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Messaggi - Phil

#2131
Tematiche Spirituali / Re:Idoli e superstizioni.
16 Gennaio 2017, 21:05:59 PM
Secondo me, al contrario, la realtà evidenzia ancora di più la differenza fra una metafora ed un'entità superiore: non credo sia il caso di indugiare sulla radicale differenza fra le problematiche/tematiche connesse al dio religioso (esiste autonomamente, detta legge, infonde amore, crea e distrugge cosmi, è eterno, etc.) e quelle del dio metaforico (che fuor di metafora, non è affatto un'entità, ma solo una priorità individuale radicalizzata, che in quanto tale non ha la minima rilevanza teologica, ontologica, escatologica, etc.).
Se non si mette bene a fuoco il confine della metafora, allora certo che l'ateo non è più tale, ma solo un "diversamente religioso", così come parlare del "dio denaro" diventa teologia, e dire che "il giardinaggio è la mia religione" diventa una professione di fede  ;D

P.s. Non a caso, gli "idoli" di Bacone (che forse hanno inaugurato una moda linguistica) erano definiti tali solo metaforicamente, giusto?  ;)
#2132
Tematiche Spirituali / Re:Idoli e superstizioni.
16 Gennaio 2017, 16:34:17 PM
Come già accennato da InVerno, la divinità può essere usata come metafora ("dio") o come entità superiore di una religione ("Dio"), e la differenza di prospettiva fra il credente e il non-credente, per me, è tutta in quella distinzione...
#2133
Citazione di: Apeiron il 15 Gennaio 2017, 17:19:16 PM
Detto questo Sariputra se per "atman" intendi identità allora per la filosofia occidentale "ente=atman". Prova con questo criterio e usalo nello studio degli "occidentali". D'altronde per dire "questo è" bisogna che "questo" abbia un'identità. Quindi l'ente è tutto ciò che ha identità.
Come ricordato in precedenza, per l'Occidente anche un'idea è un ente (di pensiero, astratto, ma pur sempre ente); l'identificazione di enti puramente concettuali è compatibile con "ente=atman"? L'atman può essere solo un'astrazione logica? Credo di no, ma non sono sufficientemente pratico d'Oriente per rispondere...

Citazione di: Apeiron il 15 Gennaio 2017, 17:19:16 PM
Con questo vorrei quindi che prima di parlare di enti si chiarisse la definizione di parola. Io l'ho appena data e mi sembra "ovvia". Se non chiariamo i significati delle parole, allora cadiamo nell'equivoco.
C'ho provato  ;)
Citazione di: Phil il 13 Gennaio 2017, 13:19:24 PM
In generale, l'ente è un "qualcosa che è", ovvero una qualunque identità di cui si può predicare qualcosa [...] sui problemi dell'identificazione e della predicazione si è già discusso parlando di navi in manutenzione
Citazione di: Phil il 13 Gennaio 2017, 22:49:41 PM
radicalizzando, potremmo dire che l'ente è il soggetto grammaticale di ogni proposizione. Questo spiegherebbe perchè si può parlare anche del "non-essere", del "niente" e del "nulla", in modo perfettamente logico e coerente

P.s.
Citazione di: davintro il 15 Gennaio 2017, 18:02:50 PM
sapere eidetico, universalistico, vale a dire filosofico. La trascendenza dell'Essere sulla realtà coincide con la trascendenza e l'autonomia della filosofia rispetto a tutte le altre scienze. La rinuncia della possibilità di una speculazione razionale sull'ente, e sull'Essere non sarebbe solo la fine dell'ontologia, ma la fine della filosofia tout court come sapere portatore di un senso peculiare
Forse la fine della ontologia e della metafisica trascendentalista non è la fine della filosofia, ma un suo sviluppo ("evoluzione" sarebbe termine adeguato?) che consente alla filosofia di dialogare meglio con le altre discipline... il "senso peculiare" della filosofia, dopo il '900, non credo possa più essere "la ricerca dei principi primi" o "la fondazione del vero" o "l'indagine dell'essere"; se è una disciplina viva, deve adattarsi (darwinianamente  ;D ) al cambiamento del suo habitat (lo scibile umano), altrimenti resterà "antiquata" (e "antiquaria" come diceva un baffuto filosofo tedesco...).
#2134
Citazione di: Sariputra il 15 Gennaio 2017, 01:11:02 AM
Ora, se un ente non appare mai, in nessun momento, identico a se stesso, come si può affermare che "è" ( ossia immutabile, permanente, duraturo, fisso, sostanziale, ecc.)?
Si può soltanto perché l'ente-logico non è l'ente-reale (quello perennemente cangiante di cui parli). La realtà e il tempo indubbiamente scorrono, ma le convenzioni (il linguaggio, la logica, le leggi in genere, etc.) conoscono invece lunghi periodi di immobilismo, di stasi, di cristallizzazione... e ciò è possibile grazie all'astrazione, capacità di creare "nicchie formali" fuori dal tempo e dalla realtà empirica (per questo possiamo parlare di certe navi, anche se poi, con il passare del tempo, approdiamo al problema di stabilire che navi siano, di chi siano, etc.).

Citazione di: Sariputra il 15 Gennaio 2017, 01:11:02 AMNon sarebbe più logico, semplice e intuitivo dire che "esiste nel divenire", o per meglio dire che "diviene esistendo"?
Già, ma chi "diviene esistendo"? Bisogna pur usare un soggetto logico-grammaticale, e l'unico plausibile è una pseudo-identità-stabile: "Sari diviene esistendo", ma cosa si intende con "Sari"? Un ente... un ente immutabile? Si, un ente immutabile per la logica, eppure allo stesso tempo, no, perché è un ente che in realtà muta istante dopo istante (è mutato al punto da passare da utente pre-storico a utente "storico" ;D )
Tutto scorre, è vero, ma purtroppo non abbiamo una ragione-logica che sappia assecondarne in tempo reale il flusso, per cui il modo più semplice di parlarne (ma non di viverlo) e fare finta che ci siano identità durature...


Citazione di: cvc il 15 Gennaio 2017, 12:12:59 PM
Il mondo descritto da Severino è razionale come può esserlo un circuito stampato di un computer: è logico e razionale ma manca l'esperienza. In Severino manca il vissuto
Infatti se colleghiamo quel circuito al flusso della corrente (temporale), va in cortocircuito e fa scattare subito il "salva-vita" (quel dispositivo di ragione che tutela la vita in quanto vissuto), anche se il buon Severino interpreta i segnali di fumo dei contatti bruciati (dal flusso vitale) con categorie mistico-estetiche...
ovviamente scherzo, che i severiniani non mi prendano troppo sul serio  ;)
#2135
Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 23:34:02 PM
la premessa di base della logica espressa nella formula A=A è pertanto una verità presunta, non dimostrata. Penso possa essere definita come una verità di tipo intuitivo, infatti  intuiamo che un cane è un cane e non certo un asino. Questa intuizione però, che è vera certamente, è condizionata e non esclude altre intuizioni quali per l'appunto: A non è A, pertanto A, la realtà esistenziale nel tempo dell'ente cane.
L'impermanenza non può essere tradotta "al volo" in forme logiche permanenti (l'ambizioso isomorfismo logico neopositivista), il linguaggio arranca sempre dietro allo scorrere del reale, restando sempre un passo indietro... l'assioma A=A è fuori dal tempo, ma il tempo umano non ha "realmente" un fuori (e ciò la dice lunga sulla fallibilità del linguaggio). E aggiungendo quantificatori temporali, rimane comunque arbitraria e "ritardata" (fuori sincrono) la loro esatta quantificazione: At1=At1, At2=At2, etc. ma in quell'"uguale", c'è tutta l'inafferrabile transitorietà dell'"è" pensato al presente: nel momento in cui lo dici è già passato, e anderebbe verificato di nuovo (se invece lo poni nel futuro, non puoi affermalo perchè non hai potuto ancora verificarlo...).
I principi della logica (assiomi non dimostrabili all'interno dello stesso sitema che fondano) servono per poter parlare e, nella migliore delle ipotesi, ragionare correttamente, ma tale correttezza è "formale", quindi permanente, quindi astratta (alienata?) dall'impermanenza dell'accadere. Sostenere "A è anche Non-a, e proprio per questo può essere A"(cit.) probabilmente allude proprio alla temporalità fluente in cui "A" è in potenza anche "non A", ovvero "A" è la causa presente del suo successivo essere "non più A" (così come è stata effetto del suo precedente essere "non ancora A").
#2136
Citazione di: maral il 13 Gennaio 2017, 22:37:05 PM
ma se per lui non è l'ultimo cosa c'è per lui dopo, dato che non saprà mai di essere morto?
Non può sapere di essere morto, ma ciò non toglie che lo sia: per lui, ex-vivente, non c'è un dopo (su questa terra...); tutto qui  :)

Citazione di: maral il 13 Gennaio 2017, 09:56:33 AM
qui non partiamo da un arbitrario presupposto di eternità, ma dimostriamo che l'eternità è l'unica coerenza logica possibile, poiché nascere e morire si dimostrano contraddizioni logiche (per concepirsi nati e morti infatti bisogna essere prima della propria nascita e dopo la propria morte, che è assurdo poiché autocontraddittorio
La nascita e la morte non sono "contraddizioni logiche" ma semmai "esperienze impossibili per la propria coscienza"; attenzione a non confondere la-mia-esperienza-del-mondo con la-logica-intersoggettiva-con-cui-il-mondo-viene-interpretato: se non posso esperire la mia nascita significa che non sono mai nato? Se non posso esperire l'esperienza di un parto, significa che è impossibile partorire?
Forse la vera contraddizione è pensare che ciò di cui non ho percezione o esperienza non esista o non sia possibile ("contraddizione" poichè ogni nuova esperienza o vissuto falsifica questo bislacco assioma).

Citazione di: maral il 13 Gennaio 2017, 09:56:33 AMIn altre parole l'ente non nasce e non muore non perché lo abbiamo presupposto eterno, ma è eterno perché logicamente non può né nascere né morire. E' sempre presente, che è esattamente anche quello che fenomenologicamente constatiamo partendo da quello che sentiamo.
Sentiamo che gli enti sono eterni? Sentiamo l'eternità? Ma se è eterno come facciamo a... abbi pazienza, ma purtroppo i miei sensi sono davvero scadenti, l'eternità è decisamente fuori dalla loro portata... non riesco ancora a spiegargli che i funerali non hanno senso perchè gli enti nelle bare in fondo non possono morire  ;D
#2137
Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 21:44:12 PM
mi pare più complesso definire cos'è quel qualcosa che c'è. Ossia definire la natura dell'ente che poi è proprio la domanda nel titolo della discussione. Osserviamo che ogni ente è formato da innumerevoli altri enti, a sua volta formati da altri innumerevoli e così via.
Come accennavo, per me rimane sempre una questione soprattutto linguistica: radicalizzando, potremmo dire che l'ente è il soggetto grammaticale di ogni proposizione. Questo spiegherebbe perchè si può parlare anche del "non-essere", del "niente" e del "nulla", in modo perfettamente logico e coerente: se posso farli funzionare come soggetto di una proposizione, allora ne posso parlare, e allora possono essere enti di pensiero-discorso logico. Ovviamente la proposizione più importante è quella che definisce tale ente ("l'ente x è bla bla bla..."), proposizione che solitamente riteniamo implicita nel comun parlare (e questo crea spesso problemi di malintesi e fraintendimenti).
Un ente può essere suddiviso in altri piccoli enti "minori" (costituenti l'intero)? Si tratta solo di trovare una parola per questi enti di "secondo livello" e il gioco è fatto; possiamo parlare logicamente anche di loro...

Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 21:44:12 PMCiò che non-è non è possibile nemmeno pensarlo; come può allora essere una parte della realtà? Non-essere, per Parmenide, è pertanto impossibile.
Eppure proprio il buon Parmenide dice "il non essere non è, e non può essere" dando una definizione del non-essere, quindi parlandone, e quindi rendendolo perfettamente pensabile e "ragionabile". Si tratta di discernere fra l'essere-empirico (e in quel caso chiaramente il non-essere-empirico è impossibile da "incontrare") e l'essere-logico (che invece appartiene anche a enti non vincolati dalle leggi dell'esistenza sensibile).

Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 21:44:12 PMIl corollario di questa affermazione è l'impossibilità del cambiamento, dato che il cambiamento comporta tanto l'essere che il non-essere. Per es. quando A cambia in B, A non esiste più. Come si può pensare una siffatta contraddizione? [...] Se è questo il caso, non è certo un caso di "divenire". Parmenide , da quel poco che ho letto, è costretto a concludere che da un essere può venire solo un essere, che nulla può diventare qualcos'altro
La netta divisione dei due enti, A e B, preclude il divenire in modo capzioso: se A è il giorno e B è la notte, non avremmo problemi ad affermare che il giorno diventa notte, senza nessuna contraddizione logica... perchè quello che definiamo "giorno" e "notte" sono strettamente connessi da una continuità spazio-temporale che la logica parmenidea non contempla: o luce o ombra (la penombra, il crepuscolo non esistono in quella logica). Ma A non diventa B in un batter d'occhio (così come A non genera B in un giorno, talvolta ci vogliono almeno nove mesi di graduale gestazione  ;) ): A diventa Ab, poi AB, poi BA, poi Ba poi rimane solo B (fermo restando che permane il problema di definire arbitrariamente cosa intendiamo esattamente per "A" e cosa intendiamo esattamente per "B"). La logica parmenidea vedeva il bicchiere o pieno o vuoto, e guai a prenderne un sorso, altrimenti Zenone avrebbe sostenuto comunque che era impossibile finire tutta l'acqua del bicchiere  ;D

P.s.
Citazione di: maral il 13 Gennaio 2017, 22:10:01 PM
Non scoraggiarti Sari, l'ente non è mai niente (e non tanto perché non è numerabile, mi pare, dato che di enti non numerabili ce ne sono tanti e forse nessun ente lo è propriamente, a parte forse quegli enti che sono appunto i numeri)
Per enti "numerabili" intendevo semplicemente che è possibile contarli (a differenza del niente), magari quantificandoli in modo grossolano con "infiniti" (come nel caso dei numeri); non capisco a cosa alludi affermando "di enti non numerabili ce ne sono tanti e forse nessun ente lo è propriamente"... potresti fare qualche esempio di ente che non possa essere contato?

P.p.s.
Ahimè, devo declinare l'invito al banchetto per motivi di salute (influenza... e non vorrei fare l'untore! A proposito, spero che il tuo pc abbia l'antivirus  ;D ). Porgi i miei saluti ai due "enti femminei" che abitano la Villa...
#2138
Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 16:32:05 PM noto pure una certa divergenza d'opinioni ( o almeno a me pare tale...) tra voi stessi. Infatti Phil afferma: "Un ente non è un niente, poichè l'ente è numerabile, contabile, identificabile, il niente invece no." Al che Maral insinua invece che: "l'ente è, anche quando è quel particolarissimo ente che dice di sé di non essere ente, ossia di essere niente, un vero satanasso."
La questione funambolica del dire cammina fra assenza e presenza: un ente che, come ricorda Maral, "dice di sè di non esser niente", proprio in quanto parla, non è certo niente, ma è qualcosa, e addirittura qualcosa di parlante, per questo si rivela "un vero satanasso" (cit.).
Il niente "onesto", quello che non bara con subdoli indovinelli (come farebbe un uomo che dicesse "sono morto!"), a differenza degli enti, non ha un plurale (nienti?!), non può essere contato (due nienti, tre nienti, etc.) ma non è nemmeno singolare... perchè per essere singolare dovrebbe essere qualcosa, invece è niente. 
Allora come mai ne stiamo parlando? Perchè il niente esiste come concetto (grammaticalmente singolare), esattamente come l'assenza (che giustamente chiamavi in causa), per cui possiamo predicarne qualcosa, ma senza individuarlo in un'identità positivamente esistente

Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 16:32:05 PMAllora avevo ragione quando affermavo che, se tutto è ente, lo deve essere anche il niente! Se ogni cosa che posso citare è un ente, lo è anche il niente visto che posso citarlo.
Esatto, il niente è qualcosa (!) di cui si può parlare, ma solo in quanto assenza di enti, per cui è in fondo un pseudo-ente, un ente concettuale-linguistico che tuttavia non ha contenuto (un po' come l'assenza non è una forma di presenza, ma la mera negazione della presenza... e declamare che "la presenza della tua assenza mi riempie di un vuoto che trabocca" è decisamente poco logico, per quanto possa suonare enfatico e significativo...).
L'ente è sempre presente a se stesso (sia esso un oggetto, un'idea o altro) ed è sempre differente dagli altri enti (in quanto sono enti diversi), il niente è invece l'assenza indifferente, non differenziabile in quanto non piena, assente e carente di presenza...

Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 16:32:05 PM Ma il niente è sempre riferito all'ente. Non si può logicamente parlar di niente se non c'è ente. Allo stesso modo come potrei parlar d'assenza senza una presenza? 
Eppure si parla logicamente di "niente" proprio se non c'è ente, e di "assenza" proprio se non c'è presenza... nel gioco delle dicotomie logiche si ha sempre bisogno del contrario (ovvero del risultato della negazione, "x" deve avere un "non-x" altrimenti il nostro "software" va in tilt!), anche se si tratta di concetti ai limiti del definibile e del predicabile...

Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 16:32:05 PM"Niente albero" significa solamente che non c'è più l'albero ma è presente sicuramente un altro ente al suo posto ( l'aria, le mosche, le zanzare, ecc.che danno presenza nello "spazio" dell'ente albero divelto dal vento, per es.).
"Niente albero" è un uso ambiguo della parola "niente" che sembra illuderci che possa esserci un niente al genitivo, un "niente di x" che sia diverso da "niente di y", invece il niente non appartiene all'ente... il fatto che l'albero sia rimpiazzato da qualche altro ente, magari meno vistoso, non rende possibile parlare di lecitamente di "niente", proprio perchè c'è qualcosa di presente (gli "enti di rimpiazzo").

Citazione di: Sariputra il 13 Gennaio 2017, 16:32:05 PMSe un termine però ingloba tutto, anche il suo contrario ( infatti di ogni cosa pensabile si può dire che "è", cioè un ente, quindi anche il niente-ente) non diventa privo di significato? Qual'è la caratteristica che distingue l'essere dal non-essere? Una cosa , per essere, non deve distinguersi, avere un'immediata evidenza di differenza, dalle altre? Se no che differenza possiamo trovare tra due cose che appaiono opposte? Che differenza si manifesta alla fine tra essere e divenire ? Non sono infine la stessa cosa? Mi pare che , alla fine, l'idea stessa di ente appaia inconsistente se sottoposta all'analisi logica.
Il linguaggio si appropria degli enti (materiali o concettuali o altro) tramite definizioni, ovvero la possibilità di dirne qualcosa a riguardo, ma non bisogna confondere l'essere-parola con l'essere-esistente-empiricamente: finche restiamo aldiquà dei limiti del linguaggio, possiamo parlare di tutto ciò che ha una parola corrispondente (il niente. il silenzio, l'assenza, etc.), pur rispettando le differenze logiche, le negazioni, che distinguono i concetti connessi alle parole. Il parlare dell'ente o del niente non è indifferente: dell'ente possiamo specificare caratteristiche, localizzarlo, etc. del niente ce ne serviamo solo come contrappeso logico, come negazione dell'ente, ma senza confonderlo con esso. Entrambi sono predicabili, ma l'essenza della loro predicazione è proprio l'incolmabile "distanza" logica che li separa.
Mi auguro di essere stato almeno vagamente comprensibile  :)

P.s. Il Vuoto e il niente sono forse parenti più stretti di quanto pensi, entrambi tengono sotto scacco la "metafisica della presenza" problematizzando l'attaccamento all'identità intesa come Sè, come permanenza...
#2139
Citazione di: maral il 13 Gennaio 2017, 09:56:33 AMper l'ente non è ultimo in ogni caso, per il soggetto non ci può essere comunque un "ultimo istante". 
C'è un ultimo istante ma, concordo, il soggetto in questione non lo vive come "ultimo", proprio perchè non gli sopravvive... e non può certo sapere che sia l'ultimo; ma gli altri, coloro che restano vivi dopo di lui, possono dirlo (il diretto interessato di certo non può raccontarlo  ;D).

Citazione di: maral il 13 Gennaio 2017, 09:56:33 AMil presupposto è nella fenomenologia del finito, di ciò che termina e terminando mostra che il terminare è una contraddizione. 
Se il terminare è una contraddizione, allora non lo è anche l'iniziare? E se entrambi sono una contraddizione, allora non si scopre che il tacito presupposto di tutto ciò è proprio quella famigerata eternità, oggetto di fede (a cui non credo, ma ammetto possa essere credibile)?

Citazione di: maral il 13 Gennaio 2017, 09:56:33 AMper te stesso non potrai mai dire, né vedere, né concepire la tua fine, proprio perché non c'è un oltre del soggetto se la fine è fine.
Sottoscrivo, questo è esattamente l'indicibile della morte.
#2140
Provo a rispondere, con moderata piaggine basata su una ancora più moderata (in)competenza: hai presente il cartone animato dei puffi, in cui si usava il verbo "puffare" in modo vago, versatile e indefinito? La filosofia classica, o più esattamente, l'ontologia, fa lo stesso con l'"essere"... 
In generale, l'ente è un "qualcosa che è", ovvero una qualunque identità di cui si può predicare qualcosa (poi è possibile distinguere fra l'ente tangibile, come l'albero, e l'ente astratto, come un'idea, etc. ed ogni pensatore, proprio come ogni puffo, usa il termine come meglio crede, talvolta in modo antitetico rispetto agli altri... sui problemi dell'identificazione e della predicazione si è già discusso parlando di navi in manutenzione, ricordi?  ;) ).
Un ente non è un niente, poichè l'ente è numerabile, contabile, identificabile, il niente invece no; tuttavia è, come sempre, una questione di linguaggio, per cui alcuni autori hanno giocato d'equilibrismo fra ente e ni-ente... se poi gemelliamo il "niente" con il "vuoto" allora si aprono molti scenari dall'aroma orientale, che probabilmente conosci meglio di me... 

Per quanto riguarda il viso-a-muso con l'asino, ti sconsiglio di fargli domande filosofiche, poichè probabilmente il beato quadrupede risponderebbe:
"La santa asinità di ciò non cura [...]
aspettando da Dio la sua ventura.
Nessuna cosa dura,
eccetto il frutto de l'eterna requie,
la qual ne done dio dopo l'esequie!"
(G. Bruno)
[trascrivo alla lettera, riportando pedissequamente anche la duplice grafia "Dio" e "dio", non me ne vogliano i credenti...]
#2141
Citazione di: maral il 12 Gennaio 2017, 17:24:53 PM
si arriva all'eternità a partire dal considerare la morte come ultimo istante dell'ente che, essendo l'ultimo, non ha un dopo
Non ha un dopo per quell'ente, ma proprio il disfarsi dell'ente, il morire della coscienza, etc. sancisce il fatto che quello sia l'ultimo istante per esso; altrimenti come potremmo definirlo "ultimo", se non dopo che si sia concluso e non ne sia seguito un altro?

Citazione di: maral il 12 Gennaio 2017, 17:24:53 PMDunque quel giorno non avrà per te alcun domani. E se dopo per te non c'è niente, cosa per te potrà mai far finire quel giorno?
Direi che in caso di morte io non avrò un domani, e quel giorno io finirò, così come a mezzanotte finirà quel giorno per i restanti vivi... poi arriverà il domani, ma io (in quanto essere-vivo), non ci sarò più (o non sarò più tale...). Cosa farà finire quel giorno per me? Esattamente la mia morte, il mio "spegnermi", il vivere il mio ultimo istante senza che ne segua un altro (per me)... ed eccome se finirò  ;D

Citazione di: Duc in altum! il 12 Gennaio 2017, 19:13:39 PM
Ma questo sarebbe il domani dopo essere morto, certo anch'io nutro una forte speranza che ci sarà, ma è solo con la fede che ottengo questa "illusione", così come chi sperimenta la fantasia che nel domani post-mortem non ci troveremo più ad aspettarlo.
Credo che l'esperienza della morte altrui, vissuta dall'esterno. non lasci molto spazio alla fantasia: nel momento in cui muore una persona che conosci, l'indomani puoi verificare con certezza che quella persona "manca all'appello", per cui, senza alcun dubbio, puoi affermare che non ha avuto un altro domani da vivo su questa terra, e che ha oggettivamente cessato di esistere al tuo fianco (se poi si sia "trasferito" altrove, lasciando qui il suo corpo, quello è oggetto legittimo di fede e fantasia...).
#2142
Citazione di: maral il 11 Gennaio 2017, 23:22:11 PM
qui l'eternità dell'ente non è presupposta, è una conseguenza del fatto presupposto che non c'è un dopo
... che è una conseguenza del presupposto dell'eternità dell'ente, che è una conseguenza del presupposto che non c'è un dopo, etc. in un girotondo di presupposti di eternità che gira intorno alla fede di cui parla Duc con la bella immagine della "proposta":
Citazione di: Duc in altum! il 12 Gennaio 2017, 11:04:36 AM
pensare con logica sulla dimensione post-mortem è vizioso, giacché la ragione non dà certezza, mentre la fede e la speranza la propongono donando pace e allegria.

P.s. Concordo che solo il domani uccide l'oggi, ma, per quel che ne so, il domani arriva sempre (e un giorno non mi troverà più ad aspettarlo...).
#2143
Citazione di: maral il 11 Gennaio 2017, 21:46:12 PM
Bè che lo sia un po' o un po' tanto mi sembra impossibile da stabilire, perché per stabilirlo dovremmo vedere come stanno le cose in sé, cosa che un po' o un po' tanto non possiamo fare.
Concordo, per quello sostenevo che approdiamo solo al nostro mondo, prospettico e parziale, e non al reale o alla realtà-in-sè...

Citazione di: maral il 11 Gennaio 2017, 21:46:12 PMMa la mia obiezione è che tu dicevi che non è vero l'arcobaleno, ma è vera la diffrazione
Mi hai confuso con l'utente InVerno  ;)  io "relatizzavo" sia la diffrazione che l'arcobaleno...

Citazione di: maral il 11 Gennaio 2017, 21:46:12 PM
La conoscenza non la intenderei più come un ponte che ci conduce al reale, quanto piuttosto come qualcosa che si muove parallelamente e insieme al reale mantenendone comunque la distanza, Il ponte (la convergenza)non c'è, quanto piuttosto un muoversi insieme con sincronia.
Credo che un punto di contatto debba esserci, per quanto instabile, confuso, limitante, biunivoco... altrimenti non si avrebbe il minimo indizio per discernere fra sogno ed esperienza sensibile... i sensi sono uno dei due estremi (l'altro è la mente-cervello) che delimitano la conoscenza umana, pur in tutta la sua laboriosa fallibilità...

Citazione di: maral il 11 Gennaio 2017, 22:18:34 PM
chi muore e sente se stesso morire, senza poter vedere alcun dopo di un se stesso morto. Non c'è dopo, questo è il punto per cui non c'è nulla che possa per lui (e non per chi lo vede da "fuori") far finire quell'istante.
Tutto ciò presupponendo l'eternità radicale di ogni ente (senza quindi concepire la mesta fine del soggetto...), il che comporterebbe che non posso mai spegnere il mio computer, perchè il sistema operativo giungerebbe al suo "ultimo istante", che sarebbe per lui eterno (stando alla tua proposta dal retrogusto severiniano) e quindi resterebbe eternamente acceso, pur essendo decretato tecnicamente spento da chi lo circonda... resta il fatto che (senza riaccendere le nostre divergenze su Severino, ontologia e eternità :) ) la logica non può dire nulla di certo dell'esperienza della morte (proprio in virtù del suddetto ponte pericolante), mentre il mistico, la poesia, la metafisica possono formulare di sicuro ipotesi intriganti...
#2144
Citazione di: maral il 09 Gennaio 2017, 17:15:24 PM
Citazione di: InVerno il 09 Gennaio 2017, 15:35:28 PM
Potrei fare una lista infinita di cose "finte" che nella loro complessità generano qualcosa di grado diverso
L'arcobaleno esiste davvero? No, è un gioco di rifrazione della luce, ma questo non toglie nulla alla sua esistenza e perdipiù da un punto di vista umano alla sua bellezza.
Ma i giochi di rifrazione della luce esistono davvero? o non sono che una traduzione/ricostruzione di significati in modo da stabilirne un'utilizzabilità condivisa e funzionale a prescindere da altri significati?
Si, il "ponte" percezione>costruzione-di-senso>identità>effetto/fruizione ci "collega" al mondo, anche se è un collegamento "viziato" dall'attraversamento del ponte stesso, per cui il mondo a cui arriviamo è sempre solo il nostro mondo... e il fatto che contenga un po' di "finzione" fa parte del prospettivismo con cui lo osserviamo (come quando guardiamo le stelle e "vediamo" l'orsa maggiore: questione di prospettiva terrestre e convenzione semantico-astronomica...).
#2145
Non so se può aiutare ad ampliare il discorso, ma forse va chiamata in causa anche l'autocomprensione di coloro che si professano di una religione (musulmana o altro...); se ci sono milioni di persone che da generazioni la considerano la loro religione, la praticano, etc. ciò non la rende una religione, almeno per loro? 
E noi che ne siamo fuori, oltre a valutare l'aspetto diacronico della storia di quella religione (quindi la sua nascita, le vicissitudini di influenza biunivoca con il potere politico, etc.) non dovremmo valutare anche il modo sincronico in cui viene vissuta e tenuta viva dai suoi fedeli? Il fatto che ogni giorno una moltitudine di persone preghi in un determinato modo una divinità (già, senza divinità non c'è religione), deve davvero passare in secondo piano rispetto a ciò che la cronaca ci racconta di una parte di quei fedeli? Che cosa li rende praticanti, il fatto che (e)seguano preghiere e rituali, condividano valori e consuetudini connessi al culto di una divinità, oppure il modo in cui la loro parte più radicale vive il suo essere "militante", o addirittura, "militare"?

Certamente ognuno è libero di dare la propria definizione di "religione", come fa Verd-ops!-Fharenight, e poi controllare chi resta fuori e chi rientra nei criteri arbitrari scelti... ma forse si può anche uscire dal proprio universo fai-da-te, guardarsi intorno e chidersi: i musulmani nel mondo sono solo quelli di cui si parla nei notiziari (che in quanto tali non raccontano la normalità ma l'eccezione, talvolta manipolata)? Quanti sono i musulmani non anti-occidente nel mondo? Sono solo una sparuta minoranza, oppure sono molti ma non fanno notizia, oppure cospirano aspettando l'occasione giusta? E, soprattutto, la mia personale "etichettatura" di un fenomeno, per quanto autofondata e originale, cosa può insegnarmi del mio modo di leggere il mondo?

P.s. Da un punto di vista strettamente laico, sarebbe tanto sconsolante quanto tragicomico screditare una religione declassandola a non-religione, in piena epoca di crisi delle religioni... anche se questo può essere comunque un buon modo per esorcizzare la paura di ciò che ci insidia, demistificare una minaccia privandola di ciò che (ci) sembra il suo movente più caratterizzante...