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Messaggi - Lou

#211
@carlo
"Il pensiero filosofico oggi predominante considera:
- l'oggetto come una rappresentazione del soggetto;
- il soggetto (la mente) come espressione dell'oggetto (il cervello, il corpo)."

Da quale mano questo disegno?
Domanda irrisolvibile stando all'immagine, presa a oggetto, ma potrei dire, in modo equivalente è ambiguo, al soggetto dell'immagine.
Eppure tra soggetto e oggetto c'è un abbraccio, a volte mortale, per l'uno o per l'altro, altre volte interdipendente, altre volte lievemente la stretta è dell'uno sull'altro, in misure diseguali.
Ora, la distinzione soggetto/oggetto, è posta da ?
#212
<<vi re-invito.>>
#213
<<vi invito ad abbandonare questo trend di battibecchi e ritornare in topic, grazie.>>
#214
Citazione di: Phil il 20 Maggio 2019, 23:57:15 PM
@Ipazia
Avveduta (meta)architettura che prova a contenere con una sinottica "mise en abîme" le altre architetture. Tuttavia, ogni stile architettonico è l'archè dei suoi stessi progetti, e neanche questo "edificio" ben congegnato può fare eccezione, come già notato da Lou: che i piani ontologici da rispettare e abitare siano proprio quelli, deriva a sua volta da una precisa impostazione architettonica, usata come criterio tassonomico per le altre architetture. Nella fattispecie:
Citazione di: Ipazia il 20 Maggio 2019, 12:14:14 PM
le opposte distorte visioni in cui si pretende di tradurre nelle proprie grammatiche epistemiche ontologie altre
forse più che una pretesa è una inevitabilità circolare (e se ogni prospettiva ontologica fosse distorsione del reale?); ad esempio, stando nella mia "scommessa prospettica", è "spontaneo" (non un dovere) che tutto imploda nel «piano 1», gli altri piani sono solo trompe l'oeil affrescati dai miei avi sul soffitto e l'inaccessibile botola di accesso al «piano 0» è solo un fenomeno anamorfico sul pavimento.
Quali e quante sono tutte le ontologie? Qualunque risposta le identifica interpretando, le circoscrive discriminando, e più si va lontani dai sensi (che pure ingannano) più i dissensi proliferano, come nella storia dell'elefante e dei ciechi. «Elefante» potremmo giocosamente farlo derivare da «eleos» e «fantem», ovvero "parlare con misericordia" ed è infatti proprio il voler parlare, in buona fede, che spinge i ciechi all'incomprensione e al diverbio: potendo identificare l'elefante solo con le mani, ne prendono/perdono inevitabilmente sempre una parte e, nondimeno, la velleità di spiegare agli altri cos'è davvero l'elefante, fa degenerare la situazione (in merito, ho parlato già di "guerra delle affermazioni" contro "lavoro di equipe", fermo restando che le equipes funzionanti non possono essere certo formate con estrazione a sorteggio...).
Ne consegue l'aporia, sesto cavaliere della bonaria apocalisse filosofica (dopo i tre "maestri del sospetto" Nietzsche, Marx, Freud e i cosiddetti "tre umiliatori dell'uomo", ovvero ancora Freud, Darwin e Copernico). Se non ci fosse tale aporia (la cui consapevolezza può aprirsi in pluralismo differenziante sebbene non univeritativo), non ci sarebbero architetture ermeneutiche (qui sono forse piuttosto graffiti da writers metropolitani, anelli della catena di senso che passa per Lascaux) ad attendere che il "cantiere" trasversale dell'epistemologia costruisca la sua torre, dove e come è possibile. Nel frattempo, distinguere fra negazione logica e negazione dialettica, piani logici e piani ontologici, etc. non è il peggiore dei passatempi.

Citazione di: Lou il 20 Maggio 2019, 18:33:01 PM
Prospetticismo che, ovviamente, reca in sè, come sua premessa, la pluralità di sguardi. Perciò, il busillis che mi intriga, sono i piani del reale a creare prospettive o gli sguardi a creare piani o, meglio, la prospettiva reale posta dallo sguardo è di per se stessa un piano, tra i millepiani?
Pensando al «piano 3» di Ipazia, questa allusione a «Millepiani» di Deleuze e Guattari va esplicitata, perché il passaggio dalla forma atavica «gerarchia» alla bio-metafora postdialettica del «rizoma» (nel senso dei due signori citati prima), (s)corre sulla rete in cui qui siamo, inizia ad "inverarsi" e a porre germoglianti questioni sul "senso" della connessione, su intelligenza connettiva/collettiva, sulla realtà dell'intelligenza artificiale e l'intelligenza della realtà artificiale, etc.
Effettivamente sì, andava esplicitata. L'idea dei piani reca in sè uno sviluppo orizzontale delle connessioni. Dove per orizzontale non si intende solo in una valenza geometricamente intesa, ma qualitativamente antitetica a una verticalizzazione meramente gerarchica delle relazioni, connessioni, collettività. Una logica di senso che decostruisce, o almeno, tenta di farlo, quello sguardo che crea edifici con piani per altezza e per bassezza dedicandosi a che succede alle superfici, piatte, ai loro effetti. Barattoli vuoti, o "scians" mancante, un gesto che afferra il vuoto, nelle ripide discese o ascese di scaffali verticali. Il barattolo non c'è. Se lo cerchi lì. E, forse, non è nemmeno un barattolo.
#215
Critica "piana", la tua, odradek.
#216
Percorsi ed Esperienze / Re:sulla noia
20 Maggio 2019, 18:56:11 PM
"Desiderio puro di felicità".
Io ritengo Leopardi ne abbia individuato più di tutti l'essenza.
#217
@Ipazia
"In varie discussioni parallele è posta la contrapposizione tra monismo e dualismo, materiale e immateriale, determinismo e casualità, chiedendo ai partecipanti di schierarsi. Io credo che entrambe le posizioni siano, se poste unilateralmente, errate perchè la realtà è monista, dualista, terzista e plurale.[...]"
Parto dal tuo incipit. Per me si riduce l'intera questione a una questione prospettica. Anche l'idea dei piani che hai sviluppato può confluire, diciamo così, in un prospetticismo "duro e puro". Prospetticismo che, ovviamente, reca in sè, come sua premessa, la pluralità di sguardi. Perciò, il busillis che mi intriga, sono i piani del reale a creare prospettive o gli sguardi a creare piani o, meglio, la prospettiva reale posta dallo sguardo è di per se stessa un piano, tra i millepiani?
#218
Il "vero" del possibile, ha da essere, pre-supposto, in questo caso, oggettivamente. E inerisce ogni realtà che si da, altrimenti si direbbe impossibile.
#219
Chiaro, anche perchè, per quanto ne sappiamo sino ad ora, è dalla vita che partono narrazioni sulla vita. Azzardando - la narrazione sulla vita è una tra le forme espressive della vita, appartiene alla vita.
Forse il problema esiste quando si ipostatizza una narrazione sulla vita a vita, se questo era il senso delle puntate precedenti, in parte concordo.

Sul secondo punto non so, trovo difficile pensare un segno scarabocchiato da qualcuno che non trovi almeno in un significato mancante la sua ragion d'essere. È con i significati che ci si confronta, anche quando paiono assenti e vuoti - lo scaffale vuoto o la chance mancata - a mio mero parere.
#220
@phil
"Come dicevo, c'è anche un'innegabile componente linguistica, umana, narrativa, etc. sulla vita ma, tuttavia, essa non è la vita; il segno non è il significato/senso (né della vita, né di altro)."
Perchè no?
Perchè una narrazione sulla vita non ha a che fare in qualche modo e inerisce in qualche modo alla vita. Il segno non è avulso dal significato, altrimenti, banalmente, che senso avrebbe? Una cesura netta tra segno e significato, non può esistere, c'è una genealogia forse, tra i due? Altrimenti, di che stiamo parlando?
#221
Citazione di: odradek il 26 Aprile 2019, 01:21:49 AM
a Phil
 
Il campo della AI è il campo in cui ha "realmente e concretamente" senso parlare di ontologia, in quanti poi si tratta di implementare in un codice macchina questa ontologia; incarnarla.
 
Mi spiego : se all' interno di un sistema di tubature vogliamo inserire un "sensore mobile", quindi un emittente (il robot,  oggetto di poche decine di decimetri quadrati) che segnali una immissione nel circuito di un qualche componente nocivo (diciamo tre), trasmettendo al ricevente, sia il componente immesso, sia la locazione dove l' immissione avviene, abbiamo bisogno di "qualcosa" che dica al robot "cosa è" un componente nocivo; lo specificheremo esattamente ed inequivocabilmente attraverso un codice che implementeremo fisicamente sul robot.
Sensore-odore-bip.
A questo stadio di implementazione logica -accessibile al fai da te casalingo, come complessità di codice- il robot ha un "livello ontologico" che contempla tre "cose", di cui ha totale ed assoluta conoscenza e di cui può riferire, nei limiti che gli sono stati imposti; indubitabilmente ed inequivocabilimente, saprà riconoscere i tre componenti nocivi e saprà come relazionarsi ad essi.


Il problema della AI non è quindi spedire robottini di pochi decimetri quadrati in giro per l'universo a fare certe "cose" e instaurare certe "relazioni" con "oggetti"; esistono già "creature" ad ontologia limitata, ovvero in grado di trasmettere informazioni sulla base di un codice, che interpretano "sezioni" di "ambiente" sulla base di precise, determinate e ridicolmente primitive "ontologie".

Per farla breve, la ricerca della AI non è altro che la ricerca della "ontologia perfetta", che riesca a fornire al "robot" le basi che gli possano far decidere "le differenze" tra un masso oblungo di medie dimensioni, una statua, un quadro di una statua, ed un uomo che si è addormentato su una panchina invece che un manichino appoggiato su una panchina.
Quanto sia "immensa" -c'è chi dice insensata, e non sono pochi- questa ipotesi di lavoro risulta evidente dallo stato dell'arte della AI, nonostante i prodigi inconcepibili delle reti neurali, ma quello è intelletto, non è mente e non è ontologia.

Fornire ad un "robot" una "ontologia" è il sacro graal delle ricerche sulla AI; senza ontologia, diventa impossibile  solamente parlare di funzioni visive, anche relative ad un semplice sistema ottico implementato su un "oggetto statico".
La AI riflette sulla filosofia il suo problema che a sua volta è quello della filosofia e che consiste:

intorno ad un tavolo con dieci fisici nucleari (uno per quantistica), quattro filosofi, due rabbini, sei gesuiti, due biologi, Foucalt e Lacan, ci si aspetterebbe che esca una definizione esatta -codificabile- di cosa sia una mela. Questo non è ancora successo.

Una volta che gli informatici (persone di una concretezza imbarazzante) abbiano una esatta definizione di "cosa sia" una mela, che possa quindi essere implementata su una "cosa" che abbia, indipendentemente da una volontà esterna, delle "relazioni con una mela", allora più nessuno al mondo avrà bisogno di avere a che fare con le mele e se questo vi sembra ridicolo in effetti sembra così, ed anche a qualche informatico, ma campandoci, ben si guardano da sfiorare l'argomento; attitudine che pare abbiano immediatamente assorbito dai filosofi, risultando questa l'immediata risultanza degli studi interdisciplinari.
La ricerca sulla AI riflette gli stessi identici problemi della filosofia: nessuno sa precisamente definire (e quindi trasferire in codice) cosa sia "precisamente" una mela.
Nessuno per ora è in grado di fornire una "ontologia perfetta" della mela.

Al contrario, ognuno di noi, anche gli assenti, ha una precisa cognizione di cosa sia una mela e con essa si relaziona, ontologicamente consapevole, eppure non codificabile ne riducibile.
Non sono riuscita a seguirti in toto per limiti miei, però non è che una (ricerca) di una "ontologia perfetta" ( ammesso sia così, nutro dubbi su questo: ad ascoltare alcuni ricercatori informatici impegnati sul campo non sembra essere così, forse a una lettura filosofica della questione ) non possa che risolversi infine in ontologie regionali, nelle ai che sono specchio dei nostri limiti?
#222
La bellezza è anche principio di conoscenza, la matematica ricerca l'eleganza e il fascino, ad esempio. La bellezza di una formula.
La bellezza di un cielo stellato.
La bellezza di un corpo.
La bellezza di uno sguardo.
Guai a togliere l'esteriorità della bellezza, in ogni suo stile e manifestazione, che è esteriorità pura, senza esteriorità nessuno potrebbe sensibilmente parterciparvi e saremmo privati del varco attraverso cui, non so se per la salvezza o meno, è reso comunque possibile ancora rigettare le forze reattive e nichiliste.
#223
Citazione di: davintro il 23 Aprile 2019, 19:17:16 PM
Citazione di: Lou il 23 Aprile 2019, 18:04:27 PM@davintro Forse è  perchè...

capisco, d'altra parte penso anche sia opportuno richiamare alla distinzione dei piani, in sede di discussione teoretica i concetti andrebbero analizzati nelle loro relazioni essenziali, apriori, indipendentemente dalle forme con cui nella fattualità storica questi sono stati concepiti, mirando solo che l'analisi dei concetti rispecchi l'intuizione delle "cose stesse" a cui i concetti si definiscono. Altrimenti si rischia di cadere nelle fallacie dell'induzione generalizzante, scambiare per necessario ed universale degli aspetti delle cose, espressioni in realtà di punti di vista vincolati a particolari contesti culturali in cui sono stati pensati, ritenendo impossibile possano essere pensabili in modo alternativo rispetto a come fino a questo momento la storia ha espresso. Quindi il fatto che spesso si sia usata la metafisica come ancella della fede o della religione (preferisco non parlare di "teologia", perché mi vorrei ora soffermare sul rapporto tra razionalità della metafisica e la fede religiosa come sentimento non razionale, mentre teologia, come il suffisso "logia" mostra, tende comunque a porsi come sapere argomentativo, e in questo senso la considererei come ramo della metafisica e della filosofia, e non vorrei creare confusioni) non legittima la sua identificazione con un fideismo dogmatico che nulla avrebbe da dire ai ricercatori razionali della verità. La storia è utile come spunto, ispirazione, esempio, ma poi nel momento della riflessione e critica non dovrebbe essere posta come parametro di valutazione razionali delle analisi teoretiche. E comunque, anche questo cercavo di sottolineare, anche volendo per un attimo lasciare la teoresi e stando nella storia l'identità metafisica-religione è in larga parte smentita. Nel pensiero antico precristiano, la metafisica non è certo ancillare alla mitologia, ma la sostituisce nell'interpretazione del reale, e la filosofia moderna, anche nelle correnti più antireligiose come l'illuminismo, ha sempre continuato a propugnare sistemi metafisici "laici" come deismo, o i vari idealismi tedeschi. E anche volendo restare al medioevo, vediamo come già la Scolastica, a quel che so, si fosse impegnata a divaricare i campi del "credo" e dell' "intelligam", fino ad arrivare a Tommaso che distingue all'interno del problema di Dio questioni che la ragione può risolvere senza bisogno della fede come l'esistenza di Dio o l'immaterialità dell'anima, rispetto a quelle per cui invece si fa necessaria la fede per rivelazione
Comprendo tutti i rilievi che poni e li ritengo estremamente corretti. Il mio intervento precedente mirava a provare a rispondere genealogicamente ai motivi per cui occorra sottolineare e, in certo qual modo, rivendicare una autonomia nei metodi e nel/negli oggetto/i di studio della metafisica rispetto ad altri ambiti, sottolineando però come sia alcune religioni, e - certo ho osato - le teologie ad esse connesse abbiano di fatto sfumato i contorni e margini di appartenenza. Con la razionalizzazione del reale oprerata dalla filosofia greca si esigeva una scienza in grado di render conto di ciò, eppure Aristotele stesso non si sottrasse a paventare una filosofia prima che come primo non si scompone, reputandolo razionalmente necessario,  a rilevare "un dio". Come la produzione filosofica medievale ( che per certi versi ammiro, tipo Agostino che propone una fede razionale ) abbia strumentalizzato e riletto ad uso e consumo con innesti qui e là, contaminazioni, traduzioni... appropriandosi di un metodo estraneo alla fede... la cosa può essere mia polemica, ma che nel momento in cui la metafisica parli di un dio, non si può del tutto ritenerla estranea a teologie e religioni. Soprattutto quando in Aristotele non esiste la parola metafisica, la manina religiosa fu già all'opera. Questo è un mio chiarimento, anche per Paul , mi scuso per un tantino di pesantezza, la discussione si è sviluppata su binari più "sostanziali", di cui mi pare tu ne tratteggi con maestria la materia. :)
Benvenuto odadrek, benritrovato Phil.
#224
@paul
A me non provoca disagio il dio in filosofia, cos'è banniamo la teoretica? :)
A parte ciò, ritornare a Parmenide, al suo poema dove è connaturato, oltre quello che ben scrivi, il connubio originario tra la dea e filosofia. È un fronte complesso quello del giudizio scevro da dei a cui invita, anche nel poema, paradossalmente la divinità. L'affrancarsi dal religioso, in qualche modo, lo presuppone.
#225
@davintro
Forse è perchè la metafisica per lungo tempo è stata l'ancella della teologia, teologia che mira ad avvalorare razionalmente quel che il sentimento di fede rivela. In pratica, essendo stata usata in lungo e in largo, in ambiti confessionali risulta molto difficile slegarla dal religioso e ricondurla a un terreno scevro dalle contaminazioni di cui sopra. Ammesso sia possibile. Peraltro la metafisica, pur ricondotta a un terreno aconfessionale e areligioso, paradossalmente non è detto sia a-tea, ma trova nel cosiddetto "Dio dei filosofi", forse la sua ragion d'essere, come più di una filosofia testimonia.
Penso io.