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Messaggi - niko

#2131
Citazione di: Socrate78 il 09 Dicembre 2022, 12:01:29 PMQuindi non è possibile il dialogo tra te e un credente, perché per definizione è impossibile il dialogo tra chi considera illogico il punto di vista di un altro, è la stessa identica cosa di quando l'inquisitore nel Seicento considerava per forza errato il punto di vista dell'eretico di turno e non era disposto a rivedere mai le sue teorie, anche l'ateismo (soprattutto di tipo materialista) sa essere dogmatico come le tradizionali religioni monoteiste. Tanto valeva quindi che non aprivi nemmeno questo post, poiché per te chiunque è contro la tua visione (non solo nella religione, anche in altri ambiti mi sembra di comprendere....) è nell'errore.
Ma la scienza stessa, che è spesso arrogante, in realtà non sa rispondere a tutta una serie di domande, ad esempio da dove ha origine la coscienza? Dove si trova esattamente nel cervello? E' un prodotto del cervello oppure è indipendente da esso? Sono tutte questioni APERTE, solo che i materialisti le vogliono ritenere questioni chiuse e quindi non sono disposti come te al dialogo con chi la vede diversamente, infatti liquidano qualsiasi racconto sul trascendente come un'allucinazione, una visione.
Inoltre se dopo la nostra vita ci fosse il Nulla, che senso avrebbe ad esempio imparare e studiare? Non avrebbe alcun senso ultimo, perché tutte le nostre conoscenze si perderebbero, quindi tutto sarebbe azzerato. Ancora di più, che senso avrebbe amare? Assolutamente nessun senso, anzi, sarebbe meglio non avere legami affettivi con nessuno, perché così non si soffrirebbe quando le persone a cui siamo legati muoiono. Come vedi se io assumo che dopo la morte vi è il Nulla, il modo di considerare il senso della vita cambia di molto, e se si è atei coerenti non si può che essere NICHILISTI. Saluti.


Per un piu' ampio dibattito filosofico, andrebbe compreso che la posizione nichilista per cui nulla avrebbe valore dato che la vita termina col nulla, si puo' anche rovesciare, e, a livello di storia del pensiero e' effettivamente stata rovesciata, nel suo opposto:

se la vita termina con il nulla, ogni anche apparentemente piccola ed effimera cosa della vita HA VALORE INFINITO, perche' la vita per noi e' la nostra unica ed estrema occasione, contrapponibile solo ad un'infinita', e ad un'eternita', di "nulla".

Insomma il carpe diem oraziano, riscoperto nelle posizioni decadentiste ed estetizanti alla D'annunzio, o nel titanismo, spesso politico o esistenziale, dei pensatori del romanticismo ottocentesco.

In realta' la mia posizione e' che il nulla non valorizza ne' svalorizza la vita: per quanto cio' possa essere difficile, bisogna riuscire a pensare oltre il presunto valore salvifico (come ricorreva nella precedente discussione su Schpenahuer) del nulla, e, allo stesso tempo, oltre il problema nichilista e pessimista della morte intesa come un sonno senza sogni eterno, insomma oltre il -cupo- problema del "terminare", dopo la morte, nel nulla.



#2132
Citazione di: Ipazia il 03 Dicembre 2022, 16:04:59 PMLa soluzione etica è,  fin dalla notte dei tempi, intersoggettiva, ponendo nelle tavole della legge principi cui tutti devono sottostare. Gli antichi deliberanti avevano già risolto l'inghippo della "simpatia", lasciando ai metafisici i rovelli del dubbio, e delle eccezioni che interessano pure i detentori del potere etico e politico.

Che Platone ci faccia un panegirico a ritroso nel cuore dell'iperuranio è un rafforzativo retorico per convincere anche i più diffidenti che il bene è una cosa seria.

Dire che questi metafisici antichi del bene guardassero nostalgicamente indietro mi pare riduttivo della coscienza che essi avevano della loro missione intellettuale. Uno non scrive "la Repubblica" e non inventa il mito della caverna per nostalgia, ma perché guarda avanti, nel futuro.


Platone e' anche il Platone dell'eta' dell'oro e del mito di Atlantide, il Platone che guarda al passato in un mondo, che guarda al passato...

la Repubblica non ha una collocazione specificamente futuristica e futura, come potrebbe averla una comune socialista o anarchica propria dell'utopia moderna, ma ha una collocazione secondo il kairos e l'occasione: laddove si verifica  l'occasione (un re che si "converte" e diventa filosofo oppure un gruppo di filosofi che fanno il colpo di stato e prendono il potere) li' si concretizza la Repubblica, che quindi e' una possibilita' che occupa tutta l'estenzione del tempo, passato presente e futuro.

In generale l'utopia moderna (socialismo, fascismo, anarchia, liberalismo...) si propone di forgiare l'uomo nuovo, e quindi ha una vera e reale preferenza etica verso il futuro; viceversa la Repubblica, che costituisce una, per modo di dire, "utopia antica", si suppone sia possibile proprio perche' nell'anima dell'uomo (considerata nella sua eternita', e soprattutto attualita') c'e' gia, una parte buona, e degna; quindi la sua possibilita'/kairos occupa tutto l'arco del tempo, senza preferenze per un avanti o un indietro nel tempo stesso.

Ovunque sia "ubicata" la Repubblica nel tempo, ovunque si trovi l'isola felice del "momento magico" nell'oceano di fango di un "triste tempo", il saggio e' gia', cittadino della Repubblica, perche' si lascia guidare gia', dalla parte migliore della sua anima.

L'iperuranio non e' un panegirico, proprio perche' in Platone e' serio il tentativo di ricondurre la conoscenza, come tecnica e virtu', alla dinamica memoria/oblio.

Il ricordare e' intermedio tra il sapere e il non sapere, e' il "filo" della filosofia, l'amore della sapienza: il ricordare e' la dimensione, piu' che la condizione, in cui vive Socrate.

E il ricordare implica una certa preferenza nel tempo e in quello che si vuole "ottenere" dal tempo, implica lo scrutare nel passato con l'aspettativa, e il desiderio, di vedere.

Platone vive in un mondo che prende sul serio la morte, la fredda morte: il mondo greco la morte non la occulta, pensando allo shopping di natale e altre cose amene, come facciamo  noi, e non si racconta la favola del paradiso cristiano, come magari potevano fate i nostri bisnonni; e, fregandosene della magra consolazione dei "campi elisi" considera come unica forma di sopravvivenza "importante", tale da far quasi sopportare l'orrore del non senso, l'accesso del singolo alla memoria collettiva tramite il potere dell'epica e della poesia: considera l'immortalita' di Ettore, di Achille e di Elena, e, al limite le vicende di Orfeo e Euridice.

La possibilita' stessa di sopravvivere alla morte, era consegnata a una dinamica collettiva, e dunque in certo grado intersoggettiva, di memoria/oblio; Platone visse presso un popolo epico, oltreche' tragico.

Popolo che stava passando da una cultura orale a una cultura scritta con forti complessita' e resistenze, che riverberarono nella posizione -ambigua- stessa che Platone assunze rispetto alla tecnica della scrittura.

Tale decadenza, e tale contemplazione eticizzante del passato come dolce accompagnamento alla morte, che caratterizza il mondo OMERICO, in cui nasce e si muove Platone, poteva solo essere trasfigurata, e in un cero senso razionalizzata, nella "nuova" (propriamente platonica) teoria della reminiscenza e della conoscenza salvifica/intellettualismo etico, non poteva essere superata in nessun socialismo ante litteram di uomini titanici, che guardassero al futuro con speranza.

Il theorein stesso, in quel mondo, la possibita' di guardare contemplativamente, era riservata al presente e al passato, non al futuro. Tanto che i poeti e gli indovini, che al futuro "guardavano", per modo di dire, erano ciechi.

Al futuro, caratterizzato da mancanza insanabile di oggetto noto, da realta' vivente della contraddizione, si accedeva con i sensi non della teoria.

La morte, era il futuro.

Il contrario esatto dei panorami visionari futuristici della scienza e dello sviluppo, il contrario di quello che siamo noi adesso.

Nella sostituzione dei discorsi ai miti, il fondamentale sentimento del tempo resta lo stesso, anzi si rafforza.

Quello che cambia, soprattutto e' che il theorein che scruta nel passato per sfidare la morte, da principalmente sonoro, e comunitario -epica e poesia- , diviene, con Platone e con l'inizio di una filosofia culturalmente egemone, principalmente visivo, e attinente all'individuo -teoria delle idee, cioe' delle forme-.

Da cui tutto dipende, compreso il bene come conoscenza salvifica.


#2133
Uno dei problemi della dottrina dell'intellettualismo etico e' l'egoismo umano nudo e crudo: quello che secondo verita' e' "bene" per me, potrebbe non essere "bene" per un altro.

La classica situazione della competizione nello sport o nella lotta, in cui ognuno vuole vincere, e in cui agli occhi di ognuno e' un "bene" la vittoria, bene che pero' si puo' raggiungete solo a scapito degli altri.

Dunque e' aporetica la collocazione della figura dell'egoista puro (ad esempio, l'homo economicus moderno) all'interno di una dottrina dell'intellettualismo etico "puro": egli conosce, e fa, il bene per se', ma non per gli altri!

Bisogna comunque riconoscere che il Socrate platonico aveva un concetto abbastanza alto di giustizia da ritenere colui che facesse il bene solo per se stesso escludendo gli altri non un vero "buono", ma un buono deviato, non conoscitore del vero bene, e quindi di fatto un malvagio.

Il bene del Socrate platonico prevede l'intersoggettivita', e quindi la giustizia.

In generale la dottrina dell'intellettualismo etico valorizza sopra ogni cosa la conoscenza: in essa la conoscenza dischiude l'accesso al bene, la conoscenza salva.

La conoscenza in Platone, e quindi nel Socrate platonico, e' reminiscenza, e' legata a uno stato disincarnato prenatale, nel quale avvenne la contemplazione delle idee, e quindi l'unica vera possibilita' di conoscenza, che comunica con il presente tramite il ricordo.

E se la conoscenza e' salvezza, ed e' anche reminiscenza, la salvezza stessa e' reminiscenza.

Dipende dal nostro rapporto col passato, dalla chiarezza teoretica di questo rapporto.

Naturalmente si puo' svalutare il mito dell'iperuranio prendendolo come una metafora, ma io personalmente credo che il sentimento del tempo in Platone, e vieppiu' nella cultura in cui egli e' vissuto, sia fondamentale, ed e'un sentimento del tempo che valuta come migliore il passato.

La conversione al bene come antecedente logico, la ricerca delle cause del mondo materiale nell'intelligibile, parla la lingua della conversione al bene come antecedente temporale, la lingua della della nostalgia.



#2134
Citazione di: PhyroSphera il 02 Dicembre 2022, 00:42:01 AMPer me la tua è una teoria tutta sbagliata sulla storia e sulla filosofia e anche sulle biografie. Inoltre noto che non ti confronti col pensiero altrui.

Mauro Pastore

Vedi quello che ti ho detto nel tread su Schopenahuer: io mi confronto finche' tu, me ne dai la possibilita'.



#2135
Citazione di: PhyroSphera il 02 Dicembre 2022, 00:29:34 AMHo letto i tuoi due ultimi messaggi. Non hai compreso il messaggio filosofico che Schopenhauer ci ha lasciato. Per interpretarlo correttamente dovresti prendere atto che i tuoi presupposti ingenui non sono adatti per approcciarsi al suo pensiero. Si tratta di valutare la differenza tra fenomeno e noumeno. Tu non la pratichi e poi pretendi che nessuno la pratichi. Si tratta di un atteggiamento antifilosofico, difatti ti illudi di ritrarre il pensiero di Schopenhauer e invece fai la descrizione di un'altra cosa. Certo Nietzsche, che tieni per riferimento, non faceva così. Lui ne faceva una questione di valori e di alternative... Che poi la sua alternativa fu causa di disastri, questo è un altro conto.

Mauro Pastore


Ma io non scrivo per te, infatti questo tuo attribuire a Nietzsche il nazismo, o comunque il razzismo e il mitarismo come fonte di successivi disastri, fa il paio con il tuo rifiutare la teoria darwiniana dell'evoluzione delle specie e con il tuo argomentare contro l'aborto invocando la propensione naturale delle donne alla gravidanza.

Siamo proprio su due piani diversi.

Scrivo per me stesso e per chiunque altro voglia  capire e partecipare.

Le critiche sono sempre ben venute quando argomentate.

Anche le tue. Fino a quando ti sforzi a farne. Cioe' per poco, di solito.


#2136
Citazione di: Alberto Knox il 01 Dicembre 2022, 15:33:42 PMNiko a scritto ;
"La volonta' ha un destino di eternita', e quindi di estenzione immanente in tutte le direzioni e dimensioni del tempo, che non terminera' ne' in una soddisfazione ne' in un auto-toglimento ascetico."

(scusate ma da quando ho il pc fuori uso per me è un casino )

Hai detto che la volontà ha un destino di eternità immanente . Puoi spiegare meglio questo passaggio?


La volonta' e' eterna, di una eternita' trascendente, quindi anche immanentemente, nel passatio, nel presente e nel futuro, la puoi immagginare come sempre volente, sempre presente.

Insomma il desiderio si rivolge, come ovvio, ad una mancanza: desideriamo cio' che ci manca.

Quello che e' un po' meno ovvio, e' che per Schpenahuer siamo esseri desiderarti, quindi non solo il desiderio si rivolge ad un qualcosa di mancante, che finche' non e' ottenuto genera sofferenza, ma anche l'eventuale mancanza di desiderio, conseguenza dell'ottenimento e della conquista quando le cose vanno "bene" e un desiderio si realizza e' noia, dunque ulteriore sofferenza.

Il desiderio non solo si rivolge a quello che manca, ma puo' esso stesso, in quanto desiderio, essere desiderato e mancare, essere oggetto mancante.

Mancante a chi si annoia, e vorrebbe nuovi stimoli e desideri.

Quindi se desidero, soffro perche' desidero, se non desidero soffro perche' mi annoio: comunque vada, soffro.

La noia fa segno al fatto che nel mondo non c'e' altro che volonta': la fine della volonta' in un ottenimento di qualcosa genera vuoto, senso di vuoto, cosi' come il desiderio in generale, quando c'e' ed e' attuale, soffre del vuoto del suo oggetto desiderato e mancante.

O ci manca il desiderio, o ci manca l'oggetto del desiderio.

Puo' sembrare crudele, ma e' logico: una volonta' soggiacente a tutto che "porta avanti il mondo" per sempre e da sempre non puo' essere programmara per terminare in ottenimenti ed appagamenti: non avrebbe senso.

E' volonta' di volonta', non volonta' di appagamento. La volonta' di appagamento e' illusoria. Conquistare un oggetto del desiderio getta l'uomo nella noia, cioe' mostra, quando e' ormai troppo tardi, la desiderabita' in se' di un desiderio, desiderabilita' che non si poteva conoscere finche' quel desiderio era -ancora- attualmente desiderato.

Il mondo esiste, quindi la volonta', esiste.

Il mondo e' sempre esistito, quindi la volonta' e' sempre, esistita.

Se si vuole fare una scommessa facile, si puo' scommettere che sempre, esistera'.

Quanto all'ascesi, essa e' semmai un destino di alcuni, fortunati, fra gli uomini, non qualcosa che davvero salvera' il mondo, non un destino in generale della volonta'

#2137
In realta', quello che divise i cristiani dal platonismo fu non tanto il disprezzo per il corpo (ci hai colto), che non era pieno e reale gia' in Platone, e non era pieno e reale tanto meno nel cristianesimo delle origini (ancora di piu', ci hai colto) ma il fatto che il platonismo valorizza la reminiscenza e la conoscenza, dunque il passato, il cristianesimo, figlio dell'ebraismo, valorizza la fede e la profezia, dunque il futuro.

Molto piu' delle possibili divergenze riguardo allo psicosoma, queste due visioni del mondo NON hanno lo stesso sentimento del tempo, la stessa valorizzazione etica delle dimensioni temporali.

Pesiero dell'eskaton da una parte, e pensiero della decadenza, dall'altra.

Il giudizio sul tempo e' necessariamente anche un giudizio sull'irreversibile: chi ama il passato (e con esso la conoscenza), stante la realta' innegabile del male, sostanzialmente pensa che il male, la caduta nel male, sia irreversibile; chi ama il futuro (e con esso la profezia e la fede) pensa alla redenzione e all'emandazione del male, alla trasformazione del male in bene, e quindi apre lentamente le porte a quell'immenso cambiamento storico e culturale che portera' da un mondo egemonizzato dal paganesimo e dalla filosofia a un mondo dominato dalle religioni del libro, religioni in un modo o nell'altro della conversione e della redenzione.

E' per questo che i cristiani gnostici, rimasti nell'orizzonte della conoscenza salvifica e della conversione retrospettiva al passato inteso come stato increato, e quindi ideale, del mondo, sono rimasti sostanzialmente platonici.

Gli gnostici sono rimasti nel giorno eterno, sono rimasti in Platone, mentre i portatori della (nuova) ortodossia hanno imposto una sorta di supremazia etica del perenne (ex nunc), sull'eterno (ex tunc), dunque un pensiero della reversibilita' del male e della fede in un futuro indeterminato, che e' assolutamente inesistente in Platone.

Detto questo, ci sono delle affermazioni innegabili di svalutazione del corpo in Platone, e di preferenza della morte sulla vita difficile da giustificare da un punto di vista vitalistico (il canto del cigno nel Fedone, ad esempio, oltreche' il corpo vome prigione dell'anima e tante altre).

La questione e' complessa, e piu' che un odio del corpo, si tenta di delineare un sospetto verso l'io e l'ego, che nel corpo risiedono, per guadagnare una migliore oggettivita' e imparzialita' nell'episteme, nello stesso quadro in cui si tenta di confutare la sofistica, ed esaltare come sommo bene la giustizia, giustizia in cui nessun "io" prevale su un "tu".

Il corpo e' messo sotto accusa in quanto sede di una molteplicita' meno perfetta dell'Uno originario.

Unita' che deve essere ricostruita con il dialogo reale tra persone, e, secondariamente, con il pensiero, in quanto dialogo interiore.

E' sempre chiamata in causa l'inesauribile questione di stabilire quanto è se il personaggio letterario  di Socrate sia portatore unico e preferenziale del punto di vista di Platone, perche' e' sempre il persobaggio di Socrate, che pronuncia le frasi di svalutazione del corpo.

E di fatto poi apprezza in senso inequivocabilmento -omo-sessuale molti ragazzini e uomini, dimostrando di apprezzare gli amori carnali.

La questione e' che tutta la filosofia in Platone vuole presentarsi come un ingentilimento e una sublimazione del rapporto pederastico, che idealmente dovrebbe sfociare nel rapporto maestro-alievo, lasciando nel mistero quanto della componente sessuale originaria rimanga/permanga.

La maggior parte degli interpreti considera le celeberrime ultime parole di Socrate:

 "dobbiamo un gallo ad Asclepio"

Una forte ed ennesima affermazione antivitalistica, di svalutazione del corpo e amoreggiamento con la morte: Asclepio e' il dio della medicina, e Socrate sta bevendo non una medicona, ma un veleno (o meglio un pharmakon, che significa sia medicina, che veleno!) .

Quindi con cio' si vorrebbe definire la morte come medicina e cura della vita: Asclepio ci fa la grazia di farci morire, andando verso una vita extracorpirea migliore, o comunque, quantomeno, verso la fine di tutte le sofferenze, e noi lo ringraziamo, offrendogli in sacrificio un gallo.

Questa e' l'interpretazione ufficiale, quella che va per la maggiore.

Uno dei punti piu' antivitalistici e di condanna del corpo che si possono trovare in Platone, in piu' in una posizione "topica" di massima evidenza, perche' sono le ultime parole di Socrate.

Ma ci sono almeno altre due interpretazioni: una ironica e una assurdamente vitalistica: quella ironica e' semicemente che un uomo in salute ha accettato di bere un veleno in esecuzione di una legge e di una sentenza, accettando la morte per le sue idee e per la coerenza davanti ai propri discepoli, ma facendo con cio' torto ad Asclepio che e' il Dio della salute e della medicina e mai vorrebbe che qualcuno in salute e nel pieno delle forze si stroncasse da solo bevendo veleno, facendo uso sbagliato, ed , di un farmaco: in questo senso, dobbiamo un gallo ad Asclepio, semplicemente perche' Asclepio e' indignato per ogni vita sana costretta a suicidarsi, e bisogna placarlo con un sacrificio, magari, appunto, di un gallo.

Ma l'interpretazione genuinamente vitalistica, anche se difficilmente sostenibile, praticamente fantasiosa, e' che Socrate, con la frase "dobbiamo un gallo ad Asclepio", come in un lampo di imparzialita' e visione non soggettiva delle cose, si rende conto delle ragioni, pratiche, anche se magari non etiche, che hanno portato i suoi nemici a condannarlo a morte, e, dunque, degli aspetti insostenibili, perche', appunto, antivitali, della sua stessa filosofia. Distruggendo tutte le certezze, si distrugge la possibilita' stessa della vita. E Socrate non aveva il "diritto" di far seprpeggiare il dubbio metodico e radicale su praticamente  ogni aspetto dell'etica e della virtu' nella sua stessa citta'; citta' che ora, "giustamente", lo condanna a morte, per difendere i presupposti pratici (fede nei miti, nei poeti, nella tradizione, nel tragico, nella democrazia, nella sofistica, insomma fede in qualcosa piuttosto che nel nulla), a prescindere da quelli etici, della sua stessa vita di comunita' e di citta'.

In questo, senso dice ai suoi discepoli:  "Dobbiamo un gallo ad Asclepio" perche' il torto contro la vita lo abbiamo fatto noi, non i nostri accusatori.

Ci vuole una espiazione pienamente volontaria, non una conseguente a una sentenza.

Di questa esperienza filosofica  che ha diffuso il dubbio fino a mettere in dubbio la "vita", (cioe' fino a mettere in dubbio i valori tradizionali e attuali della citta') ne e' valsa la pena, ma ne dobbiamo pagare, e soprattutto riconoscere, le conseguenze.

Il contrario esatto di uno spirito di vendetta.


#2138
Citazione di: PhyroSphera il 30 Novembre 2022, 21:50:47 PMBisogna capire invece la distinzione tra mondo falso e mondo vero: Schopenhauer descrive un mondo dominato dal male ma lo addita per falso. Le tue osservazioni sulla positività del male non tengono conto che nel sistema di Schopenhauer questa positività è solo illusoria... Per questo non si tratta di negare Dio ma, daccapo, di scoprire che c'è un vero Dio oltre il falso Dio. Senza aderirvi, Schopenhauer stimava e indicava il pensiero teologico di Eckhart pur indicando che era immerso in una mitologia cristiana (non significa che non fosse teologico).


Quanto dici sulla volontà non è l'affermazione di Schopenhauer. Questi indicava la volontà di vita non semplicemente la volontà di sé stessa. Una volontà che volendo la vita vuole anche se stessa e che però ha davanti a sé il destino di volere non più se stessa, perché la vita in atto è già vita e non ha senso rivolere la volontà di vita.

Non hai preso in esame il vero sistema di Schopenhauer...

Quanto al riferimento che hai fatto, a Nietzsche, si tratta di una critica radicale che sta a monte e non può entrare nel merito delle mie osservazioni perché ne nega le premesse. A mio avviso, la critica di Nietzsche è stata un fallimento... Non si può mettere da parte la distinzione tra mondo vero e mondo non vero senza cadere in una disastrosa ingenuità... Platone, Kant e Schopenhauer, indicano ognuno l'unica via possibile per evitare di farsi vittima degli eventi del mondo. In mezzo alle sue intuizioni, Nietzsche rifiutando la tradizione metafisica e le precisazioni kantiane rimase vittima della storia.

Quel che dici su Kant, Schopenhauer e il superamento dell'individualismo non lo trovo esatto. Politicamente sia Kant che Schopenhauer non erano collettivisti, l'andare oltre il principio di individuazione era per Schopenhauer solo la definizione di un nuovo principio intuitivo dell'identità. Sia Kant che Schopenhauer non sacrificavano l'individuo per la collettività anzi ne erano avversi; l'identificazione della realtà da parte di Schopenhauer condusse alla critica dell'ottimismo progressista che individuava nei collettivi la risposta ai principali problemi dell'umanità.

Le conclusioni che trai sulla salvezza e non salvezza sono tue osservazioni inficiate da ingenuo eccesso di ottimismo.

Nel vero pensiero di Kant e Schopenhauer non c'è alcun no alla vita.


Mauro Pastore


No, per Schopenahuer il mondo e' l'illusione/fenomeno (il mondo, appunto, come rappresentazione), e la volonta' che "anima" il mondo e' il reale/noumeno; e il MALE, (il nocciolo del problema, e di quello che fa problema) risiede proprio nella volonta', e non nella conseguente e superficiale rappresentazione: QUINDI, possiamo dire che il male risiede, appunto, nella dimensione del reale, e NON in quella dell'illusione/fenomenizzazione.

Per questo Schopenahuer NON e', per esempio, un Platone, un Plotino o un neoplatonico, non e' un pensatore per il quale il mondo reale e' bello e il mondo illusivo o fantasmatico e' brutto, ma e' un pensatore che ha il coraggio (inedito) di rovesciare, questo tipo, ingenuo, di platonismo, rimanendo, per altri versi, platonista: per Scopenahuer il mondo reale e' brutto, malvagio, negativo, e il mondo illusivo/fenomenico e' eticamente ed esteticamente neutro, ne' brutto e ne' bello, quindi all'atto pratico migliore del mondo reale. E a questo punto un mondo bello, si potrebbe chiedere? Dato che abbiamo stabilito che la realta' svolge la funzione del male, e l'illusione quella dell'irrilevanza/doppia assenza di male e bene, cosa svolge la funzione del bene, nel sistema? Schopenahuer ti risponderebbe che un mondo bello, che un mondo buono, che un bene reale non c'e', che non esiste, per questo e' passato alla storia come il filosofo del pessimismo e della tristezza. Se vuoi un mondo bello vai ad interrogare altri filosofi, come Hegel, Leibniz, Platone stesso eccetera.

Per Schopenahuer il bene e' la diminuzione di intensita' e di potenza del male, e dunque della realta', senza cadere preda di cio' che non e' ne bene e ne' male, cioe' dell'illusione.

Che diminuisca la morsa di una volonta' infinita, e dunque insoddisfatta. Il fatto che NON ci sia una positivita' del bene, rientra sia nella delineazione  problema, pars destruens, che nell'abbozzo di possibili soluzioni, pars costruens.

Che sono tutte "soluzioni" per "liberarsi" dalla sofferenza, senza implicare una vera positivita' ad essa opponibile.

E' il ritirarsi del mondo tipico dell'asceta, del genio, o della personalita' morale.

Se questo sembra assurdo, bisogna considerare che generazioni di teologi cristiani e filosofi cresciuti in un contesto simile si sono tranquillamente "bevuti" l'assurdita' speculare e opposta, che il male sia solo privazione del bene, da sant'Agostino (contro i manichei...) in poi.

La verita' e' lo scandalo, quello che scuote le coscienze in un dato contesto storico o naturale.

Se davvero Schopenahuer avesse detto che in fondo il male e' illusione...

non solo sarebbe stato un ottimista, e tutti i suoi interpreti avrebbero sbagliato tranne te Mauro, ma non si sarebbe distinto dal suo contesto storico e umano dando scandalo, e additando la "verita' ", o almeno la sua, volonta' di verita'.

Poi, mi dici che in Schupenahuer e' piu' sigificativa la volonta' come volonta' di vita che non la volonta' come volonta' senza oggetto che vuole se' stessa, ma, ti ripeto, sono la stessa cosa.

La volonta' ha un destino di eternita', e quindi di estenzione immanente in tutte le direzioni e dimensioni del tempo, che non terminera' ne' in una soddisfazione ne' in un auto-toglimento ascetico.

Assolutamente sbagli tu, nel credere che la volonta' sia destinata a non volere piu' se stessa grazie all'eccezione dell'asceta, magari a questo punto, possibile ulteriore fraintendimento, "preparata" nella scala della vita dall'eccezione in se' dell'uomo. L'asceta e' da intendersi fuor di metafora come una eccezione, non salva il mondo, ma salva se stesso.

Se il mondo esiste, non c'e' stato finora nessun (vero) asceta.

Perche', se un asceta avesse annullato la volonta' di vivere in se stesso, necessariamente, l'avrebbe annullata anche nel mondo. Tra i due termini, tra i due "poli" di possibile annullamento della volonta' non c'e' differenza, anzi, c'e' proprio identita'.

Ma la volonta' di vivere giunge a noi in questo attimo attraverso l'eternita' e testimonia contro, la possibilita' salvifica dell'ascesi/asceta, non a favore.

Perche' non vi e' differenza, -tutto il sistema di Schopenahuer e' impostato sul fatto che non puo' esservi differenza- tra volonta' in noi stessi e volonta' nel mondo.

Il destino della volonta' in noi stessi e' lo stesso destino della volonta' nel mondo.

Se non c'e' mai stato un asceta in noi stessi, non ve ne e' mai stato uno, nel mondo.

Ma Schpenahuer con questo intende dire che l'esperienza ascetica e' un'esperienza prototipica, nuova sotto il sole, uguale-a-nulla, e dunque autentica, e puoi essere proprio tu, vivendo una vita autentica, quell'asceta che finora non c'e' mai stato.

Con questo non salverai il mondo, al massimo, ma proprio al massimo, salverai te stesso.

Poi, mi dici che filosofi che hanno criticato il concetto di individuo e di individuazione dovrebbero essere collettivisti, e, se non lo sono, allora sicuramente non hanno criticato il concetto di individuo: che ti devo dire, in filosofia non c'e' solo la zuppa e il pan bagnato, c'e' anche la complessita', lasciamo perdere che e' meglio...


#2139
La Meloni ha scelto e preferito di chiamarsi "il presidente" e non "la presidente" per presentarsi al mondo come donna non stereotipatamente femminista e per ribadire la sua contrarieta' a certe battaglie linguistiche tipicamente femministe, e anche, lgbt.

Io che odio la Meloni, e sono d'accordo con molti temi femministi ed lgbt, in questo caso specifico sono d'accordo con lei.

La battaglia linguistica e per i pronomi e' proprio l'ultima delle priorita', fumo negli occhi, e la sinistra lo dovrebbe capire, che e' impossibile creare consenso intorno a puttanate del genere.

Se la gente fosse libera, anche sessualmente e identitariamente, se ne infischierebbe, di come la chiamano gli altri.

Con quale pronome.

Cosa si vuol dimostrare?

L'importanza di un divenire (conquiste femministe, conquiste dei transessuali) rispetto a un essere o a un essere/stato (mondo in cui le donne o i transessuali avevano meno diritti degli altri, comunque passato individuale, in cui la persona transessuale nasce nel sesso che sente come sbagliato)?

Bene, ma queste cose non si fanno obbligando gli altri a parlare in un certo modo o con la dannazione della memoria di un passato che, anche giustamente, non ci piace.

Chi vuole essere diverso dal passato, lo dimostrasse, nei fatti.

Non rivendicando la targhetta/medaglia (di latta...) del divenire a buon mercato, tale per cui il pronome si adatta alla persona, e non la persona, al pronome, con la conseguenza, paradossale, che finche' la persona non esplicita come voglia essere chiamata, si deve tacere e di fatto escluderla per non offenderla, perche' a questi estremi, stiamo arrivando.

L'opzione per cui ognuno parla come gli pare (nei limiti del non offendere o insultare gli altri, naturalmente), sta sempre a significare che il presente coesiste, insieme, al passato, che ci piaccia o no.

Cioe' la realta'.



#2140
Io penso che in Schopenahuer il vero dramma e' che il bene e' negazione del male, non esiste un "bene" dotato di una "esistenza" primaria e autonoma.

L'emancipazione dalla sofferenza e' il non soffrire.

La tradizionale via apofantica e procedente per negazioni, lui la intraprende proprio rispetto al concetto di bene, che e' appunto negazione silente del male, prescindendo completamente da Dio e dell'eventuale dentificazione del bene con -un- dio.

Siamo davanti ad una teodicea rovesciata, in cui il bene e' "privatio mali", e il male invece esiste, e ha esistenza primaria e non ulteriormente da fondare, (il mondo come VOLONTA', eterna, dunque inappagata) per questo, per quanto tu ti arrovelli per argomentare il contrario, il concetto di Dio in Schopenahuer e' irrilevante.

Il desiderio di sussistenza dell'individuo nel tempo, e quindi anche il desiderio cieco di riproduzione insito nella vita, deriva dal piu' generale desiderio di sussistenza della volonta' nel tempo, e quindi da una cesura cosmica di ogni volonta' con il suo oggetto; insomma da un desiderio del desiderio, da una volonta' che in fondo sa di volere sempre il negativo di un oggetto, un oggetto si', ma in quanto assente e marchiato dalla condizione specifica della sua assenza, e dunque se stessa, e non un presentificabile oggetto, e dunque un vero Altro.

La negazione che separa il bene dal male in questo sistema, come tipo di negazione, e' logica, non storica o naturale. E, come ogni negazione logica, e' potenzialmente anche duplicante. E' solo un operatore logico di "non" , o un segno matematico di "meno" a separare il bene dal male. Ma per il resto, potrebbero essere la stessa cosa.

In generale (e suddivido in tre punti, che vogliono indicare molto per sommi capi tre tendenze importanti del pensiero occidentale contemporanee o prossime a Scopenahuer, per essere piu' chiaro)

* un certo fiorire di vie moderne e laiche di riscoperta dell'ascesi, come appunto in Schopenahuer (lo scopo della vita e' imparare a non volerla, quindi la vita ha uno scopo, dischiuso dalla pratica dell'ascesi, negativa della vita stessa),

* come pure, ogni estetismo decadente e sterilmente anti-ascetico che si protenda a valorizzare l'effimero e l'attimo con l'argomento, e con l'incombenza, della morte (insomma valorizzare il mondo a partire dalla realta' della morte, come coincidenza, appunto, tra l'effimero e l'unico)

* cosi' come, anche, ogni leopardianesimo e foscolismo della morte come grande consolatrice e del trovare conforto nella limitatezza, e finitudine, mortale appunto, della sofferenza umana per quanto essa sia vista come insensata e inevitabile,

dimostrano proprio e soltanto che non e' bastato liberarsi da Dio, dal Dio cristiano intendo, per liberarsi completamente e contemporaneamente anche da un presunto valore salvifico del nulla/niente nella cultura occidentale, dimostrano che il valore salvifico del nulla/niente e' in qualche modo persistito nelle menti e nella cultura oltre Dio, insomma che era necessario un Nietzsche, profeta che, incatenandoci all'infinita' identica e insensata della vita (eterno ritorno) ha saputo guardare oltre ogni presunto valore salvifico del nulla e della morte: in senso ascetico, in senso edonistico, in senso consolatorio, in tutti i sensi che ho provato ad elencare sopra, egli ha fatto piazza pulita, di questa ultima illusione possibile oltre Dio, consistente nel fare del nulla, un Dio.

Bisogna responsabilizzarsi davanti alla vita proprio perche' la vita non termina, non ha termine, nel nulla (ma neanche in un radicalmente altro cosi' diverso e inconcepibile dal presente da avere valore di nulla, e di nullificazione del presente).

Egli ha ri-detto -contro il suo maestro Schopenahuer- che il limite e il contrario della sofferenza umana e' un piacere memorico e reale, declinabile anche storicamente e naturalisticamente, e non una negazione logica di un soffrire totalizzante che fa mondo, non una mera non-sofferenza che si contrapponga, duplicandola, alla sofferenza.

Non una vita che si conclude nella morte e' il tema di Nietzsche ma parti e sussulti della vita, che si concludono in altre parti e in altri sussulti, della vita.

Non il problema della salvezza come qualcosa da conseguire, ma la salvezza in se' che fa problema, perche' il bene e' inestricabile dal male, la salvezza implica il ritorno, del bene e insieme del male, insomma la salvezza, una volta correttamente compresa, non puo' essere desiderata superficialmente.

Kant e Schopenahuer rispetto a tutto cio' sono ancora dei cercatori di salvezza, ma hanno avuto il merito di criticare il concetto di individuo e individuazione fino a far affiorare il dubbio che la -agognata- salvezza stessa possa non essere, una salvezza individuale.

Salvezza dell'anima non implica salvezza dell'io, anche grazie a loro comincia a incrinarsi qualcosa nell'edificio teologico del cristianesimo, siamo piu', appunto in senso gnostico, nell'ordine di idee di una salvezza dello spirito, di un quanto di non-individuale presente negli individui.






#2141
Storia / Re: Tutti abbiamo un tallone d'Achille
30 Novembre 2022, 12:49:49 PM
Sorprende come sempre la saggezza dei Greci, secondo I quali il figlio di un dio e di un -o una- mortale era destinato ad essere una personalita' straordinaria, insomma una personalita' che si sarebbe assolutamente distinta tra gli uomini, ma pur sempre mortale.

La sua -inevitabile- morte sarebbe stata in un certo senso ancora piu' tragica della morte di un individuo comune, perche' avrebbe privato il mondo e dunque gli altri, a lui sopravvissuti, mortali, di tale personalita' straordinaria.

La morte di Achille, di Eracle, di Castore.

Una morte senza redenzione, senza appello.

Tranne forse per Eracle, il semidio che si conquisto' l'immortalita' e fu e accolto tra gli dei, comunque in una apoteosi che fu parvenza di morte, e lo separo' per sempre dai mortali.

Come non paragonare tutto cio' al "mito" fondativo cristiano, secondo il quale il figlio di Dio e di una mortale e' Dio egli stesso, e destinato a trionfare sulla morte. E a far trionfare sulla morte tutti quelli che crederanno in lui.

Il Figlio come persona della trinita'.

La madre come matrice, come colei che e' mortale, ma genera figli immortali, o comunque trionfanti sulla morte.

Le culture piu' aderenti al tragico, quelle in cui, ad esempio, ci vogliono due genitori immortali e non uno per fare un figlio immortale, sono anche quelle piu' aderenti alla realta'.





#2142
Attualità / Re: Kherson è una trappola russa?
27 Novembre 2022, 20:42:52 PM
Citazione di: anthonyi il 27 Novembre 2022, 17:29:31 PMBisognerebbe allora capire per quale motivo fanno trincee (in doppia linea) nel collo che unisce la Crimea al resto dell'ucraina.

Per prudenza, per dissuadere da un gia' comunque improbabile attacco... non credo ci saranno mai grandi attacchi di terra dell'Ucraina verso la Crimea, ributtare indietro i russi dal territorio ucraino strettamente inteso per come era prima dell'invasione e' la loro priorita', dividere le forze in due obiettivi entrambi difficili (ributtare indietro gli invasori e contemporaneamente prendere la Crimea) sarebbe una stupidagine da parte loro e un probabile regalo ai russi, ma se mai cedera' il fronte della Crimea (quindi vittoria schiacciante dell'Ucraina armata e foraggiata dai soliti noti oltre ogni piu' realistica prospettiva) saranno cazzi, la Russia rischiera' la disgregazione, ma il mondo rischiera' la guerra nucleare...

a certi super falchi occidentali piacerebbe pure questa prospettiva, ma a me no...

#2143
Attualità / Re: Kherson è una trappola russa?
27 Novembre 2022, 16:32:12 PM
Che i Russi preparino una controffensiva in Ucraina su tempi lunghi, in primavera, lo diceva ieri perfino Repubblica, che e' un giornale assolutamente filoucraino e allineato.

La Russia puo' assestare delle batoste psicologiche non indifferente riprendendosi qualsiasi importante citta' che abbia perso in precedenza, come appunto Kherson: se riesce a "dimostrare" il teorema strategico secondo cui le principali citta' contese passano di mano in mano come in alcune delle fasi della prima guerra mondiale e non ci sono risultati "definitivi" in questa guerra, questo indurra' la parte debole in termini di risorse uomini e mezzi, cioe' gli ucraini, a trattare.

Perche' i primi a non volere una guerra infinita sono proprio gli ucraini, che hanno bisogno stringentemente di una vittoria importante  relativamente rapida (ad esempio che l'intera controffensiva Russa di primavera si infranga in un nulla di fatto...) per ottenere il loro obbiettivo migliore tra quelli realistici quello cioe' di tornare ai confini preinvasione e salvare al cento per cento l'integrita' territoriale; viceversa tutto cio' che anche senza implicare un risultato netto e definito strascina risultati indefiniti, operazioni bloccate e capovolgimenti di fronte per tempi lunghi e lunghissimi fa comodo sempre solo alla parte forte di questa guerra, cioe' alla Russia.

In questo quadro riprendere Kherson o simili grandi citta', sarebbe una batosta estrema.

Batosta che la Russia, se vuole ottenere il suo obbiettivo migliore tra quelli realistici, cioe' occupare gli stati che si e' formalmente annessa da referendum e su questa posizione di forza terminare la guerra, deve pur, prima o poi, provare ad assestare.


#2144
Citazione di: niko il 26 Novembre 2022, 18:05:41 PMIn realta' si tratta di gettare il cuore oltre l'ostacolo e intravedere le pretese metafisiche e autoillusive insite finanche concetto leopardiano o foscoliano di nulla, e di destino nullificante che ci attenderebbe nella, e oltre, la tomba.

Bisogna stanare la volonta' di verita' e di potenza tipica della vecchia volpe umana finanche nella tana estrema che essa si e' costruita nel concetto di nulla extramondano dove si "andrebbe a finire" dopo la morte. Finanche nel suo piu' tipico disincanto moderno, che e' sempre, anche, un disincanto romantico.

Se troveremo cosa vi e' di illusivo o di egoicamente esaltante nella "tomba ignuda" di un Leopardi o nei "Sepolcri" di un Foscolo, troveremo anche cosa vi e' di umano (troppo umano...), in questi concetti, perche' avremo individuato in essi la volonta' di potenza che strepita e si agita, un volerci credere, che e' simile al volerci credere, per esempio, del cristiano o del buddista che invocano come dopo morte la loro reincarnazione, o il loro destino ultimo.

L'ostacolo quindi, oltre cui dobbiamo gettare il cuore sembra essere grande: cosa vi puo' essere dunque, di egoicamente esaltante o tanto piu' di illusivo, nella "lagna nichilista pura" di chi crede, dopo la morte, di essere semplicemente annientato?

Eppure dobbiamo sostenere lo sguardo di questo abisso, dobbiamo guardare per vedere...

Innanzitutto, io vi vedo, la grande consolatrice, la signora materna -seppure matrigna- con la falce, la pretesa di essere consolati:

Se con la morte finisce tutto, anche la sofferenza finisce. La finitudine della sofferenza e' buona novella, e' di per se' motivo di gioia.

La morte non puo' essere usata come minaccia, come punizione. Solo la sofferenza puo'.

In secondo luogo non e' univocamente vero, che la morte vanifichi tutto: c'e' il contraltare che, davanti all'infinita' di estensione e di durata del nulla della morte come luogo e tempo in cui andare a terminare, ogni piccolo ed effimero piacere della vita, ogni cosa esigua, acquisisce valore infinito.
Ogni cosa e' unica e insostituibile, per ogni cosa vale la pena di lottare.
Il concetto stesso dell'occasione e della fortuna.

Ed ecco ancora la volonta' potenza che si agita, che scalpita nascosta dal paravento della lamentazione e della lagna di fronte alla morte, e della prospettiva
ateo-nichilista sulla morte.

In terzo luogo, e questo e' secondo me il punto fondamentale e piu' difficile da capire, il nulla della morte non esiste nel mondo oggettivo, non e' una "cosa", non e' in verita' un tempo e non e' luogo, quindi andare a finire nel nulla, nel nulla di essere e di coscienza che ci aspetta o ci aspetterebbe nella tomba, e' continuare ad essere un Ego, continuare ad avere una verita' soggettiva e soggettuale da testimoniare.

Il nulla della morte non sta in nessun altro luogo e in nessun altro tempo che non nella coscienza annientatata del morto, e' un oltremodo, una metafisica.

E' un sopravvivere nel proprio circuito spaziotemporale chiuso di annientamento un continuare a testimoniare la propria verita'.

"Ora, le pupille guardano all'interno"

Diceva poeta romantico tedesco Rielke a proposito, appunto, delle pupille dei morti.

I morti non solo stimolano la NOSTRA introspezione, ma, essendo testimoni di un nulla extramondano, che non esiste in un mondo compattamente e inconcussamente "fatto", costituito di essere, sono, o almeno sembrano essere, portatori di una LORO propria introspezione. Che testimonia della verita' di un nulla che non esiste in quanto cosa o in quanto datita' in un mondo esteriore essente ed esistente.





Dunque per concludere, (mi autocito perche' non sono riuscito a fare un unico post)...

Anche nell'idea che dopo la morte ci sia il nulla, il destino di annullamento, vi e' insito un afflato egoico, metafisico nel senso nichilistico di metafisica come scienza che insegna a sopportare con delle cullanti, e giovevoli illusioni, la durezza, e il non-senso di un mondo troppo duro da sopportare.

Questa idea, apparentemente la piu' deprimente, e disumana, appunto che dopo la morte finisca tutto, e' ancora fin troppo conciliante, e umana.

Non sono dunque quelli che credono ad un approdo metafisico in senso classico, tipo paradiso o inferno, ad avere l'esclusiva sulla condizione di dell'illusione o di autoinganno insita nella loro credenza.

La posizione piu' realistica mi sembra dunque quella agnostica (sospensione del giudizio), e al limite quella dell'eterno ritorno -della stessa vita rivissuta infinite volte- come posizione legata all'agnosticismo, insomma mi sembra sensato che la vita trovi limite in se' stessa e che si capisca che il termine "naturale" di un'identificazione tra un se' e una coscienza (quello che gia' in vita siamo) sia un oblio, e non un nulla.

L'eterno ritorno, e anche la reincarnazione/metempsicosi, sono quei destini intramondani in cui l'oblio, e la dinamica memoria/oblio gioca un ruolo fondamentale e quindi i piu' legati ad una posizione agnostica: un'anima all'inferno o in paradiso potrebbe -o no- dimenticare la vita terrena, mentre che la vita terrena venga dimenticata e' indispensabile per immaginare il ciclo infinito delle reincarnazioni o il destino di una vita destinata a riviversi infinite volte.

Oblio che e' un non-sapere oltre la morte, e non un annientarsi nella morte.



#2145
Citazione di: Socrate78 il 25 Novembre 2022, 17:23:25 PMA me non importa nulla se rimango nei pensieri e nei ricordi di chi resta, se io non esisto più che cosa me ne deve importare? Assolutamente niente, perché non posso gioire di questa cosa non esistendo più. Se dopo la morte non c'è niente allora niente ha valore, non ha valore conoscere alcunché, perché il mio sapere dopo la morte è azzerato, non ha valore nemmeno amare, perché avrò soltanto generato attaccamento affettivo inutile in chi è amato e quindi esso sentirà la mia mancanza ed io non potrò più rivederlo, non ha valore nemmeno aver faticato per ottenere ricchezza, prestigio e potere in vita, perché con la morte tutto ciò è spazzato via. Se dopo la morte c'è il nulla, allora ha ragione il grande poeta pessimista Leopardi quando diceva che "la vita è male", poiché il disvalore finisce per invadere ogni aspetto della vita e renderlo una fatica vana, uno sforzo verso il nulla.



In realta' si tratta di gettare il cuore oltre l'ostacolo e intravedere le pretese metafisiche e autoillusive insite finanche concetto leopardiano o foscoliano di nulla, e di destino nullificante che ci attenderebbe nella, e oltre, la tomba.

Bisogna stanare la volonta' di verita' e di potenza tipica della vecchia volpe umana finanche nella tana estrema che essa si e' costruita nel concetto di nulla extramondano dove si "andrebbe a finire" dopo la morte. Finanche nel suo piu' tipico disincanto moderno, che e' sempre, anche, un disincanto romantico.

Se troveremo cosa vi e' di illusivo o di egoicamente esaltante nella "tomba ignuda" di un Leopardi o nei "Sepolcri" di un Foscolo, troveremo anche cosa vi e' di umano (troppo umano...), in questi concetti, perche' avremo individuato in essi la volonta' di potenza che strepita e si agita, un volerci credere, che e' simile al volerci credere, per esempio, del cristiano o del buddista che invocano come dopo morte la loro reincarnazione, o il loro destino ultimo.

L'ostacolo quindi, oltre cui dobbiamo gettare il cuore sembra essere grande: cosa vi puo' essere dunque, di egoicamente esaltante o tanto piu' di illusivo, nella "lagna nichilista pura" di chi crede, dopo la morte, di essere semplicemente annientato?

Eppure dobbiamo sostenere lo sguardo di questo abisso, dobbiamo guardare per vedere...

Innanzitutto, io vi vedo, la grande consolatrice, la signora materna -seppure matrigna- con la falce, la pretesa di essere consolati:

Se con la morte finisce tutto, anche la sofferenza finisce. La finitudine della sofferenza e' buona novella, e' di per se' motivo di gioia.

La morte non puo' essere usata come minaccia, come punizione. Solo la sofferenza puo'.

In secondo luogo non e' univocamente vero, che la morte vanifichi tutto: c'e' il contraltare che, davanti all'infinita' di estensione e di durata del nulla della morte come luogo e tempo in cui andare a terminare, ogni piccolo ed effimero piacere della vita, ogni cosa esigua, acquisisce valore infinito.
Ogni cosa e' unica e insostituibile, per ogni cosa vale la pena di lottare.
Il concetto stesso dell'occasione e della fortuna.

Ed ecco ancora la volonta' potenza che si agita, che scalpita nascosta dal paravento della lamentazione e della lagna di fronte alla morte, e della prospettiva
ateo-nichilista sulla morte.

In terzo luogo, e questo e' secondo me il punto fondamentale e piu' difficile da capire, il nulla della morte non esiste nel mondo oggettivo, non e' una "cosa", non e' in verita' un tempo e non e' luogo, quindi andare a finire nel nulla, nel nulla di essere e di coscienza che ci aspetta o ci aspetterebbe nella tomba, e' continuare ad essere un Ego, continuare ad avere una verita' soggettiva e soggettuale da testimoniare.

Il nulla della morte non sta in nessun altro luogo e in nessun altro tempo che non nella coscienza annientatata del morto, e' un oltremodo, una metafisica.

E' un sopravvivere nel proprio circuito spaziotemporale chiuso di annientamento un continuare a testimoniare la propria verita'.

"Ora, le pupille guardano all'interno"

Diceva poeta romantico tedesco Rielke a proposito, appunto, delle pupille dei morti.

I morti non solo stimolano la NOSTRA introspezione, ma, essendo testimoni di un nulla extramondano, che non esiste in un mondo compattamente e inconcussamente "fatto", costituito di essere, sono, o almeno sembrano essere, portatori di una LORO propria introspezione. Che testimonia della verita' di un nulla che non esiste in quanto cosa o in quanto datita' in un mondo esteriore essente ed esistente.