità di misura, ma il loro punto di incontro, la morte dell'altro che appare a ogni individuo umano.

CitazioneChe gli interpreti non ci capiscano nulla è appurato, ma lui Nietzsche lo scrive a chiare lettere in Umano Troppo Umano.
Siamo tutti interpreti. Anche Nietzsche stesso in fondo. Ognuno lascia qualcosa da interpretare e sarà tradito dai propri interpreti e questo tradimento è doveroso e sacrosanto, è il diritto al futuro che fa di ogni monumento un resto che va sempre più rovinando. E' la sterminata panoramica di rovine che Nietzsche vedeva nel passato. Proprio questa rovina dà diritto al futuro.

Citazionetu stai scherzando vero? schopenauer viene presto abbandonato con le sue teorie ridicole induiste, e idem le cavolate del dionisiaco e dell'apolinneo (si fa per dire).
Appunto, il tradimento, anche di se stessi, soprattutto di se stessi. Ma nulla di ciò che viene tradito è davvero abbandonato, resta, eccome se resta e proprio in ciò che appare radicalmente nuovo.

CitazioneAvremmo potuto andare assai d'accordo quando ero 20enne, anche io avevo una idea di nice preconcetta. Poi il maestro è riemerso.
Già, come una rivelazione, capita.
Eppure sotto ogni rivelazione c'è sempre un preconcetto in attesa di essere demolito dalla prossima rivelazione. E' il tradimento, è per ciascuno il diritto al futuro. 

CitazioneLa scorsa estate fallii a leggerlo. Vediamo se questa estate si ripete la debacle.

Fortunatamente si ripeterà, per questo merita di rileggerlo.  :)