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Messaggi - donquixote

#211
Citazione di: Angelo Cannata il 18 Febbraio 2017, 01:01:55 AMFacciamo un esempio per capirci meglio: quando la metafisica afferma che ogni oggetto è costituito di materia e di forma, essa sostiene che tale struttura degli oggetti non è una schema mentale creato dalla mente umana; tale struttura è piuttosto la natura stessa degli oggetti, motivo per cui gli oggetti sono sempre stati cosi, sono così e saranno sempre così, in eterno.

Solo per chiarire, ma l'esempio qui sopra è un concentrato di errori. Prima di tutto non c'entra niente con la metafisica. Ma proprio niente. La metafisica non potrà mai affermare una cosa del genere perchè l'oggetto costituito di materia e forma è un oggetto "fisico", non metafisico, e quindi di esso si occupa la fisica. La metafisica può affermare tranquillamente che esistono oggetti costituiti solo di forma e non di materia, anzi si occupa solo di quelli. Inoltre l'oggetto fisico appartiene al mondo del divenire mentre la metafisica si occupa dell'essere. E poi la struttura fisica degli oggetti considerati come "sinolo" di materia e forma è chiaramente uno schema mentale umano, che "separa" la materia dalla forma (e anche un oggetto dall'altro) per potersi rappresentare meglio l'oggetto nelle sue componenti basiche (è ovvio che non si può "concretamente" separare la materia dalla forma, per cui questa visione è solo una rappresentazione schematica che si adotta ai fini della comprensione umana). E già che ci siamo vorre sottolineare che con "forma" non si intende forma spaziale (come a dire forma quadrata, rotonda o rettangolare) ma si intende il complesso delle caratteristiche che fanno di quell'oggetto ciò che è, la sua "anima". Materia e forma possono essere resi anche con sostanza (materia) ed essenza (forma).
#212
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
18 Febbraio 2017, 15:11:38 PM
Citazione di: Apeiron il 18 Febbraio 2017, 14:20:02 PMLa grossa differenza è che nel cristianesimo l'obbiettivo di tale lotta è la salvezza del proprio e dell'altrui "io" mentre nel buddismo mahayana l'obbiettivo è la salvezza propria e altrui dall'io.

Non è affatto così, anche se fa scena la sottile distinzione; entrambe le dottrine ambiscono al medesimo risultato, ovvero all'estinzione dell'io che si risolve nel Sé universale. Usano simboli ed espressioni differenti ma l'essenza è la medesima. Poi qui si conosce il Cristianesimo più dal punto di vista sociale che dottrinale mentre il Buddhismo è stato studiato più dal lato "filosofico" (ma più che una filosofia io direi che è una "via di liberazione") e quindi emergono più facilmente certe cose piuttosto che altre, ma questa è una mera contingenza. Se si studiassero i fondamenti del Cristianesimo con lo stesso spirito con cui si studia il Buddhismo (cioè non dando per scontato che tutti qui conosciamo il Cristianesimo perchè più o meno ci viviamo in mezzo) si potrebbe comprendere; magari non così facilmente perchè il Cristianesimo è stato massacrato negli ultimi secoli da ogni sorta di esegeta parvenu, ma comunque si può ancora fare.
#213
Citazione di: Eretiko il 17 Febbraio 2017, 20:31:25 PMCredo che la discussione, relativamente a questo tema, si è ormai arenata: peraltro io non voglio convincere nessuno, e le nostre posizioni sono troppo diverse per continuare un confronto che alla fine sarebbe solo sterile. Le persone usano, e continueranno ad usare, i prodotti derivati della "scienza" e a goderne i benefici senza porsi domande, esattamente come continueranno a professare un culto senza porsi domande, e in entrambi i casi questo è negativo. Ti faccio solo notare che, ritornando ad una questione che avevo sollevato all'inizio di questa discussione, il sapere metafisico di cui tu parli parte sempre e comunque da premesse che sono postulati indimostrabili.

Chi legge si farà, se crede, le sue idee e le sue opinioni su questo specifico tema; ma a parte il fatto che ogni sapere parte da premesse e postulati indimostrabili (si tratta solo di valutare "l'autoevidenza" di queste premesse), ai fini di questa discussione si trattava solo di vedere quale fosse il sapere sulla base del quale è possibile unire un popolo e quindi fondare su di esso una cultura e quale invece lo divida e lo frammenti e costituisca quindi una controcultura. Siccome si è convenuto definire la comunità basata sul sapere metafisico "deduttiva" (o chiusa, o organicistica)  e la società basata sul sapere scientifico "induttiva" (o aperta, o meccanicistica) ognuno potrà valutare, da come si è svolta la discussione, quale di esse sia più simile alla cultura occidentale moderna e se questa abbia unito i popoli dell'occidente oppure li abbia divisi e quindi disgregati.
#214
Citazione di: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 19:49:39 PMCerto che gli animali lo sanno il motivo: riprodursi e sopravvivere, anche se non possono porsi la domanda di cui sopra

Questa è una presunzione umana, come dicevo più sopra. Cosa ne sappiamo noi se gli animali vogliono solo sopravvivere e riprodursi? Tutti quei cani che si lasciano morire accanto al padrone morto rifiutandosi di mangiare vogliono solo sopravvivere e riprodursi? Tutti gli animali che si lasciano morire accanto ai cuccioli morti vogliono solo sopravvivere e riprodursi? Probabilmente uno studioso di zoologia o un documentarista ti potrebbe fare molti altri esempi, ma noi abbiamo adottato questo paradigma di lettura, molto semplice e banale, perchè abbiamo cartesianamente ridotto gli animali a macchine assegnando all'uomo un posto di supremazia: ma se invece le cose stessero diversamente? In Cina sono decenni che si cerca con sforzi immani (e tecnologie di tutti i tipi) di convincere i panda giganti a riprodursi per salvarli dall'estinzione: ma se invece loro volessero semplicemente estinguersi? Cosa ne sappiamo? Uno degli errori più grandi che ha fatto la scienza è stato quello di proiettare i desideri umani anche nelle altre specie, prima degradandoli a semplici ammassi di reazioni istintuali e desideri basici e ora assegnandogli caratteristiche sempre più umane (un essere umano che impicca un cane per divertimento non è essenzialmente diverso da quello che lo porta dal toelettatore tutti i giorni, lo nutre con patè e filetto e lo veste di broccato e brillanti). Ogni specie ha un suo posto e un suo "destino" nel mondo, e ogni elemento di tale specie anche, quindi il miglior comportamento da adottare nei loro confronti è di rispettarli per quello che sono, e non per quello che noi pensiamo che siano o che vorremmo che fossero.

Citazione di: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 19:49:39 PMNon so se l'uomo ha iniziato a chiedersi prima il "come" e poi il "perché" del funzionamento del mondo, ma sicuramente fin da tempi antichissimi ha imparato a "modificare" la natura, con le coltivazioni, con l'allevamento, con la selezione artificiale di vegetali ed animali. E secondo me invece le culture tradizionali si sono interrogate molto sui "perché", altrimenti quale sarebbe il senso della nascita delle religioni che individuano appunto una risposta in un "Essere" più o meno trascendentale e più o meno antropomorfo? Ma lascio a te la riflessione su questo punto. La scienza moderna indaga solo su "come va il mondo" (cioè sulle leggi di natura), e non ha mai avuto la pretesa di cercare risposte sui "perché", lasciando questo gravoso compito alla filosofia e alla fede. Ma se tu hai degli esempi in cui la scienza ha invaso un campo non suo ti prego di evidenziarli, non sono un fideista assoluto. Ovviamente le teorie scientifiche pongono spunti di riflessione alla filosofia e alle religioni, perché qualche volta possono provocare la revisione di concetti che sembravano acquisiti, ma qui non si può certo imputare una responsabilità alla scienza stessa, o a un pensiero che avvia il suo suicidio Se poi tu, riguardo ai "perché", ti riferisci a sconfinamenti fatti da singoli scienziati, soprattutto in base alla teoria dei quanti, allora concordo con te: indebita invasione di ambiti non pertinenti.

Per quanto riguarda l'agricoltura ho scritto in altri messaggi per cui non ripeto qui, mentre per quanto concerne le culture tradizionali le cose sono molto diverse da come le descrivi. Faccio un esempio: se un popolo si ciba di un particolare animale che scava le proprie tane sotto un particolare tipo di alberi allora questa conoscenza gli sarà utile per cacciarlo, ma non gli interessa né il "come" scavi le tane e nemmeno il "perchè" lo faccia, mentre se tu guardi sull'enciclopedia alla voce relativa troverai le risposte della scienza sul "come" scava le tane e anche sul "perchè" (ovviamente presunto) lo fa proprio lì e non altrove. Se un popolo si ciba di un particolare frutto e "vede" che questo cresce e matura a partire dal fiore non si chiede qual è il processo che da fiore lo trasforma in frutto, ma si limiterà a prenderne atto. Se vede che in primavera le api ronzano attorno ai fiori e dopo questi si trasformano in frutti mentre l'anno dopo non vede più le api e nemmeno i frutti collegherà il lavoro delle api con la fruttificazione dell'albero, e se questa non avverrà tenderà ad attribuirne la responsabilità a qualche proprio comportamento non conforme a natura o particolarmente disdicevole (essendo abituati a guardare prima la trave nel loro occhio che la pagliuzza in quello altrui) mentre magari a qualche centinaio di chilometri una fabbrica di prodotti chimici ha ucciso tutte le api dei dintorni. Le culture tradizionali guardano il mondo così com'è, e si limitano a rispettarne le dinamiche e i cicli, e non si chiedono nè il come e nemmeno il perchè questi siano come sono e non diversamente, e quando lo fanno l'unica risposta che si danno, la più semplice, più banale se vuoi ma anche l'unica vera, è perchè "Dio (o il Grande Spirito) ha voluto così" e loro si adeguano a tale volontà che percepiscono ovviamente come immensamente più grande di loro. Poi siccome l'uomo si chiede comunque il "perchè" delle cose (e molto spesso più il bambino che l'uomo) sono state inventate una miriade di storie, di leggende, di favole, di miti di ogni genere per spiegare qualunque cosa: ma tutte queste hanno in comune l'obiettivo di "giustificare" il perchè le cose vanno in un certo modo alla naturale curiosità infantile (che spesso è presente anche negli adulti), ma non certo quello di intervenire per modificarne l'andamento, perchè se così fosse non avrebbero usato tutta quella fantasia ma un diverso linguaggio e una diversa concretezza.  Tutta la loro struttura culturale parte dalla consapevolezza di una volontà immensa che "fa" e "disfa" le cose del mondo e viene compresa, elaborata, espressa e simboleggiata sulla base della mera osservazione e a cui deve logicamente seguire il comportamento umano adeguandosi a tale volontà, che si esprime quotidianamente nelle dinamiche già citate. La religione è dunque quella struttura culturale umana che partendo dalla consapevolezza dell'unità del mondo in una volontà superiore che si esplica a partire dal movimento dei pianeti fino alla crescita del filo d'erba aiuta un popolo (e ogni appartenente ad esso) a prenderne coscienza,  farsene una ragione (con l'aiuto, se necessario, delle storie già citate) e adeguare  le proprie dinamiche in conformità ad essa.

Tu dici (e questa è una toppata clamorosa) che la scienza non ha mai avuto la pretesa di cercare le risposte sui perchè: e allora come mai se digiti un qualunque "perchè" (da "perchè il fuoco brucia" a "perchè l'acqua bagna") su Google trovi solo le risposte della scienza? Perchè mai escono periodicamente libroni e riviste scientifiche (o pseudo-tali, vedi Focus) che ti spiegano ogni e qualsiasi perchè che derivano sempre da "ricerche scientifiche"? Perchè mai qualunque scienziato dopo il "come" si sente sempre in dovere di spiegare anche il "perchè" di qualcosa? Certo spesso si confonde il "come" con il "perchè" ma ad esempio per quanto riguarda gli animali e la biologia in generale ci si sente sempre in dovere ad esempio di spiegare perchè il pavone ha quella coda, perchè i felini hanno le unghie retrattili e milioni di altri "perchè" che non sono assimilabili al "come"


Citazione di: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 19:49:39 PMLa conoscenza può anche essere fine a se stessa, rispondendo semplicemente alla curiosità umana, non è necessariamente qualcosa indirizzato al suo sfruttamento tecnologico. Quale sfruttamento può avere la teoria della relatività? Forse nel futuro qualcuno potrà avere una qualche idea per sfruttarla per qualche nostra esigenza, ma al momento le uniche applicazioni pratiche sono: la sincronizzazione dei satelliti GPS, calcolare precisamente la precessione dell'orbita di Mercurio, alcune misure sulla struttura dell'universo. Non molto per una teoria che ha richiesto 10 anni di lavoro ed un secolo di osservazioni ed esperimenti. Forse Maxwell quando teorizzò le onde elettromagnetiche pensava che un giorno si sarebbero sfruttare per le telecomunicazioni? Come tu stesso hai sottolineato, la scienza nel suo complesso è un metodo, ma non ci sono gerarchie: il metodo è uno ed uno solo, ed è un processo che fornisce conoscenza. Poi ci sono le varie discipline, che utilizzano le conoscenze, ad esempio la Medicina e l'Ingegneria, per produrre beni (talvolta inutili) atti a soddisfare i nostri bisogni (talvolta superflui), ma sono processi distinti: da una parte un metodo che fornisce conoscenza, dall'altra l'eventuale sfruttamento pratico di tale conoscenza. Riguardo al problema dell'etica io non ho risposte, ma è ovvio che comunque le scoperte scientifiche hanno indebolito i presupposti che, ad esempio nel cristianesimo, davano all'etica ragione di esistere. Basta pensare al sistema copernicano, che rivoluzionava un sistema del mondo fatto proprio dal cristianesimo, o la teoria dell'evoluzione che ha ridotto la creazione biblica a un mito. Credo che la vera crisi però si consumerà quando cadranno gli ultimi baluardi sui quali si fonda un'implicita distinzione tra l'uomo e il resto dell'universo. Le neuroscienze sono sul punto di svelare i meccanismi più profondi della vita, mostrando come questi non abbiano nulla di trascendentale e possano essere spiegati in base alle stesse leggi fisiche che regolano l'universo (comprese le cose inanimate). Cosa accadrà quando la scienza dimostrerà che anche i processi cerebrali alla base delle facoltà intellettive, compresa la coscienza e il libero arbitrio, sono spiegabili con leggi fisiche? Non lo dico perché sono contento che sia così, o perché faccio il tifoso, o per arroganza ateista, ma stiamo scoprendo che questo è, e una riflessione sulle implicazioni etiche la dobbiamo fare, in modo costruttivo e senza demonizzazioni.

La conoscenza fine a se stessa non potrà mai essere una base sulla quale fondare la vita dell'uomo. L'uomo ha sempre cercato la conoscenza per poterla usare, e non per non farsene niente. Se l'uomo è sempre andato, come diceva Aristotele, alla ricerca del sapere, è perchè percepiva evidentemente una mancanza, ma se tu gli fornisci una conoscenza che non serve a nulla tale mancanza non potrà mai essere colmata. La conoscenza deve servire all'uomo per comprendere il mondo, trovare in esso il proprio posto e fornire attraverso ciò un senso alla sua esistenza;  una conoscenza che non serve a questo non fa il suo mestiere, tanto è vero che la conoscenza scientifica che non è applicabile tecnicamente viene sfruttata per fare bella figura nei consessi accademici, oppure per risolvere le parole crociate, o magari per partecipare ad un telequiz. Un modo per occupare la mente di tante cose inutili.


Citazione di: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 19:49:39 PMPremesso che anche la comunità scientifica, composta di uomini, è soggetta a partenze per la tangente, ad atteggiamenti meschini, a truffe, a rivalità, al richiamo del portafogli e a sotterfugi, occorre distinguere quelle che sono semplici ipotesi (magari anche plausibili) da quelle che sono teorie verificate e verificabili. In base al metodo l'unica conoscenza che raggiuge lo status di verità è quella nella quale una teoria è coerente e verificabile da ognuno, replicabile da chiunque in ogni luogo e in ogni tempo. Le ipotesi, per quanto plausibili, rimangono pur sempre delle ipotesi. A questo serve la comunità scientifica, anche se al suo interno vengono consumati misfatti: a produrre conoscenza (scientifica) certificata. A me non sembra esattamente una "chiesa". Poi, potresti farmi notare che la conoscenza scientifica non è "la conoscenza" (unica), ma solo una sua fetta. Ma qui ci vorrebbe una discussione a parte.

Non è questione di uomini più o meno meschini, corrotti e truffatori. Ammettiamo pure che la comunità scientifica sia tutta formata da uomini integerrimi sotto ogni punto di vista. La questione è che in ossequio al principio di realtà solo una estrema minoranza di uomini avrà il tempo, la voglia, i mezzi tecnici e la preparazione per verificare le affermazioni della comunità scientifica, e la quasi totalità si avvarrà del noto "principio di autorità" per organizzare la propria vita. Anche nella Chiesa chiunque avesse avuto la voglia, il tempo, l'intelligenza e la preparazione necessarie (mezzi tecnici non sono previsti, a differenza della scienza che per esempio se non disponi di un microscopio elettronico, di un megatelescopio o di un acceleratore di particelle come quello del CERN non puoi contestare la veridicità di un sacco di teorie; e chi ce li ha?) avrebbe potuto discutere e se del caso contestare le sue affermazioni, come del resto è accaduto, e dunque siccome il 99 e rotti per cento delle persone non verificherà da sé ma si appoggerà al principio di autorità già citato la comunità scientifica, come la Chiesa a suo tempo, diverrà l'unica detentrice del "sapere", che fra l'altro non è nemmeno un sapere certo in nessun caso poichè essendo applicato alla materia che è costantemente in divenire  non è affatto detto che sia valido in ogni luogo e in ogni tempo (se non cambia il fatto che esista ed esisterà sempre la forza di gravità, che ovviamente è nota a tutti da sempre, non è detto che sia sempre la stessa dovunque e in ogni tempo, per cui gli studi che servono per far volare un aereo oggi sulla terra lo farebbero magari crollare fra mille anni, oppure anche oggi ma su un altro pianeta) mentre il sapere della Chiesa essendo prevalentemente metafisico (il sapere "fisico" o "scientifico" della chiesa è molto spesso una deduzione del metafisico e quindi può variare col variare delle condizioni e quindi l'adozione che hai citato prima del sistema tolemaico da parte della Chiesa antica è frutto di una errata deduzione dai testi sacri) quindi non condizionato dal divenire è veramente valido in ogni luogo (intendo anche nella più lontana delle galassie) e in ogni tempo (intendo 100.000 anni fa come fra 100.000 anni). Immagino l'obiezione: "Ma la Chiesa fonda il suo sapere sui testi sacri mentre la scienza no". Sbagliato. Anche la scienza si fonda su di un sapere di gente che è venuta prima e si fida di quello, mica lo verifica tutto ogni volta da zero (perchè sarebbe materialmente impossibile farlo) e quindi "dà per scontato" un sapere e lo sviluppa o lo reinterpreta alla luce delle nuove scoperte (esattamente come la Chiesa). Solo che il sapere metafisico e quindi essenziale della Chiesa è ripensabile da chiunque da zero (poi certo non si possono ripensare e riverificare tutte le deduzioni che ne sono state tratte) mentre quello della scienza, già frammentario dalle origini in diverse discipline, no.
#215
Citazione di: Eretiko il 14 Febbraio 2017, 11:05:57 AMGiusto, il "perché delle cose" esula dal dominio di indagine della scienza, ma il non conoscere il "perché" non tarla la scienza in sé stessa ma l'animo individuale dell'uomo, e visto che da millenni cerchiamo i "perché" senza trovarli forse dovremmo arrivare alla conclusione che essi non esistono, e che forse continuare a chiedersi "perché" come fanno i bambini è privo di senso. Fermo restando che ognuno, individualmente, può continuare a farsi quella domanda, e può trovare la risposta che più lo soddisfa, sia anche in roveti ardenti o voci interne, ma con la consapevolezza che non possono essere risposte universali proprio perché individuali e non riproducibili da chiunque e in ogni luogo. E aggiungo che la pretesa di estendere universalmente tali risposte individuali, se pur in un primo momento ha agito da collante e da elemento identitario, alla lunga ha mostrato il suo limite intrinseco, ed ecco perché quello che a ad alcuni oggi appare come una "disgregazione" a me sembra una "decostruzione" in una società che sta appunto cercando di trovare nuovi punti fermi, uno dei quali potrebbe appunto essere la "cultura scientifica" in quanto, almeno quella, può chiamarsi "cattolica". Ma a parte questa considerazione, del tutto personale, trovo assurdo addossare allo sviluppo del pensiero occidentale degli ultimi secoli (o non-pensiero, come qualcuno sembra suggerire) la responsabilità di questa presunta disgregazione, come se fosse possibile ingabbiare il pensiero in una stretta morsa solo perché "funziona" (o ha funzionato per un periodo), o solo perché risponde a visioni del mondo individuali che si ritiene di poter estendere a tutti gli individui.

Solo gli ignoranti e gli insipienti cercano il "perchè delle cose", e coloro che credono di averlo trovato di solito lo presuppongono ai propri fini. Si tratta invece di trovare il "perchè" di noi stessi, la ragione per la quale noi siamo in questo mondo e cosa ci stiamo a fare, perchè le montagne, i mari, le piante e gli animali lo sanno bene e non dobbiamo certo arrivare noi per insegnarglielo (forse il "perchè" degli elefanti è lavorare nei circhi? o il "perchè" dei cavalli è quello di fare le corse ad ostacoli? o il "perchè" delle rose è quello di essere regalate a San Valentino? O il "perchè" delle montagne è quello di far divertire scalatori e sciatori o fungere da trampolino per i parapendisti?). Le culture tradizionali non hanno mai cercato questi perchè, limitandosi a rispettare ogni cosa partendo dalla convinzione che se le "cose" esistono una ragione ci deve essere (anche se solo Dio può conoscerla), mentre è stata proprio la scienza moderna ad ipotizzarli e volerli conoscere (trasformando il  sacrosanto "principio di ragione" nel diabolico "principio di ragione sufficiente" ove la sufficienza o meno del "perchè" veniva valutata dall'uomo che decideva se vi fosse una ragione sufficiente perchè qualcosa esistesse, e se questa non veniva trovata lo si poteva eliminare) ma non riuscendovi o non essendo soddisfatta delle proprie risposte si è poi accontentata di scoprire il "come" in modo da intervenirvi con la tecnica per modificarlo e renderlo funzionale alle esigenze dell'uomo. È invece il "perchè" dell'uomo che è necessario trovare, ma non quello della "specie umana", bensì quello intrinseco ad ogni uomo, che deve cercare e trovare da sé ("conosci te stesso" - Oracolo di Delfi) per poi adeguarvisi ("diventa ciò che sei" - Pindaro). 
Se la "cultura scientifica" nei fatti non è altro che un modo di conoscere alcune cose per poterle modificare e assoggettare agli interessi, ai bisogni e ai desideri umani anche se fosse condivisa da tutto un popolo non potrebbe mai essere un principio unificatore, prima di tutto poichè la scienza è un metodo, non un principio o un valore, poi perchè questa conoscenza delle cose è estremamente frammentaria (la "scienza" si divide in innumerevoli discipline: qual è la gerarchia fra di esse?), quindi perchè ognuno privilegerebbe (a seconda dei propri bisogni ed interessi) la conoscenza di alcune cose rispetto ad altre individualizzandola, poi perchè essendo "esterna" rispetto all'oggetto conosciuto è sempre opinabile e ogni cosa non si potrà conoscere per intero come effettivamente è ma sempre e solo parzialmente, e infine perchè essendo per definizione "oggettiva" quindi neutra da essa non è possibile trarre una morale e quindi definire cosa sia bene o cosa sia male per un popolo o per tutta l'umanità. Ma anche ammesso e non concesso che ci fosse la maniera di risolvere questi problemi sarebbe comunque necessario che tutti riconoscessero la comunità scientifica come l'unica detentrice della conoscenza, e anche l'unica che avrebbe il diritto di modificarla e aggiornarla. La comunità scientifica diventerebbe quindi la nuova Chiesa con il diritto di censurare (come del resto fa già ora) chiunque esprima un pensiero non conforme. Cosa cambierebbe dunque rispetto alla Chiesa che abbiamo conosciuto fino a pochi secoli fa?
#216
Citazione di: Fharenight il 14 Febbraio 2017, 00:53:34 AMEvviva i Crociati! Semper fidelis!

Veramente il motto dei crociati, o meglio dei Cavalieri Templari, era "Non nobis Domine, non nobis, sed nomini tuo da gloriam". Semper fidelis è quello dei marines americani che non mi paiono affatto confrontabili. Scusa del puntino sulla i ma mi è venuto un brivido quando l'ho letto.
#217
Citazione di: InVerno il 13 Febbraio 2017, 20:31:44 PMPerfettamente? A me pareva di aver già smentito questa "perfezione" quando citasti il mito di Caino e Abele e l'evidente castroneria insita nel mito stesso, potrei anche citare un bel po di culture che avendo preferito lo smodato consumo di carne all'agricoltura (attraverso altri miti certamente) hanno cagionato la loro stessa fine, e potremmo anche parlare di decine di altri miti contenti castronerie anche più grandi (tra le tante, tutti i miti che vedono alla nalità come un fattore positivo assoluto). Questa "perfezione" è più mitologica dei miti stessi che la giustificano, e se è vero come è vero che alcuni problemi sono emergenziali e correlati allo sviluppo della tecnica, è anche vero che alcuni sarebbero completamente insolvibili senza di essa, ed è anche vero che siamo sopravvissuti agli errori del passato solo perchè la scala su cui potevano essere effettuati era minuta rispetto ad oggi.

Per "carità di patria" non avevo replicato alla questione di Caino e Abele e dei sacrifici, e dato che tu affermasti

Citazione di: InVerno
Riguardo all'agricoltura, in realtà il mito genesiaco ha poco senso(una cantonata deduttiva), l'allevamento è una forma ancora più intensiva di agricoltura dove le proteine fanno il "giro lungo" per arrivare "raffinate" sotto forma di carne. Ad oggi infatti il problema ecologico principale legato allo sfruttamento del suolo, è l'allevamento. Anche supponendo che la demografia non costringa all'allevamento intensivo, avere dei pascoli significa deforestazione massiva ed eradicazione della fauna concorrente\predatrice per estensioni anche dieci volte superiori (l'anatolia e la siria, ma anche la sardegna, non erano semidesertiche una volta). Ma suppongo il mito abbia più a che fare con l'archetipo del sacrificio animale che con l'ecologismo.

mi sembrava offensivo per l'intelligenza dei lettori puntualizzare l'ovvio, che consiste nel comprendere che quando fu redatta la Bibbia (o comunque tramandati oralmente i racconti che la compongono) l'agricoltura non era utilizzata per produrre mangime per animali, quindi gli animali da allevamento (e in quei luoghi principalmente e quasi esclusivamente le pecore) si cibavano dell'erba spontanea che cresceva nei campi, che fra l'altro erano molto più numerosi e rigogliosi rispetto ad oggi (non per niente quei luoghi erano noti come "mezzaluna fertile"). Quindi il mito (e il rifiuto delle offerte di Caino) stigmatizza la modifica dello stato della terra forzandone la naturale spontaneità nel produrre i propri frutti per piegarla a fini esclusivamente umani, mentre al contempo permette l'allevamento che non incide per nulla su tale spontaneità (e tra le altre cose anche gli indiani d'America non praticavano l'agricoltura ma certamente una forma ridotta di allevamento di pecore e capre). Non vedo quindi alcuna cantonata o castroneria, mentre sono sicuramente castronerie i paragoni fra l'allevamento di migliaia di anni fa e quello di oggi, anche perchè ai tempi la dieta umana era estremamente più varia di quella di oggi e fra l'altro la caccia, la pesca e la raccolta di frutti o vegetali selvatici erano comunque sempre praticate e non era affatto necessario avere migliaia di capi di bestiame dato che degli animali si utilizzava tutto e non, come oggi, solo la "fettina" mentre il resto viene eliminato.
#218
Se noi siamo ancora scimmie allora è semplicemente un fatto che l'uomo non è mai esistito, se non nella mente di qualche scimmia, così come nella mente degli autori di fantascienza e di fumetti esistono ogni sorta di alieni o di uomini con poteri straordinari come Superman o l'Uomo Ragno. Comunque quello che posso arguire da quel che scrivi è che a parte la citazione di Kant che condivido solo parzialmente o che comunque andrebbe meglio precisata e discussa è che la scienza sta compiendo dei passi verso l' "unificazione" della conoscenza riconoscendo l'interdipendenza degli enti (che paradigmaticamente ha affermato con la famosa storiella del battito d'ali della farfalla in Amazzonia). Ma queste sono cose che una qualsiasi persona che si guardi attorno senza pregiudizi può vedere, e millenni orsono le persone lo sapevano vedere perfettamente. Quindi abbiamo perso secoli (e altri a quanto pare ne perderemo) per arrivare ad avere una scienza che al termine del proprio viaggio non potrà fare altro che confermare (solo con un altro linguaggio) quel che gli uomini sapevano già migliaia di anni fa. Forse però non riuscirà a compiere il "salto ontologico" che le permetterà di giustificare il divenire connettendolo con l'essere (poichè questo non è sottoponibile a sperimentazione) e si fermerà magari ad Eraclito. Nel frattempo le "piccole verità" scientifiche consentiranno all'uomo, attraverso la tecnica, di distruggere quello che rimane da distruggere (comunità comprese) e se questo è il prezzo da pagare per arrivare ad una conoscenza che già abbiamo mi sembra un tantino eccessivo. Senza contare che, come accade già oggi, il 99% degli uomini, da brave "scimmie", crede (e crederà) in quel che raccontano gli scienziati così come un tempo "credeva" in quel che gli raccontavano i religiosi. Quanti sono quelli che veramente "sanno" e non hanno alcun bisogno di credere? In ogni caso e per tornare all'argomento in discussione non posso che sottolineare che il tuo messaggio conferma una volta di più che siamo ancora nella fase "destruens" della "nuova conoscenza", e dunque in ossequio al significato questo fatto non può che provocare disgregazione.
#219
Citazione di: InVerno il 13 Febbraio 2017, 09:38:38 AMNo nessuna sagacia, penso che qualsiasi partecipante \ lettore della discussione l'avesse compreso, ma vedi bene che bastava metterlo per scritto per arrivare al punto. Faccio notare che forse è la prima volta che viene nomitato, si è preferito usare "le culture primitive" o discussioni riguardo la "forma mentis" come improbabili fantocci di rappresentanza piuttosto che scrivere Cristianesimo. A onor del vero inizialmente l'ho persino apprezzato, almeno si è evitato che il topic deragliasse nel "solito scontro", ma a questo punto mi pare che si sia ottenuto il risultato opposto, dove appunto eventi sociali vengono citati a sproposito solo per mettere altro peso sulla bilancia della propria sete di vendetta verso una sconfitta storica, che non ha nulla a che fare con un analisi serena e oggettiva del "declino dell'occidente", di cui non si ci è posti ancora il dubbio se si tratti di declino o meno, perchè questione di secondo piano rispetto alle proprie mire e alla propria voglia di vedere il declino per corrispondere i propri personali bisogni e desideri. P.s. La cultura scientifica ci ha dato un infinità di entità che ci potrebbero re-ligare, il fatto che non lo accettiamo o non ci "sottomettiamo ad esse" solamente perchè non praticano miracoli di interesse personale, o non hanno proprietà magiche, o non parlano attraverso crisi epilettiche, insomma non sono delle versioni potenziate di noi stessi, non fa altro che confermare la nostra natura scimmiesca.

Hai clamorosamente mancato il bersaglio, caro il mio uomo. Prima di tutto perchè per quanto concerne il sottoscritto non sono mai stato cristiano (forse lo sarei potuto essere mille anni fa, ma non certo ora), e condivido molte delle critiche al Cristianesimo attuale che sono state mosse da Nietzsche nei suoi scritti (ma non certo quelle di Hitchens, Dawkins, Odifreddi, Mancuso, Kung e altri insipienti del genere) e fosse per me lo abolirei domani a cominciare da questo Pontefice indegno di occupare il posto che occupa, e poi perchè il fatto che il Cristianesimo sia stato senza alcun dubbio un elemento culturale unificante dell'occidente, anzi l'unico, è un fatto di cui, in una discussione sulla sua disgregazione, non si può non tenere conto. E parlare di revanscismo nei confronti di una sconfitta avvenuta ormai sei/sette secoli orsono è quantomeno ridicolo. Se si utilizzano altri concetti e se dunque si fa riferimento agli elementi che unificano le altre culture è solo perchè si parla in generale e si utilizzano concetti più generici, non certo per vergogna di usare il termine "religione" che è comunque quello più adatto. Mostrami cosa non c'è di sereno e di distaccato nelle analisi che ho tentato di fare e vedrò di correggere il tiro, ma siccome al contrario di tanti altri (te compreso, a quanto pare, visto il livore che mostri) non ho pregiudizi (né quello religioso e nemmeno quello scientifico) e nemmeno "personali bisogni e desideri" da soddisfare (e anche fosse non verrei certo a soddisfarli qui sopra) cerco solo esprimere la realtà che vedo, e non quella che voglio vedere.

P.S. Il tuo post scriptum è estremamente significativo e connotante, poichè sulla falsariga di quello che scriverebbero i tifosi di un partito che ha perso le elezioni e accusa gli elettori che hanno votato i loro avversari di essere idioti o corrotti, perchè se fossero stati onesti e intelligenti avrebbero votato tutti dalla loro parte. Tu dici che la cultura scientifica ci ha dato un'infinità di entità che ci potrebbero re-ligare. Bene. E allora perchè non l'hanno fatto? Perchè (tranne me e quelli che la pensano come me) siamo ancora scimmie, è la tua risposta. Appunto.  In un altro messaggio parlavo del senso di realtà: la tua affermazione dimostra che questo modo di ragionare ne prescinde completamente. Se noi siamo ancora scimmie bisogna trovare un modo per re-ligare le scimmie, e non per re-ligare un essere ideale che è solo nella mente, nelle speranze e nelle aspirazioni di qualcuno e che probabilmente non apparirà mai all'onor del mondo. Anche Kant, come dicevo nell'altro messaggio, aveva probabilmente un uomo ideale a cui gridare "sapere aude!", ma se questo non esiste anche il suo grido non ha alcun senso. Tutta la modernità è impregnata di questa idealizzazione, di questa aspirazione alla costruzione di un uomo-macchina identico a qualsiasi altro, prevedibile, controllabile e manipolabile, e tutta l'azione è indirizzata in questo senso. E prescinde dall'uomo che invece esiste, che vive qui e ora, e scimmia o meno è quello con cui bisogna fare i conti. E questa è un'altra dimostrazione di quanto questa cultura moderna sia, fra le altre cose, anche profondamente disumana.
#220
Citazione di: InVerno il 13 Febbraio 2017, 00:14:07 AM
Solo io vedo dei non sequitur tra i principi valoriali che vengono messi in campo (e la loro ipotetica caduta etc) e gli eventi sociali che vengono citati quasi a caso (altrimenti non si spiega) ogni tanto? In ogni caso le sette pagine di discussione ruotano tutte intorno ad un singolo punto, e i panegirici per girarci intorno non lo nascondo minimamente a tal punto che forse l'arbitro dovrebbe fischiare off topic, qui non si sta parlando di caduta dell'occidente ma di caduta del cattolicesimo, aggiungere acqua al brodo non cambia la sostanza, il baricentro della discussione sta li, lo dico esponendomi alla critica visto che il re non è ancora nudo (o non si sente nudo) ma almeno me ne tiro fuori.

Complimenti per la sagacia! Si è fatto del nostro meglio per nascondere che la disgregazione è essenzialmente determinata dalla mancanza di religione (che è ciò che unisce gli appartenenti ad un popolo fra di loro e tutti insieme con un'entità che li trascende, da re-ligare) ma tu ci hai clamorosamente sgamato! La crisi dell'occidente è dovuta alla crisi del Cristianesimo in quanto questa è (stata) la religione dell'occidente, se ne avesse avuta un'altra si sarebbe parlato di crisi di quell'altra. In tutti i popoli, in tutto il mondo e in tutti i tempi la religione è sempre esistita e ha sempre avuto il posto preponderante nelle culture, anzi le determina e le definisce, e se solo ora e solo in questa parte del mondo questa viene considerata un accessorio alla stregua del coprivolante in peluche o un retaggio dell'idiozia scimmiesca che l'evoluzione darwiniana non si è ancora occupata di spazzare via bisognerebbe considerare questo fatto e domandarci quale incidenza ha avuto dal punto di vista sociale, perchè la religione è un fatto sociale, non individuale (semmai è la spiritualità ad avere connotazione individuale, ma la religione o è sociale o non è).  Quindi è ovvio (almeno per chi conosce un po' queste cose) domandarsi, dato che l'occidente ha espulso la religione dai suoi orizzonti,  se sia riuscito a sostituirla con un altro principio unificatore in cui i popoli occidentali si riconoscano e riconoscano se stessi fra di loro, e trovino in esso o attraverso di esso il senso della propria vita in modo tale da consentir loro un'esistenza felice e serena in armonia con se stessi, gli altri e il mondo. Di questo si tentava di discutere, e coloro che ritengono che la crisi del Cristianesimo sia coincisa con un periodo di rinascita dell'occidente che ha finalmente sostituito le verità "false" del Cristianesimo con le verità "vere" che sono venute dopo (posto che nessun uomo baserebbe la propria vita sulla menzogna che riconosce come tale) dovrebbe incaricarsi di mostrare, dato che si vuole contestare il concetto di "disgregazione dell'occidente", come e su quali basi queste abbiano "unito" i popoli occidentali (e i singoli cittadini di ogni popolo fra di loro) anzichè dividerli, e di come abbiano integrato anzichè disgregare.
#221
Citazione di: Phil il 12 Febbraio 2017, 13:29:40 PMPer chiarire a cosa alludo con "aggiornare il paradigma", propongo (da "Il postmoderno" di G. Chiaruzzi) uno schema di Hassan (mi scuso se non l'ho trovato in italiano e premetto che non rappresenta il mio paradigma, nè tantomeno è il paradigma da prendere a modello ideale, è solo un esempio di "aggiornamento"):


È interessante notare come nell'esempio di questo paradigma (che credo sia una schematizzazione sociologico/statistica e quindi non sia da condividere o meno, ma solo da prenderne atto in linea di tendenza) i "valori" che determinano il post-modernismo siano quasi tutti connotati negativamente. Quando non esiste un valore condiviso o una serie di valori che formano un "paradigma" che possa prevalere nella società allora ognuno se li elaborerà da sé costruendo ognuno il proprio paradigma, e questa estrema frammentazione impedisce una prevalenza di uno sull'altro costringendo gli "studiosi" a enunciare "valori negativi" come comuni alla società nel suo complesso. Dunque ciò non fa altro che confermare la disgregazione e il suicidio culturale, dato che la cultura nel senso in cui la si intende qui appartiene ad un popolo e non ad un individuo (o a un individuo solo in quanto appartenente ad un determinato popolo, ad una determinata "cultura"), per il quale si potrà parlare tutt'al più di erudizione.


Citazione di: Phil il 12 Febbraio 2017, 13:29:40 PMP.p.s. @donquixote Avevo inteso la tua frase "il pensiero deve pensare la verità"(cit.) come viziata dal presupposto che la verità sia una, perfetta, immutabile, etc. presupposto che ha portato ad una serie storicamente ricca di casi in cui tale verità, pur di essere trovata, veniva inserita arbitrariamente in un circolo vizioso dogmatico (in senso laico o meno). Oggi forse la "plausibilità" può essere un'alternativa lecita alla verità assoluta, sia nelle scienze che in altri campi, ma quest'ottica è incompatibile con un paradigma metafisico classico (vedi schema citato ad esempio sopra) per cui non è certo universalmente condivisibile. Sulla verità fai-da-te come edonismo solipsista, vorrei ricordare che gli individui, a prescindere dal paradigma che usano, vivono solitamente in una società regolata da leggi coercitive (quindi "il tutto è permesso" è escluso a priori), per cui è sempre necessaria (o solo assennata) una mediazione fra l'individuo e il contesto sociale ;)

La verità è certamente una, perfetta e immutabile, ma contavo sul tuo aiuto per evitare di precisare che nell'espressione e nella comunicazione di questa verità si riscontrano tutti i difetti del mediatore, che è l'uomo, per cui alcuni uomini l'avranno saputa esprimere meglio di altri, e alcuni uomini l'avranno capita meglio di altri, e viceversa. Altra cosa è poi l'applicazione in campo dottrinale e sociale in cui le variabili sono ancora maggiori. Quindi se uno è in grado di pensare la può pensare da sé e poi magari alla fine del percorso potrà giudicare da sé quali uomini siano stati in grado di esprimere tale verità in modo più corretto dato che, in sé, è inesprimibile (come del resto qualunque altra realtà che non sia inventata direttamente dall'uomo). Per quanto concerne la "plausibilità" ognuno può ritenere "plausibile" ciò che gli fa più comodo, dunque ritenere più plausibile il perseguimento di ogni e qualsiasi proprio desiderio e interesse rispetto alla plausibilità di qualunque altra considerazione (la Corte di Cassazione ha emanato poche settimane fa una sentenza in cui considera lecito, quindi decisamente plausibile, licenziare le persone per salvaguardare l'ammontare dei profitti aziendali.) e quindi non vedo alcuna differenza, nell'ambito dell'agire quotidiano delle persone, fra la plausibilità e la certezza e dato che non vi è modo di valutare percentualmente la plausibilità di una tesi rispetto ad un'altra ognuno si farà naturalmente guidare dalla propria convenienza, dal proprio paradigma.  Per quanto concerne invece la questione delle leggi se l'individuo adotta un paradigma in contrasto con le regole e le leggi appare ovvio che vedrà queste ultime come ostacoli alla sua espressione personale e alla realizzazione del suo paradigma (che considerà verità, sia pur "plausibile") e quindi sorgerà un conflitto con la società e le sue istituzioni per cui lo "stato" verrà considerato nemico e si tenterà di "fregarlo" in tutte le maniere (gli esempi abbondano) oltre  a provocare un aumento dei conflitti fra individui che saranno inoltre sempre più aspri,  e che le istituzioni non sono in grado di gestire e comporre. Le leggi dovrebbero gestire le eccezioni, e la "normalità", in una comunità degna di tal nome, dovrebbe essere garantita dalla cultura, dai principi e dai valori che si condividono e dai quali si deduce naturalmente e conformemente l'organizzazione sociale e il comportamento da adottare da parte dei cittadini, che si comportano in un certo modo perchè sono convinti che sia buono e giusto farlo (e per un sacco di altre buone ragioni)  e non per paura della guardia che viene a bussare. Quale serenità potrà mai avere una persona che deve difendersi quotidianamente da suoi concittadini che hanno una visione della vita diversa dalla sua (e il cui perseguimento lo porta magari a subire danni senza aver fatto niente di male) e dall'altro lato deve guardarsi da uno stato che aggiorna quotidianamente i propri paradigmi per cui non sai mai se quello che hai fatto fino a ieri è ancora legale oppure no (ho sentito oggi ad esempio che sono cambiate le regole sui seggiolini delle auto per i bambini: quelli vecchi saranno illegali)? E capita quindi che uno viva la propria vita tranquillamente e si ritrovi domani o ad essere o sul lastrico perchè la concorrenza (legale, sia ben chiaro) lo ha fatto fallire oppure un delinquente a sua insaputa. E costui cosa se ne fa di tutti i suoi paradigmi? Quindi il contrasto fra il "tutto è permesso" che l'ideologia moderna incoraggia e il "niente è permesso" che la legge impone creerà cortocircuiti tali da provocare tensioni sempre crescenti, fino alla completa disgregazione e polverizzazione delle cosiddette "società aperte" di popperiana definizione.
#222
Citazione di: Phil il 12 Febbraio 2017, 00:26:20 AMSe "il pensiero deve pensare la verità" (cit.) allora è un pensiero privo di ricerca, consolatorio, solido, autoritario, ma povero di domande e di autentico lavorio mentale; è un pensiero dogmatico, legittimo e certamente appetibile (che propone la verità, non la trova...), Ma credo possa esserci anche (e al suo fianco, se siamo pluralisti) un pensiero indagatore, che prima di "guidare l'azione" (cit.) si interroga con onestà intellettuale ed umiltà, senza fare appello a ricette già scritte per preparare una verità storicamente affermata. Se il pensiero rifiuta a priori "ipotesi potenzialmente false" (cit.), se ha paura di sbagliare o di esitare, allora, secondo me, non è pensiero filosofante, ma citazione o adesione dogmatica (che resta una prospettiva percorribile e non esecrabile). Inoltre non scommetterei sul fatto che un pensiero operoso, indagante e fallibile, con paradigmi aperti ed in fieri finisca con il "perdere qualsiasi utilità e anche significato"(cit.), sarebbe come dire che avere una matita ed una gomma è inutile perché bisogna usare solo penna indelebile (è un questione di metodo e di gusti, no? ;) ).


Il pensiero che pensa la verità è privo di ricerca? Ma da dove viene sta sciocchezza? I filosofi presocratici che ricercavano l'arché, il principio primo da cui tutto deriva, non stavano forse pensando la verità (al di là dei risultati ottenuti)? E cosa c'era di dogmatico nel loro pensiero? E gli scienziati moderni che vanno ricercando la "particella di Dio" non hanno forse lo stesso obiettivo? Ognuno può pensare la verità, ed effettuare in tal senso la sua ricerca, e in questo non vi è niente di dogmatico. Tu quando pensi lo fai forse per cercare una menzogna, una falsità o cosa? Certo la verità è stata annunciata da uomini di tutti i tempi, ma questo non impedisce a nessuno di pensarla. La si può accettare a priori (credendo, non pensando, che sia la verità) oppure la si può rifiutare a priori (credendo, non pensando, che non sia la verità); poi chi è in grado di farlo la può pensare daccapo, partendo dal semplice concetto di verità come fondamento, come arché, perchè fondare la propria vita su di una menzogna (comunque la si chiami) non è esattamente l'obiettivo dell'uomo (o perlomeno non è mai stato esplicitamente dichiarato). Diceva Gandhi: "prima credevo che Dio fosse la verità, ora so che la verità è Dio": in mezzo a queste due affermazioni si trova tutto il lavoro del pensiero, che potrà portare qualcuno a conclusioni diverse da quelle di Gandhi (come quando a scuola ti danno il medesimo problema o la medesima equazione da risolvere ma i risultati sono diversi) ma in tutto questo lavoro non c'è niente di dogmatico, di consolatorio e meno che mai di autoritario. C'è invece il talento e la capacità di pensare l'universale anzichè limitarsi ad osservare il proprio ombelico e far orbitare il resto intorno ad esso.


Citazione di: Phil il 12 Febbraio 2017, 00:26:20 AMProbabilmente non mi sono espresso chiaramente: gli aggiornamenti di cui parlo sono proprio volti ad essere sincronizzati con la realtà attuale per poter operare al suo interno, contestualizzando le scelte e le "letture" di ciò che accade... sono aggiornamenti (faticosi, difficili e fallibili) che evitano proprio la chiusura in una dotta speculazione che non guarda all'accadere, al mondo che la circonda, a ciò che intendo con "attualità". Non sono aggiornamenti di nozionismo, ma aggiornamenti del proprio paradigma prima interpretativo poi operativo (e non certo per cultura personale!).

Se la "realtà attuale" è costantemente mutevole (e il mutamento è tanto più veloce quanto più si riduce il punto di osservazione) quanto deve essere "grande" il contesto per poterlo considerare sensato ed inserirvi gli "aggiornamenti"? Qual è il paradigma da considerare come fondamento (a quanto pare anch'esso potenzialmente mutevole) per leggere e pensare il mondo e fornire senso alla vita di un uomo? Le ideologie (l'umanismo, il marxismo, il razionalismo e l'empirismo, il meccanicismo, il nazionalismo, il liberalismo, l'utilitarismo eccetera) sono dei paradigmi in cui inserire la lettura dei fenomeni: ma quanto sono durate? quale senso hanno dato alla vita dell'uomo? quanto hanno contribuito al suo equilibrio, alla sua serenità, alla sua eudaimonia? e soprattutto quanto sono state in grado di pensare il mondo nel suo complesso? Eppure questi "contesti" sono abbastanza ampi; ma essendo sempre relativi non potranno costituire alcun fondamento su cui edificare un sapere duraturo e significativo, e soprattutto un sapere "vero" dato che, come diceva anche Hegel, "il vero è l'intero".

Citazione di: Phil il 12 Febbraio 2017, 00:26:20 AMPensare significa, secondo me, "leggere" e interpretare ciò che ci circonda (quindi direi che c'è sempre molto, anzi, troppo, da leggere) e se si trova scoraggiante il provare a "leggere" una realtà dinamica, mutevole e complessa, allora ci sono risposte e paradigmi preconfezionati che hanno una loro utilità, sostituendosi alla "lettura individuale" come delle "istruzioni per l'uso" che forniscono risposte, non domande (e usare tali istruzioni, fidarsi di loro, è una scelta rispettabilissima, una scorciatoia semplificata più che legittima, ma che non trovo attraente).

Leggere e interpretare lo si fa alla luce di uno schema di pensiero in cui sono inseriti (e giudicati) i fenomeni che accadono. Ma questo schema di pensiero deve necessariamente essere "creduto" vero e porsi come assoluto, perchè se non lo fosse ogni "lettura" o interpretazione" perderebbe di significato. Qualcuno ritiene sbagliato lo stupro dei bambini perchè il suo paradigma lo porta a leggere questo fenomeno come "male". Sei disposto ad accettare e a conferire pari dignità intellettuale ad un paradigma che afferma invece al proprio interno che lo stupro dei bambini è "bene"? Quindi a non condannare qualcuno che lo fa dato che lui crede di fare il bene? Se arriviamo al punto che ognuno può costruire da sé il proprio paradigma ed adeguare a quello la propria vita e il proprio agire allora si arriverà naturalmente al punto ove "tutto è permesso" perchè  ogni azione potrà essere giustificata: e se ogni azione diventa lecita che senso ha giustificarla con un pensiero? Se il mio "pensare" mi porta ad elaborare un paradigma che mi impone di perseguire i miei desideri, la mia soddisfazione, la mia "felicità" al di sopra di tutto il resto, e se la mia "verità" consiste in questo, ogni pensiero e ogni azione successiva sarà solo funzionale all'adeguamento a questa "verità", che confliggerà con tutte le altre "verità" di questo tipo determinando la situazione che abbiamo sotto gli occhi. E ogni regola, ogni norma, ogni legge che verrà emanata sarà un ostacolo alla "verità" in quanto impedimento al suo perseguimento. Io credo che il paradosso più evidente della modernità sia proprio quello di rovesciare completamente il senso delle cose, e una palese evidenza di questo rovesciamento sta nel fatto che i metafisici sono accusati di compiere "voli pindarici" verso l'infinito e lo spirito, di pensare l'inutile o l'inesistente, mentre hanno un senso della realtà molto più sviluppato di coloro che invece hanno sempre gli occhi e la mente attaccata al terreno. Tutti i paradigmi della modernità vanno contro la realtà, la negano, la stuprano, la rifiutano, la vogliono modificare e adeguare a sé e alla loro visione. La metafisica invece guarda la realtà così com'è adeguandosi ad essa e senza alcuna pretesa di cambiarla prer renderla simile al paradigma che si è "pensato". Uno dei paradigmi attuali afferma che "tutti gli uomini sono uguali" Ma dove? Ma quando mai? La metafisica invece vede che tutti gli uomini sono diversi (ti sfido a trovare un uomo, solo uno, uguale, cioè identico, ad un altro. Nemmeno i gemelli monozigoti lo sono. Ma se anche per un impossibile miracolo dovesse accadere questo dimostrerebbe forse che "tutti" sono uguali?). L'illuminismo afferma con Kant "sapere aude" credendo che tutti gli uomini, se lasciati liberi di pensare, si sarebbero emancipati. E poi vediamo che il mondo non ha mai visto tanti servi quanto quello odierno, mentre la metafisica vede che alcuni uomini sono più adatti a comandare e altri ad obbedire, perchè quella è la loro natura. Un paradigma moderno afferma il principio secondo il quale tutti sono adatti a fare tutto (è sufficiente la cosiddetta "istruzione") e la "mobilità sociale" è un must della modernità. La metafisica invece vede che alcuni sono più adatti a fare gli avvocati e altri i contadini, alcuni  gli intellettuali e i filosofi mentre altri gli artigiani; il paradigma secondo cui l'ultimo dei miserabili potrà essere eletto presidente degli Stati Uniti poichè per diventarlo non è richiesta alcuna qualità particolare ma solo l'elezione popolare è l'opposto di cià che afferma la metafisica, che invece vede che alcuni sono più adatti di altri a governare uno stato poichè avranno le qualità di sapienza, di equilibrio, di temperanza e di intelligenza per farlo, mentre altri sono completamente inadatti e potranno combinare solo guai. Un paradigma moderno afferma che se entrano in Italia un milione di stranieri e a questi si fornisce una casa e un lavoro l'integrazione è compiuta. La metafisica invece vede che un uomo non è una macchina, non è solo casa e lavoro, ma è anche e soprattutto cultura e quindi più le culture che si incontrano saranno disomogenee e meno sarà possibile l'integrazione. E potrei andare avanti per ore con questi esempi. Chi ha dunque più senso della realtà?
#223
Citazione di: Phil il 10 Febbraio 2017, 19:39:46 PMCredo che pensare la postmodernità significhi proprio cogliere e valorizzare lo spazio che c'è fra la verità assoluta e la falsità assoluta, conferendo dignità teoretica ai "protocolli aperti", alle "ipotesi di lavoro", ai "lavori in corso" e alle "certezze fino a prova contraria". Sostenere che il pensiero debole è un pensiero che sa di essere falso e non se ne cura (radicalizzo volutamente il tuo spunto), comporta il rischio di fraintendere il disincanto postmetafisico con la mancata ricerca (e questo sarebbe uno sgarbo a tutti coloro che hanno invece "aggiornato" la proprie modalità di ricerca). Se si studia un fluido conviene usare un paradigma calibrato sulla fluidità, se invece se ne usa uno adatto allo studio dei solidi, si possono facilmente ottenere conclusioni anomale; parimenti, la nostra società richiede di essere letta con paradigmi adeguati al suo attuale dinamismo, altrimenti viene fraintesa, distorta e travisata. Leggerla con paradigmi di un'epoca precedente, non può che comportare disagio, complicazioni e, talvolta, nostalgia (reazione tipica quando c'è una inadeguatezza fra una chiave di lettura "inattuale" e una realtà che impone di rimodellare tale chiave altrimenti la "lettura" non funziona...). In fondo molti elementi contro cui si punta il dito oggi, sono vecchi come l'uomo: la violenza, la corruzione, l'abuso (in tutte le sue forme), i problemi relazionali, le domande esistenziali, etc. hanno una nuova veste (la storia non si ferma), ma non sono certo creazioni della tecnologia o di una società che ha scoperto che il cielo è vuoto di dei... altri elementi più recenti, possono invece essere considerati come il prodotto storico di ciò che li ha preceduti: il biasimato individualismo non è una forma di tutela della tanto osannata libertà di pensiero? Che ciò comporti l'imbattersi in chi la pensa diversamente da noi (ed ha un diverso modo di argomentare) è un effetto collaterale di tutte le lotte fatte in passato per maggiori libertà-al-plurale (ed essere nostalgici di quando queste non c'erano, significa appunto leggere la storia con categorie "inattuali"... e non c'è nulla di male a farlo, ognuno legge come vuole!). La stessa demonizzata tecnologia (informatica o meno) è figlia della storia della "techne", del saper fare alimentato per millenni da idee, fallimenti e successi; e se la "techne" attuale ci pare eccessiva o alienante, dovremmo chiederci se ci fa piacere alzarci la notte per andare in bagno senza dover accendere una fiaccola, uscire di casa alle intemperie, magari armati per proteggerci da eventuali animali randagi, e dirigerci verso la latrina, sperando di non ammalarci perché la medicina offre solo martellate e infezioni... se il prezzo da pagare per rinunciare a questa passeggiata notturna, è avere un cellulare, imparare a difenderci dal cyber-bullismo, non avere una divinità a cui affidarci, avere un vicino di casa di un'altra religione, leggere sul web le sconsolanti notizie di stragi o cataclismi da tutto il mondo, ed educarci a vivere in una realtà dai mille volti e dai tempi rapidi, ognuno può valutare se per lui ne valga la pena o meno, ma comunque sia, indietro non si torna (almeno per ora...). P.s. Come hai osservato (@donquixote), in principio furono i fisici presocratici, poi vennero i metafisici, ed ora, per ironia del destino o forse per chiusura del cerchio, direi che stiamo tornando ai fisici (anche se la "nuova fisica", forgiata proprio dalle vicissitudini metafisiche, ha lo sconsolato aspetto di una scienza povera di fantasia e di epos). La critica al nuovo, secondo me, può essere anche il sintomo (una sorta di "proiezione") del disagio nell'affrontarlo piuttosto che autentica povertà qualitativa di ciò che è l'attualità (fermo restando la relatività dei paradigmi interpretativi possibili che delineano tale "qualità"...).


Il pensiero, per avere un senso, deve pensare la verità e guidare l'azione. Il pensiero è lo strumento che l'uomo utilizza per sopperire alla propria ignoranza sul mondo e trovare il proprio posto in esso, dunque se questo si riduce ad un mero esercizio intellettuale volto a enunciare ipotesi potenzialmente false (o "vere fino a prova contraria" che è lo stesso) perde di qualsiasi utilità e quindi anche di significato. Se poi diventa un orpello estetico come troppo spesso è accaduto negli ultimi secoli al pari delle cosiddette "opere d'arte" che da rappresentazioni simboliche ed evocative dell'inesprimibile, forme di linguaggio destinate agli analfabeti (che non è per niente sinonimo di non intelligenti o ignoranti ma frequentemente è il suo opposto) e che raccontano molto più di quanto non riesca a fare un testo scritto si sono ridotte a banali stimoli sentimentali o emotivi, o tutt'al più a espressioni personali dell'autore (una sorta di facebook ante litteram)  che al popolo non dovrebbe interessare per nulla, allora il pensiero diventa, come del resto è diventato,  una effimera spirale di congetture edificata attorno al proprio ombelico,  una esibizione di erudizione fine a se stessa, una grossa e colorata bolla di sapone che al momento suscita meraviglia ma un attimo dopo è svanita nel nulla. Più che pensare il mondo ora si pensa il pensiero (solitamente quello altrui) e di questo se ne pensa solo una parte di cui si fa oggetto di ricerca perdendo di vista obiettivo, contesto e tutto l'essenziale di cui questa minimo frammento è parte, in sé, insignificante. Tutti gli "aggiornamenti" delle modalità di ricerca cui tu alludi (che non siano immediatamente applicabili alla materia per modificarla secondo le esigenze, di volta in volta diverse, dell'uomo) sono solo narcisismi intellettuali buoni per ottenere una pubblicazione, o un'apparizione di cinque minuti in tv, o mezz'ora di "lectio magistralis" al festival tal dei tali. Ora non si pensa più cosa (e se) fare, ma si pensa solo "come" fare qualunque cosa; certo poi vi è sempre qualcuno che porrà la famosa "questione etica", ma questa essendo nei fatti inesistente in quanto sganciata da qualunque principio si ridurrà solo a ritardare di un poco qualcosa, qualsiasi cosa, che comunque si farà, come è sempre accaduto negli ultimi decenni. La ricerca odierna è la ricerca del fare, e il pensiero si è ridotto da guida dell'azione a sua giustificazione. Non è più il pensiero che guida la vita ma la vita determina il pensiero, l'essere (inteso in senso relativo) prevale sul dover essere, il fare sul dover fare, e dunque il pensiero è diventato talmente libero da essere anche totalmente inutile, una vana perdita di tempo che non ha più alcuna ragione di sussistere, in ossequio al famoso rasoio. "Se l'uomo può fare qualcosa, prima o poi la farà", disse un giorno Carlo Rubbia; perché dunque perdere tempo a pensare quando questo può essere impiegato più proficuamente dal fare?  Che senso avrà mai? "entia non sunt moltiplicanda praeter necessitatem" diceva Guglielmo da Occam. Dunque perché mai tenere in vita l'ente "pensiero" se la sua necessità è venuta meno? Hanno quindi ragione coloro che esaltano la cosiddetta "cultura del fare", poiché questo mondo è nei fatti tutto qui, nella interminabile agitazione intorno al nulla, nella ininterrotta costruzione e decostruzione di qualunque cosa, nel keynesiano "scava la buca, riempi la buca" per raggiungere la "piena occupazione"  e nel contempo dimenticare di vivere, o perlomeno di vivere in modo umano. Quindi di quali "chiavi di lettura" si va cianciando? Cosa ci sarà mai da leggere? Non c'è più niente da leggere poiché prima di aver finito di leggere il mondo davanti a noi è cambiato e tocca reiniziare da capo, e così via, in un vortice senza fine. Molto meglio allora produrre, consumare e crepare, facendo attenzione che non rimangano cinque minuti liberi che, chissà mai, possa sorgere il dubbio che forse non si sta vivendo una vita da uomini, e nemmeno da animali, ma da "bruti" danteschi.
 
P.S. Ho affermato che in principio furono i fisici intendendo con "principio" il periodo in cui convenzionalmente si indica l'inizio della cultura occidentale, ma quello era già un periodo di decadenza, come notato anche da Platone in più occasioni. Giorgio Colli, nel suo libro intitolato "La nascita della filosofia", afferma infatti: «Platone guarda con venerazione al passato, a un mondo in cui erano esistiti davvero i "sapienti". D'altra parte la filosofia posteriore, la nostra filosofia, non è altro che una continuazione, uno sviluppo della forma letteraria introdotta da Platone; eppure quest'ultima sorge come un fenomeno di decadenza, in quanto "l'amore per la sapienza" sta più in basso della "sapienza". Amore della sapienza non significava infatti, per Platone, aspirazione a qualcosa di mai raggiunto, ma tendenza a recuperare quello che era già stato realizzato e vissuto».
Quindi i metafisici erano venuti ben prima dei fisici ellenistici, e successivamente vi fu un periodo in cui la metafisica ebbe una reviviscenza per poi, con il cosiddetto "Rinascimento" (mai vocabolo fu più tragicamente ironico di questo), tornare ad esaltare la decadenza antica e portarla a compimento.
#224
Curioso che continui a raccontare (a modo tuo ovviamente), episodi di storia europea mentre io confrontavo i popoli europei (e in parte anche quelli mediorientali) con altre etnie che non hanno la stessa natura aggressiva. Gli europei si sono sempre combattuti fra loro anche quando la religione era la medesima (e la nascita del Cristianesimo riformato è stata una ulteriore scusa per combattersi ancora più ferocemente) e il fatto che in quei secoli in Europa si sia svolto uno scontro costante fra chi sosteneva la supremazia dell'imperatore e chi invece quella del papato significa che non si è mai compresa la corretta gerarchia dei poteri e delle autorità e quindi non si è mai raggiunta una vera stabilità. Ma se questi sono problemi peculiari dell'Europa e degli europei (che si sarebbero presi a mazzate qualunque fosse la cultura dominante) il modello culturale che l'Europa ha acquisito, sviluppato e poi consolidato dopo la fine dell'impero Romano e fino al cosiddetto "Rinascimento" era molto più aderente al concetto di cultura come modello di senso in cui riconoscersi e all'interno del quale poter rendere ragione dei fenomeni del mondo, della sofferenza umana, della vita e della morte.

Citazione di: maral il 09 Febbraio 2017, 22:18:31 PMLe fondamenta possono pure esserci, ma quali? E chi le proclama, chi proclama l'assoluto fondamento lo mente sempre, di qualsiasi assoluto si tratti e poiché qualsiasi assoluto è solo pretesa di assoluto (anche se fosse la pretesa di un relativo assoluto, o di una razionalità assoluta o di una scienza tecnica o etica assoluta) si rivela prima o poi menzogna e per sostenere la menzogna occorre la forza di una fede di violenza assoluta contro gli altri e pure contro se stessi. La miopia dell'uomo moderno non nasce di punto in bianco con l'uomo moderno, ha una storia e una necessità che viene da molto lontano, forse nasce con l'uomo stesso. Nessuno di noi ci vede più degli antichi e nessun antico in fondo vedeva più di noi. L'essere umano tramonterà, forse già non c'è più e nessuno se ne è accorto, forse stiamo cominciando ad accorgercene e questo ci getta nella più profonda angoscia: cosa siamo allora? Cosa possiamo essere ancora?

L'accusa di mentire rivolta a coloro che proclamano l'assoluto fondamento è solitamente l'opinione di chi non riesce a comprenderlo, e anzichè ammettere il proprio limite lo vuole indebitamente estendere a chiunque, ma anche se un popolo basasse la propria cultura su di una menzogna è ovvio che lo farebbe perchè crede che questa sia la verità. Non mi pare che ci sia mai stato popolo, nemmeno quelli immaginati nei romanzi utopistici, che abbia fondato la sua vita e la sua cultura sulla menzogna sapendo bene che questa era certamente tale; l'unico è proprio quello moderno, che basandosi sul sapere induttivo non potrà mai, per definizione, acquisire alcuna certezza e quindi tutto il suo sapere è pura menzogna che può essere evidenziata in ogni istante. Ma è comunque costretto a chiamare "verità" questa menzogna, altrimenti  non potrebbe vivere e getterebbe i popoli nella più profonda disperazione. Dunque un popolo che si basa su un assoluto "falso" non dovrebbe fare alcuna violenza nei confronti di se stesso, ma va considerato che se l'assoluto è il fenomeno, il fatto (come nella cultura scientifica) questo si sgretola in un attimo mentre se l'assoluto comprende una porzione sufficientemente grande della realtà potrà avere una giustificazione intellettuale più duratura. L'ambiente, la natura, non è certo un assoluto, ma essendo un concetto molto più ampio non solo di un popolo o una cultura ma anche di tutta la specie umana il fatto di porlo come assoluto poichè dal suo mantenimento e dal suo rispetto dipende tutto ciò che chiamiamo "vita" in senso biologico ha un senso. Il sole non è un assoluto, ma essendo la sua luce e il suo calore a rendere possibile la vita sulla terra lo rende "più assoluto" ancora della natura. Poi gerarchicamente viene tutto ciò che da questo dipende ove ciò che è più stabile sarà anche più importante di ciò che è più effimero, più evanescente. Le culture eliocentriche o ecocentriche non si basano su assoluti, ma comunque su valori durevoli, che fra l'altro sono affidabili poichè sia il sole che la natura sono prevedibili nella loro ciclicità, e inoltre non ha alcun senso l'imposizione violenta di questi "assoluti" poichè si impongono già da sé, e l'uomo non può fare le veci della natura o del sole, mentre le culture antropocentriche, etnocentriche o addirittura economicocentriche, oltre ad essere molto più instabili poichè basate su valori molto più relativi si scontreranno con altri relativismi simili dovendo imporre la propria superiorità ad esempio sulla natura che essendo considerata gerarchicamente inferiore dovrà essere piegata all'assoluto umano, o razziale, o economico.
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Citazione di: InVerno il 09 Febbraio 2017, 14:48:58 PMQuando il proprio pensiero porta a fare apologie di bombaroli che pensano di vivere in un videogioco, uno potrebbe anche porsi delle domande, se il risultato delle tue corse nei verdi campi del noumeno è questo, auguri a te, e auguri alla filosofia.

InVerno, cerca di lasciare da parte per un momento i tuoi pregiudizi e soffermati a riflettere un secondo, visto che in qualche occasione hai mostrato di saperlo fare. Come si fa a ribaltare completamente la realtà e scrivere che il "bombarolo" pensa di vivere in un videogioco? Forse non ce l'ha una famiglia? degli amici? una fidanzata? magari dei figli? dei sentimenti? delle prospettive? Forse che tutte queste cose non sono importanti per lui, magari più di quanto lo siano per noi? Forse che non sacrifica tutto questo per qualcosa che ritiene superiore addirittura alla propria vita? Dici che si rivolge contro obiettivi civili e non militari? Chi furono a teorizzare, per primi, i bombardamenti "a tappeto" di Lipsia e Dresda, privi di obiettivi militari, per "fiaccare la resistenza del popolo tedesco"? Quali obiettivi militari avevano le bombe atomiche sganciate sul Giappone? E il napalm in Vietnam? Chi furono dunque i primi terroristi se con questa parola si intende chi sparge terrore fra i civili in modo da causare panico, insicurezza e sommosse popolari? Chi pensa di vivere in un videogioco: il "bombarolo" che si fa esplodere in prima persona o il sottufficiale che davanti ad una console manovra un drone con il joystick e ammazza qualche decina di persone concludendo la giornata ubriacandosi di birra e magnificando le proprie imprese "eroiche"? Qual è il "senso della vita" di costui? Anzi, qual è la "vita tout court" di costui? Fino a non molti anni fa avremmo esaltato colui che, consapevolmente, si immolava per qualcosa che riteneva superiore alla sua stessa vita, anche se non ne condividevamo le ragioni. Adesso chiamiamo costoro "vigliacchi" mentre il manovratore di joystick a 10.000 km. di distanza dal "bersaglio" è un eroe, un difensore del bene. Anche queste cose, pur se in misura inferiore a quelle già nominate, sono dimostrazione di quanto non solo la nostra cultura non sia più degna di essere chiamata tale, ma di come abbiamo anche abdicato al ruolo puro e semplice di "esseri umani", trasformandoci in vermi privi di spina dorsale e completamente dipendenti dalle macchine che, per forza di cose, non potranno che superarci non tanto per la loro perfezione tecnica quanto per la nostra diminuita e quasi annullata "umanità". Cosa insegnano le culture a proposito dell'uomo (tutte, compresa la nostra prima questa era)? insegnano a coltivare il coraggio, la lealtà, il senso dell'onore e del dovere, il senso del rispetto e della giustizia , il senso di responsabilità nei confronti di Dio, della Patria, della famiglia e di noi stessi, in rigoroso ordine gerarchico. Cosa insegna la nostra "cultura" attuale? a coltivare ed esaltare le debolezze; a soffocare i nostri istinti; ad essere orgogliosi di avere paura; a non vergognarci di piangere in pubblico; a mostrare i nostri sentimenti (solo quelli buoni, s'intende); a non farci turbare da una ragazza in minigonna perchè anche se lei ce la mostra sotto il naso ne ha tutto il diritto e noi abbiamo il dovere di non avere reazioni, come le macchine; a non prendere in giro, da ragazzini,  il diverso, l'handicappato, il nero, il debole, il gay perchè poverini ci possono rimanere male; a sostituire l'intelligenza con l'istruzione per diventare come macchine sempre più prevedibili e controllabili; a mortificare tutto ciò che è forza e virilità (anche dal punto di vista intellettuale) , ed esaltare il femminile, il sentimentale, l' emotivo, l'empatico (quindi, dal punto di vista intellettuale, il dubbioso e lo scettico), e se ci penso un po' potrei andare avanti una buona mezz'ora a scrivere. In buona sostanza a sostituire la nostra umanità con la meccanizzazione, in modo da rendere davvero chiunque uguale  a chiunque altro riducendo tutti al livello della parte inferiore della massa, e a questo punto la nostra meccanizzazione, necessariamente imperfetta, sarà sostituita da quella molto più perfetta delle macchine che nascono già per essere tali.