per Jacopus
resta il fatto che le verifiche sperimentali tese a legittimare scientificamente la verità delle intuizioni o ragionamenti pre-empirici poggiano sui sensi (per quanto supportati dalla tecnologia degli strumenti di osservazione), e sono dunque vincolate alla convinzione della corrispondenza fra percezione sensibile e realtà oggettiva transfenomenica. So che il metodo scientifico non si limita all'osservazione sensibile, ma non è necessario che tale osservazione sia l'unica fase del metodo perché sia determinante per la sua validità. Quindi, se i nostri sensi fossero inadeguati a rispecchiare le cose stesse, sarebbe tutto il metodo a dover essere squalificato, nell'invalidarsi di una sua componente parziale, ma pur sempre indispensabile, in quanto funzionale al raccoglimento dei dati materiali su cui esso viene ad applicarsi, Per quanto riguarda l' "essere in grado di ricusare i suoi stessi principi, se ne trova di più validi", (ma forse in questo contesto, sarebbe meglio parlare di "risultati" che di "princìpi", dato che trovo illogico che un sapere sia capace di mettere in discussione i propri stessi principi, in quanto l'atto di messa in discussione dovrebbe pur sempre essere operato a partire dai presupposti stessi del tipo di sapere in questione, che a questo punto però dovrebbe accettarli come aprioristicamente validi, e quindi trovarsi impossibilitato a smentirli. La critica circa i principi di una certa scienza non potrebbe che essere effettuata a partire da una diversa tipologia di sapere utilizzante principi diversi. Si esce dalla contraddizione solo se a essere criticati fossero non i principi, ma i risultati, in questo caso una migliore applicazione dello stesso metodo, a partire dagli stessi fondamenti, che lo definiscono, può risultare un sensato automiglioramento, chiedo scusa per la pedanteria terminologica), direi che è soprattutto appannaggio della razionalità, quindi la questione a questo punto è: "scienza" coincide pienamente con "razionalità"? Penso dipenda dai paradigmi considerati, intesa la scienza in un'accezione classica, pregalileiana, allora la coincidenza tra scienza e razionalità sarebbe perfetta, perché in assenza della credenza nell'efficacia dei sensi, la scienza consisterebbe in una pura deduzione e speculazione logica, quindi capace di render conto dei passaggi logici delle dimostrazioni e di correggere gli eventuali errori argomentativi. Ma questo tipo di scienza comprende a tutti gli effetti la metafisica (e quindi il riferimento alla spiritualità...), mentre escluderebbe le scienze naturali, per come oggi le intendiamo alla luce del metodo sperimentale. In quest'ultimo ambito la coincidenza tra scienza e ragionamento invece salta, in quanto la logica si unisce all'empiria, e dunque la razionalità autocorrettiva, pur continuando a essere presente, diviene elemento parziale, "mescolato" all'esperienza sensibile, di per sé incapace di alcun tipo di messa in discussione, dato che per definizione, i sensi non riflettono su se stessi. Ricordiamo sempre che l'autocritica rientra nell'astrazione, nella facoltà del soggetto di staccarsi, astrarsi dal flusso dell'esperienza immediata del mondo per valutarlo da un punto di vista distinto, in cui considerare il proprio vissuto, e la propria sensibilità "dall'alto", oggettivandola, distinguendosi da essa. E se la distinzione dai sensi vuol dire assumere il punto di vista dello spirituale, dell' "astratto" se si vuole, e proprio questo elemento spirituale quello che consente alla scienza di essere razionale, riflessiva e autocritica
resta il fatto che le verifiche sperimentali tese a legittimare scientificamente la verità delle intuizioni o ragionamenti pre-empirici poggiano sui sensi (per quanto supportati dalla tecnologia degli strumenti di osservazione), e sono dunque vincolate alla convinzione della corrispondenza fra percezione sensibile e realtà oggettiva transfenomenica. So che il metodo scientifico non si limita all'osservazione sensibile, ma non è necessario che tale osservazione sia l'unica fase del metodo perché sia determinante per la sua validità. Quindi, se i nostri sensi fossero inadeguati a rispecchiare le cose stesse, sarebbe tutto il metodo a dover essere squalificato, nell'invalidarsi di una sua componente parziale, ma pur sempre indispensabile, in quanto funzionale al raccoglimento dei dati materiali su cui esso viene ad applicarsi, Per quanto riguarda l' "essere in grado di ricusare i suoi stessi principi, se ne trova di più validi", (ma forse in questo contesto, sarebbe meglio parlare di "risultati" che di "princìpi", dato che trovo illogico che un sapere sia capace di mettere in discussione i propri stessi principi, in quanto l'atto di messa in discussione dovrebbe pur sempre essere operato a partire dai presupposti stessi del tipo di sapere in questione, che a questo punto però dovrebbe accettarli come aprioristicamente validi, e quindi trovarsi impossibilitato a smentirli. La critica circa i principi di una certa scienza non potrebbe che essere effettuata a partire da una diversa tipologia di sapere utilizzante principi diversi. Si esce dalla contraddizione solo se a essere criticati fossero non i principi, ma i risultati, in questo caso una migliore applicazione dello stesso metodo, a partire dagli stessi fondamenti, che lo definiscono, può risultare un sensato automiglioramento, chiedo scusa per la pedanteria terminologica), direi che è soprattutto appannaggio della razionalità, quindi la questione a questo punto è: "scienza" coincide pienamente con "razionalità"? Penso dipenda dai paradigmi considerati, intesa la scienza in un'accezione classica, pregalileiana, allora la coincidenza tra scienza e razionalità sarebbe perfetta, perché in assenza della credenza nell'efficacia dei sensi, la scienza consisterebbe in una pura deduzione e speculazione logica, quindi capace di render conto dei passaggi logici delle dimostrazioni e di correggere gli eventuali errori argomentativi. Ma questo tipo di scienza comprende a tutti gli effetti la metafisica (e quindi il riferimento alla spiritualità...), mentre escluderebbe le scienze naturali, per come oggi le intendiamo alla luce del metodo sperimentale. In quest'ultimo ambito la coincidenza tra scienza e ragionamento invece salta, in quanto la logica si unisce all'empiria, e dunque la razionalità autocorrettiva, pur continuando a essere presente, diviene elemento parziale, "mescolato" all'esperienza sensibile, di per sé incapace di alcun tipo di messa in discussione, dato che per definizione, i sensi non riflettono su se stessi. Ricordiamo sempre che l'autocritica rientra nell'astrazione, nella facoltà del soggetto di staccarsi, astrarsi dal flusso dell'esperienza immediata del mondo per valutarlo da un punto di vista distinto, in cui considerare il proprio vissuto, e la propria sensibilità "dall'alto", oggettivandola, distinguendosi da essa. E se la distinzione dai sensi vuol dire assumere il punto di vista dello spirituale, dell' "astratto" se si vuole, e proprio questo elemento spirituale quello che consente alla scienza di essere razionale, riflessiva e autocritica