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Messaggi - sgiombo

#2101
Citazione di: viator il 17 Gennaio 2018, 23:31:51 PM
La mia definizione di Dio è : "l'Ente supremo, ciò che include tutto senza far parte di altro più grande di sé".
Su tale base Dio include anche tutta la conoscenza (l'onniscienza) ed è l'unico a poterla includere quindi, poiché è stato postulato che il Genio sia onnisciente, egli (esso) a tale condizione non può che essere Dio.


Per parte mia in queste affermazioni credo di rilevare alcuni elementi di oscurità e incongruenze.

Nella tua definizione di Dio la parte a destra della (successiva alla) virgola ("ciò che include tutto senza far parte di altro più grande di sé") ha già di per sé un senso compiuto ed identifica Dio con il "tutto", la totalità di ciò che é reale (oltre di che null' altro é reale: si tratta, letteralmente, del panteismo: Dio = Tutto).
Invece la parte a sinistra della (precedente la) virgola ("l' Ente supremo") implica necessariamente una distinzione fra il definiendum (Dio) e altro da esso (supremo é un superlativo relativo ad "altro", significa "il più alto (di tutto il resto, di qualsiasi altra cosa parimenti reale )"*; dunque si tratta in questo caso teismo o almeno di deismo, mi sembra in evidente contraddizione con la successiva definizione "panteistica" (a destra).

Inoltre l' inclusione nella definizione di Dio dell' attributo dell' onniscienza non implica necessariamente che sia l' unico e solo ente onnisciente; nei politeismi si possono dare più dei tutti onniscienti, e anche il monoteismo non impedisce necessariamente all' unico Dio di conferire l' onniscienza -anche- a una o più creature (per esempio al nostro Genio), dal momento che nel concetto di onniscienza non é necessariamente implicita la caratteristica dell' esclusività o unicità, non essendo illogica o autocontraddittoria l' ipotesi di due o più enti, i quali tutti sappiano tutto della realtà (propria e altrui).
Perfino quella di due o più enti onnipotenti, alla sola condizione che non vogliano nulla di reciprocamente contrario, non costituirebbe un' ipotesi assurda; a maggior ragione quella di due o più enti onniscienti, la quale non richiede una simile limitazione.

______________
* Essendo deplorevolmente pignolo, ho fatto un giro fra i dizionari on line e ho visto che la maggioranza definisce "supremo" (e anche "sommo") come superlativo relativo di "alto" (superlativo assoluto essendo "altissimo"), mentre qualcuno lo considera anche una forma di superlativo assoluto; secondo me a torto, in quanto l' ho sempre trovato, in espressioni italiane, preceduto dal' articolo determinativo ("il", "lo", "la", ecc.), come é di tutti i superlativi relativi (il più ... di tutti i membri di un inseme; esempio: il sommo poeta ovvero il più alto dei poeti, la corte sprema ovvero la più potente -inappellabile- delle altre corti inferiori, il comandante supremo di un esercito, oltre al quale, e a lui subordinati, esistono comandanti di gradi inferiori), e mai preceduto dall' articolo indeterminativo ("uno", una"), come é invece di tutti i superlativi assoluti ("un poeta grandissimo" e non "un poeta sommo o supremo", "un altissimo ufficiale o comandante militare e non un ufficiale o comandante sommo o supremo; a meno che non si intenda qualcosa come il fatto che durante seconda guerra mondiale Stalin era un comandante supremo, quello dell' Armata Rossa, ed anche Heisenhower era un comandante supremo, quello degli eserciti occidentali: diversi insiemi di comandanti militari, relativamente a ciascuno de quali ognuno dei due era il supremo: due diversi superlativi assoluti; ovvero un sommo poeta era Dante, quello dei poeti italiani, e un altro sommo poeta era Shakespeare, quello dei poeti inglesi). In ogni caso almeno nella tua definizione, poiché é preceduto dall' articolo determinativo, va inteso come superlativo relativo: "l' ente più alto di tutti", e non "un ente altissimo").

(E con questo mi candido al titolo di -del!- "sommo, ovvero supremo, rompicoglioni" del forum).
#2102
Citazione di: epicurus il 17 Gennaio 2018, 16:46:01 PM


Sgiombo, confermo che se qualcuno fosse molto confuso e facesse una domanda senza saper cosa in realtà sta chiedendo, allora probabilmente (scrivo "probabilmente" perché più sotto illustro un ragionamento alternativo) il Genio non potrebbe rispondere perché, appunto, una vera domanda non è stata posta. Questo ok, ma non mi spingo alla tesi di Iano, per cui ogni comunicazione con il Genio sarebbe vana. Sei d'accordo su questo?

Poi c'è la parte del mio discorso che tu hai ripreso. Ammetto che ho qualche dubbio su questa, ma provo a spiegarla meglio (sia per te che per me). Poniamo che io chieda "Esiste un aldilà?" ma che mai io abbia riflettuto sulla questione dell'aldilà, e ho posto la domanda senza riflettere. Potremmo dire che, di fatto, non ho posto alcuna domanda e che il Genio, cercando di capire cosa veramente volevo chiedere, si trovi con un niente a cui rispondere.

Bene siamo in questa situazione disperata, cioè il Genio è assolutamente disperato! Lui risponde sempre e ogni volta risponde o con un sì o con un no. Come fare quindi? Naturalmente il Genio potrebbe iniziare un dialogo molto approfondito con me sull'aldilà: riflettendo, piano piano io mi formo un'idea sufficientemente precisa della domanda da fare (cioè del suo contenuto). Bene, il Genio in realtà non ha bisogno di iniziare questo dialogo, ma semplicemente sa già come potrebbe svolgersi se si dovesse svolgere perché l'onniscienza è anche conoscenza completa controfattuale. O similmente: il Genio potrebbe prevedere il senso che io darò successivamente alla domanda, cioè, ok, ho fatto una domanda senza pensarci su, ma poi inizio a rifletterci su, e mi figuro una determinata immagine di paradiso... Ecco, il Genio ha previsto tutto, quindi aveva dato la risposta alla domanda con il senso che successivamente io mi sarei dato. Cosa ne pensi?  :D
Si, credo di concordare in pieno.

Se dovesse accadere che il domandante inizierà (a un certo tempo Tx) un chiarimento con lui in modo da dare un senso univoco e non ambiguo alla sua domanda, allora Genio, essendo onnisciente l' avrebbe sempre saputo da ben prima di Tx e avrebbe saputo come si sarebbe svolto il chiarimento e dunque il senso della domanda che gli sarebbe stata posta, nonché ovviamente la giusta risposta.

Se questo chiarimento non accadesse, allora Genio onnisciente avrebbe sempre saputo che la domanda propriamente non ci sarebbe stata mai, e dunque non ci sarebbe mai stata (non ci sarà mai) una risposta.
#2103
Citazione di: epicurus il 17 Gennaio 2018, 15:12:14 PM

Ovviamente concordo che se uno ha un'idea del tutto confusa del significato della propria domanda, allora in realtà non ha fatto alcuna domanda. Ma non vedo perché si debba intendere questa situazione come generale, come la norma. Se uno chiede "Esiste la vita dopo la morte?" perché mai dovrei interpretare la domanda nel senso degenere come se stesse parlando di una contraddizione? Se uno mi facesse questa domanda, solo per scherzo potrei forzare un'interpretazione così poco generosa.

Come già detto, potrei chiedere "Esiste un aldilà che mi soddisfi in qualche grado?", oppure "Esiste un aldilà nel senso specificato da almeno una religione attualmente praticata sulla Terra?".

Poi dobbiamo davvero considerare l'onniscienza nella sua interezza. Se un essere è onnisciente sa tutto, quindi sa (molto meglio di me!) anche quali sono i miei interessi, le mie paure, i miei valori, i miei desideri, il mio ideoletto, e persino il mio futuro. Quindi non vedo perché non potrebbe interpretare le mie parole in un modo migliore di come io stesso le potrei interpretare.  :)

CitazioneCiao Epicurus.
Mentre rispondevi ho fatto una piccola aggiunta all' intervento che mi sembra andare nel senso giusto: [dire che anche l' onnisciente non può conoscere com' é realmente qualcosa che realmente non é, ovvero il senso preciso della domanda] equivale a dire: una domanda (precisa) non posta non può avere una (precisa) risposta (e mi aspetto che questa potrebbe essere l' obiezione di Epicurus al problema qui sollevato (o meglio che qui si pretendeva falsamente di sollevare).
Dico bene?

Però non mi convince l' ultima precisazione qui sopra:

 Se un essere è onnisciente sa tutto, quindi sa (molto meglio di me!) anche quali sono i miei interessi, le mie paure, i miei valori, i miei desideri, il mio ideoletto, e persino il mio futuro. Quindi non vedo perché non potrebbe interpretare le mie parole in un modo migliore di come io stesso le potrei interpretare.

Un essere onnisciente potrebbe (se ci fosse: per questo uso il condizionale) sapere tutto circa com' é ciò che é e come non é ciò che non é; ma nemmeno un essere onnisciente potrebbe sapere com' é ciò che non é (nel senso che potrebbe sapere molto -anzi: tutto!- di che cosa sono -in quanto meri oggetti di pensiero, concetti- le cose non realmente esistenti ma solo pensate: connotazioni-intensioni di concetti privi di denotazioni-estensioni reali come ippogrifi, ecc. Ma non potrebbe sapere come realmente sono (e non: sono pensate) cose che realmente non sono (in alcun modo: quale sarebbe il modo in cui fossero realmente, non esistendo tale modo di essere realmente).
Ad esempio ciò che il domandante intende per "vita dopo a morte" nel caso (come non di rado realmente accade, purtroppo) costui impieghi (creda di impiegare) concetti ambigui di cui non ha chiaro il significato, anche inteso come mera connotazione-intensione (cioé nel caso costui 
creda di pensare qualcosa che in realtà non pensa): se costui dicendo "vita dopo la morte" ha in mente qualcosa di vago e ambiguo, che potrebbe contraddittoriamente attribuirsi a realtà reciprocamente escludentisi, come ad esempio "sopravvivenza di un' anima, ovvero puro spirito immateriale" e "sopravvivenza della mente e del corpo materiale, secondo la dottrina cattolica della cosiddetta resurrezione della carne", credo che nemmeno un onnisciente potrebbe sapere quale é il senso -univoco, non autocontraddittorio- delle parole dell' interrogante, posto che tale senso -univoco, non autocontraddittorio- non c' é.
Dovrebbe prima aiutare il domandante a fare chiarezza in se stesso e nei suoi pensieri, a trovare una domanda sensata, non ambigua, non interpretabile autocontraddittoriamente, e solo dopo potrebbe rispondergli. Sarebbe come se gli domandasse: "la carta che ho in tasca é di colore rosso o nero?" avendo in tasca un "tre di cuori" e un "due di picche" o non avendo in tasca nessuna carta e pretendendo una risposta limitata all' alternativa fra le parole "rosso" e "nero".


#2104
Citazione di: epicurus il 17 Gennaio 2018, 11:46:17 AM

Citazione di: viator il 16 Gennaio 2018, 23:14:21 PME' commovente poi la forma in cui alcuni porrebbero le loro (inutili) domande : Esiste la vita dopo la morte ? (chiedono se la vita, dopo essere finita, continui) - Chiedono se Dio esista dimenticandosi di fornire una soddisfacente definizione di Dio (si attendono forse una risposta personalizzata sulla base della loro personale idea di Dio)
Come ho scritto più sopra in questo mio intervento (e anche nel mio primo post), si può specificare che il Genio intenda le parole come le intendo io, e il problema della comprensione è risolto. (E ovviamente il Genio capirebbe cosa veramente si vuole sapere dalla domanda "Esiste la vita dopo la morte?")

CitazioneIl problema che forse (non essendo onnisciente il dubbio é doveroso!) voleva porre Viator sembrerebbe relativo al modo di intendere il problema da parte di chi lo pone (al Genio onnisciente).
L' interrogante stesso potrebbe non avere ben chiaro in mente ciò di cui chiede (mi sembra molto probabile, dal momento che la sua domanda letterale, così come qui formulata da Viator, "Esiste la vita dopo la morte?" é decisamente ambigua: se la "morte" é intesa "assolutisticamente" come fine irreversibile della vita in qualsiasi modo la si intenda, allora o é una domanda retorica con risposta obbligata-sottintesa negativa, giacché altrimenti si cade nella contraddizione e nel non senso; perché sia sensata dovrebbe essere disambiguata: che cosa della la stessa vita che complessivamente intesa finisce potrebbe sopravvivere (e che cosa no): una "coscienza disincarnata" tipo "puro spirito"? Una corpo cosciente ma diverso dall' attuale, come, se ben ricordo dal catechismo studiato obbligatoriamente da bambino, il corpo "virtuale" di Cristo dopo la resurrezione, dove Tommaso poteva infilare il dito nel costato, ma che compariva dal nulla, scompariva nel nulla, attraversava porte chiuse e pareti ininterrotte...? un' altra vita in qualche -***?***- "aldilà" con un crpo perfettamente materiale come quello che sarebbe morto? Un' altra vita in un' altro animale, con oblio completo delle precedenti come secondo la metempsicosi? Altro ancora?

Evidentemente se il domandante non ha le idee chiare, cioé se non esiste un preciso, non ambiguo modo di intendere le parole da parte sua, allora anche il Genio onnisciente non può conoscerlo: nemmeno un onnisciente può conoscere (come é realmente) ciò che non esiste, ciò che realmente non é in alcun modo: impossibilità logica). Peraltro ciò equivale a dire: una domanda (precisa) non posta non può avere risposta (e mi aspetto che questa potrebbe essere l' obiezione di Epicurus al problema qui sollevato (o meglio che qui si pretendeva falsamente di sollevare).

(Il concetto di "qualche aldilà") con punto interrogativo supermegaenfatizzatissimo é un "moltiplicatore di ambiguità").
#2105
X Apeiron

Innanzitutto ti ringrazio tantissimo per le informazioni.

Di Bohm ho letto due libri tradotti in italiano, Casualità e caso nella fisica moderna, risalente agli anni '50, e Universo mente materia; quest' ultimo mi sembra (a mio modesto parere) testimoniare un' involuzione irrazionalistica misticheggiante nella quale non sono disposto a seguirlo (per la verità l' ho letto molto tempo fa e ne ricordo poco o nulla).

Concordo che in Spinoza la Sostanza (Divina) é una, gli attribuito attraverso cui si manifesta infiniti (i due a noi accessibili, "di pari grado o dignità ontologica", inferiore a quella della sostanza, essndo res cogitans e res extensa; e così pure che in Kant il noumeno é "più ontologicamente pesante", per così dire metaforicamente, dei fenomeni, e contrariamente a questi anch' esso unico e né materiale né mentale: una sorta di "monismo del noumeno o della sostanza, pluralismo (dualismo in Kant, infinitismo in Spinoza) delle sue manifestazioni attingibili in quanto fenomeni o attributi", cui io stesso aderisco.
Non mi sembrano invece correttamente interpretabili senza distorsioni indebite come similmente moniste sostanzialmente o "nel profondo" le altre filosofie di cui parli, soprattutto Eleati, Platone Neoplatonici e Cristiani.

Non finirò mai di rimpiangere il fatto che la scuola italiana (ottima per tutto il resto, "ai miei tempi"; che furono!) non mi ha dato assolutamente nemmeno un' "elementare infarinatura" sulle filosofie non occidentali.
#2106
.

Questa interessante discussione mi era sfuggita, probabilmente perché iniziata poco prima delle mie vacanze estive.

Ringrazio Apeiron per averla riaperta.

Ho la presunzione di aver fatto molte scoperte importanti per la mia vita per conto mio, mettendo sistematicamente in dubbio, dall' età di 15 anni, ciò che mi era stato insegnato e fino ad allora avevo acriticamente accettato per l' autorità di genitori, parenti, maestri e professori. 

Non c' un libro in particolare che mi abbia aperto la mente alla critica razionale (saranno stati "gli ormoni della pubertà"?).

Però proprio in quell' anno, in quinta Ginnasio (primo anno del Liceo Classico) la conoscenza della geometria euclidea (non sull' originale ellenistico, nemmeno in traduzione, ma solo attraverso un manuale scolastico e con un contributo importante da parte della vecchia professoressa di matematica) mi ha profondamente colpito e affascinato per la certezza indubitabile delle dimostrazioni dei teoremi da definizioni, postulati, assiomi.

Al terzo anno di liceo gli autori che più mi hanno colpito sono stati Zenone di Elea, con i suoi interessanti paradossi pretesi inconfutabili (dei quali diedi una confutazione poco apprezzata dalla mia professoressa di filosofia ma che a me sembrò del tutto inattaccabile) e Democrito: non tanto per l' atomismo e il materialismo in sé, quanto per la geniale distinzione fra "pieno" (costituito dagli atomi) e "vuoto", che consente brillantemente di superare la pretesa, da parte di di Parmenide e degli altri Eleati, contraddittorietà del mutamento, riducendolo a traslazione o cambiamento nel tempo di posizioni o rapporti spaziali fra atomi intrinsecamente immutabili.

Pochi anni dopo mi ha fortemente interessato Cartesio, con la sua sistematica e conseguente (nelle sue intenzioni) applicazione del dubbio metodico a qualsiasi credenza.
Assolutamente affascinante Spinoza, grande maestro di razionalismo.

Berkeley mi ha permesso di rendermi conto che di tutti gli oggetti materiali constatabili e conoscibili "esse est percipi" (mi stupisco che pochi riescano a rendersi conto di questa verità lampante, che sta davanti agli occhi di tutti innegabilmente, a saperli usare criticamente e a ragion veduta; e credo che questo impedisca irreparabilmente a tantissimi la possibilità di inquadrare correttamente il problema dei rapporti cervello - mente e in generale materia - coscienza).

Hume ha esteso la critica berkeleyana ai fenomeni mentali (la cartesiana "res cogitans", dalla "res extensa" alla quale unicamente l' aveva applicata il vescovo irlandese; e inoltre ha genialmente mostrato l' indimostrabilità né provabilità empirica delle concatenazioni causali (ergo la dubitabiltà dell' induzione e l' indimostrabilità in ultima analisi delle conoscenze scientifiche). Per me il sommo filosofo di tutti i tempi.

Marx, ma soprattutto a mio parere Engels, troppo modesto, troppo autocritico e troppo generoso verso l' amico di Treviri (era un filosofo e un uomo eccezionale!), mi hanno insegnato che in ogni epoca le idee dominanti tendono ad essere non le idee in linea puramente teorica più giuste o più vere, come si illudevano gli illuministi, ma le idee delle classi dominanti; e che si può conoscere scientificamente (anche se alla maniera delle "scienze umane" e non delle scienze naturali) la storia per cercare con cognizione di causa di conseguirvi obiettivi di progresso civile realisticamente possibili (anzichè inseguire vanamente utopie).

Al terzo anno di liceo lessi un libretto di Sarte, intitolato "Le mani sporche" da cui imparai che é immorale evitare moralisticamente di sporcarsi le mani usando mezzi anche durissimi e causando anche effetti in parte indesiderabili e ingiusti nella lotta per il progresso del' umanità e il socialismo, stante l' assoluta mancanza di scrupoli e la preponderante potenza materiale del nemico di classe.

Bohm mi ha permesso di superare lo sconcerto in cui mi aveva gettato l' interpretazione conformistica (e irrazionalistica) della meccanica quantistica, generalmente spacciata dai divulgatori come l' unica esistente.
L' italiano (e poco noto) Franco Selleri mi ha aiutato non poco in questo, e anche nel criticare certe diffuse interpretazioni irrazionalistiche della relatività einsteiniana).

Un altro italiano poco noto, il filologo classico e filosofo (e non: professore di filosofia! E uomo di immensa statura morale) materialista conseguente Sebastiano Timpanaro mi ha aiutato non poco a chiairmi le idee, pur se in un sostanziale dissenso di fondo (in campo filosofico; e ampissimo consenso in campo politico).
Con questi due illustri connazionali (e con qualche altro, come la biologa ecologa Laura Conti) mi vanto di avere avuto non effimeri, cordiali rapporti epistolari e di averne avuto espressioni di stima: sono ciò di cui più vado fiero).

Elenco riassuntivo dei miei venerati Maestri (di sapere; fra i maestri di vita spiccano Salvador Allende, Oscar Romero, Mauirice Bishop, Thomas Sankara).
1 Euclide.
2 Democrito (e Leucippo).
3 Cartesio.
4 Spinoza.
5 Berkeley.
6 Hume.
7 Engels.
8 Bohm.
9 Sartre.
10 Selleri.
11 Timpanaro.
#2107
Tematiche Filosofiche / Re:Un motivo per vivere
14 Gennaio 2018, 18:08:13 PM
Citazione di: Apeiron il 13 Gennaio 2018, 10:38:35 AMTuttavia entrambi sono problemi "meta-fisici", sui quali secondo me è lecito fare ipotesi. Se poi uno creda che ad esempio il problema dello scetticismo sia possibile fare ipotesi mentre sull'altro no è un'altra cosa. Così come è un'altra cosa ancora dire che è ragionevole pensare che lo scetticismo sia risolvibile mentre è irragionevole pensare ad un senso della vita.
CitazioneIl mio atteggiamento di fronte alla realtà é innanzitutto quello il più razionalista possibile: rendermi conto di  cio che é certamente vero e dubitare di tutto il resto.

Ciò mi porta a rendermi conto dell' insuperabilità dello scetticismo: nessuna conoscenza circa la realtà é certa, qualsiasi affermazione circa la realtà é degna di dubbio (i giudizi analitici a priori sono certi, ma non sono conoscenze circa la realtà, nessuna informazione ci danno circa ciò che é reale o meno, limitandosi a dirci che da certe premesse sono ricavabili certe conseguenze; il carattere di conoscenza vera delle quali é però condizionato dalla  verità delle premesse, la quale é incerta).

A questo punto, non essendo disposto a condannarmi alla passività pratica e cercando di essere complessivamente coerente (nella pratica e nella teoria) ripiego dal razionalismo assoluto o rigoroso a una più limitata "ragionevolezza"; cioé ad accettare per vere il minor numero possibile di tesi tali che se non altro, per lo meno, inevitabilmente vivo come se fossi certo della loro verità.

Fra queste non ci sono l' esistenza di Dio e provvidenza divina (che spiegherebbero lo scopo della mia vita e della realtà creata da Dio).

E non c' é -né ci può essere per un' impossibilità logica, perché pretendere di affermarlo sarebbe un giudizio analitico a priori scorretto, tale da ricavare indebitamente, contraddittoriamente conseguenze non deducibili dalle premesse- nulla che possa costituire una spiegazione complessiva della realtà in toto e che sia da essa (realtà in toto) diverso.

E infatti nessuna teismo dà (non potendola dare per un' impossibilità logica) una spiegazione della totalità del reale (Dio compreso) distinta da esso: Dio spiega il creato, ma Dio stesso chi lo spiega? Se si spiega da solo (autospiegazione), allora tanto vale dire che la realtà in toto si spiega da sola (autospiegazione) senza postulare un Dio inutile all' uomo, semplice orpello ridondante.

La domanda leibniziana (la B2 di Epicurus), se intesa "teisticamente" (c' é e -se c'é- qual' é una spiegazione della realtà di tutto ciò che è reale -l' universo- che sia distinta dalla totalità del reale stessa?) ha un' unica, certa risposta logicamente corretta, la risposta negativa (non c' é), per il semplice fatto che per definizione non può esserci qualcosa oltre la totalità di ciò che é, e dunque a maggior ragione non può esserci qualcosa oltre la totalità di ciò che é e che della totalità reale stessa possa essere (considerato) la spiegazione. Per seguirti nella metafora, ciò é analogo alla storia che "punta verso una spiegazione conclusiva; che però, contrariamente alla favola classica la cui morale e é intrinseca al racconto in toto, non spiega la totalità (se stessa come spiegazione di tutto il resto compresa).
Potrebbe aver senso intendendola in una spiegazione "panteistica" (spinoziana?): 
la realtà di tutto ciò che è reale -l' universo- non ha una spiegazione distinta dalla totalità del reale stessa; id est: o si spiega da sè, oppure non ha una spiegazione. Il primo di questi due casi (o meglio: modi di considerare la realtà) é analogo alla favola che ha una "morale intrinseca", da essa stessa considerata in toto non distinta.

Quella dell' etica mi sembra una questione ulteriore.

Anche secondo me cose come l'etica, i valori ecc. si riferiscono a qualcosa di "reale" e non sono semplici "finzioni dell'intelletto".
Ma non nel senso che siano dimostrabili (non é dimostrabile cosa é bene, da fare, e cosa é male, da evitare); ma nel senso che non "di diritto" ma comunque  di fatto (salvo casi patologici, salvo eccezioni, come é di tutto ciò che é reale: la perfezione esistendo solo nel pensiero, e non nella realtà non meramente pensata ma effettiva) certi comportamenti sono universalmente avvertiti, per lo meno dagli uomini, come buoni, degni di essere praticati da se stessi e approvati negli altri, mentre certi altri comportamenti sono universalmente avvertiti come cattivi, tali da non essere praticati da se stessi e da non essere approvati approvati negli altri (sia pure in parte, per certi aspetti relativamente meno generali o più particolari, variabili relativamente alle diverse circostanze sociali storicamente e geograficamente diverse, mutevoli).

E ciò trova ottime spiegazioni (ma non dimostrazioni, non fondamenti epistemologici ma solo un inquadramento ordinato, coerente e ben comprensibile nel complessivo divenire naturale) nell' evoluzione biologica scientificamente intesa (correttamente e non ideologicamente deformata come forsennata lotta di tutti contro tutti per la sopravvivenza dei soli più adatti a un ambiente che muta continuamente, rendendo ben presto meno adatto ciò che prima era più adatto e più adatto ciò che prima era meno adatto).

#2108
Tematiche Filosofiche / Re:Un motivo per vivere
12 Gennaio 2018, 23:46:44 PM
X Apeiron

Veramente in questa discussione non ho usato il termine "metafisica", ho parlato d' altro.
Forse mi confondi con Angelo Cannata.


Sull' indimostrabilità dell' esistenza reale di altre esperienze coscienti oltre alla propria immediatamente esperita, vissuta, a mio parere si può averne certezza (dell' indimostrabilità, ovviamente, non dell' inesistenza di altre coscienze).

Infatti se fosse possibile dovrebbe trattarsi:

o di una prova empirica a posteriori (ma per definizione ciò di cui può aversi esperienza é (fa parte della) coscienza immediatamente esperita "in proprio" (da parte di ciascuno, se altri oltre a me –come credo ma non posso dimostrare ci sono realmente);

oppure di una dimostrazione logica (ma questa implicherebbe necessariamente l' impossibilità (l' impensabilità sensata) del contrario, della non realtà di alcunché di altro oltre alla propria coscienza immediatamente esperita, cosa che non é: può ben immaginarsi non contraddittoriamente, sensatamente che altre esperienze coscienti esistano (oltre che non ne esista alcuna); e anche che esistano cose in sé o noumena, letteralmente reali "oltre" ciò che si percepisce fenomenicamente, compresa la realtà fisica (oltre che quella psichica), cioè "metafisiche" (esistenza alla quale pure io credo, anche se non posso provarla).


Naturalmente potrei sbagliarmi, ma credo proprio che sulle altre considerazioni del tuo ultimo intervento (deismo, o meglio provvidenzialismo teistico, sia pure trascendentale) Epicurus dissenta più o meno come ne dissento io.
E non mi stupirei se e Epicurus, con Schlik, sostenesse anche che le domande senza risposta sono senza senso mentre tutte le domande sensate hanno una risposta empiricamente rilevabile, almeno in linea di principio se non di fatto (e su questo personalmente non sarei d' accordo).

Ma staremo a vedere.
#2109
Ne sono ben convinto anch' io.

E anch'io ho un bel ricordo del Fiuli: un viaggio di dieci giorni con tre amici in moto (delle vecchio "125 cc" italiane:
Benelli, Gliera e Vespa) con pernottamenti in tenda (canadese; partivamo e tornavamo alla nostra Cremona; avevamo 20 anni, era il Giugno del lontano 1972).
Fu in quell' occasione che a Tolmezzo, se ben ricordo, un vecchio simpaticone del luogo mi disse proprio, quasi orgoglioso, che quella zona era nota come "il pisciatoio d' Italia" per le abbondanti precipitazioni.
#2110
Tematiche Filosofiche / Re:Un motivo per vivere
12 Gennaio 2018, 16:10:41 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Gennaio 2018, 11:59:43 AM

Citazione di: epicurus il 12 Gennaio 2018, 11:00:58 AM

Innanzitutto, noi diamo e cerchiamo motivi in una moltitudine di contesti di vita ordinaria e le risposte sono solitamente semplici e immediata. Esempio: il motivo del mio andare al panificio è che mi serve del pane. X ha uno scopo e tale scopo è il motivo di una sua data azione. Ma allora perché non è così banale chiedere "qual è un motivo per cui dovrei vivere?"? Penso perché il vivere è la precondizione di avere scopi e motivi particolari. La differenza tra (A1) "Qual è il motivo per cui vai al panificio?" e (A2) "Qual è il motivo per cui dovrei vivere?" è in qualche modo simile alla differenza che c'è tra (B1) "Perché c'è un divano nuovo in casa mia?" e (B2) "Perché esiste un universo invece del nulla?". Spiegare un fatto, cercare motivi, presuppone l'esistenza di altri fatti che possono essere presi come motivi e spiegazioni. Ma (A2) e (B2) si vogliono innalzare sopra ogni cosa, quindi non abbiamo più nulla da utilizzare per rispondere. (Vedi: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-filosofiche-5/perche-ce-qualcosa-anziche-il-nulla/msg12877/#msg12877) Infatti se alla domanda di questo topic rispondessi "Un motivo per vivere è X", ci si potrebbe chiedere un motivo di tale scelta, e così via. La domanda, intesa nel senso metafisico, non ha risposta perché non è una domanda ben formulata..
Epicurus, quanto tempo e buon anno anche a te!  :) Curiosità: secondo te (A2) e (B2) sono domande senza senso o sono enigmi impossibili da risolvere con la sola razionalità (che è diverso dal concetto di "ragionevolezza "! per esempio non ho mai trovato una dimostrazione per cui le altre persone sono coscienti - e quindi non posso a rigore crederlo "razionalmente" - ma ritengo ragionevole che lo siano ;) ) ?  è lecito fare delle ipotesi di risposta a tali domande o non posso farlo?
CitazioneIn attesa di quella di Epicurus (ben tornato anche da parte mia!) accenno a una risposta mia.

Secondo me si tratta di due questioni diverse.
Superare lo scetticismo assoluto (a mio parere conseguenza inevitabile di un razionalismo -o critica razionale- del tutto conseguente "fino in fondo", portato alle estreme conseguenze)  per ammettere "ragionevolmente" un minimo di tesi indimostrate-indimostrabili senza credere le quali (o almeno senza che fosse come se si credessero le quali) non si agirebbe ma ci si abbandonerebbe alla passività più totale é un conto.
E' un modo di vivere e pensare coerentemente a come si vive (perché il razionalismo conseguente fino in fondo, venendo inevitabilmente a coincidere a mio parere con lo scetticismo, sarebbe incoerente -ovvero contraddittorio- con il perseguire attivamente qualsiasi scopo in qualsiasi circostanza attraverso determinati mezzi ritenuti efficaci: se lo si fa, allora per lo meno ci si comporta come se si credesse qualche verità indimostrabile).

Invece porsi il problema del senso (dello scopo, del "perché"?) circa qualcosa (come é la realtà in toto) che non é arbitrariamente voluto e realizzato da un soggetto cosciente di conoscenza e di azione intenzionale, soggettivamente deliberata (e magari di libero arbitrio) non ha senso.

Ha senso chiedersi perché, a quale scopo, con che senso qualcuno fa intenzionalmente qualcosa (qual' é la sua intenzione nel farlo, per l' appunto).
Ma perché, a quale scopo, con che senso é reale (accade realmente) qualcosa di non intenzionalmente, non deliberatamente "fatto", realizzato (=reso reale, da meramente intenzionale, immaginativo che fosse stato) non ha senso: é un indebito atteggiamento antropomorfo verso la realtà.

Inoltre, limitandoci a considerare ciò che non é deliberatamente, intenzionalmente (soggettivamente) realizzato, ma semplicemente é (oggettivamente) reale, spiegazione di qualcosa (ente o evento) può essere qualcos' altro (altrimenti tale ente o evento, essendo spiegazione di se stesso, autospiegandosi, non abbisogna di, non ha altre spiegazioni da esso diverse): per esempio di determinati enti-eventi naturali sono spiegazioni le leggi fisiche generali astratte universali e  costanti del divenire naturale e i fatti particolari particolari concreti variabili e reciprocamente diversi che lo hanno preceduto "evolvendo in esso" secondo e leggi fisiche stesse.

Ma oltre al tutto, alla totalità del reale per definizione non é/accade reale/realmente alcunché (d' altro) che ne possa eventualmente costituire la spiegazione.

Dunque la realtà in toto può essere sensatamente considerata autospiegantesi o -ovvero?- senza spiegazione ad essa stessa ulteriore, da essa stessa diversa, ma non sensatamente spiegata (da alcunché di altro da essa diverso, ad essa ulteriore): sarebbe contraddittorio ovvero insensato pretendere di farlo.




#2111
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
10 Gennaio 2018, 20:33:43 PM
Citazione di: davintro il 10 Gennaio 2018, 15:37:15 PM


il punto che provavo a sottolineare è che qualunque entità materiale il naturalista scoprirà, nessuna scoperta potrebbe invalidare il principio ontologico per cui la materia esiste in quanto materia formata: se il metafisico si limita ad affermare che ogni materia per esistere ha bisogno di una forma che ne specifichi il senso, e negli esseri viventi questa forma si dà come forma che produce uno sviluppo "dall'interno", cioè una forma vivente, l'anima, allora di fronte alla scoperta del genoma o di qualunque altra realtà fisica da parte del biologo, esso potrà continuare ad affermare che queste realtà materiali esistono in quanto formate, e la forma complessiva che imprime allo sviluppo della materia un certo andamento, cioè un dinamismo teso a realizzarsi come materia vivente resterebbe l'anima. Quindi il genoma non sostituisce l'anima nel suo "ruolo" di causa formale dell'essere vivente: l'anima resterebbe forma del corpo, i cui meccanismi insiti nella sua materialità si prestano ad essere via via meglio compresi dalle scienze naturali, ma senza che ciò che porta a capire meglio l'aspetto materiale delle cose arrivi al punto di sostituire ciò che si riferisce a quello formale: nessuna incompatibilità o necessità di sostituzione tra anima e genoma: una spiega la vita per un senso (l'aspetto formale), l'altra per un altro (quello materiale), questa è la distinzione dei piani fra fisica e metafisica. Nemmeno le interazioni con l'ambiente esterno esauriscono la spiegazione del "perché" della vita, almeno non al punto di poter fare a meno del concetto di anima come "forma interiore". Ovviamente nessuno nega la necessità di un'interazione delle condizioni causali esterni per lo sviluppo di un essere vivente: senza essere innaffiato un seme non feconda la pianta, senza acqua e cibo un bambino muore, ma queste condizioni pur necessarie, non sono sufficiente, ma entrano in relazione con uno sviluppo del soggetto vivente che muove dall'interno: se non la innaffio la pianta non cresce, ma non crescerebbe nemmeno gettando acqua su una pietra nuda. Le interazioni organismo-ambiente di per se non spiegano l'origine della  vita, ma sono il complesso necessario di relazione fra un soggetto già di per sé dotato di un dinamismo interno e condizioni esterne che ne supportano la crescita, e l'anima andrebbe considerata come ciò che costituisce tale dinamismo interno, il "progetto", la forma che si autodispiega, origine della vita, anche se non sufficiente a garantirne la conservazione e il proseguio della crescita, e del resto lo stesso Aristotele, con l'eccezione dell'Atto puro, il Motore immobile, concepiva forma e materia (quest'ultima passivamente ricettiva degli stimoli esteriori) come cause e componenti entrambe necessarie. Pensare che le condizioni ambientali siano in grado di rendere ragione della vita eliminando il bisogno di individuare un principio dinamico interiore come l'anima avrebbe senso solo allargando il significato della "vita" a qualunque forma di movimento, anche non organico, attribuendo "vita" anche ad un piuma sbattuta dal vento, il cui movimento non è determinato da alcunché di interiore alla piuma, ma solo ad un fattore esterno come la forza del vento, ma se ci rifacciamo al significato comune del termine (nel quale certamente il volo della piuma non sarebbe compresa) allora l'anima dovrebbe restare principio fondamentale dal punto di vista della forma, sempre però collegata ad una struttura materiale ed alle condizioni ambientali esterne, che costituiscono l'ambito a cui le scienze naturali riferiscono le loro scoperte.
Citazione 
Ma mentre la biologia dimostra cose reali circa i viventi, il loro genoma, ecc., invece le affermazioni aristoteliche su materia, forma, anima, ecc. mi sembrano gratuite affermazioni dal significato a me poco o punto comprensibile e che comunque trovo inutili ai fini della conoscenza e comprensione della realtà (fisica-materiale e non); un vaniloquio, a mio modesto modo di vedere.
 
La biologia (e in generale le scienze indagano il "come", non il "perché" delle cose materiali.
Chiedersi il "perché" ha senso solo relativamente all' azione finalizzata (unicamente umana; a meno che mi si dimostri che esistono altre entità agenti finalisticamente) e non all' afinalistico divenire naturale, nel quale nulla é "progettato" da alcuno ma tutto accade come concatenazione causale di eventi..
 
Pensare che le condizioni ambientali siano in grado di rendere ragione della vita eliminando il bisogno di individuare un inverificabile principio dinamico interiore come l'anima ma invece invocando l' interazione causale afinalistica del genoma con l' ambiente esterno all' organismo stesso (verificata empiricamente) significa pensare in modo scientificamente fondato; speculare sull' "anima" invece significa elucubrare gratuitamente e infondatamente.

Se hai compreso e condiviso la mia affermazione precedente per la quale:

"qualunque scoperta operata dalle scienze naturali, nel cui alveo rientra la biologia, sarà sempre una scoperta tesa ad approfondire la struttura delle cose inerente la loro materialità, nonché circa "l'autonomia e l'irriducibilità della metafisica (e della filosofia, non certamente solo artistoletica) rispetto alle scienze naturali"

credo che tutto il resto del discorso venga da sé...  una volta ammessa l'autonomia e l'irriducibilità di un piano metafisico a quello fisico, non ha senso pensare a una sovrapposizione o contrapposizione di visioni, dunque ciò che metafisica e ontologia individuano nel nesso fra forma e materia e nella trattazione del concetto di "anima" non viene toccato da ciò che le scienze naturali, su un altro livello della realtà scoprono, dunque non ha senso pensare che le scoperte della biologia possano rendere inattuale un discorso metafisico, che vige per un piano diverso, e risponde a diverse questioni. Solo una metafisica può sostituirsi a un'altra metafisica.
CitazioneMa neanche per sogno!
Rendersi conto dei limiti delle scienze naturali non significa affatto dare la stura alle più sfrenate fantasticherie metafisiche e ai più gratuiti giochi di parole!
#2112
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
10 Gennaio 2018, 13:31:55 PM
Citazione di: davintro il 10 Gennaio 2018, 00:23:00 AM
Citazione di: sgiombo il 09 Gennaio 2018, 08:58:05 AM
Citazione di: davintro il 08 Gennaio 2018, 00:22:09 AMl'anima la vedo come una particolare determinazione della forma, la forma costituente l'essenza degli esseri viventi, dunque una forma interiore che spinge l'ente a svilupparsi in una certa direzione, ma non tutte le forme sono anime, la pietra ha una forma, ma non ha un'anima, in quando non vi è in essa una spinta a un dinamismo autonomo, cioè proveniente da dentro e finalizzato ad uno sviluppo prestabilito. Concordando con la classificazione aristotelica, non riduco l'anima alla vita "senziente" che comunemente si attribuisce esclusivamente agli animali, ma ogni ad ogni forma di vita, di essere che cresce e si sviluppa sulla base di un "progetto", di un fine insito sin dal punto di origine dell'autodispiegamento, quindi anche allo stadio "vegetativo" a cui vengono ricondotte le piante. la forma delle cose è ciò per la quale assumono una essenza necessaria, un tratto caratteristico sulla base della quale poterle qualitativamente distinguere dal resto, e al tempo steso, fissa un limite alle potenzialità indeterminate per cui le cose sarebbero tutto e il contrario di tutto, e questo limite, pur rispettando la molteplicità di varianti, nonché di fasi temporali dello sviluppo, impone al divenire delle cose una logica, un senso, per il quale esso tende a realizzarsi in un determinato modo anziché in un altro. E questa logica fissa immanente allo sviluppo ne costituisce anche il fattore individualizzante, perché unificante, l'essenza che resta tale indipendentemente dalla molteplicità degli stadi in cui lo sviluppo si attua, e che dunque "unisce" nel senso di essere l'elemento presente in tutte le fasi
Oggi é scientificamente dimostrato che il ruolo qui (seguendo Aristotele) attribuito al' "anima" intesa come "una forma interiore che spinge l'ente a svilupparsi in una certa direzione", "una spinta a un dinamismo autonomo, cioè proveniente da dentro e finalizzato ad uno sviluppo prestabilito", propria di "ogni forma di vita, di essere che cresce e si sviluppa sulla base di un "progetto", di un fine insito sin dal punto di origine dell'autodispiegamento, quindi anche allo stadio "vegetativo" a cui vengono ricondotte le piante", "ciò per la quale assumono una essenza necessaria, un tratto caratteristico sulla base della quale poterle qualitativamente distinguere dal resto, e al tempo steso, fissa un limite alle potenzialità indeterminate per cui le cose sarebbero tutto e il contrario di tutto, e questo limite, pur rispettando la molteplicità di varianti, nonché di fasi temporali dello sviluppo, impone al divenire delle cose una logica, un senso, per il quale esso tende a realizzarsi in un determinato modo anziché in un altro" é di fatto svolo dal genoma, ma del tutto meccanicisticamente, in termini di interazioni fra "cause efficienti" e "non finali", implicanti anche l' ambiente (nucleare, citoplasmatico ed extracellulare) con cui esso interagisce chimicamente-fisicamente. Dal che a mio parere risultano del tutto evidenti sia la grandezza e la genialità (per certi versi anticipatrice) di Aristotele, sia i suoi limiti e gli inesorabili condizionamenti del tempo in cui visse.


La forma, essendo immateriale (altrimenti non avrebbe senso pensare ad un'unità sostanziale tra forma e materia, ma ad una causa materiale autosufficiente), non ha senso che venga identificata con qualsivoglia realtà materiale, piuttosto resta il fattore che specifica il senso determinato di un ente materiale dandogli una struttura peculiare e determinata. Intesi i concetti in quest'accezione qualunque scoperta operata dalle scienze naturali, nel cui alveo rientra la biologia, sarà sempre una scoperta tesa ad approfondire la struttura delle cose inerente la loro materialità, ma i limiti epistemici di tali saperi impediranno che le loro scoperte possano mettere in discussione il principio ontologico-metafisico che ogni ente materiale per esistere ha bisogno di una causa immateriale come la forma. Quindi parlare di genoma  o di interazioni tra genoma e ambiente non sposta i termini della questione: qualunque siano le scoperte dei modi determinati e particolari con cui la materia è organizzata non può venir meno il principio ontologico che ogni materia per esistere, deve possedere un proprio delimitato senso, e che la delimitazione del proprio senso accade nella misura in cui la materia non è materia pura ma materia formata, e tale princìpio resta valido sia per quanto riguarda l'immagine scientifica della materia che si poteva avere ai tempi di Platone e Aristotele che per quanto riguarda la concezione scientifica della materia dei giorni nostri. Qui sta l'autonomia e l'irriducibilità della metafisica (e della filosofia, non certamente solo artistoletica) rispetto alle scienze naturali: nell'indipendenza dell'ambito dei rapporti fra materia e forme inteso nella sua generalità, rispetto alla specificità dei modi in cui può venir riconosciuta l'organizzazione della materia: basta ammettere un'organizzazione in generale per ammettere l'esigenza di individuare come presupposto necessario dell'attualità della materia la presenza di un fattore immateriale come la forma, causa strutturante, anima quando è forma degli esseri viventi. Sono due piani della realtà distinti e dunque non contrapposti, ma compresenti.
CitazioneNon vedo come queste considerazioni (peraltro per me alquanto scure) possano obiettare alle mie affermazioni.

Se la forma non é identificabile col genoma non so che farci: la biologia spiega scientificamente la vita (e non la coscienza) col genoma e le sue interazioni fisico - chimiche con l' ambiente.

Perfettamente d' accordo con l' ovvia considerazione che "qualunque scoperta operata dalle scienze naturali, nel cui alveo rientra la biologia, sarà sempre una scoperta tesa ad approfondire la struttura delle cose inerente la loro materialità, nonché circa "l'autonomia e l'irriducibilità della metafisica (e della filosofia, non certamente solo artistoletica) rispetto alle scienze naturali".

Non invece con le altre considerazioni ontologiche ed epistemologiche, per me assi oscure (e comunque asserite ma non dimostrate).
#2113
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
10 Gennaio 2018, 13:24:00 PM
Citazione di: viator il 09 Gennaio 2018, 23:24:21 PM
Salve. Per Sgiombo: Dal mio punto di vista non ci siamo : cito da Aristotele via Sgiombo: "l'anima la vedo come una particolare determinazione della forma, la forma costituente l'essenza degli esseri viventi, dunque una forma interiore che spinge l'ente a svilupparsi in una certa direzione, ma non tutte le forme sono anime, la pietra ha una forma, ma non ha un'anima".
CitazioneQuesta non é una citazione (relativa ad Aristotele) mia ma di Davintro, che io ho ripreso per criticarla, evidenziando in che misura sia compatibile, in quale altra incompatibile con la biologia moderna.

Prendiamo una stalattite (od una stalagmite) che venga generata ed accresciuta dallo stillicidio. La sua forma è determinata momento per momento e variabile nel tempo. Essa ha una forma interiore (quella degli strati di sedimento calcareo più vecchi che stanno al suo interno) e tale forma interiore viene continuamente rivestita da nuovi strati i quali plasmeranno continuamente ulteriori nuovi strati esterni.

L'ente stalattite tende a svilupparsi in una certa direzione (soprattutto in verticale!). L'anima (cioè, ribadisco, LA SUA FORMA INTERIORE ED ESTERIORE INTESA COME STRUTTURA FISICA INTRINSECA), della stalattite non si sviluppa per una pulsione interna, bensì perché si appropria di contenuti esterni (il calcare disciolto nell'acqua).
Citazione(A parte il mio totale dissenso dall' impiego qui proposto del concetto di "anima"), infatti la stalattite non é un organismo vivente (non ha un codice genetico che ne guidi "dall' interno", ma inevitabilmente attraverso interazioni causali con l' "esterno", lo sviluppo).

Ed il genoma di che sarebbe fatto, visto che la saggezza popolare dice che "siamo ciò che mangiamo" ? E forse che tutte le trasformazioni e gli accrescimenti del genoma fino alla costruzione di un corpo non avvengono tramite apporto esterno ? E se non fosse così mi si dica, per favore, a quale esatto punto di sviluppo di un embrione l'anima cade dal cielo e con un gran tonfo si insedia nel corpo ???
CitazioneIl genoma é fatto di acido desossiribonucleico, che si replica assemblando in un determinato ordine monomeri i quali ovviamente vengono assunti dagli alimenti (siamo ciò che mangiamo; anche per Feurbach, oltre che per il senso comune)!

Tutto si trasforma ma alcune cose si trasformano così lentamente da sembrarci INANIMATE. Il cambiamento, cioè la diversificazione ed il continuo percorso circolare che transita dalla semplificazione alla complicazione e viceversa, è ciò che fa vivere tutte le cose del mondo, ANIMANDOLE. E ciò che muove tutto questo si chiama entropia, che sarebbe l'anima delle anime del mondo.
CitazioneQuesta é semplicemente una tautologia: tutto ciò che muta, muta.
L' entropia é un aspetto del divenire, una caratteristica dei sistemi termodinamici che, se questi sono chiusi, tende a crescere nel tempo. 

Noi stiamo a contemplare il mondo seduti sulla cima di una montagna e crediamo che la posizione elevata e privilegiata su cui poggiamo possa fare a meno delle pietre che ci sostengono.
CitazioneMai creduto (da parte mia).

O che quelle pietre stiano lì per permetterci di starci sopra, e non avrebbero un loro proprio senso senza di noi.
CitazioneIdem

E' perché, troppo limitati e troppo vanitosi, non riusciamo a capacitarci dell'inimmaginabile percorso della materia e dell'energia che si sono svolte creando galassie, pianeti, mari, monti, organismi, corpi, sistemi nervosi, sensi, psiche, coscienze, menti, astrazione, sentimenti, trascendenze.
CitazioneA me sembra che le scienze naturali spieghino egregiamente gli eventi materiali.
Non così la mente e il pensiero, che sono tutt' altra cosa!
#2114
Tematiche Filosofiche / Re:Relativismo assoluto
09 Gennaio 2018, 14:03:01 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 08 Gennaio 2018, 20:50:42 PM
Citazione di: Apeiron il 07 Gennaio 2018, 12:11:51 PM
Da qui vengono immediatamente fuori tutte le autocontraddizioni della metafisica, la quale, in questo modo, se vuole essere leale, viene a trasformarsi in relativismo.

Ovviamente evito di ripetere inutilmente ancora una volta tutte le obiezioni non confutate mie e di altri (sono leggibili nel forum a iosa), per limitarmi a notare che in questa frase, a mio parere estremamente significativa dell' atteggiamento di chi la scrive, non si critica la -pretesa; e onnicomprensivamente (mal-) intesa come un tutto indistinto- "metafisica non relativistica" per suoi veri o presunti errori, in quanto "errata" o "falsa", ma la si condanna invece moralisticamente come (in quanto pretesa essere) "sleale".

#2115
Tematiche Filosofiche / Re:L'individuo di massa
09 Gennaio 2018, 09:32:22 AM
Penso che nella storia accada un succedersi (non lineare, con anche fasi di regresso) delle classi sociali al potere in una lotta fra loro nella quale ciascuna di esse passa da una fase progressista e rivoluzionaria a una fase conservatrice e poi reazionaria.

Nel caso della borghesia, la sua fase "ascendente" o progressiva, nella quale era portatrice delle istanze emancipatrici della democrazia liberale e dei diritti individuali e personali contro l' aristocrazia feudale, é da gran tempo tramontata e le sia succeduta una fase "discendente" sempre più biecamente reazionaria.

Le stesse conquiste più avanzate sul terreno della democrazia politica formale del XX°  secolo (come il suffragio universale e l' universale uguaglianza dei voti di tutti alle elezioni), nei limiti nei quali sono state realizzate, lo sono state soprattutto per la forza e la lotta della classe "ascendente" del proletariato contro una borghesia (divenuta capitalistica monopolistica transnazionale) che sempre più ha teso e tende ad opporvi la negazione e la distruzione di esse (dai fascismi, alle limitazioni dei diritti sociali e politici, come quello di sciopero o financo di espressione -vedi l' attuale vergognosa campagna contro le "fake news"- alle leggi elettorali sempre più truffaldine, oligarchiche, illiberali, antidemocratiche).

E infatti dopo la caduta del muretto di Berlino, in termini di rapporti sociali e politici, di "nocciolo sostanziale" della vita civile (rapporti di convivenza e potenzialità di sviluppo personale e realizzazione delle facoltà umane e delle aspirazioni più profonde delle popolazioni), e al di là delle caratteristiche più superficialmente visibili e meno sostanziali della vita sociale stessa (quelle che incantano chi non ha sufficiente discernimento e senso critico per vedere la sostanza oltre le apparenze), come il fatto che si viaggia in macchina e non a cavallo o che si scrive col computer e non con la penna, tutto sa tornando a prima della Rivoluzione d' Ottobre in tutto il mondo:

dominio imperialistico e neocoloniale e miseria sempre più diffusa e sempre più nera nella maggior parte del mondo,

e qui da noi fine dei diritti a (ma probabilmente ne dimentico qualcuno):

limitazione dell' orario di lavoro;

riposo festivo;

ferie;

malattia (nel senso di possibilità di curarsi a spese dello stato e non solo se si ha il patrimonio necessario e nel senso di assentarsi dal lavoro senza perderlo);

istruzione;

pensione (e vecchiaia serena e dignitosa nei limiti del possibile);

divieto del lavoro minorile (cosiddetta spudoratissimamente "buona scuola" e lavoro gratuito e obbligatorio degli studenti).

Stiamo ritornando al mondo descritto da Victor Hugo, salvo cose come tagli dei capelli, fogge dei vestiti, divertimenti e svaghi, mezzi di trasporto e di scrittura.

...Solo lo ius primae noctis non potrà essere ripristinato (ma se per assurdo fosse possibile lo sarebbe di certo!) per il semplice fatto che con l' invenzione degli anticoncezionali nessuna giunge più vergine al matrimonio.


Siamo autentici "schiavi al 100% con l' utilitaria e il telefonino ultratecnologico tuttofare (smartphone o qualche altro fantozziano megagalattiphone)" ! ! !

Avete presente i cartoni animati di quando ero ragazzo, quelli degli Antenati ("I Flintstones"), che viaggiavano su macchine e usavano radio e televisori, anche se fatti di pietra e legno, o quelli dei Pronipoti (non mi ricordo come si chiamassero) che viaggiavano su dischi volanti o lungo scale mobili e corsie scorrevoli estese a tutta la città, la terra e gli altri pianeti ma avevano ancora sempre a che fare con capufficio rompicoglioni, mutui da pagare o con figli invaghiti dell' ultimo cantante rock o che non studiavano e prendevano brutti voti a scuola?