Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - niko

#2116
Io credo che la follia del cristianesimo stia tutta nell'anteporre la liberta' alla felicita' .

Siamo all'assurdo per cui l'autemtico perdono per amore, di solito, anche nella comune esperienza umana, prescinde completamente dal pentimento.

Io, comunissimo umano, per amore, se voglio, perdono sia chi mi chiede scusa che chi no; ma Dio, l'essere piu' buono e potente dell'intero cosmo, deve subordinare il suo perdono al nostro pentimento, proponendo una versione annaccquata e condizionata di quello che potrebbe essere un autentico perdono PER AMORE (e non subordinato a delle scuse) perche' altrimenti, se il perdono DIVINO non fosse subordinato al nostro pentimento, noi non saremmo liberi.

La novita' , e intendo la novita' storica e religiosa del cristianesimo, consiste nel proporre un concetto di bene che si compone anche della liberta', e quindi della possibilita' sempre presente e "in agguato" del male.

Ci sono stati moltissimi tentativi di conciliare il cristianesimo con le forme di filosofia ad esso precedente, ma fare il male, nel cristianesimo, significa conoscere il bene e fare il male lo stesso.
Significa il lato oscuro della liberta'. La negazione dell'intellettualismo etico socratico. La conoscenza qui NON determina interamente le nostre azioni, perche' rispetto a tutto quello che si conosce, permane un'impalpabile liberta' di ignorare, e fare come se non si conoscesse.

E' tutto assurdo: Dio ci crea liberi di sbagliare, e di dannarci per sempre, ma potrebbe sbirciare in avanti nel tempo (e' onnisciente) per sapere effettivamente in maniera dicotomica se noi in quanto esseri creati sbaglieremo o no, e in base a questa semplice informazione decidere definitivamente se crearci o no, ma non lo fa.

Crea i giusti quanto i peccatori, mentre non gli sarebbe costato niente, creare un mondo di soli giusti.

Dunque la liberta' di ignorare e il non intellettualismo etico si applica in origine anche a Dio: Dio sospende la sua onniscienza per crearci liberi, quindi la scelta di crearci non dipende interamente da una sua, di Dio, cognizione; e se Dio opera sempre per il bene, la scelta di crearci non dipende da un bene definibile cognitivamente, non dipende da un "bene" per come lo definirebbe, per esempio, un Socrate, o un Platone.

Un mondo tipo utopia tecnologica totalitaria, o uno tipo gabbia dorata, in cui si e' tutti felici per forza e non c'e' niente da scegliere, a Dio non andava bene, non e' questo il SUO, concetto di bene. Che poi possa essere quello di alcuni di noi, uomini, tipo me che sono una zecca comunista e transumanista, non conta molto, perche' e' DIO che ha scelto, non gli uomini.

La dimensione della liberta', e' la dimensione del futuro.

Gli opposti, coesistono nel futuro, in attesa di determinarsi.

"Domani, la battaglia sara' vinta, o non sara' vinta"

"Piovera' , o non piovera' "

Come se nel considerare quello che e' il futuro, noi  fossimo in un vasto spazio, anziche' nel tempo, dove ben puo' piovere e non piovere, in due punti diversi e distanti.

C'e' chi in questa indeterminazione ci vede la morte, la cecita' e il caos, e chi ci vede immensa, e salvifica potenza.

Quella che alcuni chiamano liberta', io la chiamo, molto piu' prosaicamente, indeterminazione.







#2117
Citazione di: Ipazia il 20 Dicembre 2022, 17:17:29 PM@niko

L'unicità della vita individuale è un dato biologico di fronte al quale anche la metafisica si deve inchinare. Il "così volli che fosse" è la sottomissione della volontà, e di tutte le sue velleità di potenza, al fato, che tradotto in soldoni è il percorso evolutivo della nostra specie. Primum vivere, deinde ...

Costruire sul dato biologico una unicità ideologica stirneriana o percorsi di salvezza trascendenti individuali è operazione fallace, ma lo è pure dissolvere, per non dire "annichilire", il soggetto in un divenire totalmente altro da lui. Per le "occasioni", il carpe diem basta e avanza, e ormai è consolidato nel repertorio filosofico.

Con lo "spirito" si deve, bene o male convivere, altrimenti i teisti ti prendono in castagna sulle domande metafisiche fondamentali: da dove veniamo, dove andiamo, che senso - come direzione e valore - ha la nostra vita, ha il mondo, l'universo, cos'è bene e cos'è male, ecc...?

La mia scommessa è rifondare lo spirito sull'immanenza, scansando tanto la reazione confessionale che l'inumanesimo scientista. Una terza via, come piace a Phil.


Cara Ipazia, ben pochi tra gli uomini, (se non proprio nessuno!) vorrebbero la ripetizione esatta della loro vera vita terrena per come essa e' ed e' stata; quasi tutti vorrebbero l'immortalita', o una vita migliore (come si dice, passare a miglior vita!) o trovare un qualche tipo di conforto romantico al male e allo sforzo del loro vivere tra le braccia della morte, o del Nirvana. 

Quello che si vuole in vita, tale e quale si spera di trovare nella tomba o nell'oltretomba, solo un bel po' eternizzato ed amplificato; tutti vorrebbero concretamente stare meglio, ed ecco che il parossismo di questo volere e' il sogno metafisico di andare, dopo morti, in un qualche paradiso; tutti vorrebbero, e a tratti ottengono, una negazione narcotica ed obliante della sofferenza gia' in vita, ed ecco tutti i miti romantici ed ascetici della Morte come grande consolatrice, come angelo della finitudine della sofferenza umana, o come espoliatrice dalla superbia e dal male.

E inoltre, tutti vorrebbero essere unici, tutti vorrebbero vivere nell'occasione, tutti vorrebbero essere resi "speciali" dalla realta' della nascita e della morte, del nutrimento e dell'economia (politica e non); ed ecco tutte le conseguenti morali ideologiche dell'unico. Che confinano con quelle, propriamente emergenziali, della scarsita'.

La volonta' non si sottomettera' al fato mai, perche' volonta' e fato sono la stessa cosa.

Noi vogliamo sopravvivere, e a tratti giochiamo il videogioco che ci passa davanti agli occhi come se avessimo una vita sola, e noi vogliamo vivere, e a tratti giochiamo lo stesso videogioco come se avessimo piu' vite, ovvero costruiamo, pur con tutti suoi difetti, l'umana civilta'.

A partire dal culto dei morti. Che e' la prima apertura della vita alla dimensione del suo stesso non-unico.

Del suo continuo ritorno presso i vivi. Anche solo memorico.








#2118
Citazione di: Ipazia il 19 Dicembre 2022, 17:23:55 PMSottile davvero. L'uno ipazia vive una unica vita, implicandosene assai.

L'amor fati è un'ouverture, non l'intera opera ...

... che spetta all'uno di cui unicamente disponi: te nella tua vita.

L'amor fati dice "così volli che fosse".

Molto più di un'occasione tra tante: un'unica occasione.

Lo faremmo, saggiamente, anche se dovessimo tornarci un'infinità di volte. Per "amor proprio".

Il nulla lasciamolo alle tarantole.

Una funzione ce l'ha, per le tarantole che avvelenano il mondo: tessere la rete della colpa per "ghermirci e nel buio (annichilente) incatenarci."

Colpa de che ?  >:( Al massimo: "debito": il filo di Anassimandro preso a credito dall'evoluzione naturale, che ci concede l'onore e l'onere di un'autocoscienza evoluta.

Un debito certamente da onorare, con l'unico valore di cui assolutamente disponiamo: l'uno che siamo.


Senza stare a farla troppo lunga perche' fuori tema, il: "cosi' volli che fosse" nietzscheano ha a che fare con il recuperare il passato alla disponibilita' della volonta', sotto forma di futuro, per affermare l'ubiquita' del divenire.

Tutto questo e' in rapporto di opposizione, con tutte le morali e le logiche umane, sia pure molto pratiche ed intuitive, che si basano sull'unicita', della singola vita che ci e' toccata in sorte, come assunto e premessa, e poi cercano di dedurne qualcosa, tanto piu' qualcosa di vincolante o morale; e' in contrasto, insomma, con il  concetto di "occasione", e tanto piu' con quello di "occasione unica": non esiste nessuno stato definitivo e non ulteriormente mutevole del cosmo, neanche il presunto, e non reale, stato definitivo di esso che potrebbe essere il passato; quindi non si possono "perdere" le occasioni.

Insomma ogni "morale dell'unico", di cui Max Stirner possiamo dire che e' il culmine, ma di cui anche il cristianesimo di cui parliamo qui e' un esempio, e' gravata dalla paura, e dalla tristezza, irrealistica per una perdita (ad esempio della vita stessa), o dalla minimizzazione irrealistica del dolore della vita in quanto il dolore stesso e' presunto unico (basta sopportarlo UNA volta, e si presume che poi passi), o dalla sopravvalutazione stolta della vita a causa del suo presunto terminare nella morte, o da un economicismo del possibile contro il desiderio, per cui dall' "unicita' dell'occasione" all' "elogio dell'accontentarsi" il passo e' breve: tutte queste morali, NON sono morali dell'amor fati, sono i sepolcri imbiancati contro cui l'amor fati e' gettato; dire che la vita potrebbe essere parte di una serie molteplice, e' un urlo di rivolta contro tutte le morali dell'unicita' della vita: se fossimo davvero convinti di dover vivere, per esempio, altre centomila volte, cambierebbero le nostre paure e avversioni, e quello che prima ci faceva paura,  smetterebbe di colpo di farci paura, e quello che prima ci era quasi indifferente, e ci suscitava al massimo una scrollata di spalle, magari inizierebbe a farci una paura, appunto, cosmica; cambierebbero le nostre priorita', i nostri obbiettivi, la direzione e il contenuto dei nostri sensi di colpa, anche senza necessariamente superarli.

Una morale dell'infinita' della vita, sarebbe molto diversa, da tutto quello che c'e' sotto il sole adesso.

In parole povere, si tratta di partire come premessa dalla "non unicita' ", della nostra singola vita colta in questo suo singolo tracorrere, e di dedurre "qualcos'altro", rispetto a millenni di sagge, ma che ad alcuni strani uomini possono pure andate strette, deduzioni basate invece sulla sua unicita'.



#2119
Citazione di: Phil il 19 Dicembre 2022, 18:13:30 PMSi può avere "fame di infinito" (altra faccia dell'horror vacui) al punto da pensare non infinita la retta del tempo, bensì infinite le volte che percorriamo la circolarità del tempo. Si può pensare di essere un'eternità inconsapevole della propria ciclicità. Quello che si fa fatica a pensare, anche solo ad intuire, è il proprio non esserci più; la biologia stessa ci "programma" per essere attaccati alla vita, tanto che la voglia di non vivere più viene letta da molti come una "malattia", più che una radicalizzazione della padronanza della propria vita (fino a privarsene).
In fondo, la prima salvezza, quella che tutti (o quasi) chiedono a qualsiasi religione, è la salvezza dalla morte. Curioso, ma solo fino a un certo punto, che nessuna religione abbia contrapposto al premio del gaudio eterno e alla punizione della sofferenza per l'eternità, il tertium della mera morte biologica senza un dopo; quasi fosse tabù teoretico il solo pensare ad una spiritualità senza un necessario post-mortem. Questo perché la prospettiva di un'eternità, sia essa premio o punizione (v. comportamentismo elevato alla trascendenza), è quello su cui tutti vogliono "istintivamente" puntare. O meglio, quasi tutti: c'è una "religione" che, in alcune sue diramazioni, propone come traguardo ultimo l'estinzione, la cessazione del ciclo delle (ri)nascite. Tuttavia, non a caso, anch'essa è stata recepita a livello popolare come "promessa di paradiso", mentre "in realtà" (dottrinalmente parlando) il Nirvana è negazione, spegnimento (etimologicamente) dell'"esistenza condizionata", senza più eternità né sete di essa. Al netto delle narrazioni dottrinali e del ruolo etico-spirituale di tale credenza, quella del "sommo traguardo" come cessazione dell'esistenza, se ci si pensa attentamente, è una prospettiva piuttosto disincantata e "oggettiva" della vita; magari non rincuorante per tutti, certo, ma non è detto che la verità debba per forza esserlo sempre.


Se e' per questo esiste tutto un filone annichilazionista eretico nel cristianesimo, dagli albori ai moderni noiosissimi testimoni di Geova.

L'idea alla base e' semplice: se Dio e' giusto ma buono, la punizione che egli riserva ai cattivi e' semplicemente il non-premio: i buoni andranno in paradiso, e i cattivi saranno annientati per sempre.

Nessuno, sara' punito per un male finito con una tortura infinita, il che, se Dio e' un padre buono, ci sta tutto.

In questa concezione, in cui non esiste l'inferno, tutti possono sperare nella morte come realta' che pone fine alla sofferenza umana, il che e' la consolazione minima al male di vivere che tocchera' a tutti; chi vuole di piu', e in particolare chi vuole una consolazione oltre la vita terrena che non sia solo un negativo oscuro della sofferenza ma un esperibile e perenne vissuto di gioia, puo', liberamente, mettersi in cammino per cercare la santita', e dunque il paradiso.

Ovviamente, questa concezione senza diavoloni e tridenti, ma basata sull'interrogare molto piu' seriamente le coscienze di ogni fedele su cosa possa essere di positivo e concreto la gioia al di la' del mero negativo "oscuro" e "larvale" della sofferenza e quanto siamo disposti a sacrificare per ottenerla, non metteva paura a nessuno, e quindi non era adatta a fondarci sopra la Chiesa.

Per questo ha avuto poco successo.




#2120
Citazione di: Ipazia il 19 Dicembre 2022, 08:10:28 AMBasta posticipare il passato all'origine della nostra specie per eliminare il nulla precedente, e limitare il futuro alla morte del pianeta o dell'universo, per porre nell'immanenza il senso, esente da sensi di colpa, dell'avventura antropologica godfree.

Con tutto lo spirituale e la benevolenza necessari ad accettare i fatti così come sono, senza infingimenti metafisici. Amor fati: la forma di amore più spirituale possibile. Dai greci a Nietzsche. Compresi gli orientali.


Amor fati...

Per me significa che vivere in frammento conchiuso di tempo (cosa che e' empiricamente indubitabile: dalla nascita, alla morte) non e' la stessa cosa che vivere una volta sola.

L'uno non e' l'unico.

Non si implicano.

Ne emerge una sottile differenza.

Eterno ritorno... amor fati.

Amare quello che e' unico proprio e specificamente perche' e' unico non e' amare: e' sopportare, tollerare, non vedere l'ora che finisca.

Soprattutto la vita. Soprattutto la propria, di vita.

L'amore e' pazienza infinita, e desiderio, infinito.

L'amore dice:

"Mille volte tornerai da me, e mille volte ti amero'."

Il contrario esatto del valore dell'unico valorizzato in una qualsivoglia relazione, il contrario esatto di una "occasione".

Arrediamo con saggezza il frammento conchiuso di tempo in cui siamo e in cui ci troviamo a vivere, perche' non e' neanche detto che ci dovremo vivere una sola volta.

E dunque... magari non lo so neanche io a favore di che cosa sono, ma sono contro ogni valore salvifico del nulla, come mi e' capitato di dire sia nella precedente discussione sul "distacco", che, tanto piu', in quella su Schopenahuer e l'ascesi.

Il nulla e' nulla, non ha alcuna funzione, nemmeno quella di ritagliare "giuste misure" per il "nostro" tempo.





#2121
A parte le esperienze personali di chi riferisce che seguire Cristo procuri gioia nel presente...

Io, che guardo le cose con interesse filosofico e teologico, perche' cristiano non sono, non posso non notare che nel sistema dottrinario cristiano l'uomo e' un essere eterno e creato; e un essere eterno E creato si distacca dal significato forte della parola eternita' (che potrebbe essere: da sempre e per sempre) per rasentare quello, piu' "debole", della parola perennita' (che potrebbe essere: da ora e per sempre).

Ogni teoria della creazione, dal cristianesimo al big bang, in senso filosofico e' un nichilismo del passato: il tempo "inizia", esiste un istante zero, e quindi esiste un limite assoluto a quanto, a partire da ogni punto, si possa risalire nel passato... che non e' controbilanciato da nessun limite altrettanto assoluto a quanto ci si possa spingere nel futuro.

Chiunque in senso immanente faccia parte di questo sistema, chiunque si incarni nel sistema, e' un essere che puo' al limite aspirare, protendendo al massimo le sue possibilita' e potenzialita', ad essere perenne, ma non gia' mai eterno. Perche' per definizione esso si annichila quantomeno all'istante zero, se non prima. Per ogni anima, per ogni soggetto, c'e' una cesura personale e cosmica all'indietro, che non c'e' in avanti.

La creazione, e con essa la fede, questo tempo infinito gioiosamente, e direi anche un po' incoscientemente, mutilo della sua meta' passata, tanto nell'uomo, quanto nel mondo, diviene la nuova "mensura", dell'uomo, il nuovo compromesso salvifico con la realta' da accettare.

In questo sistema il male, la caduta, e' reversibile perche' il passato conta meno del futuro: il passato digrada da solo nel Dio/nulla.

In ogni punto della "linea semiretta" del tempo di un mondo creato, a prescindere da quanti millenni contenga, il passato e' infinitesimale rispetto a tutte le altre dimensioni del tempo, continuazioni della linea, proprio perche' il mondo e' un mondo creato, e la "mensura" etica imposta ai suoi abitanti senzienti e' quella di accettare con gioia il loro status e ruolo di esseri creati: il bene e' l'atto stesso di confinare il male nel passato, -che e' il luogo del "nullo" in quanto infinitamente piccolo, rispetto a un qualcosa di "grande" nel disequilibrio stesso del tempo- ; e' avere davanti un futuro di beatitudine "eterna" (o meglio, perenne, proprio perche' qui la memoria di morte, la memoria del male, viene eticizzata e dotata di senso: la croce).

Il gaudio dell'essere perenne, e' la gioia perenne, proprio perche' l'essere perenne nasce peccatore e sofferente, partecipa personalmente del nichilismo del passato insito nella sua stessa creazione, oltre che in quella del mondo, e deve conquistarsi la gioia tramite un percorso di trasformazione e purificazione, da cui potra' guardare la sofferenza passata come colma di senso e giusto pegno per la felicita' presente.

L'eternita', intesa come assenza di differenza temporale, come negativo del nuovo, a un certo punto della storia del pensiero, dopo la millenaria gloria a cui l'aveva consegnata la metafisica platonica, comincia ad andare stretta all'uomo; perche' a partire dalla categoria forte di eternita' non si puo' definire il bene come trasformazione del male in bene, non si puo' fare un vero, valevole di per se' e non metaforico, racconto spirituale della salvezza.

L'eternita' non permette di pensare il bene e il male come due termini di una differenza data nel tempo, non permette di umanizzare e calare nella carne viva le storie di miglioramento e di conversione, o di tradimento e degradazione.

Il nesso tra creazione e attesa di una gioia perenne, non potrebbe essere piu' grande. La gioia eterna, il nietzscheano volere a ritroso, che potrebbe virtualmente essere qualcosa di maggiore della gioia perenne, che potrebbe far saltare il banco di tutta la mistica e la dottrina, e' negata dalla realta' stessa della creazione, dalla cesura in un verso particolare del tempo, e l'uomo deve accettare che e' giusto che sia cosi', deve accettare di essere un peccatore in un tempo della prova.

Deve accettare una mistica di comunione, e non una di unione.
Deve accettare di aver gia' perso la battaglia con il passato. E di avere un' unica speranza per quanto riguarda quella con il futuro. 

Speranza ultima Dea. E seconda virtu'.



#2122
La "consapevolezza" (che in altre parole si potrebbe dire anche "pretesa") di immortalita' propria dei cristiani, non fa che confermare, a livello teoretico, il nesso fondamentale tra FEDE e FUTURO.

Cos'e' un essere creato e immortale, (insomma un uomo venuto al mondo e dotato di un' anima indistruttibile, descritto da certa teologia) potrei chiedere, se non un essere che, a partire dalla sua presenza, nel tempo, "occupa" la totalita' del suo futuro (e' immortale), senza poter reciprocamente occupare pero' la totalita' del suo passato (e' pur sempre un ente creato, e ha fatto esperienza, in vita, della nascita)?

Ecco il nesso tra fede e futuro: l'immortalita', (immediatamente propria dell'anima ma che dopo la seconda venuta vale la pena di ricordarlo sara' anche del corpo) che naturalmente e' un articolo di fede, implica lo squilibrio esistenziale per cui gia' in vita si ha (o almeno si crede, se si e' cristiani, di avere) molto piu' futuro a disposizione, per immagginare e concettualizzare la vita, che non passato.

E di questa immensita' di futuro, che ci capita sulla groppa volenti o nolenti (Dio non ci ha chiesto il permesso, prima di crearci immortali, e in realta' non ce lo ha chiesto prima di crearci in generale) bisogna occuparsene come problema, guadagnandosi il paradiso e fuggendo l'inferno.

Paradiso che non e' l'iperuranio platonico, perche' l'iperuranio e' un luogo di prenascita, il paradiso, luogo dove deporre un immenso e sconfinato futuro che non puo' che fare problema per un piccolo uomo, e' un luogo di post morte.

Piu' in generale, avere fede nel futuro significa credere che il male sia non solo emendabile, ma anche, in qualche, appunto, provvidenziale modo, costitutivo del bene; viceversa  avere "fede", per modo di dire, nel passato, cioe' preferire la conoscenza alla fede, significa credere che il male, e gli eventi malevoli della vita, siano irreversibili.

La "follia" del cristianesimo, e' quindi proprio questo pensare alla redenzione, questo pensare che il male sia reversibile.

Tale follia pero' si innesta su un'altra follia, che e' quella della decadenza e del rifugiarsi in un passato autotrasparente ed eterno privo di male e privo di ogni caduta, il mondo delle idee in tutte le sue declinazioni, dato che il male e' posto come irreversibile, che e' il "farmaco" al male proprio degli antichi: da un punto di vista ateo e disincantato come il mio, altrettanto indigesto, di quello che io considero quello cristiano.



#2123
Purtroppo, in una guerra atomica anche solo eventuale, la distanza conta, non è vero, naturalmente, il mito che ormai la tecnologia, spesso spaziale, risolve ed equalizza ogni problema di distanza o di gittata: è vero invece che avere i punti di lancio e in generale di inizio dell'attacco vicino al bersaglio è ancora un vantaggio enorme, così come avere le contromisure e gli "scudi" vicini a dove si suppone che inizierà un attacco nemico è ancora un vantaggio enorme.

Risultato: nessuna superpotenza, comprensibilmente, vuole le armi atomiche nemiche nel cortile di casa. Tanto meno le difese e le contromisure nemiche, visto che il cortile di casa tende ad essere anche un punto di passaggio.

Gli usa al tempo loro l'hanno fatta, la loro chiara e diretta minaccia di guerra nucleare globale quando i sovietici ci hanno candidamente provato, ad armare nuclearmente Cuba, cioè il loro cortile di casa.

Sovietici scoperti con le mani nella marmellata e costretti a ritornare a casa con la coda tra le gambe.

C'è poco da stupirsi di quale sia stata ai tempi nostri la reazione della Russia ad un processo di occidentalizzazione ed europeizzazione che a lungo termine avrebbe portato ad un'Ucraina ad essa ostile e armata nuclearmente.

Ognuno difende il suo, di cortile di casa.

Ma so che Eutidemo non sarà d'accordo e non mi va' di fare polemica.

Anche io sono contrario a tutte le guerre nucleari, e credo che il conseguente disastro colpirebbe anche i paesi non coinvolti mettendo a rischio la sopravvivenza di tutti gli esseri umani.

Davvero una cosa da evitare a tutti i costi.

#2124
Citazione di: InVerno il 12 Dicembre 2022, 13:39:33 PMNon mi riferivo a nessuno in particolare, ma colgo l'occasione - in ritardo - di darti il bentornato. Vedo a proposito che sei rimasto saldo sui tuoi cavalli di battaglia, potrei anche essere d'accordo con te, salvo che questo accade perchè la mia definizione di "fede" (e religione) è antropologica, non teologica. Ho parecchie riserve sul come riesci a far tornare il tuo ragionamento usando una definizione cattolica (che io sappia, Ebrei 11) ma immagino siano problemi di lana caprina. Piuttosto sono deluso dal fatto del non essere riuscito a provocare una risposta riguardo al politeismo cristiano. Tu come ti rapporti , ad esempio, con la Madonna, e hai dei santi preferiti che intercedono per le tue preghiere? Saluti.



Posto un video che spiega al di là di ogni dubbio perché il cristianesimo, (a parte le opinioni personali che in senso spirituale sono sempre legittime) sia un monoteismo.

Il video è di un prof di religione.

La questione è che se gli dei sono tanti, si limitano in potenza e in sfera di influenza tra di loro, tornando così a somigliare in qualche modo a degli esseri naturali, simili agli uomini, ma immortali, beati e potenti, mentre un dio unico ha potere infinito, non è limitato da enti finiti e anzi li crea, quindi è intrinsecamente sovrannaturale, e onnipotente.

La questione è proprio che l'uomo intuisce bene che la natura è molteplicità, è il regno della moteplicità e dei vari enti finiti che nel loro nascere e perire si limitano tra di loro, quindi un dio posto al di sopra della natura e definito per differenza e per differimento con la natura, è invece praticamente sempre immaginato come un dio uno e unico.

Nelle religioni monoteiste non troviamo teogonie, insomma Dio è non solo perenne, ma proprio eterno, quindi non nasce, quindi non esiste un racconto di come nasca Dio, solo un racconto di come nasca il mondo ad opera di Dio. Mentre nelle religioni politeiste, i racconti di come nascano gli dei e come nasca il mondo, si intrecciano e si continuano tra di loro, perché non esiste una differenza assoluta tra le due entità, dei e uomini, e quindi nemmeno tra le due possibili "nascite".

Nelle religioni monoteiste, il Dio unico offre salvezza e dà un senso al mondo, nelle religioni politeiste la salvezza è una questione che si pone al di là degli dei stessi, e implica la magia, l'etica, la politica e la memoria collettiva specificamente umana, e in uno stadio tardo e avanzato, anche la filosofia.

https://www.youtube.com/watch?v=X4jiS5IgWml



#2125
Tematiche Filosofiche / Re: SOLIPSISMO 2
14 Dicembre 2022, 12:44:06 PM
Citazione di: daniele22 il 13 Dicembre 2022, 18:23:24 PM
Ciao niko, intervengo perché mi sembrava che il tuo post fosse diretto a me, più che a Pio, comunque Pio può benissimo sentirsi parte in causa, non so. Il tuo discorso non mi sembra più di tanto sensato. Intanto parli di mente sempre dimenticando il corpo. Riguardo al punto 1 non ti sembra che un semplice individuo come E.Musk faccia già quel che vuole abbastanza senza peraltro sapere se si tratti di un solipsista? Forse dovrà accontentarsi di essere un Dio tra altri Dei, ma si dice che chi si accontenta gode. Al punto 2 fai entrare in scena la volontà di cui parlerò più avanti. Ti dirò quindi che il solipsismo è solo un modo di approcciarsi alla conoscenza rispetto ad un altro. Non vi sarebbe nulla di più. O separi il conoscitore da quel che conosce, o non lo separi. Pertanto, visto che almeno nella nostra tradizione abbiamo sempre agito separandolo (il conoscitore dal conosciuto), possiamo ovviamente constatare che i prodotti della nostra conoscenza attuale sono nelle nostre mani, perfettibili ma abbastanza efficienti mi sembra. Ora si tratta di decidere se sia il caso di introdurre l'individuo con la sua conoscenza personale integrandolo con la nostra conoscenza collettiva, oppure no. Cosa cambia? Prima di dire cosa cambia ci sarebbero da fare un paio di osservazioni. La prima è un distinguo tra la conoscenza collettiva e quella individuale. Il distinguo è rivolto alla qualità e non all'adeguatezza o alla quantità. La seconda riguarda la volontà. Per quel che attiene alla volontà bisogna pur dire che tu eserciti più o meno costantemente una volontà: pochi sarebbero cioè i momenti di completo abbandono. Pertanto, quando scrivi qui dentro eserciti una volontà che di sicuro è quella che ti fa digitare i pensieri, ma non è che l'espressione di questi pensieri sia avulsa da una volontà che a noi è senz'altro sconosciuta in tutto e per tutto. E' però cosa certa che quel che scrivi attinge ad una conoscenza, ma questa conoscenza a cui attingi è appunto qualitativamente identificabile con la conoscenza collettiva? No, dico io, qui si tratta di una conoscenza costituitasi su una memoria personale che è al tempo stesso emozionale e razionale, mentre la conoscenza collettiva resta praticamente nei campi di esistenza della sola memoria razionale. Dato che qui siamo in un luogo dove sembra ci sia poco da guadagnare, sia in termini di danaro che di potere, il problema più di tanto non si pone, ma in altri luoghi? Evidenzio quindi un problema abbastanza attuale. Come fai a distinguere una persona onesta nella sua azione o nella sua espressione di pensiero, da una disonesta? In parole povere, quanta vita collettiva è inquinata da coscienze o conoscenze individuali che non agiscono in modo onesto, ovvero agiscono conformemente alle leggi, ma non conformemente all'etica di una persona per bene in tutti i sensi? Per tale motivo io auspicherei che il conoscitore sarebbe meglio integrarlo nel conosciuto, e vedere così da fuori l'unità criticandola sotto una nuova luce, tutto al fine di intervenire in modi più efficaci per noi nella nostra cara realtà umana



Ciao, non posso dirti altro che il vero solipsismo come posizione filosofica si colloca al di la' di ogni possibile distinzione o integrazione tra conoscente e conosciuto, poiche' essa afferma l'esistenza -certa e certificabile- del solo conoscente.

Il conosciuto, e quindi l'altro dall'io, resta in un limbo di pura fenomenicita' ed effettualita' in cui potrebbe anche non esistere; per questo questa posizione e' considerata estrema, e spesso anche criticata in senso etico, poiche' molti si aspettano che il solipsista, proprio per il suo essere solipsista, debba necessariamente essere anche in un certo qual grado superbo, ed egoista (se io "creo" il mondo, in qualche modo io sono Dio, o comunque il centro e il punto di emanazione del mondo: gli altri non esistono, se non al massimo come ombre e fantasmi).

Forse tu fraintendi quello che chiami "solipsismo" per una molto piu' moderata, e diffusa, posizione soggettivista, o spiritualista, in cui, appunto l'integrazione di conoscente e conosciuto e' POSSIBILE, perche' si parte dal presupposto che il conosciuto ESISTA, o quantomeno, SUSSISTA (Heghel, Kant, Cartesio eccetera).

In questo caso sarebbe solo questione di termini, e sul forum saresti in buona compagnia.

#2126
Tematiche Filosofiche / Re: SOLIPSISMO 2
13 Dicembre 2022, 17:10:38 PM
Citazione di: Ipazia il 13 Dicembre 2022, 16:17:55 PML'io solipsistico può ritenere la sofferenza umana come una illusoria proiezione della sua mente, al pari della felicità umana.j Vana ogni ricerca di senso in questa proiezione cinematografica in cui tutto si equivale e diventa reale solo nel regista dello spettacolo: l'io solipsistico.

Forse qui non si e' capito che non si tratta solo di un film: il termine "proiettare", ai fini di questo discorso, significa "essere causa".

Nel solipsismo, l'io ha piu' realta' del mondo perche' l'io e' causa del mondo, e non vale il viceversa.

Questa, e non un'altra, e' la nostra premessa, naturalmente se vogliamo argomentare per assurdo che il solipsismo valga.

Ora, io penso che nessuno, potendo scegliere, sceglierebbe quel fritto misto di felicita' e sofferenza che e' mediamente la vita.

Tutti, potendo scegliere sceglierebbero la perfetta felicita'.

Quindi, se io proietto il mondo, e il mondo mi rimanda il misto di felicita' e sofferenza, se proprio mi incaponisco e per qualche ragione non voglio scartare l'affermazione di base che:

"io proietto il mondo" (quindi ne sono unica causa)

devo mio malgrado ammettere che non ho il controllo della mia stessa proiezione, insomma che  io si' proietto il mondo, ma un po' a casaccio, con dei notevoli errori di sistema che creano problemi non solo ai personaggi di finzione con cui l'ho popolato, ma finanche a me che ne sono il "regista", non come lo farebbe un dio onnipotente e beato.

E' per questo che io trovo l'ipotesi del solipsismo estremamente inquietante.

Se uno la guarda bene, in fondo non e' un'ipotesi paranoica, di controllo sopra ogni cosa, ma angosciosa, di assenza del controllo.

Io proietto un mondo che non e' quello che voglio. Quindi al mondo non c'e' nessun altro che me, a cui domandare il perche', di questa strana differenza, intercorrente tra volere e realta'.

Tanto che potrei dubitare di essere trasparente a me stesso e di avere in me una volonta' univoca in grado di risolversi nel decidere qualsiasi cosa, pur mantenendo il potere "sommo" di proiettare, come la causa l'effetto, il mondo.


#2127
Tematiche Spirituali / Re: Distacco
13 Dicembre 2022, 15:21:26 PM
Senza essere troppo polemico o filosofico, non posso non fare osservare che, all'atto pratico, il

"rinunciare alla propria volonta' "

Significa:

"Consegnarsi alla volonta' dell'altro".

C'e' sempre qualcuno, in giro, disposto a predare, e a strumentalizzare, e a fare proprie, le volonta' che si sono fatte nulle.

Non c'e' proprio bisogno, di invocare Dio, per capire questo punto. Basta guardarsi in giro in qualsiasi ambiente e panorama umano.

Di qui la mia polemica, che vuole far emergere "semplicemente", la (quasi) assoluta sovrabbondanza di tutto il contesto religioso, ascetico, Eckarthiano e metafisico del discorso, laddove di esempi lampanti di volonta' dell'uno che, volenti o nolenti cedono alla volonta' dell'altro e vi si consegnano, ne e' gia' pieno lo scenario urbano, politico ed economico umano.

Schiavitu', amore, inganno, lavoro, politica, istruzione, fondazione.

E tutte le loro introversioni in forma di autodisciplina e autocontrollo: la grecizzante "enkrateia", laddove un corpo umano diventa sempre in un modo o nell'altro automa e servitore di una mente umana, che puo' ben essere la sua stessa, psicosomaticamente ad esso legata, in nome di un qualche, a volte anche molto mondano, "bene superiore".

Che ne e' dell' "utilita' ", del valore aggiunto ed eticizzabile di un Dio, laddove gia' in natura funziona perfettamente, per chi lo vuole e lo sa vedere, un meccanismo grande e terribile per cui gia' ogni vita puo' essere Dio, anzi Dea, all'altra?

Il fatto che ad una nullificazione interiore di volonta' attuata con sforzo non possa che conseguire un subentrare, "per grazia ricevuta" di una nuova volonta', divina che sia o no;

il fatto che chi NON e' una volonta' -attiva- in una data situazione allora e' nient'altro che un VOLUTO, nel migliore dei casi un ben-voluto, un oggetto di volonta' (il "servo" di Dio, o di chi per Lui), cosa dovrebbe suggerirci, se non il contrario esatto della premessa da cui il trend e' partito, e cioe' che noi non possiamo essere altro che volonta', e che l'essenza profonda del mondo, e dell'uomo, e della vita, e' -proprio- volonta' ?





#2128
Tematiche Filosofiche / Re: SOLIPSISMO 2
13 Dicembre 2022, 12:51:17 PM
Citazione di: Pio il 13 Dicembre 2022, 00:40:34 AMMa è un problema dell'onda l'esistenza della sofferenza non certo del mare. Quello che all'onda appare come male può essere semplicemente il modo necessario di manifestarsi del mare.

Forse sono stato troppo lungo e non chiaro...

Sostanzialmente il solipsismo si puo' intendere in due modi, quindi, possiamo dire ci sono due tipi di solipsismo: o (1) io proietto il mondo come un Dio gnostico o biblico, quindi secondo autocoscienza E secondo volonta' , facendone di fatto un sogno lucido in cui io decido cosa succede e chi incontro, oppure (2) io proietto il mondo si', ma come un semplice e scalcagnato IO (tipico di certa filosofia moderna da Cartesio in poi), cioe' in qualche modo lo proietto SOLO secondo autocoscienza, in maniera "meramente" proiettiva ed illusiva, con la volonta' che resta sullo sfondo e puo' ben essere frustrata, lasciando spazio all'implicazione della sofferenza.

Ora, la 1 la si scarta subito perche' chiunque con un minimo di sale in zucca puo' constatare che lui non e' onnipotente e beato  come il Dio biblico: al mondo c'e' la sofferenza, e lui stesso soffre.

Con cio', fine del solipsismo del Dio, resta solo da analizzare il solipsismo dell'io.

La 2 e' aporetica, nessuno puo' dimostrare ne' che sia vera, ne' che sia falsa.

Pero' e aporetica ed inquietante, perche' io, proiettando il mondo a prescindere dalla mia volonta', sono RESPONSABILE, di tutta la sofferenza che c'e' nel mondo, e della mia sofferenza; se il mondo e' interamente e senza residuo proiezione dell'io, e l'io soffre, e l'io non sa e non "ammette" di voler soffrire, allora ci sono parti e frazioni dell'io, altrettanto proiettive del mondo, ma non manifeste e non espresse, che in qualche modo vogliono soffrire e lo fanno soffrire.

Insomma se al mondo ci sono solo io, la sofferenza non si spiega in altro modo se non che von una mia responsabilita' personale, per quanto non volontaria.



#2129
Tematiche Filosofiche / Re: SOLIPSISMO 2
12 Dicembre 2022, 21:58:15 PM
Il solipsismo come posizione filosofica, secondo me e' intrinsecamente sconfessato dall'esistenza, al mondo, della sofferenza, la quale rappresenta un fallimento, se non della MENTE, quantomeno della VOLONTA'.

Se il mondo fosse una creazione balzana e stravagante del mio io/ego, sicuramente lo creerei e lo "proietterei", sullo schermo della mia stessa mente, conforme ai miei personali gusti e desideri, e finanche criteri di perfezione, come quando, in un sogno, accortici di stare sognando, riusciamo a modificarne i contenuti e i dettagli, facendo in modo che il sogno si svolga sempre piu' o meno come piace a noi.

Il fatto che al mondo non solo ci sia in generale sofferenza, ma ci sia anche proprio la mia personale sofferenza, cioe' la mia volonta' in gran parte frustrata e inappagata, gia' di per se' dimostra che il mondo non e' un sogno lucido, non e' una creazione diretta della mia volonta'.

Quindi delle due, l'una:

1 o al mondo c'e' altro rispetto al mio io/ego, che non e' tutto ma frammento piu' o meno esiguo del tutto, e non ha potere indefinito e illimitato di plasmare il mondo

2 o il mio io ego, che pure ha in se' il potere di proiettare il mondo, ha parti segrete di se stesso che vogliono soffrire, ed entrano in contrasto con le parti manifeste, che invece non vogliono soffrire.

Penso che, stando cosi' le cose, la stragrande maggioranza delle persone sane di mente sceglie la 1, abbandonando completamente l'ipotesi del solipsismo.

Comunque esiste, e non si puo' negare, anche la possibilita' 2, che porta direttamente nel cuore dell'io onnipotente e protettivo e delle sue reali caratteristiche e proprieta' la "molteplicita' " negante il solipsismo, che di solito l'opinione comune individua invece nel mondo "esterno",  lasciando cosi' intatta l'ipotesi del potere protettivo dell'esistenza in un mondo nullo se non fosse per il soggetto.

Insomma o l'altro dall'io, l'oggetto per il soggetto,  porta nel mondo la sofferenza, o le parti inespresse del mio io, le istanze segrete di un se' di fatto onnipotente ma conflittuale, portano nel mondo la sofferenza.

Comunque, come da prima nobile verita' del buddismo non si puo' negare che la sofferenza al mondo c'e', e quindi il solipsismo come ipotesi si adombra e si incrina, non come solipsismo della percezione/mente, ma a livello molto piu' essenziale e profondo, come solipsismo della volonta'.

La sofferenza qui intesa nella sua realta' dinamica di differenza e dilazione tra desiderio e realta', insomma come immediatamente manifesto altro-dalla volonta', e quindi, sinteticamente e antropicamente, come altra-volonta'.



#2130
Tematiche Spirituali / Re: Distacco
11 Dicembre 2022, 22:05:52 PM
L'unico modo di non essere una volonta' e' essere un capo chino ad una logica di gregge e di pastoreggiamento di qualche tipo; l'unico modo di non essere una volonta' e' essere un voluto.

L'uomo, animale sociale per eccellenza, aime', ci riesce benissimo.

A farsi volere, dico.

Ad essere il voluto della volonta' di altri, e perduti, uomini.

Non a vivere la preesistenza logica dell'affermazione sulla negazione come fosse una preesistenza anche temporale.

Non a fare storia.

Non a cominciare adesso.

Non a farsi amare.