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Messaggi - sgiombo

#2131
Tematiche Filosofiche / Re:Un motivo per vivere
29 Dicembre 2017, 20:07:23 PM
Un solo motivo?

Sarei incerto fra:

1) Lottare per la giustizia, per rendere il mondo migliore (nella mia personale accezione ciò significa: per il comunismo; che é anche di fatto lottare per cercare di salvare l' umanità dell' estinzione "prematura e di sua propria mano").

2) Capire quanto più possibile come é la realtà (in cui vivo) e in particolare come/cosa sono io.

3) Godere dei piaceri della vita (detti "alla rinfusa": piaceri del conoscere, piaceri della musica, piaceri della buona tavola, piaceri sessuali, piaceri della letteratura, dell' arte, dello sport -praticato e vissuto da spettatore- piaceri dell' amicizia, della buona compagnia, dell' amore, ecc.).

In fondo questo é l' ordine di importanza decrescente nel quale considero i maggiori motivi per i quali continuo a vivere volentieri e per i quali sarei disposto ad accettare dispiaceri e dolore (non oltre una determinata misura) pur di continuare a vivere.

Dunque, poiché mi chiedi un solo motivo, la risposta é la n° 1.

Buon anno anche a te e a tutti gli amici del forum ! ! !
#2132
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
28 Dicembre 2017, 10:40:12 AM
Citazione di: Sariputra il 27 Dicembre 2017, 18:46:19 PM
dei bei ovetti freschi di gallina ( che non sono in grado di dimostrare non sia un maiale, ma di sicuro dimostra di saper fare le uova, cosa che quel maledetto del maiale si è sempre rifiutato di farmi...)...

Sempre simpaticissimo, Sari.

Buon anno a te e a tutti quanti!

Ma non maledire il maiale: vuoi mettere salami, prosciutti, cotechini e zamponi, ciccioli, ecc. che ti darà, e che la gallina (anche ammesso e non concesso non sia dimostrabile non essere un maiale e viceversa) non ti darà mai?
Fra l' altro un ottimo prosecco, di cui sei produttore, mi sembra particolarmente adatto da accompagnare ai doni "generosamente" (si fa per dire) elargiti (ma infatti per coercizione estrinseca alla sua intrinseca volontà) dal maiale (anche se quelli che se la tirano probabilmente preferirebbero un rosso fermo).
#2133
Citazione di: davintro il 27 Dicembre 2017, 00:28:35 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 26 Dicembre 2017, 22:23:54 PMIn base a questo tuo ragionamento sul virtuoso non felice di essere tale, Gesù, visto che mentre gli piantavano i chiodi non si dimostrava felice, non può essere considerato uno veramente virtuoso. È da precisare che, secondo le narrazioni evangeliche, Gesù scelse di sua volontà di morire in croce, poiché poteva sottrarsi ad essa, sapeva di potersi sottrarre, sapeva cosa lo aspettava, ma non fece nulla per sottrarsi, anzi, si comportò in modo da provocare attivamente la rabbia degli accusatori contro di lui. Paolo Borsellino, certamente non sprizzava felicità nel momento in cui diceva "Siamo dei cadaveri che camminano", ad indicare la piena consapevolezza di essere destinato a venir ucciso dalla mafia. Anche lui quindi non può essere considerato uno veramente virtuoso.

per quanto riguarda il dolore fisico, siamo in un'ottica di "al di là del bene e del male". Il provare dolore fisico come ad esempio quello che può aver provato Gesù sulla croce è un fenomeno che la vittima subisce al di là del suo libero arbitrio, indipendentemente dai valori personali, dai quali invece dipende il piacere e il dolore a livello spirituale. Quindi il dolore fisico che si può subire come conseguenza di un agire virtuoso non ci rivela nulla dello spessore morale (cioè spirituale) della persona, ma semplicemente che questa persona non è un angelo, un puro spirito, ma ha anche un corpo, mentre la moralità è una realtà tipicamente spirituale. La spiritualità entrerebbe in causa invece nel l'esempio di Borsellino, e posso certamente immaginare che la coscienza di essere, come disse testualmente, "un morto che cammina", non gli provocasse alcun piacere, anzi sofferenza e profonda tristezza. ma questo non esclude o diminuisce in alcun modo la sua virtù, testimoniata dal piacere o felicità di sapere di contribuire al perseguimento del valore della legalità tramite il suo impegno antimafia. In quel caso assistiamo a un conflitto di valori: da un lato l'impegno per la legalità, dall'altro la sua vita e la sua famiglia. Anche la propria vita rappresenta certamente un valore positivo, e dunque la sofferenza nel vederla a rischio non è affatto indice di immoralità, al contrario, è coscienza del valore positivo della propria esistenza nonché dell'amore verso la propria famiglia, che certamente soffrirà profondamente la mancanza. Ogni azione che compiamo implica sempre questo conflitto fra i valori, per il quale la coerenza con alcuni di essi porta a sacrificarne altri, meno importanti evidentemente, ma comunque rilevanti. E questa rilevanza fa sì che il loro sacrificio provochi tristezza nel soggetto, ma una tristezza meno forte della soddisfazione che ci dà l'essere coerenti con i valori interiormente più importanti per noi, che sono poi quello che ispirano le decisioni concrete. Borsellino non era certamente un masochista a cui faceva piacere morire, ma la sua amarezza nulla toglieva alla soddisfazione interiore, dominante che provava nell'andare fino in fondo ai propri doveri di uomo di stato e di legge, soddisfazione che era più forte della tristezza, probabilmente non a livello emotivo-superficiale, ma a livello più profondo, perché altrimenti avrebbe agito diversamente, avrebbe rivelato una diversa gerarchia valoriale personale anteponendo la propria vita all'esercizio del proprio dovere. E solo in quel caso avrebbe avuto un senso cogliere uno sminuimento (anche se certamente umano e comprensibile) della caratura morale dell'uomo. L'agire morale costituisce un ambito complesso in cui entrano in gioco motivazioni contrastanti, per il quale la stessa linea d'azione chiama in in causa diversi fattori che determinano diversi riscontri sentimentali, e ogni valutazione presuppone un atteggiamento analitico che distingua questi singoli fattori.
Citazione
Concordo in pieno: la perfezione non esiste in generale, e in particolare non esiste la felicità perfetta (non é possibile avere la botte piena e la moglie ubriaca, come mi piace ripetere).

Se Gesù Cristo ha liberamente (da coercizioni estrinseche) scelto la croce malgrado il dolore e la morte che comportava, se Paolo Borsellino ha liberamente (da coercizioni estrinseche) scelto di continuare la sua battaglia contro la mafia malgrado l' altissima probabilità (o "quasi-certezza") di essere ammazzato che comportava era perché la felicità recata loro dalla "virtù" era ben maggiore dell' infelicità recata loro dal dolore, e dunque la loro magnanimità li ha intrinsecamente determinati a scegliere il rispettivo sacrificio.
#2134
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
27 Dicembre 2017, 22:03:17 PM
Quando penso non uso il mio cervello (come uno strumento), ma invece, di pari passo al mio pensare accadente nell' ambito della mia esperienza cosciente*, accade che se qualcuno trova il modo di osservare il mio cervello (possibilmente senza ammazzarmi o mandarmi in coma o rendermi invalido, se appena possibile! Per esempio indirettamente per il tramite dell' imaging neurologico), allora, nell' ambito dell'esperienza cosciente** di tale "qualcuno" (e non della mia*), accade che si verifichino certi determinati eventi neurofisiologici (e non affatto i miei pensieri coscienti!) all' interno del mio cervello stesso.

Ma posso benissimo dire che attraverso le scienze (e non solo), se sono vere alcune tesi indimostrabili essere vere né essere false, possiamo avere una comprensione parziale della realtà indipendente da noi per quanto tale comprensione sia confusa per il semplice fatto che (alla conditio sine qua non della verità di tali tesi indimostrabili)  la realtà stessa sarebbe così come é e come la conosciamo* anche se non la conoscessimo (fra l' altro di essa sappiamo che alcune "cose" erano così come sappiamo che fossero anche quando né noi né alcun altro uomo esisteva ancora, e alcune"cose" saranno così come sappiamo che saranno anche quando né noi né alcun altro uomo esisterà più), quindi "indipendentemente da noi" e dalla nostra conoscenza di essa.
_____________________
* Salvo ovviamente il fatto che non la conosceremmo.
#2135
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
27 Dicembre 2017, 15:38:11 PM
Citazione di: viator il 27 Dicembre 2017, 14:14:13 PM
Salve. Per Apeiron : un software (un progetto, un codice, un algoritmo, una sequenza di nessi logici) non può esistere in astratto. Dovrà risultare scritto da qualche parte o memorizzato dal cervello di qualcuno. Ed anche il cervello è un supporto fisico di memoria. Infatti i processori e l'intero hardware dell'informatica non sono altro che il tentativo umano di costruire un cervello "ausiliario" al di fuori di un qualsiasi corpo umano. Prendi un qualsiasi concetto immateriale ospitato da una mente e prova ad "estrarlo" per farlo esistere isolatamente, senza scriverlo, senza parlarne, senza un disegno od una descrizione gestuale.
Oppure, supponendo (secondo me assurdamente) che tale concetto immateriale ed unicamente formale già esista in solitaria libertà fuori dalle nostre teste e dai nostri "supporti esterni", dimmi come farai a portarlo dentro le nostre teste in mancanza di veicoli materiali che ce lo trasportino !!
CitazioneLa nostra coscienza (tanto i suoi contenuti esteriori - materiali quanto quelli interiori - mentali o "di pensiero") non esistono (non si trovano, non accadono) nei nostri cervelli (ove esistono unicamente cellule, molecole, atomi, particelle-onde subatomiche, campi di forza, ecc.; organizzati e funzionanti in maniera per certi aspetti analoga, anche se in modo estremamente meno semplice, "rozzo", "primitivo", a quella in cui altra simile materia é organizzata e funzionante nei computer; e non invece altri cervelli -sic!-, computer e men che meno -altre e numerose: sic!- esperienze coscienti).
Sono invece i nostri cervelli e i computer (con i loro atomi ecc., e con i loro hardware e software) a esistere (trovarsi, accadere) nell' ambito delle nostre esperienze coscienti (in particolare delle loro componenti esteriori - materiali; per come effettivamente accadono e/o per come possono essere dedotte e calcolate scientificamente accadere dal pensiero, a seconda dei casi).
#2136
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
27 Dicembre 2017, 15:20:50 PM
Citazione di: Apeiron il 27 Dicembre 2017, 13:15:42 PM
@sgiombo, ovviamente non volevo affermare che la mia è la sola metafisica. Quanto invece che la mia metafisica (per esempio) non si basa su dogmi "calati dall'alto" ma si basa sullo studio, sul dialogo e sulla tendenza umana a fare ipotesi (userei il verbo inglese "wondering about...") anche su cose che non sono empiricamente osservabili, cosa che per quanto ne sappiamo, per esempio, ci distingue da tutti gli animali. Riguardo alle tue obiezioni ovviamente in parte concordo visto che ho detto che c'è una componente "accidentale" della matematica (siamo dopotutto noi a scrivere le equazioni) ma ciò è lungi da concludere che la matematica dipenda da noi. Comunque - secondo me - stai un po' esagerando (mi riferisco al tuo ultimo post, se scrivi espressioni colorite (magari anche scherzose) non dimenticarti di aggiungere una "emoticon" ossia una "faccina", preferibilmente questa " ;D ".). Comunque devo precisarti che Newton non aveva una nozione di "spazio curvo" bensì riteneva che la gravità faceva un'azione a distanza.
CitazioneFrancamente non vedo come le prime obiezioni possano essere rivolte a me.
Non mi sembra infatti di averti mai attribuito la pretesa che la tua sia la sola metafisica, né di avere affermato che sia dogmatica  o fondata su pregiudizi "calati dall' alto".
Ho invece criticato il tuo platonismo in quanto affermazione dell' esistenza reale indipendentemente dalla realtà di chi le pensi delle verità matematiche e indipendentemente dalla realtà di chi li osservi oppure li contravvenga degli imperativi etici.

Lungi da me la pretesa di negare la possibilità di fare ipotesi anche su cose che non sono empiricamente osservabili: personalmente ne faccio a iosa, in particolare qui nel forum!
Ma se noi (o altri pensanti) non esistessimo la matematica non esisterebbe (infatti non é esistita fino a qualche decina di secoli fa. E un' inifinità di potenziali verità matematiche non esistono e non esisteranno mai; dunque la matematica dipende da noi o da altri pensanti).

Nell ' ultimo post ho decisamente perso la pazienza (credo giustificatamente) di fronte alle continue ingiustificate accuse di dogmatismo e di infondatezza da parte di Angelo Cannata non a questa o quella filosofia o metafisica ma in generale a (tutta) la filosofia e la metafisica (per giunta su un forum di filosofia praticato da persone che si ritengono "filosofi") a cui contrappone la scienza (le scienze naturali) pretendendo fra l' altro che contrariamente alla filosofia non tratti anche (e anch' essa del tutto legittimamente e per lo più e in generale correttamente, salvo determinati particolari casi) dei soggetti di conoscenza che la studiano e la praticano teoreticamente (e come se questo fosse impossibile o vietato da chissà chi o chissà cosa).

Le "faccine" non le ho mai usate e per una mia idiosincrasia non ho alcuna intenzione di imparare ad usarle (credo ci si spieghi molto meglio linguisticamente, magari con espressioni verbali colorite).

Con la curvatura dello spazio mi riferivo ad Einstein, con la gravità agente a distenza a Newton.
#2137
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
27 Dicembre 2017, 11:55:09 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 26 Dicembre 2017, 22:04:38 PM
Mi sembra che ci sia un fraintendimento sulla scienza. La scienza, per poter indagare com'è fatta una pietra oppure quanto fa 2+2, non ha alcun bisogno di negare la dipendenza dei propri concetti dal soggetto. Semplicemente non se ne occupa, non è il suo campo d'interesse, allo stesso modo in cui uno storico non si occupa di come vada fatta un'operazione chirurgica. Allo stesso modo, la scienza non si occupa di negare l'esistenza di Dio; piuttosto non se ne occupa, non si pronuncia, non è suo campo di interesse.
Invece la metafisica, nel momento in cui avanza la pretesa di definire la natura dell'essere, avanza la pretesa di poter pervenire a enunciati del tutto indipendenti dal soggetto.
Citazione"enunciati del tutto indipendenti dal soggetto"  =/= "enunciati la cui verità é del tutto indipendente da ciò che ne pensa o meno il soggetto".

Quello di "enunciati del tutto indipendenti dal loro soggetto" é uno pseudoconcetto autocontraddittorio, senza senso (che nessuno filosofo mi risulta abbia mai preteso di affermare).

Ed enunciati la cui verità é del tutto indipendente da ciò che ne pensa o meno il soggetto sono (pretendono di essere) quelli delle scienze non meno che quelli delle filosofie.
La metafisica, a proposito della dipendenza dal soggetto, non dice "Non è il mio campo, non me ne occupo", ma dice "È il mio campo, me ne occupo, e posso affermare che l'esistenza dell'essere, o della verità, o della realtà, è del tutto indipendente da me soggetto che ne sto parlando".
CitazioneEsattamente come le scienze naturali (o credi che Newton o Einstein pensassero che la gravitaizione universale fosse dipendente da loro che se ne occupavano?).



A questo punto si pone il problema, cioè io dico alla metafisica: "Ma se stai parlando dell'essere, e tu sei anche essere, ne segue che, applicando questa tua logica, stai parlando anche di te stessa; continuando ad applicare la tua logica, non potrai negare, quindi, che questo tuo parlare dell'essere non può non essere condizionato da te che ne stai parlando; quindi come fai a dire che ciò di cui stai parlando è indipendente da te?".
CitazioneA parte il fatto che anche Newton ed Einstein avevano una massa e incurvavano lo spaziotempo, e dunque parlando della gravità parlavano del tutto tranquillamente anche di se stessi, non vedo perché mai in generale non si dovrebbe essere autocoscienti e ragionare e cercare di conoscere (anche) circa noi stessi.

E che il nostro parlare (anche) di noi stessi (non meno proprio agli scienziati che ai filosofi) non possa non essere condizionato (anche, non solo!) da noi stessi che lo stiamo facendo e quindi non sia indipendente da noi stessi (cosa che non mi risulta alcun filosofo abbia mai assurdamente preteso) mi sembra tanto ovvio quanto banale e del tutto irrilevante ai fini della sua verità: perché mai pensando a me stesso dovrei essere ineluttabilmente condannato a pensare il falso?

Ulteriore precisazione: la scienza non ha alcuna pretesa di individuare leggi universali: la scienza si occupa semplicemente di definire, attraverso concetti che non ha alcuna difficoltà ad ammettere che sono umani, condizionati dalla mente umana, funzionamenti applicabili al mondo conosciuto. Leggi universali significherebbe pretesa di individuare leggi a cui in qualsiasi futuro non si potrà sottrarre alcun tipo di realtà conoscibile: è questa la pretesa della metafisica, che la scienza non si sogna di avanzare, perché la scienza non è filosofia, non è filosofia della natura.
CitazioneUniversale =/= umano (e dunque fallibile).

La scienza pretende -eccome!- giustamente di individuare le leggi universali (e oggettive) del divenire naturale.

E come gli scienziati che non siano affetti da delirio di onnipotenza, così, esattamente allo stesso modo, né più né meno, anche i filosofi che non siano affetti da delirio di onnipotenza sanno benissimo che possono -umanamente, disponendo di capacità mentali limitate- cadere in errore.



E smettila di deformare caricaturalmente e letteralmente calunniare  la filosofia (fra l' altro in un forum di filosofia, offendendo chi si sente filosofo) ! ! !

Se proprio ci tieni a buttare escrementi sulla filosofia, vai almeno a farlo su un forum di positivisti o scientisti!
#2138
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
27 Dicembre 2017, 11:28:13 AM
Citazione di: Apeiron il 26 Dicembre 2017, 21:37:25 PM
Tornando a Platone... personalmente sono convinto che le "forme matematiche" (ma anche le "idee etiche") abbiano una esistenza ontologica. In fin dei conti la regolarità della natura esiste anche se noi non ci siamo e inoltre nella metematica succede anche questo:
y = x2 + 1 (una parabola in un piano cartesiano) e la coppia di funzioni (x = (y - 1)1/2, x= - (y - 1)1/2) sono rispettivamente una parabola e le sue due funzioni inverse. Se le disegnate in un grafico (e nel caso delle inverse dovete disegnarle entrambe) ottenete lo stesso risultato.
Cosa vorrò mai dire con questo esempio? Che l'equivalenza tra la prima curva e la seconda coppia di curve "esiste" anche prima che io faccia l'operazione di inversione nel senso che in fin dei conti anche questo oggetto matematico può essere descritto in DUE modi diversi. Eppure è lo stesso oggetto. Ma allo stesso tempo si possono considerare come due "cose" (anzi tre) distinte. "Peculiarità" come queste unite alle regolarità della Natura mi fanno pensare che matematica abbia valore ontologico. Tuttavia è anche necessario dire (come si può dedurre dall'esempio stesso) che il modo con cui "scriviamo" queste realtà "sulla carta" è in realtà accidentale: siamo noi a scegliere di usare un modello o un altro per spiegare un fenomeno, per esempio. Quindi anche se il platonismo di Platone è in effetti un po' troppo "ingenuo" ritengo che sinceramente ci abbia preso giusto visto che in fin dei conti le "verità matematiche" esistono indipendentemente da me e idem per le leggi della fisica

Pur apprezzando l' uso prudenziale delle virgolette, dissento circa l' esistenza reale delle entità, formule, concetti, rapporti matematici, nonché delle dee etiche.
 
Se qualcosa fosse stato diverso sulla terra (per esempio la sua massa, distanza dal sole, composizione chimica), allora l' umanità non sarebbe amai esistita, nessuno avrebbe pensato formule matematiche né (pensato e osservato oppure trasgredito) idee etiche; ergo formule matematiche e idee etiche non sarebbero state reali (esistite realmente).
 
C' è oggi un' infinità di potenziali sviluppi delle matematiche, così come prima di Euclide c' era la potenziale esistenza (dei pensieri da qualcuno pensati, detti o scritti) dei concetti e dei teoremi della geometria euclidea.
Ma queste sono mere potenzialità, ovvero ciò significa unicamente che nulla di reale identificabile con i futuri sviluppi delle matematiche esiste (ora) così come nulla di reale esisteva prima di Euclide identificabile con la geometria euclidea.

Esiste (esisteva) solo "nulla di reale" che sia (fosse) identificabile con gli sviluppi futuri delle matematiche (la geometria euclidea)..
Nulla di reale che può (sarebbe potuto) diventare "qualcosa di reale" eventualmente in futuro e solo nel caso si dessero (si fossero date) determinate circostanze condizionanti, le quali potrebbero (sarebbero potute) benissimo anche non darsi, col che si rimarrebbe (si sarebbe rimasti) al "nulla di reale"; il quale é (era) comunque nulla di reale per lo meno al tempo presente (ora od allora).
E anzi, poiché i potenziali sviluppi delle matematiche (come in generale della conoscenza umana) sono* infiniti ma la durata dell' umanità é sicuramente finita, un' infinità di potenziali sviluppi della matematica e delle altre scienze resterà di sicuro per sempre "nulla di reale" (mere potenzialità, le condizioni per l' attuazione delle quali non si daranno mai, e che dunque resteranno per sempre "nulla di reale").
 
Per parte mia ritengo quindi sinceramente che Platone non ci abbia preso per niente giusto, visto che in fin dei conti le "verità matematiche" non esistono indipendentemente da me e le leggi della fisica sono reali indipendentemente da chichessia, ma invece la loro conoscenza non esiste (non é reale) indipendentemente dalla realtà di chi le pensi.
 
(Approvo convintamente il gran parte del resto delle tue ottime argomentazioni contro le tesi antifilosofiche di Angelo Cannata).
 
________________
* Qui il verbo "essere" é usato nel senso (copulativo, non esistenziale) in cui si può anche dire per esempio che un ippogrifo é un cavallo alato.
#2139
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
27 Dicembre 2017, 10:31:07 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 26 Dicembre 2017, 15:09:24 PM
Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2017, 14:48:24 PMMa dove "starebbe mai scritto" (se non in un antifilosofico -e direi: veteropositivistico"- pregiudizio ideologico dogmatico) che enti ed eventi metafisici teoreticamente trattati dai filosofi debbano sempre, in ogni caso, necessariamente essere per forza dogmaticamente postulati e non possano invece, per esempio, essere razionalmente proposti e criticamente considerati come ipotesi onde spiegare la realtà immediatamente percepita empiricamente? (La quale comprende anche il pensiero , la "res cogitans", e non solo la materia -postulabile ma non dimostrabile essere- intersoggettiva oggetto di possibile conoscenza scientifica).
Il problema che io vedo nella metafisica non sta nel suo essere fatta di postulati oppure nel suo essere più o meno razionale. Il problema sta nel suo presentare definizioni indicate come definizioni ultime. In questo senso, è il linguaggio usato a condurre a ciò, a dispetto delle intenzioni più o meno modeste di chi lo usa.
CitazioneMa che significa mai "definizione ultima"?

La filosofia, metafisica o meno, non smette mai di criticare, autocriticarsi, ragionare.

Le definizioni dei concetti, in tutti i contesti più o meno razionali di pensiero linguistico (nelle scienze naturali e matematiche non meno che nella filosofia) vengono stabilite arbitrariamente per convenzione e fin che non sono eventualmente modificate o corrette (per fortuna molto raramente, in caso di necessità, allo scopo di evitare ambiguità, confusioni, malintesi nei discorsi circa la realtà) sono da considerarsi "fisse", non mutabili ad libitum, "ultime" ("penultime" rivelandosi a posteriori solo in quei pochi casi che eccezionalmente necessitassero di revisione, da stabilirsi comunque per convenzione arbitraria e auspicabilmente in via definitiva o "ultima").



Ne approfitto per precisare che, ad esempio, un elemento micidiale del linguaggio metafisico è l'uso indiscriminato dell'articolo determinativo. Ovviamente si tratta di uno strumento di cui è impossibile fare a meno, però è possibile cercare di farne uso con consapevolezza critica. Se, ad esempio, intediamo dire che cos'è l'anima, l'articolo determinativo induce la nostra mente a costruire la pretesa di stabilire la natura di tutte le anime; in altre parole, l'articolo determinativo orienta la nostra mente a pensare per idee universali, dimenticando le irriducibilità degli enti particolari, che continueranno a porre problemi. Questo si collega al parlare di definizioni ultime, che ho detto prima: equivale a definizioni universali.
CitazioneMi sembra più che legittima e corretta la "pretesa" di cercare di conoscere la realtà in generale e in particolare di stabilire i caratteri generali astratti, universali di enti ed eventi (là dove realmente se ne trovano); il che non significa di certo confonderli con i casi particolari concreti dai quali vengono per l' appunto astratti (e non: con i quali vengono identificati)!

Se le anime particolari concrete esistessero sarebbe più che legittimo e corretto stabilirne i caratteri generali astratti propri, cioè i caratteri propri del concetto generale astratto di "anima", esattamente come si stabiliscono i caratteri generali astratti delle varie specie (o di qualsiasi altra classe tassonomica) di animali o delle stelle, pianeti, continenti, catene montuose, vulcani, ecc., ecc., ecc.

Chi deliberatamente si nega la possibilità di perseguire la conoscenza di ciò che é universale, generale, astratto si autocondanna a una ben miserabile (a mio modesto parere ovviamente) ignoranza e limitatezza mentale, interiore, a interessarsi unicamente dei banali dettagli particolari concreti del mondo reale (se stesso compreso).



Non c'è dubbio che tutto ciò sia razionale; neanche sarebbe un problema se si trattasse di postulato indimostrato. Il problema è che trascura il condizionamento da parte del soggetto. Se si vuole parlare di tutte le anime (= l'anima), o di tutte le menti (= cos'è la mente), il problema è che si dimentica che il parlante fa sempre parte del discorso che sta facendo. Per dirla con una metafora, siamo tutti pesci che parlano del mare dentro cui nuotano e di conseguenza non possono avanzare la pretesa che le loro affermazioni non siano tipiche di ciò che il cervello di un pesce è in grado di pensare. Noi invece esseri umani metafisici continuiamo ad avanzare la pretesa di non avere niente a che vedere con le nostre affermazioni sulla natura delle cose, come se tali affermazioni sussistessero per conto proprio e noi non c'entriamo niente.
CitazioneNessuno che non sia affetto da manie di onnipotenza (anzi, più precisamente di onniscienza) pretende di parlare di tutte le anime (ammesso che esistano) o di tutte le menti nei loro aspetti particolari concreti, ma casomai degli aspetti universali generali astratti propri a tutte le anime (ammesso che esistano) o di tutte le menti.

E non vedo come questo implichi la dimenticanza della propria stessa mente da parte di chi ne parla.

Ma quale mai filosofo, quale mai metafisico ha mai preteso l' onniscienza?

Perché mai la filosofia dovrebbe essere la pretesa di parlare in maniera non corrispondente a (ma non affatto identificantesi con!) ciò che accade nei nostri cervelli, con tutti i limiti che lo caratterizzano, allorché pensiamo?

Ma quale mai filosofo avrebbe mai preteso di non avere niente a che vedere con le sue proprie affermazioni sulla natura delle cose come se tali affermazioni sussistessero per conto proprio (dove, se non sulla sua bocca e nei suoi scritti?) e lui non c' entrasse per niente?????????
Questo lo fanno casomai i profeti delle religioni "rivelate"!
#2140
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
26 Dicembre 2017, 14:48:24 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 26 Dicembre 2017, 14:07:41 PM
In effetti mi sembra che su questo ci sia a volte confusione. Cioè, si pensa di elevarsi al di sopra del piano fisico semplicemente perché si parla di entità, come ad esempio l'anima, o la mente, o lo spirito, non rintracciabili in fisica.
Se però si considera criticamente questa procedura, si può osservare che questo tipo di elevazione non costituisce un vero salto di qualità, perché le eventuali entità non fisiche di cui si parla vengono in realtà trattate con gli stessi criteri che condizionano il nostro modo di trattare il mondo fisico. Questi criteri, che prestano il fianco alla critica, sono essenzialmente i due che ho detto sopra: si trascura il soggetto e in particolare il divenire del soggetto: si trattano tali entità comunque come esistenti indipendentemente, esternamente, assolutamente, rispetto a noi, alla nostra mente che in questo momento le sta pensando.
Per fare un esempio, se io ipotizzo l'esistenza dei fantasmi, cercando in questo modo di prendere vie che oltrepassano il mondo fisico, in realtà non ho compiuto un vero salto, perché sto continuando a trattare i fantasmi con gli stessi criteri con cui tratto il mondo fisico. Tant'è vero che solitamente i fantasmi vengono immaginati come localizzati, cioè capaci di abitare certi luoghi, entrare nelle persone, provocare fenomeni fisici: insomma, né più né meno che come enti fisicissimi, salvo l'invisibilità, che poi non è un fattore gran che ultrafisico, se pensiamo all'aria, oppure alla corrente elettrica. Non per nulla lo spirito, sia in greco che in ebraico, viene indicato con un termine che significa anche aria, vento.
È questo il problema della metafisica: pensa di andare oltre il fisico, ma in realtà vi rimane pienamente immersa, per il modo in cui tratta gli enti invisibili.
I modi per fare il salto ci sono e ce li hanno insegnati da sempre gli artisti: sono loro i veri "meta-fisici", nel senso che loro sì che fanno davvero il salto oltre la fisica, perché un artista che ti disegna un albero non lo presenta come oggetto da trattare sulla stregua di un'entità fisica, ma piuttosto come rappresentazione dell'artista stesso. È l'artista il maestro dell'attenzione al soggetto, colui che ti dice con chiarezza che quando sta disegnando un albero vuole in realtà comunicare sé stesso. Il filosofo metafisico, nel momento in cui avanza la pretesa di parlare di entità non fisiche, avanza la pretesa di non essere coinvolto in questo parlare, infatti pretende che si tratti di un parlare oggettivo, riferito a oggetti autonomi, che stanno là fuori. L'artista invece ti dice esplicitamente che quell'albero è nella sua mente, dipende dalla sua mente, l'ha disegnato come lo vede la sua mente.
CitazioneC' é una bella differenza fra i banali "fantasmi" degli spiritisti e, per esempio, le idee platoniche, la Sostanza spinoziana, la leibiniziana armonia prestabilita, il noumeno kantiano, la Volontà schopenhaueriana!

E' ovvio che se queste ultime entità sono oggetto di pensiero, come lo sono anche le entità fisiche, allora qualcosa in comune con queste debbono per forza avere (se non altro la "pensabilità").

Ma dove "starebbe mai scritto" (se non in un antifilosofico -e direi: veteropositivistico"- pregiudizio ideologico dogmatico) che enti ed eventi metafisici teoreticamente trattati dai filosofi debbano sempre, in ogni caso, necessariamente essere per forza dogmaticamente postulati e non possano invece, per esempio, essere razionalmente proposti e criticamente considerati come ipotesi onde spiegare la realtà immediatamente percepita empiricamente? (La quale comprende anche il pensiero , la "res cogitans", e non solo la materia -postulabile ma non dimostrabile essere- intersoggettiva oggetto di possibile conoscenza scientifica).
#2141
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
26 Dicembre 2017, 14:30:09 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 26 Dicembre 2017, 11:10:19 AM
Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2017, 09:17:10 AMNon vedo proprio come né perché...
Come e perché posso spiegarlo più in dettaglio, in modo che lo si veda meglio. Anche riguardo alla pubblicità, ad esempio, non è certamente di una chiarezza immediata come essa riesca a condizionare molti nostri comportamenti, eppure ciò avviene e se la si studia in dettaglio se ne possono svelare i meccanismi.
CitazioneNo, modestamente ho senso critico e inoltre sono anticonformista e anche tendenzialmente bastian contrario, e (sostanzialmente, generalmente, nessuno essendo perfetto) non mi faccio infinocchiare (condizionare nel mio comportamento) dalla pubblicità.

Citazione di: sgiombo il 26 Dicembre 2017, 09:17:10 AM... perché dovrebbe necessariamente darsi che il linguaggio porti inevitabilmente...
Non ho parlato di necessità e di inevitabilità, mi sono espresso con un linguaggio ben diverso, tutt'altro che dogmatico. Basta leggere con attenzione i termini precisi che ho usato. Ad esempio, ho detto "mi spingerà inevitabilmente": il fatto che ci sia una spinta non significa che la persona sempre e necessariamente si adeguerà passivamente ad essa.
CitazioneSarò pignolo, ma rilevo che hai usato termini perentori e non affatto dubitativi come "inevitabilmente", "dare per scontato", hai parlato di "linguaggio" che sarebbe, anzi che "è [modo indicativo] in grado di piegarle [le migliori intenzioni antidogmatiche] e a sé, alla presunzione, al dogmatismo" e che "prospetta delle vie ben precise dentro cui costringono [soggetto: le idee, attraverso il linguaggio stesso] il seguito del discorso a muoversi", che "è sempre carico di condizionamenti che sono anche gabbie, prigioni".
Per questo mi fanno piacere le precisazioni che ora (credo immodestamente anche in seguito alle mie sollecitazioni critiche) hai apportato a quanto da te precedentemente sostenuto.
#2142
Tematiche Filosofiche / Re:Anima, Spirito, Mente
26 Dicembre 2017, 09:17:10 AM
Non vedo proprio come né perché dovrebbe necessariamente darsi che il linguaggio porti inevitabilmente alla presunzione, al dogmatismo, alla confusione fra oggetti immaginari di pensiero (esempio dei fantasmi) ed enti ed eventi reali, a dare per scontati significati impropri e/o ambigui dei vocaboli che i impiegano, all' impossibilità di mettere in discussione le proprie i dee e considerare creativamente e criticamente nuove ipotesi o ipotesi proposte da altri.

Quello di cadere nel dogmatismo e di irrigidirsi nei pregiudizi é un rischio che del tutto ovviamente, come anche i rischi che si corrono più o meno inevitabilmente in qualsiasi altra attività umana, può ben essere fronteggiato e in larghissima, più che soddisfacente misura evitato e superato (senza pretendere ovviamente un' impossibile perfezione o infallibilità) cercando di essere sempre disposti ad autocriticarsi e a correggersi per quanto ci é possibile.

La pretesa che un "semplicissimo atto, cioè l'atto di esprimere un'ipotesi, un punto di vista, è sempre carico di condizionamenti che sono anche gabbie, prigioni", questo sì che mi sembra un autentico pregiudizio acritico e dogmatico (oltre che falso)!
Si può benissimo (e a mio parere si deve) pensare linguisticamente con senso critico e autocritico, razionalmente.


E "metafisica" non é affatto sinonimo di "dogmatismo" o "acriticità"!
Non meno delle scienze può (e a mio parere deve) fondarsi sulla razionalità e il senso critico ed evitare il dogmatismo e il pregiudizio: c' é metafisica e metafisica!
E fare di tutte le erbe un fascio, questo sì che é pregiudizio acritico e dogmatismo!
#2143
Citazione di: Apeiron il 24 Dicembre 2017, 12:17:21 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 24 Dicembre 2017, 11:10:03 AM
Citazione di: Apeiron il 24 Dicembre 2017, 10:39:01 AMNon è che il "dolore" in sé sia "positivo". Tuttavia è una sorta di "male necessario"
La parola "necessario" mi suona pericolosa. Necessario per chi? Gli Americani possono ritenere che sganciare bombe in un paese sia un male necessario per esportare democrazia. Preferirei dire: qui ed ora questo male mi sembra inevitabile; però continuerò a fare di tutto per cercare in ogni momento, se possibile, di evitarlo, perché potrei sbagliarmi.

Complimenti, Angelo  ;)  hai ragione... con "necessario" intendevo proprio questo! nel senso che potrei appunto pensare che non sia "inevitabile"!

Una tipica insidia delle comunicazioni scritte  ;)

Buon Natale a tutti!
CitazioneMa talora può anche accadere e talora purtroppo effettivamente accade che l' infelicità non sembri essere a chi la prova superabile (e perfino che non la sia effettivamente, in realtà); e allora l' unica soluzione ragionevole é il suicidio, come male minore ovvero come bene relativo (alla vita ritenuta, a torto o magari anche a ragione, irrimediabilmente infelice).

Irrimediabilmente la vita (in generale, complessivamente intesa; e ancor più e a maggior ragione la vita autocosciente) é per certi aspetti meravigliosa e bellissima, per altri orrenda e cattivissima.
Se si vuole "guardare in faccia la realtà", bisogna riconoscere che questo é in generale inevitabile (pur essendo spesso superabili, e dunque da cercare ad ogni costo di superare, magari a costo di durissimi sacrifici, condizioni particolari concrete di infelicità).

D' altra parte ogni concetto umanamente pensabile é inevitabilmente relativo: non potremmo avere coscienza del bene se non avessimo coscienza del male, né del "bello" senza il "brutto", della "gioa" senza il "dolore", della "felicità" senza l' infelicità", ecc. 
C'é una sorta di profonda "saggezza elementare" nel mito mesopotamico (poi ebraico e cristiano, ma probabilmente in parte frainteso e deformato in queste ultime accezioni) del peccato originale e della perdita del "paradiso terrestre" (alquanto indifferente piuttosto che buono, non avendosi colà e allora "conoscienza del bene e dl male"), in seguito all' assimilazione del frutto "dell' albero della conoscenza del bene e del male": parafrasi a mio avviso straordinariamente trasparente del passaggio dell' umanità dall' animalità inconsapevole di se stessa e della propria vita all' autocoscienza, dalla "storia naturale" alla cultura o "storia umana").
#2144
Citazione di: Angelo Cannata il 24 Dicembre 2017, 10:53:11 AM
Citazione di: sgiombo il 24 Dicembre 2017, 10:37:44 AML' esempio del cieco inconsapevole della propria patologia non dimostra che si può essere "illusi di essere felici": felici (in maggiore o minor misura, ovviamente) o si é oppure non si é .

Ci si può illudere circa una eventuale felicità futura o circa la realtà delle cause, dei motivi della propria felicità presentemente attuale, non  di quest' ultima.
Infatti "felicità" significa appagamento di desideri e aspirazioni, e questa -che sia per una corretta, veritiera oppure per un' illusoria, errata valutazione della realtà oggettiva- é una condizione soggettiva che (in maggiore o minor misura) può essere reale o non essere reale; non può apparire falsamente reale
Si tratta di chiarire se il soggetto può ingannare sé stesso oppure no. A me sembra di sì. Il motivo mi sembra dimostrabile: la persona che dice di essere felice può anche trovarsi in una condizione psicologica che la induce a trascurare, rimuovere dalla coscienza, ciò che le dice che non è vero che è felice.
CitazioneCerto, concordo.
Ma in questo modo é (realmente) felice (molto probabilmente si tratta di una felicità molto "precaria", effimera, destinata a venir meno col probabile venire al pettine prima o poi dei nodi della realtà che il soggetto in questione ignora o circa i quali si illude; ma  comunque al momento é una reale, autentica, non illusoria felicità, sebbene fondata sull' illusione).

Illusori, falsi sono i motivi della felicità, reale é quest' ultima (pensa alle considerazioni di Giacomo Leopardi sulla maggior felicità dei primitivi, con le loro mitologiche illusioni, rispetto ai moderni, con le loro vere conoscenze).



Questo mi sembra che accada, ad esempio, nei fanatici delle religioni, oppure in chi è stato plagiato da guaritori impostori: il bisogno di sicurezza, di sentire di aver avuto successo, di aver raggiunto lo scopo proposto, può indurre a far finta che tutto vada bene e autoconvincersi che tutto sta andando bene. Una persona che si trova in queste condizioni dirà di essere felice soltanto perché in quel momento sta eliminando dalla propria coscienza tutto ciò che smentisce il suo bisogno psicologico di sentirsi felice.
Può accadere che lo stesso interessato riconosca, in un momento successivo, che si stava ingannando, che aveva scelto di far parlare solo una parte di sé e metterne a tacere altre. Cosa diremo ad una persona in questa situazione? Le diremo "No, non è vero, tu eri davvero felice, perché la felicità non può apparire falsamente reale"?
CitazionePotremmo dirgli (ma sarebbe un' inutile "girare il coltello nella piaga", dal momento che già se ne sarà reso amaramente conto) che, purtroppo, la sua felicità reale, fondata sull' illusione, si é rivelata effimera e ha lasciato posto a un' infelicità altrettanto reale ma che potrebbe rivelarsi ben più salda e duratura, essendo fondata sulla conoscenza vera di come stanno le cose realmente.
#2145
Citazione di: Angelo Cannata il 23 Dicembre 2017, 16:41:37 PM
In una vecchia trasmissione di Piero Angela si vede un cieco che è persuaso di vederci (a proposito, ho visto che hanno messo su Youtube l'intera serie, che considero molto istruttiva: consiglio di vederla): l'intervistatore gli muove il microfono davanti agli occhi, il cieco non se ne accorge, ma continua ad affermare di aver acquistato almeno buona parte della sua capacità di vedere.

Ora, se un cieco può essere persuaso di vederci, figuriamoci se una persona che sta anche malissimo non possa essere persuasa di essere felice. Questo mette in questione non solo l'attendibilità del parere di chi si ritiene felice, ma qualsiasi discorso sulla felicità: siamo costretti ad ammettere che non sappiamo di cosa stiamo parlando, esattamente come il cieco, che dicendo di vederci non sapeva di cosa stava parlando.
CitazioneL' esempio del cieco inconsapevole della propria patologia non dimostra che si può essere "illusi di essere felici": felici (in maggiore o minor misura, ovviamente) o si é oppure non si é .

Ci si può illudere circa una eventuale felicità futura o circa la realtà delle cause, dei motivi della propria felicità presentemente attuale, non  di quest' ultima.
Infatti "felicità" significa appagamento di desideri e aspirazioni, e questa -che sia per una corretta, veritiera oppure per un' illusoria, errata valutazione della realtà oggettiva- é una condizione soggettiva che (in maggiore o minor misura) può essere reale o non essere reale; non può apparire falsamente reale (casomai falsamente ritenuti reali ne possono essere i motivi).

Per esempio un tossicodipendente che avesse la (molto rara, di fatto) fortuna di potersi curare adeguatamente e di provvedersi costantemente la droga sarebbe realmente felice (nel suo "paradiso" falso e illusorio, oltre che "artificiale").
E questo perché le sue aspirazioni, per banali e meschine che si possano ritenere da parte di altri, per effimere e malsicure per il futuro che possano oggettivamente essere, al momento sarebbero realmente soddisfatte (= al momento lui sarebbe realmente felice).
Allo stesso modo, ammettiamo che per il cieco dell' esempio il (sapere, veracemente o meno di ) vederci realmente sia ciò a cui aspira; non ci vede realmente, ma "ciò che gli risulta -sia pur erroneamente, falsamente- accadere", ciò che realmente sa é che ci vede realmente (anche se é una conoscenza falsa, anche se non accede realmente che ci veda); in questo caso il cieco sarà (illusoriamente, falsamente vedente, ma comunque) veracemente, effettivamente, realmente felice.



Questo non significa che siamo condannati a non poter parlare di nulla: basta parlarne con consapevolezza della criticabilità di ciò che diciamo e quindi ricerca delle vie migliori di esplorazione della questione.

Che vie seguire dunque?

È chiaro che il discorso sulla felicità s'intreccia con quello sul bene, a proposito del quale ci ritroviamo rimandati al relativismo a cui in pratica mi sono appena riferito.
CitazioneV' é un indubbiamente un intreccio ma non si devono confondere i concetti:

Una persona gretta e meschina, e anche una malvagia, può benissimo essere felice se la sua grettezza, meschinità o anche malvagità sono appagate dagli eventi che vive, esattamente come può esserlo una persona magnanima e generosa se la sua magnanimità e generosità sono appagate dagli eventi che vive.

Personalmente non scambierei una (pretesa, per quanto personalmente mi riguarda) felicità nella grettezza, meschinità e men che meno nella malvagità, con un' (pretesa, per quanto mi riguarda) infelicità nella magnanimità e nella generosità: per me, come per gli antichi stoici, "la virtù é premio a se stessa"; il che significa che la mia aspirazione maggiore di tutte é la "virtù"; e se questa é appagata, a dispetto dell' inappagamento di qualsiasi altra di gran lunga minore, il mio "bilancio interiore complessivo" é un' esperienza di felicità



Ma il relativismo è un problema solo per chi ritiene che ciò che vale siano soltanto le affermazioni assolute, certe veritiere, indipendenti. Nella mia prospettiva invece ciò che vale è l'opinione che abbia l'umiltà di riconoscersi opinione.

Che vie possiamo seguire in questa condizione di esseri umani costretti ad essere umili?

Per me la via migliore è quella del cercare, che poi non è altro che un riesprimere ciò che con un linguaggio filosofico più astratto si dice divenire, di eraclitea memoria.

Tutto questo mi dice che per me il meglio da cercare non è la felicità, né il bene, ma il cercare stesso. Se sono in ricerca, se sto cercando, allora sono nel meglio delle mie possibilità, nel massimo delle mie facoltà e non ho nulla da invidiare a chi sostiene di essere felice.
CitazioneInfatti sei felice perché la tua aspirazione alla ricerca é appagata (riesci a praticarla), esattamente come sarebbe felice un delinquente che riuscisse a d appagare la sua aspirazione a delinquere (facendola franca); sia chiaro che non c' é alcun intento offensivo in queste parole, esse valgono tali e quali anche per la mia propria felicità e per quella di chiunque altro: "esattamente come" si riferisce all' essere felici, non certo ai modi e alle condizioni dell' esserlo!



Allora la domanda che è il tema di questa discussione viene a risultare una domanda che implicitamente si riferisce alla massa, alla gente che non riflette, a persone che purtroppo il mondo ha ridotto a burattini manovrati: sono queste le persone persuase di dover inseguire la felicità, o peggio, di averla raggiunta. Anch'io sono un burattino manovrato, ma sono un burattino che cerca. La persona che dice di essere felice è colei che, a proposito di ciò su cui si ritiene felice, ha smesso di cercare, di interrogarsi; se infatti si ponesse dubbi in proposito, non potrebbe più sostenere di essere felice. Il dubbio dunque impedisce di sostenere di essere felici, ma in cambio dona la coscienza di star esercitando il meglio delle proprie facoltà.

Di fronte a questo, non ho alcuna invidia di chi dice di essere felice e non desidero affatto essere felice: desidero solo non fermarmi su nulla.
CitazioneErgo: fin che non ti "fermi" sei felice, poichè stai ottenendo ciò che desideri, esattamente come chi desiderasse "fermarsi" e riuscisse a "fermarsi" (per la cronaca: non é nemmeno il mio personale caso), che pure starebbe ottenendo ciò che desiderasse.



Ciò non significa che io neghi a me stesso qualsiasi soddisfazione o piacere concessi dalla vita: non li nego affatto, ma li vivo come parte della ricerca, la quale comprende anche momenti di sosta, di ristoro, visto che si tratta di ricerca umana.
CitazioneHai le tue aspirazioni, che per tua fortuna sono sostanzialmente soddisfatte (= sei felice).