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Messaggi - Phil

#2101
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
18 Febbraio 2017, 16:24:28 PM
Citazione di: Sariputra il 18 Febbraio 2017, 00:07:38 AM
Phil, Phil...sai bene che del dao non si può parlare.
"Chi conosce il dao non ne parla, chi ne parla non lo conosce"... :)
Già, proprio perché non lo conosco bene ne (stra)parlo  ;D  e
Citazione di: Phil il 17 Febbraio 2017, 22:20:38 PM
Chiedo conferma a chi è più erudito in materia
anche se "erudizione" non è affatto una parola adatta per parlare di taoismo (semmai di confucianesimo!).

Concordo ci siano rilevanti affinità con il buddhismo, almeno finché restiamo "sotto il cielo", ma il buddhismo va anche oltre: dalla quarta nobile verità "in sù", propone spunti e spiegazioni trascendenti il piano umano; il taoismo invece (come negli esagrammi dell'I Ching) conosce solo terra, uomo e cielo, e quest'ultimo soltanto come limite non padroneggiato, apofatico, della conoscenza umana. Il taoismo mi pare meno omni-esplicativo e meno consolatorio, e, come hai notato, meno appetibile per le masse, meno "user friendly"( ;D ), meno facile da tradurre in "istruzioni per l'uso" (come comandamenti o elenchi di "verità" e "sentieri"). Di certo è molto ostico, criptico, ma nondimeno, secondo me, fornisce una prospettiva molto schietta intellettualmente, molto umana, forse troppo per l'umano che avverte in sé la tensione verso il sovra-umano...

Citazione di: Apeiron il 18 Febbraio 2017, 14:20:02 PM
Quello che un taoista ti direbbe è: "abbandonati alla corrente del grande Fiume del Tao" [...] se devo dire onestamente la mia sul loro concetto di "rassegnazione" secondo me è errato, che vi devo dire  ;D
Non sono convintissimo, seppur da profano (vedi sopra), che l'"abbandono" o la "rassegnazione" siano capisaldi del taoismo (la non-azione, wu wei, non è passività inconsapevole a qualunque evento ci capiti  ;) ).
#2102
Tematiche Filosofiche / Re:Buddhismo
17 Febbraio 2017, 22:20:38 PM
Chiedo conferma a chi è più erudito in materia, ma credo che la peculiarità del taoismo sia quello di non avventurarsi esplicitamente in elucubrazioni sul post-mortem umano, e quindi non si propone come filosofia/religione "consolatoria". 
Da quel che so, il bene e il male non vengono banalizzati o equiparati, piuttosto "dinamicizzati" (seguendo le "mescolanze" di yin e yang), per cui la sofferenza mantiene tutta la sua lancinante identità, ma viene inserita in dinamiche concrete che la contestualizzano, senza avere conseguenze ultraterrene (convocazione in tribunali divini o cicli di rinascite). Il taoismo mi pare quindi estremamente pragmatico, forse troppo per affascinare chi cerca risposte a domande mistiche o gli si accosta possedendo già i concetti di anima, divinità, etc. (non mi riferisco ad Apeiron, ma solo alla precomprensione occidentale che può viziare l'approccio al taoismo). 
Se non erro, la "Via" del taoismo può essere declinata anche in ambiti che non hanno nulla di ascetico, essendo il "meccanismo" (licenza poetica ;D ) che regola gli eventi umani (e non solo); basti pensare all'arte, o meglio, "via" della guerra (in cui, Apeiron, forse già sai che la ritirata ha un ruolo importante ;) ), a tutte le altre "vie" caratterizzate dal suffisso "do" (derivato da "dao"): arti marziali (ma anche "spirituali") come judo e aikido; l'etica militare del bushido e il tiro con l'arco, kyudo; la disposizione dei fiori, kado; la celeberrima cerimonia del tè, sado; l'arte della calligrafia, shodo, etc.
Lo Zen ha ben colto questo immanentismo taoista, e l'alludere "asintotico" dei koan oltre il linguaggio, secondo me, è proprio un invito a non trascendere la vita presente nel suo fluire, perché l'agognato "satori" è per i vivi (e non ha bisogno di nozioni e classificazioni trascendenti che forse appesantivano un po' troppo di fideismo il buddhismo indiano).
#2103
Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 21:45:38 PM
Grazie Phil della tua spiegazione. Domanda per te: esiste il paesaggio (che può essere oggettivo e mutevole, chi ha mai detto il contrario?  ;D ) o solo le prospettive?
Bella domanda; ma la (mia) risposta, non credo sia altrettanto bella: onestamente, non lo so... credo sia uno di quei presupposti "indecidibili" (à la Godel) che, come ricorda spesso sgiombo (e anche tu, se non ti ho frainteso), se non si vuol essere presi per matti (ovvero per stare al gioco del "senso comune", che non è sempre "buon senso"), conviene considerare apodittici e fuori di dubbio; eppure, detto fra noi, non sono totalmente convinto sia così necessario né ovvio che ci sia un paesaggio a "ispirare" le molteplici prospettive...

Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 21:45:38 PMA questo punto passiamo alla ragione: o esiste o non esiste.
Nel mio piccolo propendo per una terza via (per quanto poco affascinante) e mi fermo al "non lo so", accettando che certe domande non possano per ora avere risposta (e non vadano "forzate" o semplificate pur di trovarne una).

Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 21:45:38 PMSe non esiste non c'è niente di oggettivo e non ci sono gerarchie delle prospettive. Siccome questo mi pare nichilismo, possiamo scegliere di credere che esista.
Colgo una leggera "allergia" verso il nichilismo (figlia della necessità di salvaguardare la speranza in un'oggettività?). Non vogliamo proprio riconoscergli una minima dignità teoretica e lo fuggiamo come la peste? ;D

Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 21:45:38 PMNon appena crei una gerarchia delle prospettive vai già oltre il relativismo.
Sulla affermazione che la gerarchizzazione ponga oltre il relativismo (che ha un "dentro" decisamente "spazioso" ;) ), sarei piuttosto cauto: nel momento in cui ritengo più plausibile che domani il sole sorga (almeno stando alla prospettiva terrestre), piuttosto che non ci sia mai più un'alba, pongo una gerarchia fra due plausibilità differenti, ma senza per questo assolutizzarne nessuna, senza porre certezze e sempre con la cautela di chi, guardando il cielo notturno fra un'ora, potrebbe invertire la gerarchia (l'esempio è sciocco, ma spero allusivo a ciò che intendo: ci possono essere "gerarchie relative", che in fondo sono quelle che orientano, pur nella loro "debolezza", le scelte del relativista e lo differenziano da un "qualunquista catatonico"  ;D ).



#2104
Citazione di: Sariputra il 14 Febbraio 2017, 21:03:09 PM
nessuna teoria può mai essere valida, che è un dogma del relativismo
Il relativismo non ha dogmi, il relativismo relativizza persino se stesso riconoscendosi come uno degli approcci possibili (la validità è relativa, fino a prova contraria ;) ), né più "vero" né più "falso" di altri (due categorie abbandonate, o meglio, relativizzate, dal relativista...). Allora perché lo si sceglie rifiutando altri orientamenti? Falso problema, poiché, da quanto capisco, non lo si sceglie, come non si può scegliere a piacimento di essere autenticamente razionalisti o irrazionalisti o nichilisti o altro; o lo si è, qui ed ora, o non lo si è (direi che non possiamo auto-programmarci, al massimo auto-suggestionarci...).
Perchè non si cerca di abbandonare il relativismo? Probabilmente perché la peculiarità del relativismo è che consente una maggiore curiosità teoretica: il relativista può costruire un "puzzle personalizzato" usando e ricombinando pezzi di varie teorie (sincretismo filosofico) senza bisogno di etichettarlo; inoltre, può smontare e modificare la sua prospettiva senza perdere la sua identità fluida (e sono due opzioni che le posizioni dogmatiche non possono ammettere...). Tutto ciò senza porsi come "oggettivamente migliore" delle altre prospettive, ma semplicemente come più adatto a chi preferisce libertà di sperimentazione di pensiero (che non è un pregio... o lo è solo relativamente  :) ); chi invece preferisce valori solidi, universalistici e "classici", si troverà più a suo agio con altri paradigmi, e questo il relativista non lo biasima, proprio in virtù del suo relativismo!

P.s.
Chi usa il motto "tutto è relativo" o addirittura "tutto sarà sempre relativo", secondo me, non è un relativista, ma un dogmatico ventriloquo che fa dire questo slogan al suo pupazzo vestito da relativista... conosco personalmente almeno un relativista ( ;) ) che, se costretto da un plotone di esecuzione, descriverebbe il relativismo con ben altra affermazione: "secondo me, per ora, quello che conosco è relativo"... che è l'antitesi del dogmatico, per il quale il "per me" non esiste (usa piuttosto "è così"), il "per ora" è insulso (preferisce il "sempre"), e il "quello che conosco" sconfina nell'universalità; altrimenti non possiamo chiamarlo dogmatico, poiché i dogmi, in quanto tali, non contemplano "per me", "per ora", "nei limiti della mia conoscenza"...


Citazione di: Apeiron il 15 Febbraio 2017, 09:51:18 AM
Semmai dogmatismo è anche dire: "io ho la mia prospettiva e siccome nessuna è più importante della mia allora non ha senso che io impari altre prospettive. Perchè d'altronde se comunque sono prospettive come la mia anche conoscendole, la mia nuova prospettiva sarà tanto importante quanto quella che ora! Quindi non ci guadagnerei nulla". Questo discorso vale per ogni relativismo (quindi anche per quello "temporale" di Phil).
Il relativismo, per come lo intendo, non è esclusivamente "temporale" e di certo non ha l'assioma o dogma (vedi sopra) che "una prospettiva vale l'altra". Come ricordavo altrove, il relativista non va al ristorante per dire al cameriere "scelga lei, tanto un cibo vale l'altro...", al contrario, il relativista ha il suo personale percorso di degustazione, di ricerca e di azione, caratterizzato però dall'umiltà di sapere che altri stanno battendo altri sentieri (da cui egli può prendere spunto). Sentieri per arrivare alla Verità? Niente affatto, il relativista ha solitamente traguardi meno aulici, come il vivere serenamente, il cercare di capire ciò che lo circonda nei limiti delle sue possibilità, etc. Proprio come i taoisti che (sia chiaro, non erano relativisti!) non avevano come obiettivo la Conoscenza Suprema, ma l'essere in armonia con il Tao, almeno finché si restava vivi  ;D
#2105
Secondo me il "valore" è sempre una costruzione arbitraria e convenzionale (sia esso etico, economico, filosofico o altro), non a caso le dichiarazioni di diritti universali e affini non scoprono nulla oggettivamente, ma decidono arbitrariamente (al di là di quanto siano condivise o condivisibili: se fosse vera oggettività, non si porrebbe nemmeno il problema della condivisibilità...). Per cui parlare di "valore oggettivo della vita" è un ossimoro, per quanto suadentemente antropocentrico, umanistico e "politicamente corretto".

Ammettere l'arbitrarietà dei valori (distinguendo le pie ambizioni oggettive della scienza dal fideismo soggettivo e "artificiale" della cultura di riferimento) significa essere nichilisti? Se ci si accorge che la nostra compagna, che si professava fedele e integerrima, invece era dedita al meretricio, questo cambio di valutazione sulla sua condotta, è nichilismo? Riconoscere che non esiste una lingua superiore, ma ogni lingua è funzionale al suo contesto e ha i suoi problemi di traducibilità, è nichilismo? La risposta a queste tre domande sarà "si", se intendiamo per nichilismo la presa di consapevolezza dell'imperfezione di ciò che si credeva perfetto, il riconoscere la presenza della negazione (non necessariamente della negatività) in qualcosa che si reputava idillicamente incontaminato da punti critici, falle strutturali o contestualizzazioni che lo relativizzano... ma questo nichilismo (se lo intendiamo come sopra) non comporta necessariamente la rinuncia totale ad ogni valutazione, comunicazione, organizzazione o progetto; si tratta solo di muoversi con minore sicurezza (il che non piace a nessuno, ma è il prezzo del disincanto) e maggiore versatilità e spirito d'adattamento (l'antitesi dell'eroe epico che cambia le sorti del mondo cui le sue gesta). 

Realizzare che c'è del relativismo nella storia dell'uomo (presente compreso), comporta una maggiore attenzione e una maggiore fatica nel giostrarsi (senza concedersi il sereno sonno dei dormienti eraclitei), tuttavia non significa concludere che allora "ogni scelta va bene" (anzi, il presunto "bene" diventa più arduo poiché più instabile e relativo al "qui ed ora") né significa tantomeno che non abbia senso cercare (di comunicare, di vivere al meglio delle proprie possibilità, di essere al timone dei propri giorni). Il relativista (o il nichilista per come connotato sopra) non può permettersi di essere scoraggiato, ma è costretto dagli eventi (salvo fare l'eremita, e neanche...) a non smettere mai di ricalibrare la propria prospettiva, seguendo il fluire della realtà che lo circonda (e, in fondo, a pensarci bene, non è forse quello che molti di noi hanno fatto e fanno avanzando nelle età della loro vita? I vostri paradigmi non sono forse cambiati nell'avvicendarsi delle vostre decadi? I venti anni, poi i trenta, etc. non hanno avuto interpretazioni e approcci differenti al mondo? Forse siamo tutti un po' più relativisti/nichilisti di quanto crediamo ;D )
#2106
Siamo in una tappa rapida, ripida, ruvida e radicale di un cambiamento perenne che in fondo non s'è mai arrestato (chiamato "storia umana"); ma se la "distruzione" fosse invece strutturazione (del "nuovo") e la "disgregazione" risultasse integrazione (di ciò che prima era estraneo)?
#2107
Di solito cito i post altrui perché mi servono per non dimenticare gli spunti importanti, per seguire un certo ordine, per non scrivere "a ruota libera" e... proprio per cercare di non saltare le domande! ;D
Non sono esattamente sicuro di quale "sfida" parli, magari mi hai confuso con Eretiko che parlava di "provocazione"?
Per "non-paradigma" intendi il paradigma postmoderno a cui mi riferivo? Se così fosse però non sarebbe affatto corretto parlare di "meta-verità" (che in quel paradigma non ha un posto), né di identificazione di un popolo; quindi non capisco bene quali risposte mi chiedi... puoi esplicitarmi le domande?

Su "governi di replicanti" e continenti in "disgregazione", posso ribadire che sono valutazioni dipendenti dal paradigma con cui li si interpreta e, scusa se mi ripeto, non valuto negativamente chi (si tratti di due persone o due milioni di persone) li interpreta in un modo piuttosto che in un altro (sfiducia vs ottimismo, etc...). Su leggi e scelte come la "brexit" direi invece che sono dati di fatto, ma se vogliamo valutarle (per semplificare: "giuste", "sbagliate" o altro) allora chiamiamo ancora in causa i nostri paradigmi interpretativi (che aprono differenti scenari...).
#2108
Citazione di: paul11 il 12 Febbraio 2017, 16:01:17 PM
n.b. Phil togliti il preconcetto di nostalgici, la vita non si vive solo di ricordi e domattina devo andare di nuovo a lavorare per tirare avanti. I tuoi problemi sono i miei problemi, perchè condividiamo lo stesso spazio/tempo o partiamo da questo o tutto è contraddittoriamente incomunicabile nel tempo delle comunicazioni
I nostri problemi sono i medesimi? Se per problemi non alludi ai bisogni primari, non posso proprio sapere se siano gli stessi, ma nel tuo paradigma la risposta è già "si"... condividiamo lo stesso spazio/tempo? Certo, ma lo leggiamo (probabilmente) in modo differente, e non è affatto un dettaglio da poco... sulla nostalgia (forse parola ambigua), ne respiro un soffio quando leggo di una cultura che "ha smesso di pensare che vi sia una verità"(cit. corsivo mio) ed "è finito il tempo dell'universalità di questa cultura"(cit. corsivo mio) per cui "questo uomo vive fra le macerie"(cit. corsivo mio)... se non si è un po' nostalgici (e non è una malattia!) alcune critiche all'attualità perdono di senso (qui non mi riferisco più a te, dico in generale); se invece non si è nostalgici, l'aggiornamento di paradigma risulta più facile e il pessimismo cosmico per il futuro prossimo non ha ragion d'essere...


Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PM
È interessante notare come nell'esempio di questo paradigma [...] i "valori" che determinano il post-modernismo siano quasi tutti connotati negativamente.
La negazione (che non è la negatività  ;) ) che ricorre in alcune categorie dello schema ("quasi tutte" mi pare eccessivo) mi sembra perlopiù una questione linguistica che non va sovrainterpretata come un giudizio di valore o una connotazione: dire "anti-forma" o semplicemente "fluidità" (Bauman) è equivalente, anche se il primo termine ci suona più negazione rispetto al secondo, etc.
Quello che viene letto come "suicidio" dal "paradigma moderno", viene letto come "differenziazione" (o "contaminazione", o "disseminazione" o altro), dal paradigma postmoderno; resta sempre una questione di lettura paradigmatica; e in questo caso la negatività (supponendo che il suicidio sia gesto negativo) è dovuta all'inattualità del paradigma usato.

Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PMLa verità è certamente una, perfetta e immutabile
Certezza squisitamente moderna  ;D  

Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PMPer quanto concerne la "plausibilità" ognuno può ritenere "plausibile" ciò che gli fa più comodo, dunque ritenere più plausibile il perseguimento di ogni e qualsiasi proprio desiderio e interesse
Se si riflette seriamente (facciamo gli ottimisti, no?), il "plausibile" è un risultato, non un istinto o un capriccio, e in quanto risultato (seppur provvisorio) non si può scegliere a priori: non posso scegliere di ritenere plausibile che sul mio tetto ci siano parcheggiate le renne di babbo natale, o che andare in giro a derubare i passanti sia una buona idea (anche se potrebbe farmi comodo per autofinanziare la cena di San Valentino  ;D ), etc.

Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PMPer quanto concerne invece la questione delle leggi se l'individuo adotta un paradigma in contrasto con le regole e le leggi appare ovvio che vedrà queste ultime come ostacoli alla sua espressione personale e alla realizzazione del suo paradigma (che considerà verità, sia pur "plausibile") e quindi sorgerà un conflitto con la società e le sue istituzioni per cui lo "stato" verrà considerato nemico e si tenterà di "fregarlo" in tutte le maniere
Se lo stato, con le sue leggi, ha un'impostazione che non condivido, non per questo diventerò necessariamente un fuori-legge (che comunque, se non erro, ci sono sempre stati, non è una questione di paradigmi deboli o di individualismo postmoderno; salvo credere che in passato ci fossero comunità di virtuosi che quasi non avevano bisogno di leggi... come accennavo, le caricature da "argomento fantoccio", o "straw man", non giovano al discorso, per quanto simpatiche  :) ).

Citazione di: donquixote il 12 Febbraio 2017, 16:07:17 PMQuindi il contrasto fra il "tutto è permesso" che l'ideologia moderna incoraggia e il "niente è permesso" che la legge impone creerà cortocircuiti tali da provocare tensioni sempre crescenti, fino alla completa disgregazione e polverizzazione delle cosiddette "società aperte"
L'ideologia moderna (al singolare) credo non esista, ci sono piuttosto molteplici ideologie (e forse non è nemmeno il termine adatto, ma riutilizzo il tuo linguaggio) e la legge, almeno da quel che accade in europa e dintorni (ma direi anche più in là), non impone affatto "il niente è permesso"... che l'individuo debba poi adattarsi alla sua società, e che ciò comporti dissenso, disagi, illegalità e persino ribellioni, mi sembra una situazione vecchia almeno come la storia dell'uomo da quando è diventato stanziale (non è certo un'invenzione della postmodernità).
#2109
@Eretiko
Non so se sia necessaria (è un giudizio impegnativo, seppur condivisibile), ma quantomeno in atto: i "maestri del sospetto" (Nietzsche, Marx, Freud), le tre "umiliazioni narcisistiche" (eliocentrismo, evoluzionismo, teoria dell'inconscio), etc. ci indicano chiaramente che bisogna iniziare a fare i conti con istanze di cambiamento, forse traumatiche, ma quantomeno rilevanti...


Per chiarire a cosa alludo con "aggiornare il paradigma", propongo (da "Il postmoderno" di G. Chiaruzzi) uno schema di Hassan (mi scuso se non l'ho trovato in italiano e premetto che non rappresenta il mio paradigma, nè tantomeno è il paradigma da prendere a modello ideale, è solo un esempio di "aggiornamento"):


(ecco il link: https://thegreatwildherring.files.wordpress.com/2013/12/hassan-list.png)

La colonna di sinistra presenta alcune delle categorie tipiche della modernità, quella di destra, alcune tipiche della postmodernità. Se "leggiamo" l'attualità con le categorie di sinistra, essa ci risulta inevitabilmente corrotta, iniqua e deteriorata (ed ecco comparire il disappunto e la nostalgia "dei bei vecchi tempi in cui c'erano valori sani, o almeno si sapeva con chiarezza quali erano!"); se invece leggiamo il presente con quelle di destra, ci risulta probabilmente più comprensibile (ed il relativismo, la tecnologia, l'individualismo non sono più demoniache trombe dell'apocalisse), e solo nel momento in cui l'abbiamo adeguatamente compresa, secondo me, possiamo valutarla con pertinenza.
Come sottolineato più volte, non intendo screditare chi fa ricorso alla colonna di sinistra, e quando definisco quel paradigma  "vecchio" non voglio essere offensivo, ma solo denotativo: di fatto, ce n'è anche uno più recente, più "nuovo" (quindi privo del consolidato fascino del radicamento storico), se questo sia meglio o peggio, ognuno lo valuta in base alla sua prospettiva; l'interessante credo sia prendere atto che c'è la possibilità di leggere l'attualità anche con un ulteriore paradigma, che tenta di metterne a fuoco le peculiarità prima di passare al giudizio. 

P.s.
Inevitabilmente, secondo me, una realtà impermanente richiede paradigmi impermanenti, quindi "dinamici" (senza assiomi troppo rigidi, come in metafisica), quindi "aperti" (qualcuno direbbe "deboli"), quindi plurali (ovvero relativi, ma senza ricadere nella caricatura fumettistica del relativista assoluto che muore di fame in gelateria perché "tutto è relativo!" e non riesce ad ordinare nulla... i relativisti reali non sono annichiliti, non muoiono di inedia, piuttosto si muovono circospetti sul sentiero della ricerca, sapendo che ogni passo non è mai l'ultimo, non è perfetto, e, in fondo, poteva essere fatto diversamente poiché alcuni passeggiatori già ne fanno di diversi, ma non per questo egli smette di farne altri...).

P.p.s.
@donquixote
Avevo inteso la tua frase "il pensiero deve pensare la verità"(cit.) come viziata dal presupposto che la verità sia una, perfetta, immutabile, etc. presupposto che ha portato ad una serie storicamente ricca di casi in cui tale verità, pur di essere trovata, veniva inserita arbitrariamente in un circolo vizioso dogmatico (in senso laico o meno). Oggi forse la "plausibilità" può essere un'alternativa lecita alla verità assoluta, sia nelle scienze che in altri campi, ma quest'ottica è incompatibile con un paradigma metafisico classico (vedi schema citato ad esempio sopra) per cui non è certo universalmente condivisibile.
Sulla verità fai-da-te come edonismo solipsista, vorrei ricordare che gli individui, a prescindere dal paradigma che usano, vivono solitamente in una società regolata da leggi coercitive (quindi "il tutto è permesso" è escluso a priori), per cui è sempre necessaria (o solo assennata) una mediazione fra l'individuo e il contesto sociale  ;)
#2110
Citazione di: donquixote il 11 Febbraio 2017, 22:53:58 PMIl pensiero, per avere un senso, deve pensare la verità e guidare l'azione. Il pensiero è lo strumento che l'uomo utilizza per sopperire alla propria ignoranza sul mondo e trovare il proprio posto in esso, dunque se questo si riduce ad un mero esercizio intellettuale volto a enunciare ipotesi potenzialmente false (o "vere fino a prova contraria" che è lo stesso) perde di qualsiasi utilità e quindi anche di significato.
Se "il pensiero deve pensare la verità" (cit.) allora è un pensiero privo di ricerca, consolatorio, solido, autoritario, ma povero di domande e di autentico lavorio mentale; è un pensiero dogmatico, legittimo e certamente appetibile (che propone la verità, non la trova...), Ma credo possa esserci anche (e al suo fianco, se siamo pluralisti) un pensiero indagatore, che prima di "guidare l'azione" (cit.) si interroga con onestà intellettuale ed umiltà, senza fare appello a ricette già scritte per preparare una verità storicamente affermata. Se il pensiero rifiuta a priori "ipotesi potenzialmente false" (cit.), se ha paura di sbagliare o di esitare, allora, secondo me, non è pensiero filosofante, ma citazione o adesione dogmatica (che resta una prospettiva percorribile e non esecrabile). Inoltre non scommetterei sul fatto che un pensiero operoso, indagante e fallibile, con paradigmi aperti ed in fieri finisca con il "perdere qualsiasi utilità e anche significato"(cit.), sarebbe come dire che avere una matita ed una gomma è inutile perché bisogna usare solo penna indelebile (è un questione di metodo e di gusti, no?  ;) ).

Citazione di: donquixote il 11 Febbraio 2017, 22:53:58 PMTutti gli "aggiornamenti" delle modalità di ricerca cui tu alludi (che non siano immediatamente applicabili alla materia per modificarla secondo le esigenze, di volta in volta diverse, dell'uomo) sono solo narcisismi intellettuali buoni per ottenere una pubblicazione, o un'apparizione di cinque minuti in tv, o mezz'ora di "lectio magistralis" al festival tal dei tali. 
Probabilmente non mi sono espresso chiaramente: gli aggiornamenti di cui parlo sono proprio volti ad essere sincronizzati con la realtà attuale per poter operare al suo interno, contestualizzando le scelte e le "letture" di ciò che accade... sono aggiornamenti (faticosi, difficili e fallibili) che evitano proprio la chiusura in una dotta speculazione che non guarda all'accadere, al mondo che la circonda, a ciò che intendo con "attualità". Non sono aggiornamenti di nozionismo, ma aggiornamenti del proprio paradigma prima interpretativo poi operativo (e non certo per cultura personale!).

Citazione di: donquixote il 11 Febbraio 2017, 22:53:58 PMQuindi di quali "chiavi di lettura" si va cianciando? Cosa ci sarà mai da leggere? Non c'è più niente da leggere poiché prima di aver finito di leggere il mondo davanti a noi è cambiato e tocca reiniziare da capo, e così via, in un vortice senza fine.
Pensare significa, secondo me, "leggere" e interpretare ciò che ci circonda (quindi direi che c'è sempre molto, anzi, troppo, da leggere) e se si trova scoraggiante il provare a "leggere" una realtà dinamica, mutevole e complessa, allora ci sono risposte e paradigmi preconfezionati che hanno una loro utilità, sostituendosi alla "lettura individuale" come delle "istruzioni per l'uso" che forniscono risposte, non domande (e usare tali istruzioni, fidarsi di loro, è una scelta rispettabilissima, una scorciatoia semplificata più che legittima, ma che non trovo attraente).

Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 23:58:57 PM
sono i Valori e Principi che sono sempre validi perché permanentemente attuali che andrebbero recuperati proprio perché sono imprescindibili, sono cio da cui poi tutto dipende e tutto il resto a venire non potrebbe nemmeno esserci...sono percio la base e il fondamento a cui fare sempre ovvio riferimento,ed e' l'unica maniera possibile per qualsiasi tipo di "aggiornamento"
Questi Valori e Principi sono indubitabili, eterni ed imprescindibili all'interno del paradigma che essi stessi fondano, ma è oggettivamente così, oppure è possibile pensare ed agire secondo altri paradigmi in cui tali Principi e Valori sono differenti o non eterni o dubitabili? Che appoggiarsi a loro sia "l'unica maniera possibile per qualsiasi tipo di "aggiornamento"" è davvero inconfutabile o ci sono anche altre maniere per "aggiornare" la propria visione del mondo? Secondo me valori e principi ermeneutici (di interpretazione del mondo e del "senso") possono cambiare (a differenza dei principi della fisica, direi), ma ciò non toglie che sia comunque possibile ricorrere agli stessi principi e valori per tutta una vita...
#2111
Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AMNell'idea di una certa "inattualità" che riguarderebbe il voler "tornare al passato" ce l'errore,oltreche il preguidizio,che non consente di ravvedersi dalla disgregazione ma al contrario di aumentarla e in maniera accelerata ed esponenziale.
Direi che, al contrario, è proprio partendo dalla consapevolezza della "disgregazione" (ammesso e non concesso che sia tale, ma prendiamola per assodata) che bisogna adeguare i propri paradigmi e non, inversamente, adeguarsi ad essi: se alcune generazioni fa la realtà sociale era comprensibile con alcune categorie, oggi bisogna ripensare tali categorie alla luce della società attuale, altrimenti è inevitabile o l'incomprensione o la nostalgia... ad esempio, oggi c'è un proliferare di associazioni benefiche, onlus, volontariato etc. mai visto in precedenza; come valutarlo? Aggiornando i propri paradigmi di lettura del sociale, considerando pregi e difetti, rischi e opportunità insite in tale dilagare di apparente filantropia nella trama sociale attuale. Se provassimo a valutare questo fenomeno dell'impegno sociale con categorie rinascimentali, non riusciremmo a capirlo fino in fondo, perché all'epoca c'era magari il mecenatismo ma non l'assistenzialismo laico, ovvero i paradigmi di strutturazione e lettura della società erano totalmente differenti (è un esempio drastico, lo so, ma spero mi aiuti a spiegare ciò che intendo...).

Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AMInfatti non si tratta ne di tornare indietro e ne tantomeno avanti perché e' cio che sta al di la del tempo e che non e' nel tempo,ed e' percio perennemente valida, qualunque siano le diverse modificazioni successive contingenti. ma nel momento che mi sgancio da questo principio,in se eterno ed immutabile,allora tali modificazioni saranno soltanto disgreganti fino a raggiungere il suo logico esito terminale.
La fede in un principio eterno ed immutabile appartiene ad un paradigma antico (è una constatazione, non un giudizio negativo!), ma proprio il pluralismo e il relativismo, che tale principio critica aspramente, lo rendono ancora attuale e addirittura lo tutelano (pur non venendo ripagati con la stessa moneta  ;D ). La possibilità di leggere l'attualità con categorie di epoche passate è sempre percorribile, ma il contraccolpo può essere lo scoramento nel verificare l'incompatibilità fra tali categorie e il mondo che adesso gli si oppone (o sono loro a fare anacronistica opposizione al mondo?).
L'affermazione
Citazione di: acquario69 il 11 Febbraio 2017, 06:03:00 AMdi sicuro ne viene fuori un esito catastrofico e di totale caos e da tutti i punti di vista.
lascia intendere un pessimismo storico fondato sulla sfiducia nel presente, a sua volta radicata in una lettura dell'attualità come degenerazione del passato, ma il giudizio di valore (passato=meglio, presente=peggio) è appunto innestato in un paradigma precedente all'epoca attuale, per cui è quasi inevitabile il pessimismo. Fra il serio e il faceto si potrebbe ricordare che da sempre i nonni di ogni generazione dicono "ai miei tempi c'erano i valori giusti, adesso ci sono cattive abitudini, la società è allo sbando... magari avevamo di meno ma avevamo dei principi!" e non lo dicono perché sono bisbetici o brontoloni, ma perché, dopo una certa età, aggiornare il paradigma è davvero arduo, poiché non sono solo le articolazioni corporee a perdere di elasticità... 

P.s. 
Ovviamente non sto dando del "nonno" ad acquario69, né sto condannando il suo modo di leggere la realtà, lo uso solo come spunto per proporre considerazioni...
#2112
Citazione di: donquixote il 10 Febbraio 2017, 12:22:21 PM
Non mi pare che ci sia mai stato popolo, nemmeno quelli immaginati nei romanzi utopistici, che abbia fondato la sua vita e la sua cultura sulla menzogna sapendo bene che questa era certamente tale; l'unico è proprio quello moderno, che basandosi sul sapere induttivo non potrà mai, per definizione, acquisire alcuna certezza e quindi tutto il suo sapere è pura menzogna che può essere evidenziata in ogni istante. Ma è comunque costretto a chiamare "verità" questa menzogna
Credo che pensare la postmodernità significhi proprio cogliere e valorizzare lo spazio che c'è fra la verità assoluta e la falsità assoluta, conferendo dignità teoretica ai "protocolli aperti", alle "ipotesi di lavoro", ai "lavori in corso" e alle "certezze fino a prova contraria". Sostenere che il pensiero debole è un pensiero che sa di essere falso e non se ne cura (radicalizzo volutamente il tuo spunto), comporta il  rischio di fraintendere il disincanto postmetafisico con la mancata ricerca (e questo sarebbe uno sgarbo a tutti coloro che hanno invece "aggiornato" la proprie modalità di ricerca).
Se si studia un fluido conviene usare un paradigma calibrato sulla fluidità, se invece se ne usa uno adatto allo studio dei solidi, si possono facilmente ottenere conclusioni anomale; parimenti, la nostra società richiede di essere letta con paradigmi adeguati al suo attuale dinamismo, altrimenti viene fraintesa, distorta e travisata. Leggerla con paradigmi di un'epoca precedente, non può che comportare disagio, complicazioni e, talvolta, nostalgia (reazione tipica quando c'è una inadeguatezza fra una chiave di lettura "inattuale" e una realtà che impone di rimodellare tale chiave altrimenti la "lettura" non funziona...).

In fondo molti elementi contro cui si punta il dito oggi, sono vecchi come l'uomo: la violenza, la corruzione, l'abuso (in tutte le sue forme), i problemi relazionali, le domande esistenziali, etc. hanno una nuova veste (la storia non si ferma), ma non sono certo creazioni della tecnologia o di una società che ha scoperto che il cielo è vuoto di dei...  altri elementi più recenti, possono invece essere considerati come il prodotto storico di ciò che li ha preceduti: il biasimato individualismo non è una forma di tutela della tanto osannata libertà di pensiero? Che ciò comporti l'imbattersi in chi la pensa diversamente da noi (ed ha un diverso modo di argomentare) è un effetto collaterale di tutte le lotte fatte in passato per maggiori libertà-al-plurale (ed essere nostalgici di quando queste non c'erano, significa appunto leggere la storia con categorie "inattuali"... e non c'è nulla di male a farlo, ognuno legge come vuole!). La stessa demonizzata tecnologia (informatica o meno) è figlia della storia della "techne", del saper fare alimentato per millenni da idee, fallimenti e successi; e se la "techne" attuale ci pare eccessiva o alienante, dovremmo chiederci se ci fa piacere alzarci la notte per andare in bagno senza dover accendere una fiaccola, uscire di casa alle intemperie, magari armati per proteggerci da eventuali animali randagi, e dirigerci verso la latrina, sperando di non ammalarci perché la medicina offre solo martellate e infezioni... se il prezzo da pagare per rinunciare a questa passeggiata notturna, è avere un cellulare, imparare a difenderci dal cyber-bullismo, non avere una divinità a cui affidarci, avere un vicino di casa di un'altra religione, leggere sul web le sconsolanti notizie di stragi o cataclismi da tutto il mondo, ed educarci a vivere in una realtà dai mille volti e dai tempi rapidi, ognuno può valutare se per lui ne valga la pena o meno, ma comunque sia, indietro non si torna (almeno per ora...).


P.s.
Come hai osservato (@donquixote), in principio furono i fisici presocratici, poi vennero i metafisici, ed ora, per ironia del destino o forse per chiusura del cerchio, direi che stiamo tornando ai fisici (anche se la "nuova fisica", forgiata proprio dalle vicissitudini metafisiche, ha lo sconsolato aspetto di una scienza povera di fantasia e di epos). La critica al nuovo, secondo me, può essere anche il sintomo (una sorta di "proiezione") del disagio nell'affrontarlo piuttosto che autentica povertà qualitativa di ciò che è l'attualità (fermo restando la relatività dei paradigmi interpretativi possibili che delineano tale "qualità"...).
#2113
Tematiche Spirituali / Re:Dio e il senso del dovere
08 Febbraio 2017, 22:27:35 PM
Non so se può essere utile al discorso considerare, per stare alle regole proposte da Duc, che l'etica privata della metafisica (e, per radicalizzare ancora di più, depurata anche dalla storia e dalla sociologia) diventa semplicemente diritto (penale, civile, etc.), ovvero legge umana arbitraria condivisa, vigente entro certi confini. 
La legge (italiana e non solo) ci dice che il Padrino fa cose "sbagliate" (in quanto illegali), la legge divide i "buoni" dai "cattivi", la legge prova a guidare la convivenza civile del popolo, anche in assenza di divinità ed etiche trascendenti. Il "collante laico" della società e delle interazioni interpersonali potrebbe/dovrebbe quindi essere la legge e, per le questioni più contingenti, le consuetudini della cultura di quel popolo, cultura che, stando al gioco, non ha bisogno necessario di una divinità, poiché può essere anche laica senza per questo essere priva di un'"etica umana", come dimostrano tutti i non credenti che non vivono necessariamente come "cani sciolti" (come qualcuno già ricordava, se non erro, anche chi non ha fede in dio può comportarsi "bene" e viceversa chi crede può comportarsi "male"... al netto della molteplicità di ciò che può essere inteso come "bene" o "male").
#2114
Lo spunto interessante, secondo me, è proprio che non c'è niente che sorga ("nulla si crea"), niente che finisca nel nulla ("nulla si distrugge"), ma un tutto che si modifica ("tutto si trasforma").
In questo "tutto" che muta, non c'è spazio (nè tempo) per il nulla, che quindi non è, non esiste (confermandosi appunto, logicamente, un "nulla"...). Secondo questa prospettiva è inevitabile che il nulla non possa essere, e quindi resta solo un concetto-limite predefinito, non reale e non immaginabile ("per difetto", proprio come l'infinito è un concetto-limite non immaginabile "per eccesso"...). A questo punto, chiedersi "perché l'esistente esiste" è logicamente ridondante (e tautologico) come chiedersi "perché il caldo scalda" o "perché la vibrazione vibra", etc. in una convergenza fra definizione linguistica e causalismo con regresso all'infinito...
#2115
E se fosse vero che "nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma" (intendendo "nulla" come semplice pronome indefinito, e non come sostantivo "il nulla")?